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www.ildialogo.org Domenica 2a Quaresima – B – 4 marzo 2012,di Paolo Farinella, prete

Domenica 2a Quaresima – B – 4 marzo 2012

di Paolo Farinella, prete

La liturgia della 2a domenica di Quaresima ci presenta due monti. Il primo è il monte Mòira che secondo la tradizione ebraica s’identica con il monte del tempio di Gerusalemme1. Su questo monte (oggi custodito dentro la moschea) è conservata una enorme pietra monolitica sulla quale, secondo Ebrei e Cristiani, Abramo legò il figlio Isacco per sacrificarlo a Dio (cf Gen 22), mentre per i Musulmani è la roccia su cui sostò il profeta Maometto prima di essere rapito al cielo, durante il suo viaggio notturno proveniente dalla Mecca2. Questo «luogo» oggi è il cuore dell’ebraismo e del musulmanesimo e quindi il cuore stesso della lotta fratricida tra Ebrei e Palestinesi. Questo monte è il simbolo dell’esistenza stessa di Israele e dell’identità araba. I Cristiani non accampano diritti su questo luogo perché ben presto trasferirono tutte le prerogative che le tardive tradizioni ebraico-musulmane hanno attributo al Monte Moria sul vicino Monte Calvario, oggi custodito nella basilica del Santo Sepolcro.

L’apocrifo La caverna del Tesoro, rielaborazione cristiana di un testo giudaico (fine sec. IV), seguendo la tradizione prima giudaica e poi cristiana, colloca sul Monte Mòria il sacrificio di Isacco, l’offerta di Melchìsedek e la crocifissione di Gesù che è l’agnello impigliato tra i rami dell’albero della croce (v. testi dopo la comunione). Lo stesso apocrifo identifica il Gòlgota cristiano, oltre che con il giardino di Eden (cf Gen 2-3), anche con il monte Mòria/tempio di Gerusalemme, operando una trasposizione teologica, motivata dalle polemiche tra la sinagoga e la chiesa: i giudeo-cristiani, infatti, trasferiscono il ricordo di Adamo dal monte Moria al monte Calvario3. E’ evidente che di storico qui non c’è nulla, ma fantasia e teologia insieme navigano nel vasto mare dell’interpreta-zione della storia.

Il secondo monte che la liturgia di oggi ci presenta nel vangelo è quello della Trasfigurazione, che la tradizione identifica con il monte Tabor4 su cui non vi è tempio e non vi si celebra liturgia, ma vi è il Figlio di Dio che insieme ad Elia e Mosè, secondo Lc 9,30-31, parlano del «suo esodo», cioè della morte di Gesù. Dal monte Tabor Gesù guarda all’ultimo monte, a quel Calvario da cui non scenderà più la Toràh su tavole di pietra, ma lo Spirito del Risorto per radunare il mondo in un unico popolo, il popolo dì redento: «E reclinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30).

Nel trattato Tehillìm (= Lodi/Salmi/Preghiere, 68) del Talmud si dice che alla fine del mondo, nel tempo del Messia, Dio farà scendere la Gerusalemme celeste (cf Ap 21) su quattro monti: il Tabor, l’Hermon, il Carmelo e il Sinai simboli dei quattro angoli della terra da cui Dio aveva raccolto un pizzico di polvere per creare Adam5 e su cui radunerà i dispersi della fine.

I monti nell’antichità erano i luoghi di dimora degli «dei» perché posti «in alto» in direzione del cielo e sui monti si offrivano sacrifici: si chiamavano appunto «alture» cf (1Re 22,44; 2Re 12,4; 14,4; 15,4.35; 17,32). Al tempo di Abramo, presso i Cananei che abitavano l’attuale Palestina erano in uso, come dappertutto, i sacrifici umani per propiziarsi i favori degli «dei»: le figlie femmine erano particolarmente votate al sacrificio di propiziazione. In questo contesto nasce il racconto del sacrificio di Isacco (cf Gen 22) che si pone come contestazione di questi usi: il Dio di Abramo si dissocia dalle altre divinità perché egli chiede l’obbedienza alla sua parola non la vita dei suoi figli. Egli salva la vita non la toglie. Il Dio di Abramo guarda al cuore non alla quantità di sangue. Egli vuole sì il sacrificio, ma quello del cuore e non quello esteriore. Il sacrificio di Isacco, nella tradizione ebraica, è elemento centrale della vita e della fede d’Israele. Esso prende anche il nome di «aqedàh/legatura» perché Abramo legò Isacco sulla legna e Isacco si lasciò legare invitando il padre a stringere bene i nodi perché non capitasse che anche senza volerlo si mettesse a scalciare rendendo nulla il sacrificio. In questo sacrificio volontario di Isacco, la tradizione cristiana ha visto sempre l’anticipo profetico del sacrificio di Cristo che si lascia «legare» al legno della croce fino a perdonare i suoi carnefici (Lc 23,34).

Saliamo anche noi sul monte dell’Eucaristia che ci svela lo splendore del Pane e del Vino trasformati nella Vita del Signore: potremo «vedere» il volto trasfigurato di Gesù e a nostra volta possiamo intraprendere un cammino di trasfigurazione perché «Io-Sono il pane vivente disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno. Il pane infatti che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Proclamiamo insieme l’antifona d’ingresso (Sal 27/26,8-9): «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto».

Spirito Santo, tu guidasti Abramo e Isacco verso la montagna dell’obbedienza, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sostenesti Abramo nella prova più grave della sua vita, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu incoraggiasti Isacco ad offrirsi vittima volontaria, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu «legasti» Isacco al legno della fedeltà senza condizioni, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu fermasti la mano di Abramo, vittima col figlio vittima, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu accompagnasti l’ariete al sacrificio sostitutivo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu benedicesti Abramo e Isacco, nostri santi Padri, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidi i nostri passi verso gli atri della casa del Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu presiedi i nostri sacrifici di lode e la nostra pace, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei il nostro avvocato che intercede presso il Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu effondi su di noi i meriti di Gesù Cristo, Messia e Signore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la luce che brillò sul volto trasfigurato di Gesù, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la voce che consacrò Gesù «figlio prediletto», Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la voce che c’insegna ancora ad «ascoltare» la Parola, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci introduci nel mistero della risurrezione e della «Gloria», Veni, Sancte Spiritus!

Da una parte c’è la contestazione dei sacrifici umani da parte del Dio della Bibbia e dall’altra l’affermazione solenne che solo nello spogliamento totale, anche nella rinuncia dell’unico figlio, c’è spazio per una fede autentica. Quanti sacrifici «umani» compiamo noi ancora nella nostra vita: quando giudichiamo, quando amiamo solo noi stessi e siamo disposti a sacrificare tutto pur di raggiungere i nostri scopi, quando vogliamo imporre i nostri punti di vista, quando in una parola diciamo di credere e invece siamo atei praticanti. Credere è illimpidirsi lo sguardo per potere vedere «dall’alto», credere è fidarsi di qualcuno a cui abbiamo regalato la nostra vita a sua volta ricevuta. Credere è una relazione d’amore che genera e rigenera. Deponiamo le nostre idolatrie, le nostre ragioni, le nostre vittime e forse anche noi stessi vittime qui davanti all’altare, il Monte della fede pura, dell’abbandono crocifisso e della vita trasfigurata,

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Esaminare la propria coscienza, significa riconoscersi figli e quindi riconoscere il proprio principio nella paternità che si rivela anche come maternità. Ad Abramo viene chiesto non il sacrificio del figlio, ma l’offerta del «tuo figlio, il figlio che ami, Isacco». Avrebbe fatto prima a chiedergli la vita. Sì, Dio vuole la vita, non gli avanzi superflui. Egli chiede la vita intera, tutta per restituirla più piena, più grande, più libera: risorta. L’atto penitenziale è il momento di questa coscienza, la distanza cioè tra noi e Dio, ma anche la vicinanza di lui a noi. Nel perdono di Dio è il fondamento della nostra vita.

Signore, la nostra fede è fragile e povera, ma donaci quella del padre Abramo, Kyrie, elèison!

Cristo, perdona le nostre cecità e durezze: donaci l’abbandono del figlio Isacco, Christe, elèison!

Signore, se non tocchiamo non siamo capaci di credere, purifica il nostro cuore, Pnèuma, elèison!

Cristo risorto, purificaci lo sguardo perché possiamo vederti trasfigurato, Christe, elèison!

Dio onnipotente che ha chiamato Abramo a immolare il suo figlio unigenito, Isacco, per prefigurare il mistero dell’immolazione sulla croce del Figlio suo Gesù Cristo, per i meriti dei santi patriarchi Abramo e Isacco e per i meriti di Gesù nostro salvatore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

[Non si dice il «Gloria»]

Preghiamo (colletta). O Dio, Padre buono, che non hai risparmiato il tuo Figlio unigenito, ma lo hai dato per noi peccatori; rafforzaci nell’obbedienza della fede, perché seguiamo in tutto le sue orme e siamo con lui trasfigurati nella luce della tua gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. 

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18. Il racconto del sacrificio di Isacco ha una storia lunga. In origine forse serviva per spiegare l’esistenza del Monte Moria come «montagna sacra» su cui successivamente sarebbe sorto il Tempio di Gerusalemme. Oggi corrisponde alla Moschea dorata che sorge dove prima sorgeva il Santo dei Santi del Tempio. Nel testo confluiscono almeno due tradizioni: quella jahvista (chiama Dio sempre col nome di YHWH) e quella elohista (chiama Dio sempre col nome di Elohìm). Successivamente lo scopo di questo racconto fu di convincere il popolo a cessare i sacrifici dei figli (cf Gdt 11,29-40; 2Re 16,3; 21,6; Dt 12,31; Ger 7,31; 19,5; 32,35), molto sviluppati nei secoli VIII e VII a.C. La Toràh d’Israele afferma che ogni primogenito è figlio di Dio e quindi sua proprietà (Es 22,28-30) per cui imponeva di riscattarlo con un sacrificio sostitutivo (Es 34,19-20; Dt 15,19-23). Isacco è figura di Cristo che volontariamente si offre alla morte in riscatto dei figli perduti e ora redenti nel suo sangue.

Dal libro della Genesi Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18

In quei giorni, 1Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 2Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. 10Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. 11Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». 12L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». 13Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 15L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, 17io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 116/115, 10; 15; 16-17; 18-19. Il Talmud di Babilonia (Rosh Hashanà 16b-17a) spiega che questo salmo descrive il giudizio finale della risurrezione dei morti. I salvati intoneranno questo canto che nella Bibbia ebraica inizia con le parole: «Io amo Hashem/il Nome (= Dio) perché ascolta la mia voce, le mie suppliche». Al v. 17 si parla di «sacrificio di lode»: la preghiera di lode è posta sullo stesso piano del sacrificio espiatorio. Pregare è offrire la propria vita in riscatto dell’umanità.

Rit. Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

 

1. 10Ho creduto anche quando dicevo:
«Sono troppo infelice».
15Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.

2. 16Ti prego, Signore, perché sono tuo servo;
io sono tuo servo, figlio dellla tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
17A te offrirò un sacrificio di ringraziamento

e invocherò il nome del Signore.

3. 18Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo,
19negli atri della casa del Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.

 

Seconda lettura Rm 8,31b-34. Il capitolo 8 della lettera ai Romani termina con un inno all’amore di Dio, di cui il brano di oggi riporta le prime due strofe (vv. 31-32 e 33-34), mentre le altre due strofe assenti riguardano i nemici di questo amore (vv. 35-37; 38-39). Paolo immagina i cristiani davanti al tribunale di Dio, quando insieme alla lotta finale tra bene e male si sveleranno le debolezze e i tradimenti, ma alla fine l’ultima parola sarà ancora dell’Amore che intercede ad opera di colui che Dio stesso ha «suscitato» come Salvatore (v. 34).

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani

Fratelli e Sorelle, 31se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! - Parola di Dio.

Vangelo Mc 9,2-10. Il contesto di questo racconto è la festa ebraica delle capanne o Sukkôt (da sukkàh-capanna), detta anche, in latino, festa dei tabernacoli. Gli Ebrei per l’occasione andavano nel deserto e per una settimana abitavano in capanne provvisorie (v. 5) per ricordare la permanenza dopo l’uscita dall’Egitto e la sosta al Sinai. In questa festa il popolo acclama idealmente il Messia intronizzato su un trono di splendore e di luce (v. 3) che richiama le acclamazioni parallele dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme tra cori festanti con rami di palme e mantelli, altri elementi caratteristici della festa della capanne (cf Mt 21, 1-11). Elia ed Mosè, sono i testimoni previsti dalla legge (Dt 17,6; 19,15; Mt 18,16) per dare validità giuridica all’avvenimento e rappresentano la tradizione ebraica personificata nella profezia (Elia) e nella Toràh (Mosè). Per noi oggi è l’Eucaristia il monte della Trasfigurazione e la tenda in cui il Messia ci accoglie per darci la Parola e la Luce.

Acclamazione al Vangelo Cf. Mc 9, 7

Lode e onore a te, Signore Gesù! Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre: / «Questi è il mio Figlio, l’amato: ascoltatelo!». Lode e onore a te, Signore Gesù!

Dal Vangelo secondo Marco Mc 9,2-10

In quel tempo, 2Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. 9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Due tradizioni si fondono nel racconto del sacrificio di Isacco: la jahvista e la elohista (cf Gen 22,1-13, qui però mancano i vv. 3-8) che segnalano una pratica diffusa in Oriente come in ogni cultura primitiva, e cioè il sacrificio umano come propiziazione della divinità. Un altro caso biblico simile al sacrificio di Isacco è quello della figlia del giudice Iefte che fa voto di sacrificare la prima persona che incontrerà al suo ritorno a casa. Ad andargli incontro è la figlia, l’unica figlia6. Il mondo greco conosce la tragedia di Euripide, «Ifigenia in Tauride»7, un racconto molto simile a quello biblico che è molto più antico di almeno due/cinque secoli: è il segno di una universalità culturale e cultuale, uniformemente diffusa in tutte le latitudini e longitudini.

Il racconto biblico rappresenta una novità perché non solo si scosta dalle usanze, ma contesta il rito e il costume del sacrificio umano come non corrispondente alla natura della fede. Da una parte vi è il sacrificio e dall’altra la fede, cioè la certa speranza che il Dio che aveva fatto nascere Isacco quando Abramo aveva cent’anni e Sara sua moglie era avvizzita, non sarebbe mai venuto meno alla sua promessa di rendere il patriarca n numeroso come la sabbia del mare o le stelle del cielo (Gen. 12,1-4; 15, 4-6; 17,1-8). Abramo non considera «suo» nemmeno il figlio «unigenito» Isacco perché lo ha ricevuto nella vecchiaia come un dono inatteso e come dono lo restituisce ora che gli è richiesto, rimettendo se stesso, il suo futuro, il suo destino nelle mani di Dio senza chiedere spiegazioni perché a Dio non si chiede conto del suo agire. Abramo è talmente immerso nella fedeltà al suo Dio che non dubita di lui, anche se non capisce le ragioni di ciò che sta accadendo. La fede spesso cammina nel buio più totale, affidandosi solo all’esilissimo filo di una Parola che di per se stessa è fragile: può svanire in ogni istante se non si ha nella propria interiorità un moto di mare che permetta all’eco della Parola di muoversi e riposarsi. Non capisce il disegno di un Dio che aveva promesso una posterità numerosa come le stelle del cielo(cf Gen 17,1-8) e che ora gli chiede l’unico figlio che quella posterità avrebbe dovuto garantire: Dio decisamente è contraddittorio.

Abramo a differenza di Giobbe, si affida alla roccia della fedeltà di Dio: se Dio ha promesso e se ora chiede indietro, sa quello che fa; basta fidarsi e affidarsi. Abramo si fifa e si affida. Ancora una volta, «Abramo partì» verso il futuro, senza sapere dove andasse, certo di non smarrirsi perché egli segue le tracce di Dio che lo ha chiamato, di cui comprenderà le ragioni, quando tutto accadrà (cf Gen 12,1-4). Da questo punto di vista, rileviamo che la Bibbia è una contestazione della religione esistente e delle sue liturgie e accredita un «Dio nuovo» che ama la vita in modo assoluto. Il racconto è «teologico» più che storico. L’archeologia infatti non ha ancora trovato nulla su Abramo e Isacco, perché le scoperte si fermano a Giacobbe, il figlio minore di Isacco. Si potrebbe dire che questa pagina è una svolta nella storia dell’umanità: qualche secolo dopo scopriremo che il Dio di Isacco è il Dio di Gesù Cristo: egli offre il suo sangue in riscatto della vita dei suoi figli.

La tradizione cristiana dei Padri della Chiesa ha visto nell’aqedàh/legatura di Isacco, l’anticipo della legatura/crocifissione di Cristo e nella legna caricata sulle spalle di Isacco che sale al monte del suo sacrificio, l’immagine della croce caricata sulle spalle di Gesù che sale al monte Calvario per offrire come Isacco la sua vita in obbedienza alla volontà del padre e a favore dei suoi discendenti8. Gen 22,2 è di una intensità psicologica unica che anche il grande biblista e padre della Chiesa, Origine, ne rileva con finezza la profondità9. Il testo dice: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».

Nessun testo di psicologia ha mai conosciuto un crescendo così teso e così intenso di drammatica tenerezza e sconvolgente durezza. Musicalmente si dice che è un crescendo, dal pianissimo al fortissimo: Dio non chiede il figlio di Abramo perché per questo bastava dire: «prendi tuo figlio». Egli vuole di più: esige la coscienza del padre che deve sapere di «donare» il figlio senza sconti, in tutta la lacerazione della consapevolezza. Per il padre di un figlio unico custodito con tutti i riguardi (Isacco non uscirà mai dai confini della sua tribù) quelle parole erano sufficienti a farlo morire. Dio aggiunge: «tuo figlio, il tuo unico figlio». Il coltello si affonda nella piaga e Abramo deve assaporare fino in fondo la tragedia della separazione. Quell’«unico» racchiude tutta la vita di Abramo, le sue speranze, il futuro, le fatiche passate, l’angoscia riscattata nella vecchiaia dalla nascita insperata di quell’unico figlio che avrebbe dato a lui una discendenza più numerosa delle stelle del cielo. Non c’è logica in tutto questo. Non ancora soddisfatto della prova, Dio prosegue: «tuo figlio, il tuo unico figlio, che ami».

Chi parla non è un Dio, ma un torturatore sanguinario che si diverte a prolungare la morte di Abramo. Come se un figlio può non essere amato, come se Isacco potesse essere indifferente, egli che è il frutto dell’ardente amore di desiderio. Sì, Abramo ama il figlio e ora questo amore deve essere immolato con la carne del figlio ad un Dio incomprensibile e illogico. Abramo è gonfio di emozione e vorrebbe essere altrove, si sente scarnificato, ma non è finita: egli deve bere il calice della morte fino all’ultima goccia, fino al fiele. Dio infatti, non pago di avergli chiesto l’unico figlio amato, ora insiste con il colpo di grazia: «tuo figlio, il tuo unico figlio, che ami, Isacco». Il nome esplode come un colpo di lancia nel cuore di Abramo. Quel nome tante volte pronunciato, quel nome che definiva un volto, un sorriso, una passione, quel nome ora è sinonimo di morte e sangue, la parola più temuta e sofferta dal padre che si rassegna alla volontà impietosa e omicida di un Dio esigente che intende sradicare tutto, anche gli affetti più sani tra lui e Abramo. Gesù nel NT dirà parole simili: «Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me» (Mt 10,37). Il Dio degli Ebrei e dei Cristiani è esigente, non si accontenta degli avanzi, ma vuole tutto, senza sconti, vuole il centro e la periferia del nostro essere. Vuole tutto per darsi tutto a chi ne è degno e pronto. Abramo è pronto e ne è degno.

Il vangelo riporta il racconto della trasfigurazione secondo Mc che più di Mt e Lc mette in luce i presentimenti di Gesù sulla sua morte e la sua glorificazione. Gesù si trova sulle rive del Mediterraneo a Cesarea di Filippo dove vi è stata la professione di fede e la ribellione di Pietro (8,27-33): Gesù ha annunciato la sua prossima morte e risurrezione (v. 31), ma Pietro lo contesta e vuole distoglierlo (v. 32) perché non concepisce che il Regno glorioso di Dio passi dalla sofferenza ed alla morte (vv. 32-33). Gesù si sposta verso la Galilea passando per la Samarìa. Gli Ebrei celebrano la festa delle capanne che prevede un rituale d’introniz-zazione del Messia e Gesù ne approfitta per convincere i suoi discepoli che egli potrà essere Messia di gloria solo attraverso la sofferenza. I tre apostoli che sono i testimoni garanti degli eventi importanti della vita di Gesù nella trasfigurazione prendono coscienza che Gesù è veramente il Messia e questa coscienza si manifesta nella Festa delle tende (Sukkôt) che è la festa nella quale vi è un rito di intronizzazione del Messia. Diversi elementi testimoniano che ci troviamo durante la festa giudaica di Sukkôt:

  • menzione dei «sei giorni» (v. 2): erano la durata ufficiale della festa, ma che veniva prolungata al settimo e in alcuni casi all’ottavo per dare il tempo a coloro che fossero lontano di ritornare;

  • l’«alto monte» (v. 2) e la nube (v. 7) sono sempre presenti nelle teofanie, ma sono caratteristiche tipiche di questa festa;

  • le tende che Pietro vuol costruire (v. 5) richiamano le tende sotto cui gli Ebrei dimoravano nel deserto durante tutta la festa di Sukkôt.

  • Elia, il profeta che Mc cita prima di Mosè al contrario degli altri sinottici (Mt 17,3; Lc 9,30) perché era il profeta che doveva precedere il Messia (Lc 1,17; 9,8);

Questo racconto è parallelo a quello dell’ingresso di Gesù che vivremo fra tre domenica nel giorno delle «Palme», quando Gesù entra in Gerusalemme osannato Messia dalla folla che celebra la stessa festa di Sukkôt (cf Mt 21,1-11). Il messaggio del vangelo è chiaro: Gesù è veramente il Messia che di anno in anno il popolo festeggia nella festa di Sukkôt anticipandone la venuta e glorificandolo in un tripudio di luce splendente (simbologia della veste bianca del v. 3). L’apocrifo, Il libro dei Giubilei, detto anche Piccola Genesi (secc. II-I a.C.) prevedeva che il Messio atteso e celebrato nella festa di Sukkôt sarebbe stato un Messia sofferente. Al,meno un secolo prima di Cristo, l’idea della redenzione messianica attraverso la sofferenza era dunque diffusa. D’altra parte non era assente nemmeno prima, se solo pensiamo al 4° carme del Servo di Yhwh (Is 53,1-12). Il contesto della festa della trasfigurazione da una parte è formato dalla festa ebraica di Sukkôt con tutto ciò che essa evoca (il deserto, l’alleanza, la Toràh) e dall’altra dagli annunci della passione e morte che Gesù stesso si preoccupa di dare ai suoi apostoli. In 8,31-38, non appena Pietro lo chiama «Cristo», Gesù gli risponde parlando della sua prossima passione e morte, quasi che fosse preoccupato che capissero bene quale sarebbe stata la posta. Gesù non corrisponde all’identikit del Messia come era di fatto atteso dalle diverse correnti: un messia sacerdote della stirpe di Aronne e un messia laico della stirpe di Davide (queste due prospettive messianiche si trovano anche nella letteratura di Qumran10.

Cosa dice a noi oggi questo testo? Possiamo essere ammaliati dalla luce che brilla sul monte e possiamo ubriacarci tanto di luce da volerci distaccare dalla missione che sta là in fondo alla montagna dove uomini e donne fanno fatica a riconoscere Dio perché incapaci di ritrovarsi come figli, fratelli e sorelle. Siamo mandati nel mondo non per restarcene comodi nelle tende di Pietro, ma per trasfigurare le strutture del mondo trasformandole dall’interno perché diventino supporti di sostegno per una umanità che cerca di salire sull’«alto monte» di Dio. Come possiamo trasformare il mondo se ce ne stiamo chiusi nel comodo e nella beatitudine delle tende di Pietro? Il cristiano non ha né sicurezze né comodità, egli conosce solo la via del suo Signore che non è venuto per essere servito, ma per servire (Mc 10,45). Servire! Non in qualsiasi modo, ma in un modo solo, quello di Cristo: attraverso la sofferenza e la passione, vie maestre verso la trasfigurazione e la gloria. Ancora una volta Gesù ci stordisce perché cambia i contenuti della nostra attesa: egli viene in mezzo a noi, ma non corrisponde a quello che noi vogliamo: ci costringe a prendere coscienza che la sua via non è la via dell’ovvio e del tradizionale, ma la strada della novità continua. Per vederla dobbiamo essere capaci di stupore e talmente trasfigurati da essente in grado di trasformare il mondo intero.

Nell’Eucaristia avviene una trasfigurazione e si compie l’incarnazione quotidiana, eppure la maggior parte dei cristiani non se ne accorge. La Messa è diventata una pia pratica di pietà, un rito da compiere per pagare il pedaggio a Dio in cambio di qualche cosa o della nostra buona coscienza. La Messa è la rivoluzione di Dio perché Egli viene a noi non nella pompa delle vesti e del lusso, ma nella povertà assoluta di un pane e di un calice pronti a sfamare la fame e a dissetare la sete. Qui c’è il Dio che tuona sul Sinai, qui c’è il Dio del monte Moria, ma questa volta non ferma la mano di Abramo per risparmiare Isacco, questa volta la morte è reale e il nuovo Isacco, Dio stesso, versa tutto il suo sangue e distribuisce tutta la sua vita nei frammenti del pane e negli spezzoni della Parola perché ciascuno di noi possa vivere di questa vita donata e donata per sempre. Se solo comprendessimo la teo-drammatica (Hans Urs van Balthasar) dell’Eucaristia, noi resteremmo sconvolti come Mosè sul Sinai e non ce ne separeremmo mai. Da qui, da questo altare che è la sintesi del Monte Moria e del Monte Calvario, noi guardiamo al mondo che Dio ama e su esso come anche su di noi riversiamo la benedizione dei meriti di Abramo,di Isacco e di Gesù Cristo.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera universale

LITURGIA EUCARISTIACA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Questa offerta, Signore misericordioso, ci ottenga il perdono dei nostri peccati e ci santifichi nel corpo e nello spirito, perché possiamo celebrare degnamente le feste pasquali. Per Cristo nostro Signore. Amen!

PREGHIERA EUCARISTICA III11

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. É cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. 

Egli non ha risparmiato il Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, e ci donerà ogni cosa insieme con lui (cf Rm 8, 32)

Egli, dopo aver dato ai discepoli l'annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria  e chiamando a testimoni la legge e i profeti  indicò agli apostoli che solo attraverso la passione  possiamo giungere al trionfo della risurrezione.

Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime ... E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù (cf Mc 9, 2-4).

E noi uniti agli angeli del cielo acclamiamo senza fine la tua santità, cantando l'inno di lode:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.

Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.

Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

Abramo costruì l’altare, collocò la legna, stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio (Gen 22,9-10).

Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.

Dice il Signore ad Abramo: Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce (cf Gen 22,16.18).

Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

«Disse Isacco ad Abramo suo padre: “Padre, legami bene perché non accada che io opponga resistenza, che la mia offerta divenga irregolare e siamo gettati entrambi nel baratro della perdizione del mondo futuro”» (Targum Gen 22).

Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

«Venne dal cielo una voce: “Venite a vedere i due soli giusti al mondo: uno immola, l’altro è immolato. Colui che immola non esita, colui che è immolato tende la gola”» (Targum Gen 22).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» (Mc 9, 7).

Mistero della fede.

Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua passione. Salvaci, o Redentore del mondo!.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
«Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo, negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme» (Sal 116/115, 18-19).

Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.

Cristo Gesù, che è morto, anzi, è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? (cf Rom 8,34).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.

«Gli occhi di Abramo erano fissi negli occhi di Isacco e gli occhi di Isacco erano rivolti agli angeli del cielo. Isacco li vedeva» (Targum Gen 22).


Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell'amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa ..., il nostro Vescovo ..., il collegio episcopale, tutto il clero e il popolo che tu hai redento.

«E ora, disse Abramo in preghiera: quando i figli di Isacco si troveranno in pericolo, ricordati, Signore, del sacrificio di Isacco loro padre e ascolta la voce della loro preghiera; esaudiscili e liberali da ogni pericolo» (Targum Gen 22)

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

A te offriremo sacrifici di lode e invocheremo il nome del Signore (Sal 116/115, 17).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.

«Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli» (Sal 116/115, 15).

[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in aramaico (Mt 6, 9-13)

[Quando Gesù ha insegnato il «Padre nostro» lo ha insegnato nella lingua parlata in cui era stata educato da Maria e Giuseppe, le lingua aramaica].

In comunione con tutti i cristiani sparsi nel mondo, con quelli di ieri, d oggi e anche di domani, idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo nella stessa lingua di Gesù e degli Apostoli, dicendo:

 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Mt 17,5): «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!».

Dopo la comunione

Dal Targum di Gen 22

«Abramo disse: “In presenza di Jahvé è stato preparato per lui un agnello per l’olocausto” (tr. CEI: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto”). Ed essi camminavano tutti e due con cuore integro... Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare Isacco suo figlio. Isacco prese la parola e disse ad Abramo suo padre: “Padre, legami bene perché non accada che io opponga resistenza, che la mia offerta divenga irregolare e siamo gettati entrambi nel baratro della perdizione del mondo futuro”. Gli occhi di Abramo erano fissi negli occhi di Isacco e gli occhi di Isacco erano rivolti agli angeli del cielo. Isacco li vedeva. Abramo non li vedeva. Allora venne dal cielo una voce che diceva: “Venite a vedere i due soli giusti al mondo: uno immola, l’altro è immolato. Colui che immola non esita, colui che è immolato tende la gola…”. “E ora, disse Abramo in preghiera, quando i figli di Isacco si troveranno in pericolo, ricordati, Signore, del sacrificio di Isacco loro padre e ascolta la voce della loro preghiera; esaudiscili e liberali da ogni pericolo”».

Dall’apocrifo «La Caverna del Tesoro» (29,1-9; 49,1-24)

[Golgotha] “49 1 Sappi dunque che in tutto il Messia era uguale ad Adamo, come sta scritto. 2 In quel luogo, ove Melchisedek serviva come sacerdote, dove Abramo condusse suo figlio Isacco per il sacrifico, proprio là fu innalzato l’albero della croce. 3 Questo luogo è il punto centrale della terra, e là s’incontrano le quattro parti. 4 Poiché quando Dio creò il mondo, la sua potenza lo precedette qui, la terra lo seguì qui. 5 Là sul Golgotha si arrestò la potenza di Dio e riposò, e là si riunirono le quattro parti del mondo; questo luogo forma i confini della terra. 6 Quando Sem condusse il corpo di Adamo, quel luogo era la porta della terra, essa si aprì. 7 Dopo che Sem e Melchisedek ebbero deposto il corpo di Adamo nel punto centrale della terra, le quattro parti si ricongiunsero e ricoprirono Adamo. 8 La porta si richiuse, perché nessuno dei figli di Adamo la potesse aprire. 9 Quando su di essa fu innalzata la croce del Messia, la croce del redentore di Adamo e della sua discendenza, la porta di quel luogo si aprì su Adamo. 10 E quando sullo stesso fu piantato l’albero della croce e il Messia ottenne la vittoria con la lancia, dal suo fianco sgorgò sangue ed acqua, scese giù nella bocca di Adamo e fu per lui come un battesimo, e così egli fu battezzato… 23 L’apostolo Paolo si preoccupò che i popoli sapessero qual’era la potenza della croce che aveva l’altezza, la profondità, la lunghezza e l’ampiezza del mondo [Ef 3,17-19]. 24 Quando sollevarono il Messia, luce che illumina l’intera terra, e lo deposero sul luminare della croce, svanì e si oscurò la luce del sole, e una cappa di tenebre si stese su tutta la terra”.

 

Preghiamo. Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri, ti rendiamo fervide grazie, Signore, perché a noi ancora pellegrini sulla terra fai pregustare i beni del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi. Amen.

Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male. Amen.

Il Signore sia sempre accanto a voi per consolarvi e confortarvi. Amen.

Vi benedica l’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

© Domenica 2a di Quaresima-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 04/03/2012 – San Torpete – Genova

AVVISI

Sabato 17 marzo 2012, ore 17,30: Francesco D’Orazio, Violino – Giorgio Tabacco, Fortepiano

Dal tardo Barocco al Classicismo - Musiche di C.P.E. Bach, F.J. Haydn, W.A. Mozart.

Domenica 18 marzo 2012 ore 10,00 Messa di trigesima di Costantino Incognito, meccanico di via Peschiera, ucciso dall’Opera (em)Pia «Istituto Negrone Durazzo Brignole Sale» che lo ha sfrattato all’età di 92 anni, nel silenzio della Curia della Diocesi di Genova.

Note

1 Il primo Tempio fu costruito da Salomone nel sec. X a.C. e fu distrutto nel 586 a.C. dal babilonese Nabucodònosor, fu ricostruito nel 538 per mandato del persiano Ciro il Grande (590 a.C. – 529 a.C.). Nel sec. I a.C. Erode il Grande (73 a.C. – 4 a.C.), per ingraziarsi il favore degli Ebrei, lo ricostruì più sontuoso e imponente; i lavori durarono quarant’anni e furono il volano dell’economia di tutto il paese. E’ il 2° Tempio, conosciuto da Gesù. Di esso oggi resta solo il Muro Occidentale (Western Wall, in ebraico HaKotèl HaMa'aravi –Muro del Pianto). Il monte è sacro anche per i Musulmani che lo chiamano al-Buràq (cavallo alato) in ricordo del viaggio spirituale che nel 620 d.C. Maometto fece sul monte trasportatovi da un cavallo alato (cf Corano, Sura XVII: Al Isrâ’- Il viaggio notturno). Sopra questo muro sorge oggi la moschea della «Cupola della Roccia» (in arabo: Qubbèt es-sakrà, detta anche Moschea di Omar , e vicino, sullo stesso piazzale la Moschea El-Aqsa (La seconda/L’altra), iniziata nel 685 d. C. dal califfo della dinastia degli Omayyadi ‘Abdul Malik ibn Marwan e terminata dal figlio Al-Walid I nel 705 D.C.

2  «Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni» (Corano, Sura XVII,1)

3 «29 3Isacco aveva ventidue anni quando il padre lo prese con sé e lo fece salire sul monte Jebus da Melchisedek, servo del Dio Altissimo. 4Il monte Jebus infatti è la montagna degli amorrei e su questo luogo fu eretta la croce del Messia…6Questo luogo è il punto di mezzo della terra, la tomba di Adamo, l’altare di Melchisedek, il Golgota, il luogo della testa e il Gabbatha. 7Là Davide vide l’agnello che reggeva la spada di fuoco. 8 E là Abramo condusse suo figlio Isacco, per offrirlo in olocausto. E vide la croce del Messia e la redenzione del nostro padre Adamo. 9L’albero era il simbolo della croce di nostro Signore, il Messia, e l’agnello fra i suoi rami era il segreto dell’incarnazione dell’unico Verbo».

4 In linea d’aria si trova a circa 20 km a sud ovest del lago di Tiberiade e a 7 km a sud ovest di Nàzaret, a 660 m.s.l.m. da cui si domina tutta la piana di Esdrelon, la biblica «Izreel – Dio semina» ai confini tra la Galilea e la Samarìa. Il Tabor segnava il confine fra i territori delle tribù di ìssacar e Zàbulon (Gs 19,22; 1Cr 6,77). Il giudice Baràk della tribù di Neftali, spinto dalla profetessa Debora, muove guerra contro Sìsara, generale del re cananeo di Hazor, raduna i suoi uomini sul monte Tabor e da qui piomba addosso al nemico e lo mette in fuga (Gdc 4,6,12,14). Su questo monte Zeba e Salmunna uccisero i fratelli di Gedeone (Gdc 8,18-19). Saul incontrò tre uomini alla quercia di Tabor, come fu profetizzato il giorno in cui fu unto re (1Sam 10,3). C’era un santuario sul Tabor (Os 5,1). Il Salmista (Sal 89/88,13) cita il Tabor e l’Ermon per esemplificare la magnificenza di Dio creatore, mentre il profeta paragona la stabilità della potenza di Nabucodonosor, re di Babilonia, a quella del Tabor, solido tra i monti (Ger 46,18). Forse ad esso si accenna in Dt 33,18-19.

5 «Dio disse a Gabriele: “Va’ a prenderMi un poco di polvere ai quattro angoli della terra: con essa Io creerò l’uomo”» (Ginzberg, Le leggende degli ebrei I, 65. Vi sono anche tradizioni con varianti: «1La creazione dell’uomo avvenne nella seguente maniera… 7 Poi videro [gli angeli] che da tutta la terra raccolsero un pugno di polvere, da tutte le acque attinse qualche goccia, da tutta l’aria ne prese un soffio e da tutto il fuoco ne trasse un po’ di calore… 9 Poi Dio plasmò Adamo» (La Caverna del Tesoro 2, in L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, 50; cf DEJ, 20-21). Altre tradizioni fanno provenire la polvere della creazione di Adam dalla zona del tempio (Targum Gionata a Gen 2,7; 3, 23; Pirkè di R. Eliezer 11,2 e 12,1; Talmud Jerushalmì Nazir 7,56b; Gen Rabbà 14,8 dà la ragione di questa scelta: dallo stesso luogo sarebbe arrivata a Israele l’espiazione dei peccati; cf anche Bagatti-Testa Il Golgota e la Croce, 17 e 109).

6 Dal libro dei Giudici, 11, 30-40:

«30Iefte fece voto al Signore e disse: “Se tu mi consegni nelle mani gli Ammoniti, 31chiunque uscirà per prima dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io l`offrirò in olocausto”. 32Quindi Iefte raggiunse gli Ammoniti per combatterli e il Signore glieli consegnò nelle sue mani. 33Egli li sconfisse da Aroèr fin verso Minnit, prendendo loro venti città, e fino ad Abel-Cheramìn. Così gli Ammoniti furono umiliati davanti agli Israeliti. 34Poi Iefte tornò a Mispa, a casa sua; ed ecco uscirgli incontro la figlia, con tamburelli e danze. Era l’unica figlia: non aveva altri figli, né altre figlie. 35Appena la vide, si stracciò le vesti e disse: “Figlia mia, tu mi hai rovinato! Anche tu sei con quelli che mi hanno reso infelice! Io ho dato la mia parola al Signore e non posso ritirarmi”. 36Essa gli disse: “Padre mio, se hai dato la tua parola al Signore, fa’ di me secondo quanto è uscito dalla tua bocca, perché il Signore ti ha concesso vendetta sugli Ammoniti, tuoi nemici”. 37Poi disse al padre: “Mi sia concesso questo: lasciami libera per due mesi, perché io vada errando per i monti a piangere la mia verginità con le mie compagne”. 38Egli le rispose: “Va’!”, e la lasciò andare per due mesi. Essa se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. 39Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli compì su di lei il voto che aveva fatto. Ella non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza: 40le fanciulle d’Israele vanno a piangere la figlia di Iefte il Galaadita, per quattro giorni, ogni anno».

7 La tragedia «Ifigenia in Tàuride» di Euripide fu rappresentata per la prima volta nel 406 a.C.: Agamennone re degli Achei per propiziare i venti favorevoli alla sua flotta prima di partire per la guerra di Troia, sacrifica a Diana la figlia Ifigenia su invito dell’indovino Calcante che suggerisce il sacrificio di ciò che di più bello fosse nato durante l’anno. Quell’anno era nata la figlia di Agamennone Ifigenia la cui bellezza era straordinaria, tanto che Dante la cita nella Commedia: «pianse Ifigenia il suo bel volto» (Parad. V,70). La dea Diana però la sostituì con una cerva trasferendo la vittima in Tauride dove la consacrò sua sacerdotessa. Per il testo, cf Euripide, Ifigenia in Tàuride e Ifigenia in àulide, Rizzoli, Milano 1988.

8 «Dopo ciò, Abrahamo prese la legna per l'olocausto, vi pose sopra Isacco suo figlio, e prese nelle sue mani il fuoco e la spada, e si avviarono insieme (Gen 22,6). Per il fatto che Isacco si porta lui stesso la legna per l'olocausto, è figura del Cristo che si portò lui stesso la croce (Gv 19,17); e tuttavia portare la legna per l'olocausto è compito del sacerdote; diviene cosi insieme vittima e sacerdote. Ma anche l’aggiunta: E si avviarono tutti e due insieme , si riferisce a ciò: infatti, mentre Abrahamo, che si accingeva a sacrificare, portava il fuoco e il coltello, Isacco non va dietro a lui, ma con lui, affinché appaia che egli, con lui, parimenti funge da sacerdote. Cosa avviene dopo questo? Isacco disse ad Abrahamo suo padre: Padre (Gen 22,7). In questo momento la voce che proviene dal figlio è una tentazione. Infatti come pensi che il figlio, che doveva essere immolato, abbia scosso le viscere paterne con questa voce? E benché Abrahamo fosse così inflessibile in grazia della fede, tuttavia anch'egli ricambiò una parola d'affetto e disse: Cosa c'è, figlio? E lui: Ecco il fuoco e la legna, ma dov'è la pecora per l'olocausto? (Gen 22,7) Abrahamo rispose: Dio stesso si provvederà la pecora per l'olocausto, figlio (Gen 22,8). Mi commuove la risposta di Abrahamo, così attenta e cauta; non so quel che vedeva in spirito, perché non riguardo al presente, ma al futuro dice: Dio stesso si provvederà la pecora : al figlio che gli domanda del presente, risponde le cose future. Infatti il Signore stesso si provvederà la pecora nel Cristo, poiché anche la sapienza stessa si è edificata una casa (), ed egli ha umiliato se stesso fino alla morte (Fil 2,8); e troverai che tutto quello che leggi del Cristo, è stato fatto non di necessità, ma liberamente» (Origene, Omelie sulla Genesi, VIII, 6). Cf anche Clemente di Alessandria, Pedagogo I,23; Stromata I,31; II,20; Clemente Romano, Lettera ai Corinzi,10; Melitone da Sardi, Omelia sulla Pasqua (Perì Pascha) 59; Pseudo-Barnaba, Epistola 7,3; Tertulliano, Contro Marcione III,18,2; Contro i Giudei 13,20; Sulla Preghiera 8,3; Contro Prassea 16,4; in generale, cf L.Cignelli, «The sacrifice of Isaac in Patristic exegesis», in F. Manns ,ed., The Sacrifice of Isaac in the Three Monotheistic Religions. Proceedings of a Symposium on the Interpretation of the Scriptures held in Jerusalem (March 16-17, 1995), Franciscan Printing Press, Jerusalem 1995, 124-125); M.Harl, «La “Ligature” d’Isaac (Gen 22,9) dans la Septante et chez le Pères Grecs», in Hellenica et Judaica, Paris 1986, 457-472.

9 «Ma intanto ora Dio tentava Abrahamo, e gli dice: Prendi il tuo figlio carissimo, che ami (Gen 22,1-2); non gli era bastato aver detto figlio, ma aggiunge anche carissimo; sia pure, ma perché aggiunge ancora: che ami? Considera la gravità della tentazione: mediante questi dolci e cari nomi, di nuovo e più volte ripetuti, sono eccitati i sentimenti del padre, affinché, essendo ben desta la memoria dell'amore, la destra del padre sia trattenuta nell'immolare il figlio, e tutta la milizia della carne faccia lotta contro la fede dell'anima. Prendi, dice dunque, il tuo figlio carissimo, che ami, Isacco ; sia pure, Signore, che tu ricordi il figlio al padre; aggiungi anche carissimo di colui che comandi di uccidere; basti questo al supplizio del padre; di nuovo aggiungi anche che ami; pure in questo siano triplicati i supplizi del padre; ma che bisogno c'è ancora che tu ricordi anche Isacco? Forse che Abrahamo non sapeva che quel suo figlio carissimo, colui che egli amava, si chiamava Isacco? Ma perché si aggiunge ciò a questo punto? Perché Abrahamo si ricordasse che gli avevi detto: In Isacco si chiamerà per te la discendenza, e in Isacco saranno per te le promesse. Viene anche ricordato il nome, affinché subentri la disperazione nei confronti delle promesse che erano state fatte in questo nome» (Origene, Omelie sulla Genesi, VIII,2)

10 Per il Messia sacerdote della stirpe di Aronne, cf 1QS,IX,11; CD XII;23-XIII,1; XIX,10-11; XX,1; per il Messia davidico-laico cf CD VII,16-21; II QMelch,18.

11 La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.



Giovedμ 01 Marzo,2012 Ore: 16:43
 
 
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