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www.ildialogo.org Domenica 5a Quaresima B con liturgia penitenziale comunitaria – 25 marzo 2012 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 5a Quaresima B con liturgia penitenziale comunitaria – 25 marzo 2012 –

di Paolo Farinella, prete

Quinta domenica di Quaresima. Ci avviamo velocemente verso la Pasqua. Domenica prossima inizia la settimana santa, quella che la Tradizione chiama «la Grande Settimana» oppure la «Settimana delle Settimane». In questa sosta quaresimale la liturgia ci propone quattro temi, ciascuno per ogni lettura. La prima lettura, tratta dal profeta Geremia, ci propone addirittura una «nuova alleanza», espressione blasfema per le orecchie di un ebreo. Eppure ci troviamo al vertice di tutto l’AT. Solo con l’avvento di Gesù noi ne comprendiamo la portata e le conseguenze. Nel cenacolo Gesù celebra la sua ultima Pasqua con la sua famiglia, i discepoli. Egli prende la terza coppa di vino, la coppa che la tradizione assegna ai tempi messianici, e dice le parole di Geremia applicandole a sé stesso: questa è la coppa della nuova alleanza. Le parole del profeta del sec. VII acquistano senso alla luce della vita e dei gesti di Gesù. È proprio lo stesso Gesù la luce che illumina tutto l’AT: egli ne è il senso e la chiave interiore per permetterci di leggerne il significato nascosto.

Il salmo 51/50, penitenziale per eccellenza, rivela la misericordia di Dio come processo di vita che ri-genera. Il testo ebraico parla infatti di chèsed-misericordia e rachamìm-bontà. Il primo termine indica la tenerezza affettiva e affettuosa, il secondo ha un senso più radicale e si richiama all’utero materno che coltiva la vita per la nascita1. Il perdono di Dio è dunque al contempo la forza e la tenerezza che tesse la vita di chi ama, per proiettarlo verso la vita piena e autonoma. In questo senso forte, Dio è Padre/Madre, perché egli esercita la giustizia attraverso la tenerezza paterna e la forza della madre che custodisce e genera2.

La seconda lettura, tratta dalla lettera agli Ebrei, ci offre una prospettiva rassicurante. L’omileta (si tratta infatti non di una lettera, ma di un’omelia) ci garantisce che Gesù è il Sommo Sacerdote che intercede a nostro favore sempre, anche con lacrime e grida e patimenti. Fa impressione leggere che il Figlio Dio abbia imparato l’obbedienza dalle cose che ha patito. Viene spontaneo dire che chi crede in Dio vive anche la sofferenza e il dolore come una pedagogia, una via di amore e di dono.

Il vangelo infine ci introduce nella seconda parte del IV vangelo (cf Gv 12-21): il libro dell’«ora» che è allo stesso tempo l’ora della morte e della tragedia e l’ora della glorificazione e della vita. Questa brano ci descrive la versione giovannea dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme (cf Gv 12,12-19) e la rivelazione di Gesù ai Pagani/Greci (cf Gv 12,20-36). Gli eventi sono collocati da Gv nell’ultima settimana di vita di Gesù. Qui siamo al 2° giorno. Il IV vangelo aveva avuto inizio con la descrizione della prima settimana del Lògos incarnato (Gv 1,29.35.43; 2,1) e ora si conclude con la descrizione puntigliosa dell’ultima settimana: i giorni di Gesù che attraverso la morte ritorna nella «gloria» che aveva come Lògos (cf Gv 12,1.12; 13,1; 18,28; 19,31). Anche in questa ultima settimana, i discepoli sono gli stessi della prima: Filippo e Andrea.

Il quadro che Gv ci presenta è semplice: Gesù si manifesta due volte (cf Gv 12,23-28 e 31-32), ma trova incredulità nella folla (cf Gv 12,29 e 34). Gesù risponde alzando la posta e ponendo condizioni ancora più profonde imponendo una scelta tra luce e tenebra (cf Gv 12,35-36). L’incomprensione resta e Gesù si nasconde alla folla (cf Gv 12,36). La folla è anonima e non è mai luogo di incontro. L’Eucaristia che ci apprestiamo a celebrare fa di noi una comunità eucaristica, cioè una tensione alla relazione e all’incontro, perché è il sacramento della visione e della esperienza. Nel pane, nella Parola, nel vino, nei fratelli e nelle sorelle noi «vediamo», come i Greci, il volto di Dio che Gesù ci ha raccontato (cf Gv 1,18).

Inseriamo in questa Eucaristia la liturgia penitenziale perché la visione esige la libertà interiore che ci viene dal perdono di Dio e dalla sua misericordia. Togliamoci i sandali dunque ed entriamo nel Santo dei Santi dove il chicco di grano del Cristo muore e porta il frutto della vita eterna, mentre noi facciamo nostri i sentimenti dell’antifona d’ingresso  (Sal 42,1-2): «Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall'uomo perfido e perverso. Tu sei il Dio della mia difesa».

Spirito Santo, tu ci prepari a ricevere la nuova Alleanza che è Cristo Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la nuova Legge di vita e di amore scritta nei nostri cuori, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci apri e ci formi alla conoscenza e al perdono del Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la gioia dei salvati che hai purificato da ogni colpa, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu apri le nostra labbra perché proclamino la lode del Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu crei in ciascuno di noi un cuore nuovo e uno spirito saldo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu custodisci per noi le suppliche e le lacrime di Cristo salvatore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegni a noi figli nel Figlio l’obbedienza alla coscienza, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu alimenti nei nostri cuori il desiderio di «vedere» il Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu conosci e sveli l’«ora» della glorificazione del Figlio di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu assisti il chicco di grano quando muore per portare frutto, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni a perdere la vita per ritrovarla nel cuore di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci indichi il Cristo «elevato da terra» perché ci attiri a sé, Veni, Sancte Spiritus!

Nel Vangelo i Greci fanno una richiesta di visione a Filippo: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). Gli Ebrei «vedevano» Dio nella Toràh e attraverso il Sommo Sacerdote nel Tempio, il luogo della «Dimora/Shekinàh». «Vedere Dio» è l’anelito di ogni religione. Noi possiamo vederlo se entriamo nel tempo della sua «ora» e ne condividiamo le conseguenze: la morte e la gloria. Possiamo farlo

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

I greci non chiedono di vedere Dio, ma di vedere Gesù. Sono i Pagani che svelano così la via per arrivare a Dio, perché essi vogliono entrare nel Tempio dell’umanità di Cristo e partecipare al banchetto della «visione». Gesù è il volto di Dio accessibile nel tempo e nella nostra esperienza, ma a condizione che accettiamo di vivere la sua «ora». Chi ama non calcola nulla, ma perde tutto perché tutto ha trovato. Nel sacramento della penitenza noi ritroviamo noi stessi in comunione con Dio, perché è lui che conosce quello che c’è in ciascuno di noi, lo valorizza, lo purifica e lo trasforma. Abbandoniamoci alla tenerezza della materna paternità di Dio.

Preghiamo (colletta). Ascolta, o Padre, il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce; fa' che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tua messe nel regno dei cieli. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima lettura Ger 31, 31-34. L’espressione ebraica «berìt hadashàh» in greco «diathēkē kainē» significa «alleanza nuova» e si trova solo una volta in tutto l’AT: qui. Tecnicamente si dice che è un «hàpax legòmenon – che è detto una sola volta». È il vertice di tutto l’AT: parlare di alleanza «nuova» è un sacrilegio perché mette in discussione l’Alleanza del Sinai, considerata definitiva ed eterna e di conseguenza induce a dubitare della Parola con cui Dio si è rivelato. Noi vi siamo abituati perché la pronunciamo nelle parole della consacrazione: «il calice della nuova ed eterna alleanza». Nel NT è utilizzata da Gesù (Lc 22,20), da Paolo (1Cor 11,25; 2Cor 3,6) e dall’autore della Lettera gli Ebrei (8,8; 9,15) sia per definire l’Eucaristia come nuovo Monte Sinai sia per distinguere la chiesa nascente dall’Israele storico. Disponiamoci a lasciarci travolgere dalla novità di Dio che supera sempre ogni nostra attesa.

Dal libro del profeta Geremia Ger 31, 31-34

31 Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. 32 Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore. 33 Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni –oracolo del Signore–: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. 34 Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato. - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 51/50, 3-4; 12-13; 14-15. Salmo penitenziale per eccellenza, il salmo 51/50 è ispirato alla teologia del peccato dei profeti Isaia ed Ezechiele: ogni infedeltà morale è un attentato alla santità di Dio. Con il v. 17 «Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode» inizia sia la preghiera ebraica detta di «Amidàh/In piedi», sia la preghiera cristiana della Liturgia delle ore. Anche nel peccato restiamo figli di Dio, se ci lasciamo purificare con l’issopo che era riservato per la purificazione dei lebbrosi guariti, stabilendo così una equiparazione tra peccato e lebbra da cui solo Dio può mondarci.

Rit. Crea in me, o Dio, un cuore puro.

 

1. 3Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

4Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

2. 12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13 Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito

3. 14 Rendimi la gioia della tua salvezza,

sostienimi con uno spirito generoso.
17 Insegnerò ai ribelli le tue vie

e i peccatori a te ritorneranno.

 

Seconda lettura Eb 5,7-9. La distruzione del Tempio ha determinato anche la scomparsa del sacerdozio come mediazione tra Dio e il popolo. Nella diaspora le funzioni del sacerdozio sono state assunte dalla Toràh. La persecuzione non dà tregua ai cristiani provenienti dall’ebraismo, i quali sono disorientati perché non sanno più a quale mediatore ricorrere. L’autore della Lettera agli Ebrei, un sacerdote ebreo convertito, espone in una omelia la novità cristiana: Cristo è l’unico sommo ed eterno sacerdote che ha riunito in sé il sacrificato (l’agnello che soffre) e il sacrificatore (il sacerdote obbediente). Da lui impariamo cosa significhi “Padre, sia fatta la tua volontà» (Lc 22,42).

Dalla lettera agli Ebrei Eb 5,7-9

7 Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. 8 Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì 9 e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. - Parola di Dio.

Vangelo Gv 12,12-36 [liturg.: vv. 20-33]. Il capitolo 12 di Gv segna il passaggio dalla prima parte, «il libro di segni» (cc. 1-12) alla seconda parte «il libro dell’ora» (cc. 12-21). Gesù stesso annuncia che l’«ora» è già arrivata (v. 23). Il brano descrive il riconoscimento di Gesù da parte dei pagani (i Greci del v. 20) e segue immediatamente il riconoscimento da parte degli Ebrei nel suo ingresso solenne a Gerusalemme (vv. 12-19), probabilmente durante una festa di Sukkôt o delle Capanne. Il messaggio che Gv comunica è questo: tutto il mondo, Ebrei e Greci, è unito nella visione del Messia/Figlio di Dio: «Vogliamo vedere Gesù» (v. 21). Questa è l’«ora» per vederlo: l’ora del suo essere innalzato, che coincide con la sua morte in croce e l’ora della sua glorificazione, che coincide con la sua risurrezione. È anche l’ora delle tenebre che non hanno potuto sopraffare l’ora della luce. Gesù muore come un chicco di grano sepolto nella terra per fare germogliare il Pane che ora ci accingiamo a mangiare nell’Eucaristia, che è il sacramento di coloro che sono beati perché credono senza vedere (cf Gv 20, 29).

Canto al Vangelo Gv 12,26

Lode e onore a te, Signore Gesù! Se uno mi vuole servire, mi segua, dice il Signore, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Lode e onore a te, Signore Gesù!

Dal Vangelo secondo Giovanni 12,12-36 [Liturgia: Gv 12,20-33]

[12Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! ». 14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: 15Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto sopra un puledro d’asina. 16I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte. 17Intanto la folla, che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli dava testimonianza. 18Anche per questo la folla gli era andata incontro, perché aveva udito che egli aveva compiuto questo segno. 19I farisei allora dissero tra loro: «Vedete che non ottenete nulla? Ecco: il mondo è andato dietro a lui! ».]

20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». 29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

[34Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?». 35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.] - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Sul monte Sinai Israele aveva ricevuto la Toràh scritta, scolpita su tavole di pietra: essa poteva essere violata ed è stata violata da Israele che pure l’aveva accolta con entusiasmo (1a lettura v. 32). L’autore del Dt (6,6; 11,18; 30,14), nel contesto della grande riforma di Giosìa del 631/632 a. C., aveva sentito l’esigenza di una Toràh più spirituale e intima che consisteva nell’assimilare sempre più la Legge del Sinai. Geremia si colloca in questo filone spirituale, ma fa un passo avanti e parla di Toràh interiore come alleanza scritta nel cuore (cf Ger 31,3; cf anche Eb 8,19; 10,16). Il profeta non pensa ad abolire l’alleanza del Sinai, ma espone il bisogno che l’etica del comportamento non dipenda dall’osservanza più o meno convinta di una norma esterna, magari per paura della pena. Egli sviluppa un progresso che potremmo chiamare la riscoperta della coscienza della Legge, che vive la norma non come costrizione, ma come incontro ad un livello di «io profondo». Il v. 33 «Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore», infatti, è illuminante e ha solo questo significato: l’alleanza di Dio e con Dio è un’attitudine interiore di vita che esprime l’essere profondo di ciascuno come luogo privilegiato dove si annida e si svela la natura intima di Dio. Egli infatti non è fuori di noi o in luoghi circoscritti come le chiese o i luoghi di culto; egli è la Shekinàh, cioè la Dimora, che è Presenza nell’intimo più intimo di ciascuno di noi. A riguardo così si esprime Sant’Agostino: «Tu [Dio] eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta – interior intimo meo et superior summo meo» (Confessioni, III,6,11).

Subito dopo il profeta continua: «Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (v. 33). Questa espressione, al tempo di Geremia, costituiva la formula sponsale che sanciva il matrimonio tra un uomo e una donna: Questa è la mia donna e io sarò il suo uomo (cf Ger 7,23; 11,4; 24,7; 30,22; 31,1; 32,38). Formula che il Dio dell’alleanza adatta alla nuova situazione, perché l’alleanza non è altro che una relazione d’amore, sponsale, feconda, unica, la sola che possa esprimere e sperimentare la «conoscenza» che da essa promana. Dio conosce il cuore e i reni, cioè i pensieri più intimi e le passioni più radicali (cf Ger 11,20; 12,3; 17,10; 20,12; Sal 26/25,2) di ciascuno e quindi è sempre «Presente» nel santuario inviolato della coscienza che è il luogo per eccellenza dove possiamo incontrarlo e riconoscerlo. Siamo ad una svolta della maturazione religiosa d’Israele, che aveva pensato ad una Gerusalemme nuova, anche ad un nuovo Tempio oppure ad un re nuovo, ma mai avrebbe potuto immaginare che si potesse arrivare ad una alleanza «nuova». Questa espressione è usata nel NT a più riprese: Gesù la ricorda nell’ultima cena (cf 1Cor 11,25; 2Cor 3,1-2; Gal 4,21; Eb 8,6-10).

Nel vangelo, l’esigenza dell’incontro ad un livello interiore è manifestato dall’anelito della «visione» che i Greci, cioè i Pagani, espongono a Filippo (cf Gv 12,21). «Vedere Dio»3 è il progetto di ogni religione e ciascuna offre mezzi e metodi per raggiungere questo scopo, ma Gv apporta una novità: non parla della richiesta di «vedere Dio» che un Ebreo non avrebbe mai formulato in quanto sa che chiunque vede il volto di Dio muore (cf Es 3,6; 19,31; 33,20; Lv 16,1-2; Nm 4,2; Is 6,3; cf invece Dt 5,24; Gdc 6,22-23). La novità è questa: i nuovi credenti provenienti dal paganesimo (cioè non dal giudaismo) vogliono «vedere Gesù», cioè l’uomo di Nàzaret, che per loro equivale a «vedere Dio». Ciò che per i Giudei è inammissibile, anzi è bestemmia, per i Greci è naturale: il Lògos invisibile ed eterno di Gv 1,1 diventa «visione» accessibile a tutti i popoli nell’uomo di Nàzaret. Ebrei e Pagani posti davanti a Gesù sono uguali: i primi possono vedere il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, mentre i Pagani/Greci possono vedere il Creatore dell’universo, che assume il volto del Dio di Gesù Cristo. In Gesù si può vedere Dio e non morire, perché Dio è diventato intimo a ciascuno nella natura umana del Figlio, che ha dato a noi come «nuova alleanza», la quale nulla toglie a quella del Sinai, ma la porta al suo esito naturale. Nel tempio di Gerusalemme il «Santo dei Santi» era separato dal resto del tempio da un doppio velo che impediva la vista della liturgia officiata dal sommo sacerdote una volta l’anno, per l’espiazione dei peccati (cf Eb 9,1-7); ora la morte di Gesù ha squarciato il velo di separazione da cima in fondo per permettere a tutti di accedere alla visione del Dio invisibile senza più paura (cf Mc 15,38).

Nel 2° giorno dell’ultima settimana terrena di Gesù, Gv sottolinea due fatti: l’ingresso di Gesù in Gerusalemme tra una folla di Ebrei festanti (cf Gv 12,12-19), che richiamano la festa di Sukkôt/Capanne, e la manifestazione di Gesù ai Pagani (cf Gv 12,20-36). Ebrei e Pagani si ritrovano uniti nell’umanità di Cristo, che elimina così ogni differenza, come afferma Paolo: « Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Gv descrive dettagliatamente sia la prima settimana di Gesù (cf Gv 1,29. 35.43; 2,1) che l’ultima (cf Gv 12,1.12; 13,1; 18,28; 19,31), costituendo così un quadro letterario preciso. Secondo la mentalità ebraica gli estremi (la prima e l’ultima) indicano la totalità del contenuto che sta in mezzo: con questo schema Gv vuole descrivere «tutta» la vita di Gesù, che è una tensione o, se si vuole, una sintesi tra la prima e l’ultima settimana del Lògos, nella quale la morte in croce rivela e manifesta la Gloria di Dio nell’«ora» della verità, che è la risurrezione dell’uomo Gesù. I discepoli Filippo e Andrea sono i discepoli che dominano nella prima settimana e anche nell’ultima (cf Gv 12,21-22). Alle due rivelazioni di Gesù (ad Ebrei e Pagani) corrispondono due incredulità della folla (cf Gv 12, 29 e 34: la folla che grida «osanna» due giorni dopo griderà «crocifìggilo»). Gesù si nasconde ai loro occhi (Gv 12,36): nel momento in cui si sottrae alla «visione» dei Giudei, Gesù si manifesta ai Pagani. I Greci che non hanno avuto la preparazione della Legge e che non conoscono nulla della storia dei Patriarchi «vogliono vedere», i Giudei, figli della promessa e dell’Alleanza, fra pochi giorni grideranno di crocifiggerlo. È il capovolgimento della situazione (cf Lc 1,52-53; 6,20-23) .

La «Gloria» di Cristo comincia ora perché si manifesta nel fatto che i Pagani accedono alla salvezza, che è una vocazione universale e non più «nazionale» come volevano gli Ebrei: è tutto il mondo che assiste alla «visione del Messia» universale (cf Gv 12,20-23). Al v. 16 infatti Gv annota che, vedendo ciò, i discepoli «comprendono» (allo stesso modo di Gv 2,22). Se l’ora della morte provoca angoscia in Gesù secondo i Sinottici (cf Mt 26,36-40; Gv 12,27-30), in Gv invece Gesù non è turbato, ma domina il suo tempo e gli avvenimenti con lucida presenza, e il motivo sta nel v. 34 dove si parla di « Figlio dell’uomo [che] deve essere innalzato» nel duplice senso: innalzato sulla croce (morte) ed intronizzato nella gloria (risurrezione) (cf Gv 2,19; 3,13-14; 8,28; Fil 2,9-10; Is 52,13). In questo modo Gv apre uno spiraglio sulla vita oltre la morte di Cristo perché, al di là di quella soglia, egli ci attende e prepara il raduno delle nazioni come aveva predetto Isaia (cf Gv 12,31 e Is 53,12).

L’autore del IV vangelo, sia per impedire una fuga nell’astratto, sia per radicare la rivelazione e la glorificazione di Gesù nella storia degli uomini e delle donne, insiste in modo ossessivo sulla determinazione temporale: «È giunta l’ora» (Gv 12,23), «ora/adesso» (Gv 12,27 e 31: 2 volte) ; «quest’ora» (Gv 12,27 : 2 volte). Con l’«ora» di Gesù il tempo acquista una nuova dimensione: noi cessiamo di vivere nel provvisorio anonimo ed entriamo nell’eternità di Dio. Il tempo della nostra storia è il còmputo dell’eternità (cf Gv 4,23; 5,25; 12,27.31; 13,31; 16,5; 17,13). La croce di Cristo diventa così il tacito invito all’umanità a diventare un solo popolo perché gli ultimi tempi sono iniziati e l’umanità è convocata davanti alla croce che, da supplizio, diventa il trono della regalità, il trono della Maestà di Dio.

A questo punto è necessario fare un appunto di natura linguistica. Quando nel vangelo di Gv si parla di «gloria» non s’intende, come nelle lingue moderne, di fama e di onore, ma di realtà concreta, di valore nel senso di importanza. In ebraico la parola «gloria» si dice «kabòd» e racchiude in sé il senso di «peso» (cf Sal 49/48,17-18; 62/61,6-8; Is 6,1-6): l’uomo glorioso è un uomo «pesante», cioè consistente, cioè pieno di valore, cosciente di sé: è un uomo che vale quanto il suo peso. Ciò spiega perché in oriente si predilige la persona grassa. La «gloria» di una persona indica la misura del suo essere e la consistenza della sua personalità: chi vale è pesante. Dio è l’esistente più «pesante» perché il suo essere e la sua vita sono stabili in eterno. L’opposto di «glorioso» è effimero, vacuo, superficiale, vuoto.

Nel NT questo «peso» di Dio si manifesta in Gesù (cf Eb 1,3; 2Cor 4,6; 1 Cor 2,8; Gv 1,14-18): le opere di Gesù (i «segni» come li chiama Gv) manifestano che egli è veramente un uomo «di peso» e il suo valore di consistenza gli deriva dall’essere sempre in comunione col Padre. La gloria/peso non è una qualità che Gesù ha da sé, ma la riceve sempre dal Padre e da lui la richiede con fiducia (Gv 17,1.4-5). L’ora della morte e della risurrezione diventa così la «sua ora», dove la «gloria» manifesta la «verità» che è Gesù (Gv 10,30; 12,2817,19;). Questa gloria è partecipata agli uomini (cf Gv 17,10) attraverso la vita sacramentale che sgorga dal suo costato (il sangue e l’acqua di Gv 19,34), che introduce nella comunione con Lui e col Padre.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ha dato la dimensione della nostra vita e la prospettiva della nostra fede. Ora confessiamo che il Signore è il nostro Dio, l’unico che amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le nostre forze e beni. Chiediamo perdono dei nostri peccati e delle nostre insufficienze, dei nostri fallimenti e dei nostri tradimenti, della volontà di fare il bene, mentre invece ci siamo trovati a fare il male. «Confessiamo» che il Signore è il nostro Dio, il nostro Creatore e il nostro Redentore. Egli compie in noi meraviglie perché ci rigenera nella sua misericordia attraverso il segno dell’acqua. L’esame di coscienza ci richiama alla necessità di «vedere» l’immagine che Dio ha deposto in noi e che ha bisogno costante di essere messa a fuoco.

LITURGIA PENITENZIALE

[L’atto penitenziale di oggi è particolare perché impartiamo l’assoluzione sacramentale nella forma comunitaria prevista dal rituale. Dopo la benedizione dell’acqua che richiama il nostro battesimo e l’esame di coscienza che ci richiama l’immagine che Dio ha deposto in noi, riceveremo l’assoluzione sacramentale, ben sapendo che tutta l’Eucaristia è liturgia penitenziale, dall’inizio (Signore, pietà!) alla fine (Signore, non sono degno …). Subito dopo verremo aspersi con l’acqua, simbolo dello Spirito ricevuto nel Battesimo di cui rinnoviamo il progetto di alleanza e di profezia.]

«Tutti hanno peccato e sono privi della Gloria di Dio» (Rom 3,23). A ridosso ormai della Pasqua e a conclusione della Quaresima, invochiamo la Gloria e la Maestà di Dio: regnino sempre su di noi e ogni nostra scelta, ogni nostro pensiero, attività, relazione, respiro, impegno, sofferenza, gioia … tutto sia vissuto, condiviso e amato «per la sua gloria immensa». Che ciascuna e ciascuno di noi in questo anno viva una vita piena come gloria del Dio vivente (cf Sal 8,3-5). Chiedendo perdono dei nostri peccati e delle nostre insufficienze, vogliamo «confessare» e riconoscere il Signore come nostro Dio, Creatore e Redentore, alla cui volontà, che cerchiamo con serena coscienza, vogliamo adeguarci e scegliere come fondamento della nostra libertà. Riceviamo l’assoluzione che è l’effusione della paternità di Dio su di noi affinché possiamo essere padri e madri di coloro che incontriamo nel nostro cammino. Dio infatti è giusto perché perdona4.

[Ognuno faccia in silenzio il proprio esame di coscienza e chieda perdono a Dio dei propri peccati. Congruo silenzio, poi]

Signore, Dio della nuova alleanza, tu ci convochi a «confessarti» Signore, Kyrie, elèison!

Cristo, tu sei il nostro Dio e noi siamo il tuo popolo redento dalla tua morte, Christe, elèison!

Signore, abbi pietà di noi secondo la tua misericordia e la tua grande bontà, Pnèuma, elèison!

Cristo, hai implorato con forti grida e lacrime la liberazione dalla morte, Christe, elèison!

Cristo, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di noi, Christe, elèison!

Cristo, tu non sei venuto per giudicarci, ma per attirarci a te, elevato da terra, Christe, elèison!

Benedizione dell’acqua

Preghiamo Dio, Padre onnipotente, perché nel sacramento della riconciliazione

e del perdono rinasciamo alla nuova vita dall’acqua e dallo Spirito Santo.

Dio Padre, Figlio e Spirito: hai creato l’acqua che purifica e dà vita. Gloria a te, o Signore!

Nella creazione il tuo Spirito si librava sulle acque. Gloria a te, o Signore!

Nel diluvio hai prefigurato il battesimo. Gloria a te, o Signore!

Con la parola dei profeti hai dissetato il tuo popolo in esilio. Gloria a te, o Signore!

Ti hai dato l’annuncio del regno con l’invito alla conversione del cuore. Gloria a te, o Signore!

Nell’acqua del Giordano il Cristo si fa battezzare in fila con i peccatori. Gloria a te, o Signore!

Tu hai voluto l’acqua, alimento della vita, come segno del battesimo. Gloria a te, o Signore!

Tu hai voluto che il perdono fosse la «seconda tavola della salvezza»5. Gloria a te, o Signore!

Tu hai inviato gli Apostoli a battezzare nel Nome del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo e a rimettere i peccati ad ogni uomo. Gloria a te, o Signore!

Tu che hai detto «Perdonate e vi sarà perdonato», insegnaci a perdonare. Gloria a te, o Signore!

Vieni con la tua potenza, o Padre, e santifica quest’acqua, perché nel suo segno,

lavàti dal peccato, rinasciamo alla vita nuova di figli. Ti preghiamo, Signore!

Santifica quest’acqua, perché ri-battezzati nella tua misericordia, per i meriti della

morte e risurrezione di Cristo siamo conformi all’immagine del tuo Figlio. Ti preghiamo, Signore!

Santifica quest’acqua, perché rigenerati dal sacramento del tuo amore senza fine,

in ricordo del battesimo, siamo sempre figli rinnovati del tuo popolo. Ti preghiamo, Signore!

Per il mistero di quest’acqua santificata dal tuo Spirito, facci rinascere a

vita nuova e purificati nel mistero pasquale del tuo Figlio possiamo testimoniarlo

nella vita e nella morte. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Manda su di noi, Signore, il tuo Santo Spirito che purifichi con la grazia i nostri cuori e li trasformi in sacrificio a te gradito; nella gioia di una vita nuova loderemo sempre il tuo Nome santo e misericordioso. Per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore, morto e risorto per noi.

Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Amen!

«O Signore nostro e Dio dei nostri padri e delle nostre madri, regna sull’intero mondo nella tua Gloria e sorgi su tutta la terra nella tua Maestà»6. Grande è la tua misericordia, Signore, Dio «benigno e misericordioso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (Gl 2,13), tu conservi grazia per mille generazioni, sopporti la colpa, la trasgressione e il peccato (Es 34,6-7), nella tua grande clemenza vòlgiti a noi, tuoi figli, e ascoltaci! Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!

Noi ci accostiamo con fiducia al trono della Grazia, il Signore Gesù (cf Eb 4,16) per i cui meriti riceviamo la tua misericordia e otteniamo il tuo aiuto che ci converta al santo Vangelo. Tu sei nostro Padre e nostra Madre e a Te ritorniamo, Dio dei nostri Padri Abramo, Isacco e Giacobbe e Signore delle nostre Madri, Sara, Rebecca, Rachele e Lia perché tu sei Dio, il Padre che è Madre. Tu, o Signore del cielo e della terra, sei il nostro Creatore, il nostro Redentore, il nostro Re fedele per sempre. Amen!

Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!

[Il celebrante stende le mani sull’assemblea e pronuncia la formula di assoluzione collettiva:]

ASSOLUZIONE

Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione del peccati, vi conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace.

Io vi assolvo dai vostri peccati nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!

[Poi asperge con l’acqua l’assemblea santa, in memoriale del Battesimo]

Lodate il Signore perché è buono.

Lodate il Signore perché è buono. Buono è il Signore, in eterno la sua misericordia. Gioiscono ed esultano i giusti perché il Signore Gesù è venuto per i peccatori. Grandi cose ha fatto il Signore per noi. Amen!

In segno di ringraziamento e anche di penitenza a gloria di Dio che opera meraviglie, durante questa settimana compiremo tre gesti: diremo una parola di consolazione, compiremo un gesto di accoglienza o di condivisione con chiunque, pregheremo come ci suggerisce il nostro cuore per quanti sono lacerati dall’odio e dalla violenza perché riscoprano la medicina del perdono.

Segno di pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questo giorno trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

La Pace del Signore abita nel vostro cuore e avvolge la vostra anima. E con il tuo spirito.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

PROFESSIONE DI FEDE

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria

vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.

Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi,

la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede nella quale siamo stati battezzati e siamo rinati. Questa è la fede che noi ci gloriamo di professare, in Cristo Gesù nostro Signore.

Amen.

Preghiera universale

LITURGIA EUCARISTICA

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Esaudisci, Signore, le nostre preghiere: tu che ci hai illuminati con gli insegnamenti della fede, trasformaci con la potenza di questo sacrificio. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA DELLA RICONCILIAZIONE Il

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. È cosa buona e giusta.

È veramente giusto ringraziarti e glorificarti, Dio onnipotente ed eterno, per la mirabile opera della redenzione in Cristo nostro salvatore che consacrò l’istituzione del tempo penitenziale con il digiuno di quaranta giorni, vincendo le insidie dell’antico tentatore.

Tu hai detto, o Signore: Ecco verranno giorni nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Vieni, Signore, noi siamo pronti! (cf Ger 31,31).

Riconosciamo il tuo amore di Padre quando pieghi la durezza dell’uomo, e in un mondo lacerato da lotte e discordie lo rendi disponibile alla riconciliazione.

Rendici la gioia della tua salvezza, sostienici con un animo generoso (cf Sal 51/50,14).

Con la forza dello Spirito tu agisci nell’intimo dei cuori, perché i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia.

Tu poni la tua Legge dentro di noi e la scrivi sul nostro cuore perché tu sei il nostro Dio ed noi siamo il tuo popolo (cf Ger 31,33).

Per tuo dono, o Padre, la ricerca sincera della pace estingue le contese, l’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono.

Noi siamo opera tua, o Padre, creati in Cristo Gesù tuo Figlio per le opere buone che tu hai predisposto affinché noi le praticassimo con la forza dello Spirito Santo (cf Ef 2,10).

E noi, uniti agli angeli, cantori della tua gloria, ai santi e alle sante del cielo e della terra, innalziamo con gioia l’inno di benedizione e di lode:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell'universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison.

Noi ti benediciamo, Dio onnipotente, Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace.

Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Tutti ci siamo allontanati da te, ma tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo; con il sacrificio del tuo Cristo, consegnato alla morte per noi, ci riconduci al tuo amore, perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli.

Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo, poiché non ci hai rigettati per sempre, né senza limite sei sdegnato contro di noi (Lam 5,21-22).

Per questo mistero di riconciliazione ti preghiamo di santificare con l’effusione dello Spirito Santo questi doni che la Chiesa ti offre, obbediente al comando del tuo Figlio.

Egli manderà a noi il Consolatore, lo Spirito di verità che viene da te per rendere testimonianza (cf Gv 15,26).

Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione, mentre cenava, prese il pane nelle sue mani, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: «PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI».

Il Cristo, tuo Figlio, nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a te, o Padre, che potevi liberarlo da morte, e tu lo hai esaudito per la sua pietà (cf Eb 5,7-9).

Allo stesso modo, in quell’ultima sera egli prese il calice e magnificando la tua misericordia lo diede ai suoi discepoli, e disse: «PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI».

Egli il Signore Gesù, pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì (cf Eb 5,8).

«FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME».

Come i Greci ci avviciniamo agli apostoli e chiediamo: «Signore, vogliamo vedere Gesù» (cf Gv 12,21).

Mistero della fede.

Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta.

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, o Padre, il sacrificio di riconciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani.

Egli, il Figlio, reso perfetto, diviene causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (cf Eb 5,9).

Accetta anche noi, Padre santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo, e nella partecipazione a questo convito eucaristico donaci il tuo Spirito, perché sia tolto ogni ostacolo sulla via della concordia, e la Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace.

È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.  Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto che è la santa Eucaristia (Gv 12,23-24).

Lo Spirito, che è vincolo di carità, ci custodisca in comunione con il nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale,i presbiteri, i diaconi, le persone che amiamo … i bambini nati e che nasceranno nelle ultime e prossime ventiquattro ore, le persone che si amano, coloro che servono, quanti soffrono in ogni luogo e regione del mondo e tutto il popolo cristiano.

La luce è il Pane spezzato sul mondo; ti ringraziamo perché ci generi figli del vangelo di luce (cf Gv 12,36).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli, che si sono addormentati nel Signore … e tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede.

Perché chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (cf Gv 12,25).

Tu che ci hai convocati intorno alla tua mensa, raccogli in unità perfetta gli uomini di ogni stirpe e di ogni lingua, insieme con la Vergine Maria, con gli Apostoli e tutti i santi nel convito della Gerusalemme nuova, per godere in eterno la pienezza della pace.

Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all`Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani (Ap 7,9).

[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra.

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

 

Antifona alla comunione (Gv 12,24-25): «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».

 

Dopo la comunione

Te Déum laudámus7.

Concludiamo con l’Inno «Te Deum», ringraziando il Signore per questa Quaresima ormai conclusa e anticipiamo il nostro grazie per tutto ciò che oggi inizia.

Noi ti lodiamo, Dio * ti proclamiamo Signore. / O eterno Padre, * tutta la terra ti adora.

A te cantano gli angeli * e tutte le potenze dei cieli: / Santo, Santo, Santo * / il Signore Dio dell'universo.

I cieli e la terra * / sono pieni della tua gloria. / Ti acclama il coro degli apostoli * / e la candida schiera dei martiri; / le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; * / la santa Chiesa proclama la tua gloria,

adora il tuo unico Figlio, * / e lo Spirito Santo Paràclito.

O Cristo, re della gloria, * / eterno Figlio del Padre, / tu nascesti dalla Vergine Madre * / per la salvezza dell’uomo. / Vincitore della morte, * / hai aperto ai credenti il regno dei cieli. / Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre.* / Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi. / Soccorri i tuoi figli, Signore, *

che hai redento col tuo sangue prezioso. / Accoglici nella tua gloria * / nell'assemblea dei santi.

Salva il tuo popolo, Signore, * / guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, * / lodiamo il tuo nome per sempre.

Dégnati oggi, Signore, * / di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: * / in te abbiamo sperato.

Pietà di noi, Signore, * pietà di noi. / Tu sei la nostra speranza, * / non saremo confusi in eterno.

Preghiamo. Dio onnipotente, concedi a noi tuoi fedeli di essere sempre inseriti come membra vive nel Cristo, poiché abbiamo comunicato al suo corpo e al suo sangue. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.

Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.

Il Signore sia sempre accanto a voi per consolarvi e confortarvi. Amen.

Vi benedica l’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

________________________

Domenica 5a Quaresima – B – Parrocchia di S. Maria Immacolata e S. Torpete Genova

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 25/03/2012 - San Torpete - Genova


NOTE

1 Il verbo ebraico rachàm (da cui rèchem – utero; plurale: rachamìm –uteri/viscere interiori) è usato per esprimere il contenuto della parola misericordia che in italiano, passando per il latino, fa riferimento al «cuore» (cor-cordis-cordia), esprimendo un atteggiamento interiore, un afflato d’amore, mantenendo di fatto il senso antico. L’ebraico richiama l’utero materno (= rèchem) nell’atto di generare alla vita (cf Sal 51/50,3) per cui «avere misericordia/compassione» significa prestare soccorso a qualcuno non in senso esteriore, ma in un atto/gesto generante. Anche in italiano «misericordia» ha semanticamente inerenza con «cuore»; Gesù stesso prova e vive lo scuotimento delle viscere vedendo le folle come pecore senza pastore (Mt 9,36; cf Mc 6,34) o perché schiacciate da malattie e angosce (cf Mt 14,14) e anche di fronte alla disperazione della vedova di Naìm che va a seppellire il figlio, suo unico sostegno (cf Lc 7,13). Misericordia e bontà, biblicamente, non sono sentimenti passeggeri o morali, ma, facendo riferimento al «grembo/utero» materno, mettono in evidenza la natura di Dio e, nel NT, svelano che Gesù è la rivelazione della misericordia di Dio, non come sentimento passeggero, ma come anticipo della vita che donerà con la sua morte. Quando si è afferrati dalla misericordia di Dio si scoppia di vita da traboccarne e la persona, come donna partoriente, zampilla la vita con la vita di un altro (figlio). È questo lo scandalo del Dio di Gesù Cristo: la compassione/misericordia di Dio fa rinascere a vita nuova (per il NT cf Mt 9,36; 14,14; 15,32; 18,27; 20,34; Mc 6,14; Lc 1,78; 7,13; 10,33; 15,20).

2 «Il sapiente Siràcide aveva criticato il padre le cui viscere si sconvolgono ad ogni grido del figlio (cf Sir 30,7), mentre l’innamorata del Cantico si sente sconvolta nelle viscere, quando l’amante cerca di forzare la porta per entrare da lei (Ct 5,4), e infine il profeta Isaia afferma l’impossibilità per una madre di abbandonare il figlio a sé stesso: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?” (Is 49,15). Geremia invece ci ricorda che Dio, nonostante l’infedeltà di Èfraim, prova per lui un amore di tenerezza: “Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza” (Ger 31,20). In tutti questi testi in ebraico si usa il verbo o il sostantivo “rachàm – rèchem” e il Siracide, che è scritto solo in greco, usa il sostantivo corrispondente “splànchina”, restando quindi nel contesto del significato fondamentale: un amore generativo senza calcolo e senza aspettative che Davide invoca dopo il duplice peccato di omicidio e di adulterio: “Sii grazioso, o Dio nella tua tenerezza, nell’abbondanza delle tue rachamìm/viscere materne puliscimi dalle mie ribellioni” (Sal 51/50,3)» (P. Farinella, «La parabola del figliol prodigo-15. La corsa dell’amore senza decoro», in Missioni Consolata [MC], 1 [2008] 23).

3  Sul commento di Gv 12,21 cf lo studio: P. Farinella, «Vogliamo vedere Gesù» (Gv,12,21), in F. TACCONE, et alii., edd., La visione del Dio invisibile nel volto del Crocifisso [Atti del Seminario di ricerca interdisciplinare sul tema: «La visione del Dio invisibile nel volto del Crocifisso», Pontificia Università Lateranense,Cattedra Gloria Crucis, Roma giovedì 23 aprile 2007] Edizioni OCD, Roma Morena 2008, 47-733. Il testo integrale si trova nel sito www.paolofarinel-la.eu/ alla finestra: Bibbia/Studi Biblici con il titolo: «Vogliamo vedere Gesù (Gv,12,21), seminario».

4 Sul tema della giustizia che in Dio è sinonimo di misericordia/amore a perdere, cf P. Farinella, Il padre che fu madre. Una rilettura moderna della parabola del “Figliol prodigo”, Gabrielli Editore, San Pietro in Cariano (VR) 2010.

5 Tertulliano, De paenitentia, 4, 2: CCL 1, 326 (PL 1, 1343); cf Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de giustificatione, c. 14: DS 1542;

6  Ufficio ebraico di Rosh Hashanàh – Capodanno, Shemoné Esre, ’Elohènu ve’lohe.

7 L’inno è detto «ambrosiano», ma oggi la critica l’attribuisce con certezza a san Niceta (335 ca. – dopo il 414) dal 366 vescovo di Remesiana (oggi Bela Palànka, presso Niš in Serbia), che lo compose intorno all’anno 400, nel tempo in cui era viva la lotta contro l’eresia nestoriana che negava la divinità di Cristo. In origine l’inno era rivolto a Cristo, ma successivamente, attenuatasi la tensione eretica, l’inno acquistò il respiro trinitario che mantiene ancora oggi.



Giovedμ 22 Marzo,2012 Ore: 14:44
 
 
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