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www.ildialogo.org Domenica 7a per annum – B – 19 febbraio 2012,di Paolo Farinella, prete

Domenica 7a per annum – B – 19 febbraio 2012

di Paolo Farinella, prete

In questa 7a domenica del tempo ordinario-B, troviamo Gesù nella città di Cafàrnao. Dal vangelo di Mt sappiamo che Gesù «lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare nel territorio di Zàbulon e di Nèftali» (Mt 4,12)1. E’ una indicazione geografica preziosa e precisa e deve avere un valore importante, se quasi tutte le altre notizie geografiche sono generiche e spesso atemporali: «in quel tempo … allora …». Cafàrnao è la città scelta da Gesù per la sua attività missionaria in Galilea tanto che Mt si lascia prendere dall’entusiasmo e afferma che era «la sua città» (Mt 9,1). Gesù emigra perché Nàzaret è chiusa tra le montagna ed è tagliata fuori dalle vie di comunicazione; queste condizioni geografiche gli impediscono il ministero dell’incontro. Cafàrnao, invece, è una città situata lungo la grande arteria che dall’Egitto arriva fino a Damasco: essa quindi permette di incontrare un immenso mondo variegato e multietnico. L’incontro, il rapporto fisico tra le persone, misurarsi lo sguardo e le reazioni sono momenti essenziali anzi propedeutici all’incontro con Dio. Non può esserci incontro con Dio, trascendente, al di fuori dell’immanenza della storia e della relazione tra gli uomini. La fede non è astrazione, ma incontro, comunicazione, interscambio. In questo senso, Cafàrnao è una città strategica.

Nello stesso tempo Cafàrnao è una città distante dai centri urbani come Tiberiade, capitale del regno di Erode Antìpa2. Gesù se ne stava defilato per compiere più tranquillamente la sua missione di rabbi itinerante senza richiamare troppo l’attenzione del potere politico che era colluso con quello religioso. Cafàrnao è una città cosmopolita e aperta, un laboratorio d’incontro e di tolleranza. I rapporti con i Romani, a differenza di Gerusalemme, erano improntati a cordialità: fu un centurione romano a costruire la sinagoga per gli Ebrei che nel momento del bisogno raccomandano il loro mecenate a Gesù perché gli guarisca il servo (Lc 7,1-10). Da Cafàrnao proviene la prima comunità apostolica con i primi discepoli, specialmente Pietro, la cui casa ben presto divenne centro di culto e luogo di incontro dei primi cristiani. Il riferimento evangelico di oggi «si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta» (Mc 2,2; cf 1,33) è un riferimento alla casa di Pietro3, divenuto il quartiere generale delle escursioni di Gesù «nei villaggi vicini» (Mc 1,38).

La prima lettura è tratta dal libro della consolazione del 2° Isaia che vive in esilio a Babilonia e deve consolare e confortare i suoi compatrioti depressi non solo per la condizione di schiavitù in cui si trovano, ma anche perché sono lontani da Gerusalemme e dal tempio e temono di non potervi più ritornare. Per non farsi capire dalla polizia per non farsi scoprire dai servizi di sorveglianza del potere dominante, l’autore utilizza un linguaggio simbolico; si appella all’esodo antico che descrive come prospettiva futura: in questo modo annuncia la prossima liberazione che egli paragona ad un nuovo esodo. Apparentemente per chi ascolta è una celebrazione innocua del passato, mentre in realtà è la profezia sull’oggi per preparare il domani: non si può essere depressi perché l’esodo è oggi. E’ il cuore della Parola di Dio: ciò che leggiamo non è il racconto di fatti passati che commemoriamo; annunciamo, al contrario, ciò che sta accadendo «adesso» perché la Parola di Dio ci svela il senso e il mistero di ciò che avviene e avverrà.

San Paolo, da parte sua, ci dice che la coerenza deve avere un fondamento serio e forte, altrimenti se parte da premesse sbagliate, arriverà anche a conclusioni errate. Per essere trasparenti nei comportamenti, nel linguaggio e nelle scelte, per vivere la logica del «si e no», bisogna misurarsi con il Cristo che fu solo «sì», diventando il nostro «Amen», cioè la nostra stabilità e la nostra solida verità. Oggi è urgente domandarsi se siamo cristiani coerenti con la Parola di Dio o se invece per noi credere non significhi piuttosto assumere alcuni atteggiamenti che coincidono con il nostro modo di pensare, per cui siamo cristiani a corrente alternata: quando siamo in Chiesa, non ci costa nulla esserlo; ma quando siamo fuori, sul lavoro, per le strade, allora noi stessi ci auto spendiamo e cessiamo di essere cristiani testimoni di una mistero che ci supera.

Il vangelo realizza «l’esodo» di liberazione annunciato nella prima lettura: i malati guariscono e tutti i diseredati e schiavizzati fanno ressa alla «porta» della casa/chiesa per ricevere la loro porzione di salvezza. Il fatto narrato è vivacissimo: scoperchiano il tetto per portare il malato davanti a Gesù. La fantasia dei poveri! Le case ebraiche sono in muratura leggera, quasi sempre di tufo. Il tetto è piatto fatto di terra battuta coperta da paglia o foglie secche che poggiano su travi appena appoggiati; esso è anche utilizzato come deposito e ci si può dormire la notte, specialmente d’estate. Scoperchiarlo è facile.

Ieri come oggi dobbiamo fare i conti con «il peccato» che spesso banalizziamo «cosificandolo» in azioni e gesti che sono, semmai, la conseguenza di un modo interiore di essere. Gli addetti della religione, gli scribi, hanno del peccato un concetto legalistico: è una infrazione alla legge che somiglia più ad un reato. In questo contesto Dio è un distributore di pene o di assoluzioni che si basa sul comportamento degli uomini. Con la sua risposta Gesù, libera il peccato da ogni residuo di legalismo e lo colloca nel cuore dell’essere: peccato è ciò che impedisce alla persona di essere se stessa perché se non è se stessa, in lei non può risplendere «l’immagine e la somiglianza» che Dio vi ha deposto (cf Gen 1,27); e peccare è non farsi carico del paralitico, cioè non portare i pesi degli altri (cf Gal 6,2): in altre parole non vedere Dio che è presente negli altri. Infatti solo riferendosi ai portatori, l’evangelista annota: «Gesù, vedendo la loro [plurale] fede, disse al paralitico [singolare]: “Figlio ti sono perdonati i peccati» (Mc 2,5).

Ancora una volta Gesù mette in evidenza che per capire il miracolo, cioè il «segno» della premura di Dio e accettarlo è necessaria la fede che i suoi nemici, gli scribi, non hanno e ai quali rivela il nuovo modo di agire di Dio: la guarigione è simbolo della liberazione dalla disumanità per restituire la dignità di figli di Dio. Ancora una volta, come per la suocera di Pietro (cf Mc 1,29-31). Marco mette in bocca a Gesù il vocabolario della risurrezione: «ègheire-risorgi/àlzati» (Mac 2,11). Scoperchiamo il tetto della nostra anima e, superando la folla delle nostre indecisioni, caliamo le nostre paralisi e le nostre barelle davanti a Gesù che oggi facendosi per noi Parola, Pane e Bevanda viene apposta per condurci a risurrezione e a vita nuova, dove lo Spirito Santo guiderà i nostri passi verso il nuovo esodo, la nuova Terra promessa che è la fede in Dio e nel suo Messia, il Signore Gesù. Varchiamo la soglia dell’Eucaristia con le parole del salmista (Sal 12/11,6): «Nella tua fedeltà ho confidato; esulterà il mio cuore nella tua salvezza, canterò al Signore che mi ha beneficato».

Spirito Santo, tu ci strappi alle schiavitù passate per aprirci alla novità di Dio, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu apri per noi strade sempre nuove per cercare e trovare Dio, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci prepari nel tempo della prova a celebrare le lodi del Signore, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci insegni a non stancarci mai della paternità di Dio, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il medico del debole nel giorno della sventura, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la coscienza del limite e il sollievo nella malattia, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sostieni la nostra integrità e ci fai stare alla presenza del Padre, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il testimone fedele del Padre e del Figlio in noi, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il «sì» del Padre e Figlio e il «si» del Figlio al Padre, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu raccogli il nostro «Amen» e lo presenti davanti alla Gloria, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci convochi nella comunità eucaristica per ascoltare la Parola, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu porti a Gesù ogni nostra paralisi perché egli la sciolga, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu apri il nostro cuore alla remissione dei peccati, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci aiuti a portare via il lettuccio che ci impedisce il cammino, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu alimenti in noi lo stupore per le opere compiute dal Signore, Veni, Sancte Spiritus.

Dove c’è un paralitico occorrono alcuni barellieri per portarlo. Siamo stati convocati all’Eucaristia per portare la barella su cui presentare al Signore la paralisi del mondo che parla di pace e vive di guerre, l’immobilismo della Chiesa che fa fatica a distinguere i veri dai falsi Messia, il dolore del mondo che aumenta, la piena del nostro cuore carico di attese e di fatica. Possiamo anche noi scoperchiare il tetto che si frappone tra noi e Dio e sederci accanto a lui per essere guariti e per ascoltare la sua Parola. Possiamo farlo

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Sapersi inginocchiare davanti a Dio che ha il potere di perdonare i peccati restituendo il lettuccio che imprigiona la vita, non è solo un atto di umiltà o di impotenza. Inginocchiarsi è una professione di fede: è «confessare» che Dio è Dio, creatore e Signore di cui noi vogliamo essere figli e figlie. «Confessare» non è fare la lista dei peccatucci nostri quasi che Dio tenga una contabilità usuraia: «confessare» è esercitare la profezia del «confessore», di colui cioè che testimonia con la vita e le parole Dio è sempre più grande di qualsiasi peccato (1Gv 3,20) perché egli vuole che noi viviamo, non che moriamo (Ez 3,18; 33,11; Lc17,7.10; Gv 3,16-18; 13,47). Deponiamo davanti al trono della misericordia il cesto delle nostre fragilità e debolezze e professiamo la sua signoria sulla nostra vita.

[Breve esame di coscienza: la pausa sia vera non simbolica]

Signore, tu cancelli i nostri peccati perché tu sei il nostro Creatore e Padre, Kyrie, elèison!

Cristo, ti prendi cura di noi che siamo deboli e ci carichi sulle tue spalle, Christe, elèison!

Signore, tu sei il «si» e l’«Amen» eterno del Padre, purificaci da ogni infedeltà, Pnèuma, elèison!

Cristo, tu che rimetti i peccati, rendici le gambe della fede per venirti incontro, Christe, elèison!

Dio onnipotente che consola il suo popolo in esilio, invitandolo a prepararsi al nuovo esodo; che con Paolo annuncia il vangelo della coerenza; che viene a sconfiggere il peccato che impedisce di essere se stessi, per i meriti dei profeti che hanno consolato Israele, di Paolo che ha annunciato l’«Amen» di Dio che è Gesù Cristo, per i meriti del Signore Gesù che si è dedicato alla liberazione di quanti ne avevano bisogno, abbia pietà di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). Dio della libertà e della pace, che nel perdono dei peccati ci doni il segno della creazione nuova, fa’ che tutta la nostra vita riconciliata nel tuo amore diventi lode e annunzio della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. 

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Is 43,18-19.21-22.24b-25. Il brano appartiene al libro della consolazione del 2° Isaia (sec. VII a.C,) anonimo di una scuola che sviluppa la teologia del 1° Isaia vissuto un secolo prima4. Per non farsi capire da chi li tiene in schiavitù, il profeta parla per simboli e immagini che desume dalla storia passata. Chi poteva immaginare che parlare dell’esodo significa oggi parlare della prossima, imminente approvazione. Richiamando l’esodo antico, egli infatti prospetta un nuovo esodo ancora più spettacolare del primo: il deserto diventa acqua (v. 20) e tutti i peccati saranno perdonati (v. 25). La speranza corre verso il futuro.

Dal libro del profeta Isaia Is 43,18-19.21-22.24b-25

Così dice il Signore: 18«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. 21Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi. 22Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. 24Tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. 25Io, io cancello i tuoi misfatti, per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 41/40, 2-3; 4-5; 13-14. Preghiera di un malato che confida nel Signore, il quale è vicino in ogni circostanza, anche la più difficile. Nel momento della prova si acuiscono il senso del piccolezza e del peccato e la dimensione del bisogno di Dio col quale entriamo in più intima confidenza. Sulla croce il grido di Cristo: «Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34; Sal 22/21,2) diventa la sintesi dell’abbandono alla volontà del Padre di tutti i malati e gli immondi della terra.

Rit. Rinnovaci, Signore, col tuo perdono.

1. 2 Beato l’uomo che ha cura del debole:
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3 Il Signore veglierà su di lui,
lo farà vivere beato sulla terra,

non lo abbandonerà alle brame dei nemici. Rit.

2. 4 Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
tu lo assisti quando giace ammalato.

5 Io ho detto: «Pietà di me, Signore,
guariscimi: contro di te ho peccato». Rit.

3. 13 Per la mia integrità tu mi sostieni
e mi fai stare alla tua presenza per sempre.

14 Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele,

da sempre e per sempre. Amen, amen. Rit.

Seconda lettura 2Cor 1,18-22. Nell’anno 56/57, la grave crisi della comunità costrinse l’apostolo a ritornare a Corinto, interrompendo il suo viaggio apostolico (2Cor 1,23-2,1). Egli promise che sarebbe ritornato con più calma (2Cor 1,15-17), ma poi per «non fare da padrone» (2Cor 1,24) decise di non andare, attirandosi l’accusa di non essere uomo di parola, ma tra il «sì e il no» (vv. 17-18). Nel brano di oggi Paolo si difende dall’accusa di doppiezza: egli è ministro di Cristo che è sempre e solo «sì». Egli è l’«Amen per la sua gloria» (v.20). IL brano si chiude con una formula trinitaria.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1,18-22

Sorelle e Fratelli, 18 Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è «sì» e «no». 19 Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timòteo, non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì». 20 Infatti tutte le promesse di Dio in lui sono divenute «sì». Per questo attraverso lui sale a Dio il nostro «Amen» per la sua gloria. 21 È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori. - Parola di Dio.

Vangelo Mc 2,1-12. Le abitazioni al tempo di Gesù (e molto spesso ancora oggi) erano a tetto piatto o a terrazza in terra battuta, sostenuta da travi, paglia e frasche. Per questo motivo erano facilmente apribili come si descrive nella parabola odierna. Questa parabola è il frutto di una fusione di due fatti avvenuti in contesti diversi. Vi è la guarigione di un paralitico che comprende l’inizio e la fine della parabola (vv.1-4 e 11-12) e una discussione teologica con gli scribi sul potere di rimettere i peccati (vv. 5-10). L’autore fonde i due racconti perché i primi cristiani hanno visto nella guarigione del paralitico un «segno» del perdono dei peccati alla luce del profeta Isaia: «Allora anche i ciechi divideranno una preda enorme gli zoppi faranno un ricco bottino. Nessuno degli abitanti dirà: “Io sono malato”; il popolo che vi dimora è stato assolto dalle sue colpe» (Is 33,23-24). Gesù dunque attua una parola di Dio, usando lo stesso metodo della creazione dove Dio realizza le parole che pronuncia: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu». (Gen 1,3) perché in Dio «parola» e coincidono (cf At 1,1)5. L’Eucaristia è il «segno dei segni» della nostra guarigione e del perdono di Dio che è il fondamento della libertà.

Canto al Vangelo cf. Gv 17,17

Alleluia. La tua parola, Signore, è verità: / consacraci nel tuo amore. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Marco 2,1-12

1Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunziava loro la Parola. 3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono rimessi i peccati». 6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico: “Ti sono rimessi i peccati”, oppure dire “ àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò, e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». – Parola del Signore.

Spunti di omelia

Nella breve didascalia introduttiva al vangelo abbiamo accennato che la parabola odierna è frutto della fusione di due tradizioni distinte: la guarigione di un paralitico sulla stessa linea delle altre guarigioni fin qui incontrate (cf Mc 1-4; 11-12) e un’altra su chi possiede il potere di perdonare i peccati all’interno di una discussione con gli scribi, avversari di Gesù fin dalla prima ora (Mc 2, 5-10). La prima comunità ha letto la guarigione del paralitico come un segno che il perdono di Dio ha inaugurato i tempi nuovi che corrispondono ad una nuova creazione per una nuova umanità. Già il 1° Isaia (sec. VIII a.C.) lo aveva previsto: «Gli zoppi faranno un ricco bottino. 24 Nessuno degli abitanti dirà: “Io sono malato”. Il popolo che vi dimora è stato assolto dalle sue colpe» (Is 33, 23-34). Il paralitico si presta bene a questa simbologia perché la conversione e la fede hanno in sé l’idea del camminare, della strada, del ritorno. Dietro la guarigione del paralitico, vi è il segno che può cominciare il nuovo esodo, il lungo cammino non più verso una terra materiale, ma verso il Regno annunciato da Gesù che è l’amore di Dio disseminato sul mondo.

Gesù non fa altro che proseguire sulla linea di Isaia che nel testo citato aveva abbinato la guarigione al perdono dei peccati. La guarigione/perdono è un taglio netto tra ciò che precede e ciò che segue, tra passato e futuro come la 1a lettura di oggi ci comanda di fare: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19 Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19). La novità apportata da Gesù è la risurrezione del paralitico che diventa così un anticipazione di quella di Cristo: «Risorgi/àlzati» comanda al paralitico (Mc 2,11) sciogliendogli i piedi; colui che pochi istanti prima fu portato da quattro portatori (Mc 2,3) ora è capace di andarsene da solo portandosi dietro la sua lettiga (Mc 2,12) cioè il peso gioioso della sua esistenza.

Questa lettura della guarigione richiamò al redattore finale la disputa di Gesù con gli scribi sul suo potere di perdonare i peccati (Lc 7,49-50), in cui Gesù s’impossessava della figura misteriosa del «Figlio dell’Uomo» di Daniele 7 per attribuirsi il potere di Dio che invece di condannare viene di persona a perdonare «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10)6. La disputa tra Gesù e gli scribi è posteriore alla guarigione del paralitico (cf Mt 26,64), ma in fase di redazione del vangelo, parecchi anni dopo la morte di Gesù, il collegamento è istintivo, superando la logica della successione degli avvenimenti (cf Mt 12, 8; 13,41; 19,28; 24,30). Il potere previsto da Daniele è quello escatologico e regale della fine dei tempi7, mentre l’evangelista lo anticipa «sulla terra» (Mc 2,10), facendo così della potestà di Cristo sul peccato un anticipo e una premessa di ciò che avverrà alla fine, quando il Cristo prenderà possesso del Regno (Ap 5,12-13).

Se la guarigione è il simbolo del perdono dei peccati in che cosa consiste questo perdono? Nell’AT una delle immagini ricorrenti per descrivere Dio è quella di un giudice (Gb 31,14; Sal 7,12: 43/42,1; 50/49, 6 ecc.) che alla fine della storia regolerà i conti con l’uomo allontanatosi dal progetto dell’Eden . Tutta la storia cammina inesorabilmente verso questo appuntamento, descritto come «quel giorno», giorno di terrore e morte, di vendetta e sterminio (Is 24,21; Am 2,16; 8,3; Gl 1,15; Zc 14,13; ecc.). Con l’arrivo di Gesù invece la storia prende un altro indirizzo: il giorno della vendetta si tramuta nel tempo della misericordia e dell’invito a conversione. Il perdono è il giudizio di Dio sul mondo anticipato nella misericordia e nella guarigione. Gesù inizia il suo ministero nella sinagoga di Nàzaret, con un proclama che lascia sconcertati. Egli legge il proclama del profeta Isaia «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia da parte del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio» (Is 61,1-2). Gesù omette le ultime sette parole (in ebraico tre: weyôm naqàm lelohênu – e giorno di vendetta del nostro Dio) e si ferma all’annuncio di un intervento liberatorio da situazioni di non-umanità.

Tutte le malattie e le condizioni elencate da Isaia e da Gesù rendono inabili al rapporto con Dio e non permettono nemmeno l’accesso al tempio, cioè il culto. Esse emarginano non solo davanti a Dio, ma anche in mezzo agli uomini. La religione ufficiale aveva codificato la malattia come castigo di Dio da cui pertanto nessuno poteva esimersi senza rifiutare la volontà di Dio. In altre parole, la malattia era il segno della maledizione di Dio, come la salute era il segno della sua benedizione. Il malato è colpevole anche se non ha coscienza delle colpe e in una cultura corporativa e solidale come quella orientale, è probabile che il malato sconti pene commesse dai suoi antenati in base alla legge che le colpe dei padri ricadranno anche sui figli (Gdt 7,28; Is 65,7; Dan 9,16; Mt 27,25). Gesù libera il paralitico da questa prigione invalicabile che lo condanna e lo confina alla non-vita per sempre con la benedizione di Dio. Il perdono annunciato e realizzato da Gesù ha un significato antropologico: la persona è importante per Dio, la persona nella sua totalità, nella pienezza della vita, nell’armonia delle relazioni. Perdonare significa togliere gli ostacoli che si frappongono alla pienezza di esistenza perché solo in una umanità degna di questo nome ognuno può incontrare gli altri e l’Altro.

L’uomo paralitico portato da quattro portantini è liberato dalla paralisi, mentre gli scribi che sono sani di fronte all’agire di Dio che non coincide con il loro pensiero e stile di vita, restano paralizzati: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?» (Mc 2,7). Invece di chiedersi se non sia arrivato il tempo di Dio preconizzato dai profeti, accusano il medico di eresia e bestemmia. Essi iniziano qui un processo di rifiuto che li porterà a condannare a morte Gesù per bestemmia (Mc 14,64). Invece di domandarsi quale potrebbe essere il senso della novità liberatoria, si rinchiudono nella paura che il loro sistema possa essere aggredito e messo in pericolo. Qualsiasi potere, specialmente quello religioso, è immobile perché ha paura del futuro e delle novità e se queste s’impongono, si fa finta di accettarle, ma solo per perpetuare l’esistente:. Gli scribi del brano evangelico sono gli antesignani della politica magistralmente descritta da Giuseppe Tommasi di Lampedusa nel romanzo «Il gattopardo»: «tutto cambi perché nulla cambi». Il potere genera e pretende sudditi e schiavi, ma non tollera profeti e persone pensanti perché per la coscienza non c’è posto in un regime di dominio. Gesù perdona perché restituisce la coscienza alla persona che si manifesta totalmente nel fatto che il paralitico «si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò» (Mc 2,12). In questo versetto c’è tutto il cuore di Dio. L’ingresso di Dio nella storia attraverso l’agire di Gesù è una risurrezione (si alzò); l’effetto della risurrezione è dirompente e quasi magico (e subito) perché produce un effetto che nessuno aveva previsto: colui che necessitava di quattro portatori, ora va da solo e in più porta da sé la sua barella (prese la sua barella), cioè si carica anche del suo passato e lo trasforma; infine rientra nella comunità umana da cui era escluso (sotto gli occhi di tutti).

Nel brano il perdono è associato al «peccato», altro termine decisivo nella tradizione biblica e su cui si fa molta confusione. Nel mondo di oggi, avendo smarrito il senso di Dio si è perduto anche il senso del peccato, ma ciò lungi dall’essere un limite potrebbe essere il punto di partenza per un nuovo cammino e una nuova evangelizzazione anche della Chiesa. Essa infatti ha bisogno di uscire da una logica sedimentata nei secoli e ha necessità di purificare la nozione di peccato che spesso viene cosificato tanto da darne un significato materialistico. Il peccato è stato ridotto a «ho fatto questo, quello, quest’altro, ho commesso» oppure «non ho fatto, non ho detto, ho omesso», ecc. Questa concezione del peccato in quanto materialità riguarda il regime di religione, dove importano i riti e i gesti fatti secondo le rubriche, o le prescrizioni. In questo senso un individuo religioso è «perfetto» quando esegue tutti i dettami della religione, quando cioè c’è corrispondenza tra la legge e le azioni. Nella visione cristiana preconciliare, per esempio, era «peccato non andare a Messa» che significa: non essere presente materialmente in chiesa durante l’atto religioso. Non si chiedeva l’adesione del cuore, ma la presenza materiale. Il peccato non c’era se si era materialmente in chiesa dal «momento dello scoprimento del calice [leggi: presentazione delle offerte]». Se uno arrivava un minuto dopo, la Messa non era valida e si incorreva nel peccato. Potremmo usare l’espressione: peccato legislativo.

Gesù sconvolge questa visione e propone la religione del cuore, cioè l’adesione libera e gioiosa di una proposta di alleanza. Il peccato quindi riguarda la libertà che accetta o rifiuta all’interno di una relazione di amore. In questo senso il peccato è il rifiuto di Dio come è rivelato da Gesù. Non è facile peccare perché si situa al livello profondo della consapevolezza dell’essere e non sulla superficialità del «quante volte, figliolo?». Il peccato è una rottura di una circolarità d’amore che genera nel momento in cui è generante. Anche nell’Eden il peccato di Adam non è un atto materiale, ma il rifiuto di modellarsi sull’immagine del Figlio: egli pecca perché non vuole che il Lògos creatore sia il suo referente, il suo fondamento e il suo modello. Egli vuole essere alla apri di Dio, cioè non essere più se stesso. Possiamo dire quindi che il peccato è tradire se stessi e non essere più se stessi. Gesù liberando il paralitico lo ri-orienta verso gli altri e quindi verso Dio. E’ difficile peccare se si vive nella libertà dell’amore, come insegna Sant’Agostino: «Dilige et fac quod visama e fa’ ciò che vuoi» (In Io. Ep. tr. 7, 8).

Nulla abbiamo da insegnare agli altri, nulla da pretendere, ma un solo compito incombe su di noi: testimoniare il perdono di Dio come espressione di un amore senza confine, quell’amore che nell’Eucaristia trova la sua sorgente e il suo culmine, perché qui Dio stesso si fa Pane di perdono da mangiare, Parola di consolazione da condividere e bevanda d’amore per dissetarci e dissetare. Siamo nati per amare, dovremmo vivere amando e morire perdonando. L’Eucaristia sia la nostra forza e la nostra luce.

PROFESSIONE DI FEDE – Rinnovo delle promesse battesimali

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.

Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa! Noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

MENSA EUCARISTIACA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, quest’offerta, espressione della nostra fede; fa’ che dia gloria al tuo nome e giovi alla salvezza del mondo. Per Cristo nostro Signore. Amen!

PREGHIERA EUCARISTICA III8

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. É cosa buona e giusta.
 

É veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno.

Noi siamo il tuo popolo, Signore; tu ci hai plasmati per me, per celebrare le tue lodi» (Is 43,21)

Nell’albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto, per Cristo Signore nostro.

Tu dici, o Signore: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19 Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19)

Per mezzo di Lui gli angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le potenze ti venerano con tremore.

Sì, noi sappiamo che l’Eucaristia è il tuo germoglio che supera le cose passate e ci conduce verso il futuro che è il tuo Regno perché tu sei Santo, Santo, Santo, Signore nostro, Dio dell’universo (cf Is 43,19)

A te inneggiano i cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci, nell’inno di lode:

Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Kyrie, elèison.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.

Ti vegli su di noi, Padre, ci sostieni sul letto del dolore e ci assisti quando siamo malati (Sal 41/40,3-4).

Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all'altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

«Si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la Parola» (Mc 2,2).

Ora ti preghiamo umilmente:manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri, «Sia benedetto il Signore, Dio d’Israele, da sempre e per sempre. Amen, amen» (Sal 41/40, 14).

Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19 Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia» (Is 43,18-19)

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

«Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati”» (Mc 2, 5).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Quanto il Signore ha ordinato, noi faremo e ubbidiremo (cf Es 24,7)

Mistero della fede.

Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, Signore, nell'attesa della tua venuta.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.

« Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che abbiamo predicato tra voi, non fu «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì».

(2Cor 1,19).

Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.

Tu, o Padre ci confermi in Cristo perché ci hai impresso il sigillo e la caparra dello Spirito nei nostri cuori (Cf 1Cor 1,21).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.

Al tuo Figlio e Signore nostro, Gesù portarono un paralitico perché tu lo curassi e lo hai liberato dalla paralisi del legalismo, aprendolo alla novità dell’amore (cf Mc 2,3-5).

Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare … e il popolo che tu hai redento.

Vedendo la fede dei suoi portatori, Gesù ha restituito la dignità di figlio tuo al paralitico; ora tu, o Padre aumenta la nostra fede (cf Mc 5; Lc 17,5).

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

Noi riconosciamo che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati per i meriti della sua morte e risurrezione (cf 2,10).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.

Solo tu, o Signore, puoi perdonare i peccati e per questo convocandoci alla santa Eucaristia, ci liberi da tutto ciò che c’impedisce di condividere con te (cf Mc 2,7)

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra.

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione Gv 11,27: Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.

Dopo la comunione

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (13,1-8)

«1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’agàpe, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. 2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’agàpe, non sono nulla. 3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi l’agàpe, niente mi giova. 4 L’agàpe è paziente, è benigna l’agàpe; non è invidiosa l’agàpe, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 L’agàpe non avrà mai fine».

[Pausa]

Rilettura attualizzata dello stesso testo

«1 Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi Cristo, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. 2 E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi Cristo, non sono nulla. 3 E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi Cristo, niente mi giova. 4 Cristo è paziente, è benigno Cristo; non è invidioso Cristo, non si vanta, non si gonfia, 5 non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6 non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. 7 Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 Cristo non avrà mai fine».

Da Dom Helder Câmara - Abbé Pierre, Appello agli Umani, Agosto 19969

«Sono passati 2000 anni dall’incarnazione del Figlio di Dio. C’è ancora troppa miseria nel mondo, troppa miseria in un mondo di ricchezze! E, cosa grave e insopportabile, la minoranza dei privilegiati, i più ricchi sono (almeno d’origine) cristiani. Che cosa abbiamo fatto del messaggio di Cristo? Come la moltitudine dei poveri, degli esclusi, dei messi da parte, dei senza casa, dei senza terra, dei senza niente possono credere che il Creatore e Padre che li ama se noi, noi che osiamo dirci cristiani, noi che abbiamo il di più, continuiamo a lasciare il loro “piatto” vuoto, pur dichiarandoci per la pace e per l’Amore? Non dobbiamo essere solamente credenti: dobbiamo essere CREDIBILI! E il mondo allora sarà come un’Ostia rivolta verso il Signore, un’immensa Ostia che renderà grazie a Dio nella felicità di tutti gli Umani. Perché la felicità degli Uomini è la Gloria di Dio. Noi abbiamo già vissuto più di 80 anni … Ci sono ancora molte cose da fare per rimettere ordine nel mondo. Con tutte le piccole forze che ci restano, continuiamo la nostra guerra alla miseria, dovunque possiamo. E che ciò avvenga con voi tutti».

Preghiamo. Il pane che ci hai donato, o Dio, in questo sacramento di salvezza, sia per tutti noi pegno sicuro di vita eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.

Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.

Il Signore sia sempre accanto a voi per consolarvi e confortarvi. Amen.

Vi benedica l’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

Domenica 7a per annum-B, 19-02-2012– Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 19-02-2012 – San Torpete – Genova

AVVISI

Mercoledì 22 febbraio, GIORNO DELLE CENERI, in San Torpete, NON SI CELEBRA IL RITO DELLE CENERI perché don Paolo è operato nello stesso giorno.

Sabato 25 febbraio 2012, ore 17,30: Accademia dei Virtuosi - Luca Franco Ferrari, direttore - Illustri parenti. Familiari e antenati di Haydn, Mozart e Puccini: 2. Il trisavolo - Giacomo Puccini senior: Te Deum in Re maggiore - Prima esecuzione assoluta in epoca moderna.

1 Zàbulon è il sesto figlio di Giacobbe, l’ultimo avuto dalla moglie Lia/Lea (Gen 30:20; 35:23; Gen 46:14; Es 1:3; Nu 26:26; 1Cr 2:1). Nèftali è il settimo figlio avuto da Bila serva della seconda moglie di Giacobbe, Rachele (Gen 29:29; 30:1-8; 35:25; 37:2; 46:23-25; 1Cr 7:13). Zàbulon e Nèftali sono capostipiti delle due omonime tribù che si trovano ad occidente del lago di Genèzaret o lago di Tiberìade o Mare di Galilea, nel nord della Palestina.

2 Erode Antìpa (20 a.C. – dopo il 39) era figlio di Erode il Grande, re della Giudea (Sud della Palestina) sotto protettorato romano. Nel 4. a.C. il padre lo associò al governo; alla sua morte il regno fu diviso fra i tre figli di Erode il Grande e ad Erode Antìpa toccò la regione della Galilèa (nord della Palestina e regione ricca di agricoltura e acqua). Anche egli, come suo padre, governava per conto dei Romani. Durante il suo soggiorno a Roma, conobbe Erodìade, sua cognata (moglie di suo fratello Filippo) con cui instaurò una relazione, che però era proibita dalla Toràh.Questo fu il motivo dell’opposizione durissima di Giovanni Battista che per questo fu decapitato (cf Mc 6,17-29).

3 L’espressione greca «en ōikōi» di Mc 2,1 infatti si può tradurre sia con l’indeterminato «era in una casa» come anche «era in casa»: una casa talmente conosciuta che è superfluo sia l’articolo determinativo sia l’aggettivo «sua». Tutti gli elementi portano a scegliere questa seconda interpretazione perché tutti sanno di quale casa si tratti.

4 Il libro di Isaia si divide in tre parti: a) capitoli 1-39 scritti dal 1° Isaia, il profeta storico di Gerusalemme, vissuto nel sec. VIII a.C.; b) i capitoli 40-55, attribuiti al 2° Isaia, autore o autori anonimi, vissuto nel sec. VII a. C. che sviluppa i temi del 1° Isaia e, infine c) i capitoli 56-66, attribuiti al 3° Isaia anch’egli anonimo, vissuto durante l’esilio babilonese del sec. VI-V a.C., che riprende e sviluppa il 1° e il 2° Isaia. Questo processo di sviluppare le idee di un autore antecedente, attribuendogli la paternità era un procedimento comune presso gli antichi perché chi sviluppa le idee non si sente autore perché non lo è. E’ una questione di onestà intellettuale e letteraria. I discepoli non rubavano le idee ai loro maestri.

5 Nel racconto sacerdotale della creazione per dieci volte Dio parla e per altrettante volte, alla sua parola corrisponde un fatto/evento: per «Disse Dio» (Wayyòmer ‘Elohim) cf Gen 1,3.6.9.11.14.20.24.26.28.29. Per «E fu [così]» (Wayehì [ken]), cf Gen 1,3.7.9.11.15.24.30.

6 Cf Lc 15,6.9.24.32; cf Mt 9,6; Lc 5,24 e in alcuni manoscritti anche Mt 18,11; cf anche Dn 7,13-14.

7 «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’ uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai e il suo regno non sarà distrutto» (Dn 7,13-14).

8 La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.

9 Fonte: «Giorno per giorno» della Comunità Evangelho è Vida del Bairro Rio Vermelho di Goiás (Brasile) del 07 febbraio 2009.



Giovedμ 16 Febbraio,2012 Ore: 15:26
 
 
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