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www.ildialogo.org Domenica 3a Quaresima – B – 11 marzo 2012,di Paolo Farinella, prete

Domenica 3a Quaresima – B – 11 marzo 2012

di Paolo Farinella, prete

Con la 3a domenica di Quaresima, siamo giunti a quasi a metà del cammino verso la Pasqua di risurrezione e la liturgia propone un dipinto a forma di trittico: la prima pala di sinistra è composta da due tavole scolpite nella pietra, dove secondo la tradizione Dio scrisse le «dieci parole» del decalogo nella versione dell’Esodo. Nella prima tavola di pietra vi sono appena 4 «parole» che riguardano direttamente la persona di Dio: 1) « Non avrai altri dèi di fronte a me». 2) «Non ti farai idolo né immagine». 3) «Non pronuncerai invano il nome di del Signore, tuo Dio» (Es 20,3.4.7). 4) «Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo … non farai alcun lavoro». Nella seconda tavola di pietra invece, sono incise sei «parole» che riguardano direttamente la vita comunitaria/sociale di ogni individuo israelita: 5) «Onora tuo padre e tua madre» 6) «Non ucciderai» 7) «Non commetterai adulterio». 8) Non ruberai. 9) «Non pronuncerai falsa testimonianza». 10) «Non desiderai la casa del tuo prossimo [moglie, schiavo, schiava, bue e asino]» (Es 20,8-10.12.13.14.15.16.17).

I rabbini dividono anche le due tavole in cinque parole più cinque. Le prime cinque parole contengono il Nome santo di Dio, il secondo gruppo di parole no: in questo senso c’è il perfetto equilibrio tra la relazione con Dio e quella con gli altri. Non solo, la Mishnàh aggiunge che le tavole di pietra su cui furono scritte le parole sono state create «prima della creazione del mondo» proprio per sottolineare la loro natura universale, esistendo già prima ancora del tempo e dello spazio1. Un’altra tradizione aggiunge che mentre Dio scriveva in ebraico le parole sulla pietra esse erano simultaneamente tradotte in settanta lingue, una per ogni popolo che abitava la terra, secondo la credenza di allora:

«E’ stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia?” (Ger 23,29) Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici» (bSanhedrin 34a).2

Queste dieci parole con cui Dio «crea» Israele come suo popolo nel segno della Toràh, sono l’eco di altre dieci parole che Dio pronunciò «in principio», quando con esse creò il mondo, lo scenario in cui avrebbe vissuto Israele. La creazione è il teatro, l’ambiente dove Israele avrebbe vissuto guidato dalla Toràh che si riassume nelle dieci parole di libertà date scritte, cioè scolpite perché non vadano smarrite, non come imprigionamento, ma come binario-guida per andare più veloci e per non sbandare. La parola non è un limite, ma una proiezione, un orizzonte e anche un fine.

Il dono della Toràh, cioè la Parola consegnata a Israele sul Sinai per mano di Mosè, è il ripristino dello stato primordiale dell’Eden, quando Dio e l’umanità erano familiari e intimi e Dio «parlava» con Adam ed Eva, passeggiando nel giardino3. Il mondo nasce dalla Parola di Dio: «Dio disse … e così fu» (Gen 1,3.6.9 ecc.); allo stesso modo è la Parola di Dio che genera Israele come «popolo» quando riceve da lui le dieci parole di libertà e di identità che sono i comandamenti (cf Es 20,1-21). Con dieci parole è creato il mondo, con dieci parole è costituito il Israele «regno di sacerdoti e nazione santa» (Es 19,6). Nella creazione il mondo esce dal caos e dal vuoto appena evocato dalla parola creatrice; al Sinai Israele esce dall’anonimato della schiavitù per diventare una «nazione», cioè un popolo cosciente e libero non appena è evocato dalla parola di Dio che attraverso Mosè gli conferisce la coscienza della Legge. Il popolo sa esattamente cosa avviene e infatti risponde senza esitare: «Quanto ha detto il Signore, faremo e ascolteremo» (Es 24,7). Prima viene l’esecuzione fattuale e solo dopo l’adesione del cuore (ascolteremo). Solo dopo averla osservata si può gustare il senso e la validità della parola.

Il rapporto di 3 a 7 è una sproporzione squilibrata: tre comandamenti riguardano Dio, sette invece coinvolgono la relazione umana, quasi a dire che è facile relazionarsi con Dio, mentre è molto complicato aprirsi al di fuori di sé. Oppure detto in altro modo: per essere sicuri di stare in buoni rapporti con Dio, è indispensabile instaurare relazioni vitali con gli altri. Vivere in rapporto con Dio, infatti, è semplice e non occorrono troppe parole; mentre è più complesso vivere in relazione orizzontale con gli altri che diventano così la misura della relazione verticale con Dio: «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20).

Nella seconda pala destra del trittico si trova il quadretto movimentato della purificazione del tempio con Gesù protagonista severo che «osa» parlare di purificazione del «Luogo» (in ebr. Maqòm), cioè del tempio di Gerusalemme che è lo sgabello della sua gloria (cf Sal 132/131,7). Gli Ebrei avevano talmente identificato Dio con il tempio che usavano il nome «Luogo/Maqòm» come sinonimo del Nome stesso di Dio Yhwh. Dentro questa mentalità bisogna collocare il gesto di Gesù che chiede purificazione: è come se avesse chiesto che Dio stesso dovesse purificarsi. Una bestemmia, anche perché Gesù si appropria delle prerogative di Dio e agisce con autorità (v. più avanti omelia).

Nella pala centrale del trittico, infine troviamo il Crocifisso dipinto da Paolo con due colori: il colore dello scandalo e quello della stoltezza. Non vi è traccia in questa raffigurazione di civiltà, di cultura o di simbolismi nazionalistici o occidentali. Il Crocifisso ha due soli versanti segnati dalla croce: il versante verticale verso l’alto, in direzione della divinità e il versante orizzontale in estensione verso il mondo intero. Il Crocifisso è la confluenza tra la Divinità e l’Umanità, la sintesi inaudita di un Dio che si fa uomo. Nessuna religione può immaginare e teorizzare ciò: noi infatti lo apprendiamo solo per rivelazione e per esperienza interiore. Da ciò deriva che tutto il dibattito sulle radici cristiane dell’occidente, sull’identità nazionale/occidentale che si vuole fare simboleggiare dal crocifisso, è mal posto e ingannevole perché il Crocifisso è soltanto il progetto di Dio sull’umanità intera e non un ammennicolo culturale da utilizzare come ornamento estetico e strumento osceno di superiorità razziale.

Le «dieci parole», il Crocifisso e il tempio formano una trilogia circolare. Le «Dieci Parole» creano Israele come popolo (prima lettura), la purificazione del tempio restituisce la coscienza di Israele al suo fondamento che è la Gloria di Dio (vangelo), sono proiettate verso il cuore stesso della fece cristiana: Gesù Cristo, Dio crocifisso accoglie la morte in sé come dimensione della divinità per restituire Adam ed Eva al loro stato originario di viventi per l’eternità. Dio ama così i suoi figli che sacrifica se stesso perché i suoi figli abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (cf Gv 10,10). Nessuna religione, pensata dagli uomini può prevedere una simile versione. Non a caso nel Medio Evo Cristo era simboleggiato dal pellicano che strappa il suo cuore per nutrire i suoi piccoli morti, risuscitandoli «dopo tre giorni»4. Il racconto della purificazione del tempio appartiene alla tradizione di tutti e quattro i vangeli (cf Mt 21,12-13; Mc 11.15-17; Lc 19,45-48; Gv 2,13-24: vangelo di oggi), segno dell’importanza di questo gesto posto da Gv all’inizio della sua vita pubblica, come sembra anche probabile storicamente, attribuendogli così una portata e un messaggio dirompente e di rottura con una tradizione che ormai aveva perduto il suo senso originario5.

Prepariamoci ad entrare in questo mistero composito dove la Parola diventa un Luogo che custodisce il Crocifisso dipinto davanti agli occhi dei Galati: «O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso!» (Gal 3,1). Questo mistero d’iniquità si compie oggi per noi nell’Eucaristia, il nostro monte Calvario al quale siamo invitati a salire per ricevere il «Nome che è sopra ogni altro nome» (Fil 2,9). Ci disponiamo all’invocazione dello Spirito che viene in aiuto alla nostra debolezza (Rm 8,26) con l’antifona d’ingresso (Sal 25/24,15-16): «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, è lui che fa uscire dalla rete il mio piede. Vòlgiti a me e abbi pietà , perché sono povero e solo».

Spirito Santo, tu scrivi nei nostri cuori le «dieci parole» fondamento di libertà, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu prepari i nostri cuori ad accogliere la Legge del Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci educhi a vivere la legge dell’amore di Dio e del prossimo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni che la Parola di Dio è vita vissuta con amore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la nuova Legge che testimonia il Signore in noi, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu alimenti in noi il timore e il tremore dei giusti, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni ad osservare i comandamenti e ad ubbidirli, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci educhi a discernere la volontà di Dio sopra ogni interesse, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei Maestro che insegna lo scandalo e la stoltezza della croce, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci guidi a distinguere tra sapienza umana e stoltezza di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegnaci a vivere non la nostra, ma la Pasqua la del Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci impedisci di trasformare il tempio in luogo di mercato, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci apri al mistero del Corpo del Signore, nuovo tempio di vita, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu custodisci nel nostro cuore la sapienza della Parola di Gesù, Veni, Sancte Spiritus!

Ciascuno di noi ha bisogno di uno specchio dove vedere riflessa la propria immagine. I comandamenti sono il rimando della nostra coscienza al cuore del nostro essere e della nostra crescita. Per raggiungere una meta bisogna percorrere una strada e se la strada è «data», il cammino è più leggere. Le «Dieci Parole» sono dieci piste di libertà: tre riguardano Dio e sette le relazioni umane, quasi a dire che se si vive la vita in modo pieno e armonico, non è difficile trovare Dio che sta lì alla fine come un premio e un riposo. Consapevoli di ciò saliamo al tempio purificato da Cristo per prendere coscienza della differenza tra la religione mercato e la fede che cerca la persona

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Esaminando la nostra coscienza non lasciamoci scoraggiare dalla quantità dei comandamenti, ma prendiamo atto che Gesù ha condensato tutta la legge e la morale in un solo imperativo: Amare i fratelli e le sorelle come luogo privilegiato per scoprire e amare Dio stesso. Chiediamo perdono per tutte le volte che non abbiamo voluto o saputo amare come Dio ama ciascuno di noi.

Signore, facciamo fatica a testimoniare i comandamenti, parole di libertà, Kyrie, elèison!

Cristo, che sei il Comandamento mandato a chiamare i peccatori, abbi pietà, Christe, elèison!

Signore, Dio crocifisso, quando ti traffichiamo con la cultura e le finte civiltà, Pnèuma, elèison!

Cristo, quando non ti riconosciamo, Messia sofferente nel travaglio del parto, Christe, elèison!

Signore, quando nominiamo il tuo Nome santo nel vuoto di morta religione, Kyrie, elèison!

Dio onnipotente che chiama Israele alla libertà attraverso le dieci parole consegnate a Mosè, il quale ci ha guida all’incontro con il Crocifisso, scandalo e stoltezza per il mondo; per i meriti di Gesù che purificando il tempio, c’introduce nel luogo della preghiera che è l’amore; abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

[Non di dice il Gloria]

Preghiamo (colletta). Signore nostro Dio, santo è il tuo nome; piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti e donaci la sapienza della croce, perché, liberati dal peccato, che ci chiude nel nostro egoismo, ci apriamo al dono dello Spirito per diventare tempio vivo del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. 


MENSA DELLA PAROLA

Prima Lettura Es 20,1-17 (liturgia: Es 20,1-3.7-8.12-17). Esistono due versioni delle «dieci parole» pronunciate da Dio sul monte Sinai e date a Israele. Quella riportata dall’Esodo è la più antica ed è attribuita alle fonti yahvista ed elohista dei sec. X-VIII a.C., ma riprese e rielaborate dalla corrente sacerdotale del dopo esilio nel sec. V a. C. (cf Ez 18,5-9 e Sal 15/14). L’altra si trova in Dt 5,6-21 ed è opera della riforma di Giosia del 621 a.C. Tutti questi «aggiornamenti» dimostrano l’importanza che le «dieci Parole» occupano in ogni epoca che in esse cerca il senso e la direzione di marcia per la propria libertà. Nel NT Gesù sintetizzerà tutto in «una Parola» e due movimenti: l’amore verso Dio e verso il prossimo.

Dal libro dell’Esodo Es 20,1-17 (liturgia odierna: Es 20,1-3.7-8.12-17)

In quei giorni, 1Dio pronunciò tutte queste parole: 2«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: 3Non avrai altri dèi di fronte a me.

[4Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. 5Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, 6ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.]

7Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano. 8Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo.

[9Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; 10ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. 11Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.]

12 Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà. 13Non ucciderai. 14Non commetterai adulterio. 15Non ruberai. 16Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. 17Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Parola di Dio.

Salmo Responsoriale  Sal 19/18, 18-11. Il Sal 19/18 è composto da due salmi. Il primo (vv.1-7), assente nella liturgia di oggi, è una lode a Dio che si manifesta nel cielo e nel sole. La sua origine è cananea, babilonese ed egiziana. Il secondo salmo (vv. 8-15 riportato parzialmente oggi è un inno alla legge, meno poetico del primo. Il creatore del cielo e del sole è l’autore della Legge: chi ha fatto il cosmo ha dato anche la morale e la coscienza di essa.

Rit. Signore, tu hai parole di vita eterna.

 

1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.

1. 8 La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile,

rende saggio il semplice. Rit.

2. 9 I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi. Rit.

3. 10 Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti. Rit.

4. 11 Più preziosi dell’oro,

di molto oro fino,

più dolci del miele

e di un favo stillante. Rit.

 

Seconda Lettura  1Cor 1,22-25. Il tema affrontato da Paolo in questo brano è terribilmente attuale. Egli è convinto che le divisioni nella Chiesa di Corinto siano dovute al fatto che il «suo» vangelo sia stato ridotto ad un sistema di pensiero o filosofia. Oggi diremmo che il cristianesimo è trasformato in ideologia, come vorrebbero coloro che propugnano la difesa del cristianesimo, simboleggiata dal crocifisso, come religione «laica» e supporto di cultura della civiltà occidentale6. Paolo ci richiama al «principio»: il Crocifisso e il Vangelo restano ancora oggi «scandalo e stoltezza». Qualsiasi armonizzazione culturale è un’eresia.

Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi

Fratelli e sorelle, 22mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. Parola di Dio.

Vangelo  Gv 2,13-25. Nel racconto della nozze di Cana, Gesù aveva dichiarato conclusa la prima alleanza e inaugurato il nuovo patto sponsale. Nel brano di oggi, come conseguenza logica, dichiara superate le istituzioni dell’antico regime, compreso il tTempio. L’espressione iniziale «Pasqua dei Giudei» (v. 13) ha un significato negativo che si oppone alla «Pasqua del Signore»: la memoria per eccellenza dell’alleanza è stata trasformata in «festa di regime», in pura rappresentazione umana. Gesù interviene per riportare al loro significato originario feste, istituzioni e religiosità: egli è l’Agnello pasquale che restituisce la Pasqua e il tTempio al Signore Dio attraverso il «flagello di cordicelle» che nella tradizione giudaica era simbolo sia delle sofferenze dei tempi messianici sia dei dolori del parto che lo stesso Messia avrebbe sperimentato prima di essere intronizzato: in ebraico il termine chèbel significa tanto corda quanto travaglio [di parto] (cf Talmud Sanedrin 98b). Il tempo del Messia esige un tempio costruito sulla sua umanità (cf Gv 2,20-21).

Canto al Vangelo Gv 3,16

Lode e onore a te, Signore Gesù! Dio ha tanto amato il mondo / da dare il Figlio unigenito; / chiunque crede

in lui ha la vita eterna. Lode e onore a te, Signore Gesù!

Dal vangelo secondo Giovanni Gv 2,13-25.

13 Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19 Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20 Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24 Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25 e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. Parola del Signore.

Spunti di omelia

La Bibbia riporta due versioni del Decalogo. La prima l’abbiamo appena ascoltata nel brano del libro dell’Esodo (1a lettura) e riporta la versione antica, risalente alle tradizioni yahvista ed elohista (sec. IX-VIII a.C.)7. Più tardi alla fine dell’esilio di Babilonia nel sec. V a.C. fu rielaborata e riformulata dalla tradizione sacerdotale che prevale nel brano odierno. L’altra versione simile a questa si trova in Dt 5,6-21 e risale al sec. VII al tempo della grande riforma di Giosia8. Il decalogo appartiene al genere letterario «forense-giuridico» e stabilisce i comportamenti e le relative sanzioni. Il codice giuridico/penale è formulato in modo ipotetico/condizionale, in terza persona singolare: Se qualcuno uccide qualcun altro, verrà messo a morte. Il decalogo biblico, invece, si allontana da questo schema e assume la forma assoluta, imperativa, alla 2a persona singolare che esige una relazione personale perché la norma è un appello alla coscienza della persona: Tu non ucciderai. Questa forma assoluta (apodittica) del codice di alleanza esprime un imperativo morale indiscutibile che pone uno dei due contraenti su piani diversi, ma mai separati. Tra chi ordina e chi deve accettare c’è diversità di ruoli, ma comunione di prosettiva: Israele è il vassallo e Yhwh è il sovrano, ma nello stesso tempo il sottomesso viene posto sullo stesso piano dell’autorità perché l’appello del comando è rivolto al «tu», non cioè all’umanità indistinta, ma alla coscienza individuale di una persona autonoma.

In oriente è sempre il vincitore ad imporre al vinto un codice di alleanza come garanzia di salvaguardia per lo sconfitto. Senza l’alleanza col vincitore, il vinto rischia di essere allo sbando preda di chiunque. I popoli più forti, infatti, approfittavano della debolezza dei vinti per sottometterli e depredarli. Prima di Cristo, dunque, esisteva la coscienza della tutela delle minoranze, garantite dal vincitore, a differenza di oggi, ad oltre due mila anni da Cristo, nel tempo in cui si sproloquia di «civiltà occidentale/cristiana», dove le minoranze sono sistematicamente oppresse e le maggioranze temporanee esercitano spudoratamente la dittatura delle istituzioni, della morale e della insipienza.

In questo contesto di alleanza di garanzia chiunque volesse approfittare della situazione di debolezza dei vinti, doveva fare i conti con il vincitore che pubblicamente si assumeva l’impegno di garante del debole. L’alleanza era redatta su un canovaccio universale:

  1. preambolo e nome del re (qui Es 20,2; cf Dt 5,6);

  2. circostanze storiche della vittoria e della sconfitta (qui: Es 20,2: «ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto»; cf Dt 5,6);

  3. espressione di lealtà del vinto e proibizione di mantenere rapporti con nazioni straniere (qui Es 20,3-6; cf Dt 5,7-10);

  4. disposizioni sull’uso dei beni (qui Es 20,8-17; cf Dt 5,12-21);

  5. impegno a depositare il trattato di alleanza nel tempio e leggerlo periodicamente «per non dimenticare» (qui: manca; cf Dt 27-28).

  6. Formula di benedizione o di maledizione per chi non rispetta le clausole dell’alleanza (cf Dt 27-28).

Il decalogo fu elaborato diverse volte nel corso della storia d’Israele. In origine l’enunciato doveva essere molto breve e la formula simile a quella della sesta o della settima «parola» e doveva anche essere detta in modo negativo, fatta eccezione della quarta (santifica il sabato) e della quinta (onora il padre e la madre)9. Possiamo ricostruire la forma originaria del decalogo nello schema seguente10:

  1. Non vi saranno altri dèi per te.

  2. Non ti farai immagini scolpite.

  3. Non userai il Nome di Yhwh, tuo Dio nel vuoto.

  4. Non farai alcun lavoro il giorno settimo: è un sabato.

  5. Non «disonorerai» tuo padre e tua madre.

  6. Non ucciderai.

  7. Non commetterai adulterio.

  8. Non ruberai.

  9. Non risponderai contro il tuo prossimo come falso testimone.

  10. Non desiderai la casa del tuo prossimo11.

Le prime due parole riguardano l’idolatria: Yhwh non accetta di essere messo sullo stesso piano degli idoli che «4sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. 5Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, 6hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. 7Le loro mani non palpano, i loro piedi non camminano; dalla loro gola non escono suoni!» (Sal 115,4-7/Sal 113,12-15).

La terza parola che Dio pronuncia è rivolta direttamente agli addetti al sacro e a coloro che usano il termine «Dio» con troppa facilità: «Non userai nel vuoto il Nome di Dio» (Es 20,7)12. Gli Ebrei hanno un così grande rispetto del Nome santo che non lo pronunciano mai per non correre il rischio di farlo vanamente. Solo nel giorno di Yom Kippur - Giorno dell’espiazione, il sommo sacerdote nel Santo dei Santi (la parte più interna e inviolabile del tempio, dove è conservata l’arca, pronunciava il Sacro tetragramma YHWH. Anche il capofamiglia lo trasmette al suo erede maggiore solo in punto di morte e in un contesto di segretezza. Quando nella lettura della Bibbia s’incontra il Nome santo di Yhwh, l’ebreo con gli occhi legge Yhwh, ma con la bocca pronuncia Adonài che vuol dire Signore mio.13

Il Nome nella cultura orientale indica la natura profonda di chi lo porta, e il Nome «Yhwh» è così grande che gli Ebrei non distruggono nemmeno i libri liturgici usurati dall’uso poiché in essi è scritto il Nome santo di Dio. Essi li depongono in un ripostiglio senza porta, per conservarli con rispetto. Nella seconda metà dell’800 è stata trovata la ghenizàh/ripostiglio del Cairo in Egitto che ci ha regalato una miniera di testi per la preghiera, permettendoci di conoscere sempre meglio il mondo cultuale e orante dei tempi biblici. L’uso del «Nome» in origine si riferiva alla magia in Es 20,7, mentre in Dt 5,11 riguardava i falsi giuramenti.

La quarta parola riguarda il giorno di Shabàt, il cuore della religiosità di Israele senza del quale non può esistere. Esso richiama il creatore e l’ordine della creazione: osservare Shabàt significa riconoscere che Dio è il Signore e il fine della creazione. Non solo, Adam, inteso come genere umano, è creato a «immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,27) e rispettando Shabàt esplicita questa somiglianza e la partecipa al creato intero. Il giorno di Shabàt non è consacrato semplicemente al riposo inteso come oziare o dormire o fare niente, al contrario, esso è il tempo dedicato alla somiglianza con Dio e quindi ad annunciare la profezia che ogni uomo è il «segno visibile» di Dio che «riposando», cioè vivendo la dimensione divina, indica agli animali, alle cose che respirano e a quelle senza respiro, all’universo intero, che il suo fine è Dio stesso. Shabàt è il tempo della coscienza di essere figli di Dio, o meglio di avere Dio per padre.

La quinta parola è indirizzata all’onore verso i genitori che sono il primo prossimo da amare: il prossimo del prossimo. Questa parola è la sola tra le dieci dette da Dio a cui è collegata una promessa: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Es 20,12). Nella seconda versione di Deuteronomio, addirittura la promessa raddoppia: «Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» (Dt 5,16). Paolo nella lettera agli Efesini riprenderà quasi alla lettera il testo di Dt: «Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra.» (Ef 6,2-3).

La promessa aggiunta a questo comandamento in forma semplice o doppia indica che l’impegno a cui chiama è molto importante e non può superficialmente essere disatteso. Con esso s’impegnano i figli a farsi carico dei genitori come esigenza primaria davanti a Dio. Al tempo di Gesù se uno diceva che il proprio patrimonio cion cui avrebbe dovuto assistere i genitori «era korbàn», era esentato da tale obbligo, perché il suo patrimonio non poteva più essere utilizzato per fini profani, in quanto era dichiarato «consacrato a Dio». Questo però era un artifizio perché il voto di consacrazione a Dio del patrimonio non obbligava a devolverlo veramente al tempio, ma restava una promessa aleatoria. In questo modo si manteneva intatto il patrimonio, si era dispensati legalmente dall’obbligo di assistere i genitori e si poteva frequentare il tempio con la coscienza tranquilla. E’ quella che chiamiamo la religione del tornaconto e dell’inganno che Gesù sventa e condanna:

«Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e: Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte» (Mc 7,11-13)14.

Il Siracide, che commenta in chiave sapienziale la quarta parola sull’onore dei genitori si spinge anche oltre e afferma che onorare i genitori equivale all’espiazione dei peccati, cioè si ottiene lo stesso risultato che nel giorno di Yom Kippur, la liturgia più solenne di Israele, dopo la Pasqua: «Chi onora il padre espia i peccati» (Sir 3,3). Al contrario, abbandonare il padre e la madre corrisponde ad essere blasfemi, cioè a negatori di Dio. In questo senso il padre e la madre sono messi sullo stesso piano di Dio: all’uno e all’altro spetta lo stesso rispetto e lo stesso onore15.

L’uccisione di cui si parla nella sesta parola riguarda solo l’omicidio fuori del quadro comunitario e legale, perché l’omicidio era previsto da ogni ordinamento sociale. L’adulterio della settima parola riguarda ogni atto sessuale che viola l’integrità del matrimonio altrui: il peccato di adulterio è una colpa verso Dio perché viola la dignità di chi lo subisce16. L’ottava parola riguarda prima ogni cosa il ratto di persone (cf Lv 19,11) che comporta la sanzione della pena di morte (cf Talmud Babilonia, Sanhedrin 86a), il furto di denaro e di cose. La nona parola riguarda la testimonianza giudiziale che deve essere fondata sulla verità e non sulla vendetta o peggio ancora sull’interesse per cui il teste manovra e cospira ai danni di qualcuno (cf Dt 19,19). La decima parola riguarda due realtà: la casa del prossimo e la sua proprietà; per due volte infatti è detto «Tu non desidererai!». Il verbo ebraico «Chamàd» non è un semplice «desiderare», ma «avere delle mire» e quindi macchinare per possedere ciò che non appartiene per impossessarsi di ciò che è di altri: «17Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17).

E’ interessante notare la lista di ciò che è proibito macchinare per averne possesso: la casa, la moglie, lo schiavo, la schiava, il bue e l’asino, tutti messi sullo stesso piano perché sono «proprietà» del prossimo. La moglie non è «persona» nel senso moderno del termine, ma è allo stesso livello delle bestie da lavoro e degli schiavi, mera proprietà. Quando Gesù condannerà l’adulterio, Mc, che riflette il ministero di Paolo anche nel mondo greco dove anche la donna poteva prendere l’iniziativa, porrà uomo e donna sullo stesso piano, in parità di diritti e di colpa: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,1-12)17.

L’importanza delle «dieci parole» del Sinai non sta nel fatto che esprimono una legge naturale o un valore etico, ma sono espressione genuina della volontà di «qualcuno». La morale ebraica e quella cristiana hanno come fondamento non una legge e nemmeno la natura, ma Qualcuno che entra in relazione e instaura un’alleanza, cioè un rapporto che si può esprimere con una legge oppure con la mediazione della coscienza. Gesù ha ridotto i comandamenti a uno solo: l’amore perché o la morale è un’etica dell’amore o è solo un’impostura e una schiavitù. In questo senso il comandamento non è solo una norma astratta, ma una «parola» rivolta ad un «tu» per stabilire un rapporto di reciprocità. In fondo, la morale ebraico-cristiana affonda le sue radici nel cuore stesso di Dio che diventa così la ragione prima e ultima di ogni scelta e di ogni azione.

Solo in questo contesto «personale» si può spiegare il Midrash18 che narra come Dio dopo avere dato la Toràh ad Israele resta ancora perplesso e chiede un garante supplementare. Israele risponde dando a garanzia i propri figli, cioè il suo futuro che Dio accetta come pegno: «Fu così che il popolo portò le mogli con gli infanti al petto e quelle gravide i cui corpi l’Eterno rese trasparenti come vetro. Poi Dio si rivolse a tutti i piccoli con queste parole: “Ecco, sto per dare la Toràh ai vostri padri, siete disposti a impegnarvi perché l’osservino?”. Ed essi risposero: “Sì”… I bambini nel ventre risposero a ogni comandamento positivo con “si” e a ogni comandamento negativo con “no”. L’Eterno diede dunque la Toràh a Israele con la fideiussione dei suoi bambini; ecco perché tanti ne muoiono quando il popolo non la osserva»19.

Il vangelo riporta il celebre passo della purificazione del tempio nella versione di Giovanni che nella prima parte (cf Gv 2,13-17) è simile ai Sinottici (cf Mt 21,12-13; Mc 11.15-17; Lc 19,45-48), mentre la seconda (cf Gv 2,18-20) è propria del IV vangelo. Il gesto di Gesù in Gv ha un valore messianico (annuncia una svolta nella rivelazione e nella storia), a differenza dei Sinottici per i quali invece ha un valore profetico (segno di un atteggiamento spirituale e morale della fede che supera così il livello di religione). Nei Sinottici, infatti, Gesù cita il profeta Isaia (cf Is 56,7) che parla di zelo per la casa di Dio, mentre Gv non mette alcuna citazione in bocca a Gesù per sottolineare la sua autorità di Messia che viene a compiere la profezia di Malachia che prevedeva un Messia dal fuoco purificatore20. In Gv segue una terza parte (Gv 2,21-22) che è l’interpretazione cristiana di questo fatto, dovuta alla riflessione ulteriore della comunità.

Il tempio di Gerusalemme era il cuore della vita quotidiana ed era governato dal Sinedrio composto da settanta membri sotto la guida del Sommo Sacerdote che al tempo di Gesù era una carica che si comprava all’asta e quindi tra coloro che ne avevano diritto, cioè i Sadducei, il vincitore si dissanguava economicamente21. La carica durava un anno. Il Sommo Sacerdote e il suo casato avevano quindi un anno di tempo per rifarsi delle spese; per questo il porticato del tempio era trasformato in un mercato all’aperto che brulicava di ogni genere di mercanzia e di cambiavalute. Il trempio, centro della vita ebraica, era anche una «banca» dove i privati depositavano i loro capitali e tutti quelli che venivano da fuori dovevano cambiare le loro monete in shèkel, l’unica moneta ammessa per pagare sia la tassa del tempio che ogni Giudeo aveva l’obbligo di versare dal compimento del 18° anno di età, sia le offerte liberali.

Gesù compie il gesto della «corda» che usa come un flagello per scacciare i mercanti dal tempio. E’ un gesto importante che deve essere compreso nella sua profondità. Il Talmud (Sanedrin 98b) descrive il Messia che arriva portando in mano un flagello con cui avrebbe messo fine ad ogni costume malvagio. I rabbini al tempo di Gesù aspettavano l’arrivo del Messia con timore e tremore. In ebraico il «flagello da corde» si dice chèbel min habalìm e siccome chèbel significa anche «dolore/travaglio» [del parto], il gesto della cordicella può avere anche il significato di un gesto profetico: la venuta del Messia è accompagnato da sofferenze e dolori come i profeti avevano annunciato (cf Is 26,17; 66,8; Ger 22,23; Os 13,13; Mi 4,9-10). Con quel gesto Gesù dichiara apertamente che il Messia è in mezzo a loro e prende possesso della «sua casa di preghiera» e tutto ciò comporterà sofferenza e dolore.

Giovanni non è nuovo a questo procedimento, anzi tutto il vangelo è costruito con questo metodo: ogni parola ha sempre un duplice significato; uno immediato e l’altro nascosto. Il significato dunque dell’espressione greca «phragéllion ek schoinìōn» che in italiano si può rendere con « flagello da/di sferze» intende esprimere il duplice messaggio che accompagna il Messia: da una parte la sua venuta è accompagnata dalle doglie del parto che provoca sofferenza e dall’altra il popolo subisce la sferza della purificazione che deve condurre alla conversione. San Paolo parla espressamente del creato che geme nelle doglie in attesa della liberazione: «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). Il tempo del Messia è tempo di scelta22, come lo stesso Gesù aveva detto all’inizio del suo ministero: «Il tempo (kairòs) è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi (metanoêite) e credete al Vangelo» che è il Cristo Gesù (Mc 1,15).

Nella seconda parte (Gv 2,17-20) vi è la discussione sul tempio. Brevemente. Scacciando i mercanti dal tempio, Gesù si impossessa della «Dimora – Shekinàh» di Dio e dichiara chiusa la funzione del tempio antico perché adesso lo sostituisce un tempio nuovo che è il suo corpo, cioè la sua umanità. I Giudei vogliono un miracolo (cf Mt 12,38; 16,1; Lc 11,16; Gv 6,30; 10,32) che dimostri l’autorità con cui Gesù agisce in questo modo dirompente, ma egli risponde in modo strano in greco: «lýsate – sciogliete questo tempio/corpo». Il verbo sciogliere non si usa per indicare la demolizione di una costruzione, mentre si usa nel significato di «abolire/sopprimere/invalidare/annullare» e quindi ha senso se riferito al corpo (come qui), al sabato ( cf. Gv 5,18), ad un passo della Toràh (cf Gv 10,35). Lo schema del «distruggere – ricostruire» è un paradigma caro al profeta Geremia (Ger 1,10; 18,7-10; 24,6; 42,10; 45,4), ma ora nel tempo di Gesù assume un valore definitivo. Parlando del tempio del suo corpo (cf Gv 2,21) Gv usa il termine «naòs» che indica la parte più sacra del tempio, cioè il «Sancta Sanctorum», la dove è custodita l’Arca e il Nome. In questo modo Gv afferma anche la natura divina di Gesù.

Nella terza parte (Gv 2,21-22) vi è la spiegazione cristiana di questo avvenimento: Il riferimento ai tre giorni prende un senso pasquale insospettato perché riporta alla morte e alla risurrezione di Gesù. Anche il v. 23 richiama la risurrezione perché ci dice che Gesù è a Gerusalemme per la Pasqua. Gesù non è soltanto un Messia che viene a distruggere e costruire, egli è il Figlio di Dio che porta il nuovo tempio del suo corpo, il segno della sua umanità che diventa il nuovo giardino di Eden dove può di nuovo accedere l’umanità riscattata, il luogo del sacrificio perfetto (cf Eb 9-10) e sorgente di benedizione perenne (cf Gv 7,37). Il racconto della purificazione del tempio, del travaglio del Messia e del corpo/tempio per Gv ha un senso ancora più profondo: egli afferma il carattere sacerdotale di Gesù, caratteristiche che i Sinottici non sfiorano nemmeno. No! Gesù non viene a purificare il sacerdozio antico o il tempio di pietra, egli viene e il nuovo santuario è la sua persona nella quale ogni generazione può ristabilire la nuova alleanza eterna e definitiva perché il tempo del Messia è il tempo della relazione personale, dell’incontro delle coscienze. Non abbiamo più bisogno di tempio di pietra perché ora possiamo entrare nel tempio dell’umanità di Dio, sempre e dovunque. E questo il motivo per cui i cristiani non hanno mai rivendicato spazi nell’area del tempio. L’Eucaristia è il sacramento di questo santuario/corpo perché compie il corpo del Messia, Figlio di Dio e l’obbedienza filiale di quanti lo ricevono per essere a loro volta tempio dello Spirito del risorto che cammina nella storia (cf 1Cor 3,16-17).

Credo o Simbolo degli Apostoli23

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [Pausa: 1 – 2 – 3]

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, [Pausa: 1 – 2 – 3]

il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato,

fu crocifisso, morì e fu sepolto; [Pausa: 1 – 2 – 3] discese agli inferi; il terzo giorno è risuscitato da morte;

salì al cielo, siede alla destra di Dio onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [Pausa: 1 – 2 – 3]

Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

LITURGIA EUCARISTIACA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Per questo sacrificio di riconciliazione perdona, o Padre i nostri debiti e donaci la forza di perdonare ai nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore. Amen!

PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio della Quaresima – Il significato spirituale della Quaresima

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo  a te, Signore, Padre Santo,  Dio onnipotente ed eterno,  per Cristo Signore nostro.

«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile: non avrai altri dèi di fronte a me» (Es 20,2-3).

Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché, assidui nella preghiera e nella carità operosa, attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio, nostro salvatore.

«Io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti» (Es 20,5-6).

E noi, uniti agli angeli, cantori della tua gloria, ai santi e alle sante del cielo e della terra, innalziamo con gioia l’inno di benedizione e di lode:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’Universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison.

Noi ti benediciamo, Dio onnipotente, Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace.

Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Gloria in cielo e pace in terra.

Tutti ci siamo allontanati da te, ma tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo; con il sacrificio del tuo Cristo, consegnato alla morte per noi, ci riconduci al tuo amore, perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli.

Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo … poiché non ci hai rigettati per sempre, né senza limite sei sdegnato contro di noi (cf Lam 5,21-22).

Per questo mistero di riconciliazione ti preghiamo di santificare con l’effusione dello Spirito Santo questi doni che la Chiesa ti offre, obbediente al comando del tuo Figlio.

Il timore del Signore è puro, resta per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti (Sal 19/18,10).

Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione, mentre cenava, prese il pane nelle sue mani, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. Egli parlava del tempio del suo corpo (Gv 2, 19.21).

Allo stesso modo, in quell’ultima sera egli prese il calice e magnificando la tua misericordia lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Tu, o Signore, sei il tempio della nostra Eucaristia alla quale conveniamo dalle nostre diàspore per dissetarci al calice della salvezza e rendere gloria al tuo nome (cf Sal 116/115,13)

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Noi adoriamo «Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1Cor 1, 23)

Mistero della fede.

Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, noi ti offriamo, o Padre, il sacrificio di riconciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani.

«Dice il Signore: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”» (Mc 1,15).

Accetta anche noi, Padre santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo, e nella partecipazione a questo convito eucaristico donaci il tuo Spirito, perché sia tolto ogni ostacolo sulla via della concordia, e la Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace.

«Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).

Lo Spirito, che è vincolo di carità, ci custodisca in comunione con il papa …, il vescovo …, il collegio episcopale,i presbiteri, i diaconi, le persone che amiamo … i bambini nati nelle ultime e prossime ventiquattro ore, le persone che si amano, coloro che servono, quanti soffrono in ogni luogo e regione del mondo e tutto il popolo cristiano.

Ora che tu, o Signore, risusciti dai morti, noi tuoi discepoli ci ricordiamo che avevi detto questo, e crediamo alla Scrittura, e alla parola detta dal tuo Figlio Gesù (cf Gv 2,22).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli, che si sono addormentati nel Signore … e tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede.

«Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20).

Tu che ci hai convocati intorno alla tua mensa, raccogli in unità perfetta gli uomini di ogni stirpe e di ogni lingua, insieme con la Vergine Maria, con gli Apostoli e tutti i santi nel convito della Gerusalemme nuova, per godere in eterno la pienezza della pace.

Vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani, adoravano Dio e dicevano: Amen! (Ap 7,9).

[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico (Mt 6, 9-13) Idealmente riuniti agli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra.

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Gv 2,23): Molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome.

Dopo la comunione (Sifre Dt 142b; cf Midrash Tannaim 210)

Prima di donarla agli Israeliti, l’Onnipotente offrì la Toràh a ogni tribù e nazione del mondo perché nessuno potesse dire: “Se il Santo benedetto avesse voluto darcela noi l’avremmo accolta”. Si recò dai figli di Esaù e chiese: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”, risposero quelli. – “Non uccidere” (Es 20,13). – “E tu vorresti privarci della benedizione impartita al nostro padre Esaù, cui è stato detto: ‘vivrai della tua spada?’ (Gen 27,40). Non vogliamo la Toràh”. – Allora il Signore l’offrì alla stirpe di Lot dicendo: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non commettere adulterio” (ES 20,14). – “Proprio da atti impuri siamo nati! Non vogliamo la Toràh”. Allora il Signore chiese ai figli di Ismaele: “Accettate la Toràh?” – “Che cosa vi sta scritto?”. – “Non rubare” (ES 20,15). – “Vorresti forse portarci via la benedizione impartita a nostro padre, cui fu detto: ‘La sua mano sarà contro tutti’ (Gen 16,12)? No, non vogliamo affatto la Toràh”. Così fece con tutti gli altri popoli, i quali parimenti rifiutarono quel dono dicendo: “Non possiamo rinunciare alla legge dei nostri antenati, non vogliamo la tua Toràh, dalla al tuo popolo Israele”. – Per questo Egli –benedetto sia il suo Nome – andò infine dagli Israeliti e disse: “Accettate la Toràh?” – Risposero: “Che cosa contiene?”. – “Seicentotredici precetti”. Quelli risposero ad una sola voce: “Tutto quanto il Signore ha detto noi faremo e ubbidiremo”.

Preghiamo. O Dio, che ci nutri in questa vita con il pane del cielo, pegno della tua gloria, fa’ che manifestiamo nelle nostre opere la realtà presente nel sacramento che celebriamo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.

Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.

Il Signore sia sempre accanto a voi per consolarvi e confortarvi. Amen.

Vi benedica l’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

© Domenica 3a di Quaresima-B – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 11/03/2012 – San Torpete – Genova

AVVISI

Sabato 17 marzo 2012, ore 17,30: Francesco D’Orazio, Violino – Giorgio Tabacco, Fortepiano

Dal tardo Barocco al Classicismo - Musiche di C.P.E. Bach, F.J. Haydn, W.A. Mozart.

Domenica 18 marzo 2012 ore 10,00 Messa di trigesima di Costantino Incognito, meccanico di via Peschiera, ucciso dall’Opera (em)Pia «Istituto Negrone Durazzo Brignole Sale» che lo ha sfrattato all’età di 92 anni, nel silenzio della Curia della Diocesi di Genova.

Sabato 7 e Domenica 8 aprile 2012 è Pasqua il punto di partenza e il punto di arrivo di ogni credente (aspetto personale) e dell’anno liturgico (aspetto temporale). Senza la Pasqua saremmo dei pazzi e degli illusi.

DOMENICA 22 APRILE 2012 ORE 10,00

Facciamo memoria del 3° compleanno di Ludovica Robotti che ha compiuto il suo «esodo» a 9,5 mesi,

ma continua a vivere nel nome e nell’attività dell’Associazione «Ludovica Robotti – San Torpete».

Facciamo anche memoria di Simone Costa – Cavaliere di Torino, che ha compiuto il suo «esodo» a 2,5 anni,

ma vive nella borsa di studio a suo nome con cui sosteniamo uno studente molto promettente.

Insieme a loro facciamo memoria di una mamma, Elena Harmalàos, che ha compiuto il suo «esodo»

dopo avere attraversato il deserto della malattia, ma vive sostenendo la terapia psicologica

di una bambina di 4 anni violata dal patrigno che abbiamo preso in carico.

Elena oggi impegna la sua eternità a fare da mamma putativa di Ludovica e Simone.

Di seguito il biglietto con cui il marito di Elena dedica la pensione di reversibilità di Elena

alla «Ludovica Robotti» che la impegna per sostenere la terapia psicologica specialistica della piccola violata:

Cara Ludovica,Elena ha voluto porsi al tuo fianco per essere presente con ciò che rimane del frutto del suo lavoro. E' un piccolo cero che illuminerà di speranza i momenti difficili di alcune persone fino a quando il soffio di Dio non lo spegnerà chiamando a Sé e a Lei colui che l'ama e che l’ha sempre tanto amata. Sei nel mio cuore. Firmato: Il marito di Elena.

PROSPETTO DEI COSTI E DELLE ENTRATE PER LA RISTRUTTURAZIONE EX NOVO DEI LOCALI ADIBITI A SEGRETERIA DELL’ASSOCIAZIONE

«LUDOVICA ROBOTTI – SAN TORPETE»

(Ottobre 2011 – febbraio 2012)

  1. COSTI (in €)

 
  1. ENTRATE (in €)

Impresa

79.698,69

(al netto)

 

1.

Sottoscrizione

24.596,80

 

Iva

8.855,41

(10%)

 

2.

Parrocchia

30.000,00

 

Dir. Lavori

3.616,00

   

3.

Associazione

27.000,00

 

Iva

1.266,70

(21%)

   

Totale Entrate

81.596,80

 

Rit. acconto

1.160,00

(20%)

   

DISAVANZO

 

13.000,00

Totale costi

94.596,80

   

In questo computo non è compreso il contributo di € 20.000,00 che l’Associazione ha ricevuto da una famiglia amica espressamente per «aiuto alle persone» e che quindi abbiamo impegnato per le esigenze delle persone che accompagniamo.

       
  1. Pareggio (in €)

 

Costi

94.596,80

   

Entrate

 

81.596,80

 

DISAVANZO

 

13.000,00

 

Pareggio

94.596,80

94.596,80

 

Note sulla compilazione del bilancio

  1. I locali, vincolati dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria sono di proprietà della parrocchia di San Torpete che li mette gratuitamente a disposizione dell’Associazione senza limiti di tempo con un contratto di comodato finché l’Associazione svolgerà il suo servizio secondo le finalità sociali del proprio statuto.

  2. Per questo motivo tutta la fatturazione dei lavori di straordinaria ristrutturazione e recupero è intestata alla Parrocchia che paga l’Iva al 10%, mentre l’Associazione avrebbe pagato il 21%. In questo modo nel rispetto della legalità e dei vincoli, sono stati risparmiati € 8.800,00 di Iva.

  3. Il preventivo originale, ma provvisorio (non si sapeva, infatti, cosa avremmo trovato in locali antichi e abbandonati da anni) era di 58.000,00 (+ Iva). Nel corso dei lavori abbiamo dovuto modificare e aggiungere alcuni interventi per cui il preventivo è lievitato di 21.000,00. E’ stata rinvenuta una strada romana e una cisterna medievale che non sono state toccate, il cui recupero è rimandato a tempi migliori, in attesa di avere le necessarie coperture finanziarie.

  4. Resta pertanto un disavanzo di 13.000,00 che siamo certi di coprire con l’aiuto di tanti amici che amano la «Ludovica Robotti». Con questo intervento l’Associazione «Ludovica Robotti – San Torpete» può lavorare a pieno ritmo senza più problemi di ordine pratico perché non dovrà più porsi il problema di dove, quando e come accogliere le persone, dove fare i colloqui di sostegno e dover svolgere l’attività e ormai esige una struttura organizzativa non più provvisoria. Se avessimo fatto un mutuo, i lavori sarebbero stati ammortizzabili in poco meno di 20 anni con una spesa di € 5.000 annui pari a poco più di € 400,00 al mese.

  5. Crediamo di avere fatto un ottimo investimento in sinergia con la parrocchia di San Torpete che resta un punto di sostegno e di garanzia sicuro. La Parrocchia, infatti, dando fondo a tutti i propri risparmi, ha contribuito per un ammontare di 30.000,00, concede i locali in comodato gratuito e garantisce anche le utenze (luce, riscaldamento e telefono), le spese di amministrazione e le tasse che restano a suo carico.

  6. Non abbiamo sogni di grandezza, ma mettiamo in atto solo l’indispensabile che ci permetta di compiere il nostro servizio nel rispetto del Vangelo e della Costituzione Italiana: «rimuovere gli ostacoli anche di natura economica che impediscono alle persone di vivere più felicemente possibile (cf art. 3).

 

APPUNTAMENTO A DOMENICA 22 APRILE ALLE ORE 10,00 IN SAN TORPETE

CELEBRIAMO IL 3° COMPLEANNO DI LUDOVICA ROBOTTI NELLA NUOVA SEDE

CON UN PICCOLO INTRATTENIMENTO TRA AMICI COME SEGNO DI CONDIVISIONE.

Nicoletta Frediani, vicepresidente Paolo Farinella, prete presidente

1  Cf Mishnàh, Pirqè Abot-Massime dei Padri, V, 6.

2  DEJ, 252; Insegna la tradizione ebraica che la Parola di Dio scolpita sulle tavole sprigionasse settanta scintille, una per ogni popolo che abitava sulla terra: cf A.C. Avril-P. Lenhardt, La lettura ebraica della Scrittura, Qiqajom, Magnano 19892, 86-87. Allo stesso modo si esprime Ambrogio: «Semel locutus est Deus, et plura audita sunt/Dio parlò una volta sola e furono udite molte [parole]» (In Psalmo LXI, n. 33-34 [PL, XIV, 1180 C]; cf Origene, In Romanis, VII,19 [PG XIV, 1153-1154]; Id., In Lucam, Hom. 34 [PG 199-200]; Agostino, In Psalmo LXI, n.18 [CCL = Corpus Christianorum, series Latina, Turnholti 39, 786]). Per la tradizione dei 70 popoli che abitavano la terra e parlavano lingue diverse v. tabella dei popoli in Gen 10 e cf anche l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico, molto antico, La Caverna del Tesoro, 24,18, in E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, Casale Monferrato 20022, 73).

3 Il 1° racconto della creazione che è il 2° in ordine cronologico (Gen 1,1-2,4a: tradizione P, sec. V a.C.) si compiace di presentare Dio che crea l’universo e l’umanità con dieci parole. Il redattore infatti per dieci volte afferma che «Disse Dio» (Wayyòmer ‘Elohim) e a questa parola corrisponde un avvenimento, un fatto: «E così fu» (Wayehì [ken]). Per «Disse Dio» (Wayyòmer ‘Elohim) cf Gen 1,3.6.9.11.14.20.24.26.28.29. Per «E così fu» (Wayehì [ken]), cf Gen 1,3.7.9.11.15.24.30.

4 L’immagine è ripresa da S. Tommaso d’Aquino nell’inno eucaristico «Adoro Te devote» dove invoca Cristo «pio Pellicano». L’inno è uno di cinque eucaristici, probabilmente scritti da San Tommaso d’Aquino che ebbe da papa Urbano IV l’incarico di redigere l’ufficio e la liturgia del Corpus Domini nel 1264, ma l’attribuzione è incerta. Papa Pio V l’ha inserito nel Messale romano nel 1570 (riforma tridentina). Cf CCC 1381.

5 X. Leon-Dufour, «Le signe du temple selon saint Jean», in Rech. Sc. Rel (1951-52) 155-175.

6  Sul tema del rapporto tra Crocifisso e cultura, civiltà occidentale e religione cattolica cf P. Farinella, Crocifisso tra potere e grazia. Dio e la civiltà occidentale, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (VR) 2006.

7 Si chiama Tradizione Yahvista perché quando nomina Dio usa sempre il nome «YHWH» (Yahwèh), il sacro tetragramma che non si pronuncia mai. Si chiama tradizione Elohista perché quando nomina Dio lo chiama «Elohìm», nome comune di Dio; esso è un plurale di «El» e alla lettera significa «Dei», o anche una intensità di consistenza: si dice il plurale per dire una presenza potente più ampia del singolare.

8 Tentativi di altri adeguamenti si trovano in Ez 18,59 e Sal 15/14.

9 La quarta e la quinta parola hanno forma negativa in Es 35,3; Lv 22,3 Es 21,15; Lv 20,9.

10 Cf A.T. Patrick, «La formation littéraire et l’origine du décalogue», in Eph Th Lov (1964) 242-251.

11 T. Maertens J. Frisque, Guida dell’assemblea cristiana, vol. 2, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1970, 119.

12  Il verbo ebraico «nisà’» nella forma semplice (qal) significa «sollevare/portare/alzare» e l’avverbio «lashaw’» ha il senso di «nulla/vuoto» per cui il divieto è di «sollevare/innalzare il Nome di Dio [cioè la persona stessa di Dio] nel nulla/vuoto»: in altyre parole, non bisogna fare finta di inneggiare a Dio, mentre di fatto lo si nomina nel vuoto, invano, inutilmente, nel vuoto.

13  E’ la regola perpetua del «ketìb-qerè» e significa «ciò che è scritto – ciò che si legge» e funziona così: chi legge la Bibbia in ebraico, quando incontra il Nome «Yhwh» pronuncia «Adonai» che e pertanto con gli occhi legge Yhwn, ma con la bocca pronuncia «Adonai», evitando così di pronunciare il santo Nome.

14  La parola korbàn deriva dall’ebraico korbàn (plurale korbanòt) e deriva dalla radica «qarab - avvicinare/accostare» indicando il gesto di offrire la vittima o l’oggetto del sacrificio a Dio.

15  «2Il Signore infatti ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della madre sulla prole. 3Chi onora il padre espia i peccati*, 4chi onora sua madre è come chi accumula tesori. 5Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. 6Chi glorifica il padre vivrà a lungo, chi obbedisce al Signore darà consolazione alla madre. 7Chi teme il Signore, onora il padre e serve come padroni i suoi genitori. 8Con le azioni e con le parole onora tuo padre, perché scenda su di te la sua benedizione, 9poiché la benedizione del padre consolida le case dei figli, la maledizione della madre ne scalza le fondamenta. 10Non vantarti del disonore di tuo padre, perché il disonore del padre non è gloria per te; 11la gloria di un uomo dipende dall'onore di suo padre, vergogna per i figli è una madre nel disonore. 12Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. 13Sii indulgente, anche se perde il senno, e non disprezzarlo, mentre tu sei nel pieno vigore. 14L'opera buona verso il padre non sarà dimenticata, otterrà il perdono dei peccati, rinnoverà la tua casa. 15Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te, come brina al calore si scioglieranno i tuoi peccati. 16Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta sua madre è maledetto dal Signore» (Sir 3,2-16).

16  In base a Gen 1,27 è la coppia «pungente/perforata – maschio/femmina» che è «immagine di Dio», per cui l’adulterio è spaccare in due l’immagine e sostituirne una parte con un’altra finta, non vera ed equivale all’omicidio perché la coppia «incastrata» insieme è «una persona»: se viene divisa in due è uccisa.

17  Non così Mt 19,1-9; Mt 5,32 e Lc 16,18 che riflettono il mondo ebraico, dove la donna non è soggetto di diritto.

18  Midrash Ct rabba 1,4; Midras Tehilliìm/Salmi a 8,76-77.

19 L. Ginsberg, Le Leggende degli Ebrei, vol. IV. Mosè in Egitto, Mosè nel deserto, Adelphi Edizioni, Milano 2003, 208.

20 «1Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. 2Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. 3Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. 4Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani» (Ml 3,1-4).

21 Il Sommo Sacerdote è la massima autorità religiosa e politica nell’Israele del dopo esilio. Durante l’occupazione, i Romani cercano di tenere sotto controllo il Sinedrio e il Sommo Sacerdote e per affermare che c’è una sola autorità, quella romana, il Procuratore conserva nella sua casa le vesti liturgiche usate nel tempio, concedendole di volta in volta..

22 Cf J. Mateos-J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella Editrice, 150.151.

23 Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Ambrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).



Mercoledì 07 Marzo,2012 Ore: 16:03
 
 
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