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www.ildialogo.org Domenica 6a per annum – B – 12 febbraio 2012,di Paolo Farinella prete

Domenica 6a per annum – B – 12 febbraio 2012

di Paolo Farinella prete

I primi cinque libri della Bibbia per gli Ebrei formano la Toràh – Insegnamento 1. Essa si divide in due parti:

a) la Toràh scritta che in ebraico si dice: Toràh shebiktàv (lett.: Insegnamento che è scritto): è la Bibbia scritta.

b) la Toràh orale che in ebraico si dice: Toràh shebehalpèh (lett.: Insegnamento che sta sul labbro): è la Tradizione orale.

Nota storico-biblica

Sul monte Sinai Dio consegnò a Mosè tutta la Toràh, sia quella scritta (sulle tavole di pietra) sia quella orale che Mosè imparò a memoria e tramandò poi a Giosuè, suo successore, il quale a sua volta la tramandò ai posteri.

Si tratta della tradizione orale che dal sec. II al sec. VI d. C. fu messa per iscritto dando origine alla Mishàh, e alla Ghemaràh che raccoglie la tradizione orale rimasta fuori dalla Mishnàh. La Mishnàh e la Ghemaràh insieme formano il Talmùd, a cui deve aggiungersi la Tosephtàh che riporta altri commenti dei saggi successivi. Si legge nel trattato «Pirqè Abot – Massime dei Padri» che è il primo libro della Mishnàh: «Mosè ricevette la Toràh sul Sinai e la trasmise a Giosuè; Giosuè la trasmise agli Anziani (i Giudici); Gli anziani ai Profeti; e i Profeti la trasmisero ai membri della Grande Assemblea» (Pirqè Avot, I,1). In sinagoga la lettura di tutta la Toràh scritta avviene nell’arco di un anno e per questo è stata suddivisa in 54 parashòth, (plurale di «parashàh – porzione/pericope/brano» perché 54 sono i sabati negli anni lunghi (composti da 13 mesi lunari). Negli anni corti (composti da 12 mesi lunari) in alcuni sabati si leggono due parashòth. Ogni parashàh prende il nome, come i rotoli della Toràh, dalle prime parole con cui iniziano

La traduzione greca della LXX (secc. III-I a.C.) rende Toràh ebraica col nome di «Pentateuco», termine greco composto da «pente – cinque» e «teûchos – custodia/rotolo» e che significa quindi Cinque custodie/rotoli. I singoli libri in greco, e poi a seguire, in latino e lingue derivate, assumono il nome del loro contenuto, come sintesi dell’argomento trattato e per questo si chiamano: 1. Genesi (Gen), perché tratta delle Origini, della Nascita dell’universo, dell’umanità e di Israele; 2. Esodo (Es) perché narra dell’Uscita dalla’Egitto; 3. Levitico (Lv) perché contiene le leggi di purificazione per il servizio divino nella tenda e nel tempio; 4. Numeri (Nm) perché inizia con il censimento degli Israeliti che uscirono dall’Egitto; 5. Deuteronomio (Dt), nome greco che significa letteralmente «Seconda Legge» perché contiene il rotolo ritrovato nel tempio durante la grande riforma del re Giosia (640-609 a.C.; riforma 621/622 a.C.), detta appunto riforma deuteronomista. Tutta questa introduzione preliminare per collocare il libro del Levitico di cui la 1a lettura riporta un brano. Come abbiamo visto, il Levito, (in ebraico: Waykrà – E chiamò) è il 3° nell’ordine del Pentateuco. Esso interrompe la narrazione storica per diventare una trattazione riservata ai sacerdoti di Israele che appartenevano alla tribù di Levi con le prescrizioni che regolano il culto, il codice di santità e le norme di purità.

La 1a lettura riporta un brano del 3° libro del Pentateuco che è il Levitico e appartiene al gruppo di norme sulla purità; qui si tratta della purità che riguarda la malattia di lebbra (Lv 13-14) da non intendersi come la intendiamo oggi alla luce della medicina moderna. Prima e al tempo di Gesù, tutte le malattie della pelle erano indicate con questo termine a causa di una mentalità molto primitiva di cui i sacerdoti del dopo esilio (sec. V a.C.) si servivano per gestire e controllare l’ordine morale e sociale.

La seconda lettura continua la lettera ai Corinzi, scritta da Paolo intorno al 53/54 mentre si trova a Efeso dove lo raggiunge un’ambasceria da Corinto per esporgli la situazione drammatica di divisione in cui versa la sua chiesa prediletta. Paolo, esercitando un magistero di autorità significativa, con questa lettera risponde ai problemi esposti, tra i quali vi è anche la questione della celebrazione dell’Eucaristia. Il brano di oggi riguarda questo aspetto. I Corinzi non mettono in dubbio l’Eucaristia come sacramento (cf 1Cor 10,16), ma fanno difficoltà a connettere il Sacramento con la vita: vivono «scollati» e separando il rito dalla vita; il sacramento dalla celebrazione. Non basta celebrare l’Eucaristia, bisogna vedere anche le ripercussioni nella vita. Se l’Eucaristia fosse solo un atto di culto, anche un ateo potrebbe celebrare e infatti possono esistere preti, vescovi e anche papi atei (la storia lo dimostra). Lo specifico del cristianesimo è la relazione indissolubile tra espressione della fede nel rito e manifestazione testimoniale nella vita ordinaria. Il rito senza la vita è un guscio vuoto, la vita senza la celebrazione comunitaria è in significato. Se l’Eucaristia però ha una ripercussione sulla vita, è necessaria la fede perché nella vita non si può fingere: «non date motivo di scandalo né ai giudei, né ai greci, né alla chiesa di Dio» (1Cor 10,33). Solo il credente Paolo può proporre se stesso come modello: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11,1).

Il vangelo avvia a soluzione il tema della prima lettura perché con l’arrivo di Gesù saltano tutti gli schemi: la società, la religione, le regole, i condizionamenti. La fama di uomo di Dio che guarisce spinge un lebbroso a spezzare la legge della segregazione: è lui che viene a Gesù e lo supplica (Mc 1,40). Egli dovrebbe stare lontano perché immondo (prima lettura) e invece si avvicina. Gesù non gli ordina di obbedire a norme ingiuste, ma «è scosso nelle viscere» (Mc 1,41: cf omelia) e cosa ancora più trasgressiva lo tocca. Per la legislazione anche lui diventa «immondo». In questo contesto acquistano un senso chiaro le parole di Gesù pronunciate altrove: vino nuovo in otri nuovi (Mc 2,22): il sabato, cioè le regole, le teologie, le morali non possono essere principi astratti, ma strumenti di liberazione per la persona perché possa, finalmente libera, incontrare il suo Signore: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27).

Una sola condizione pone Gesù: fare «legalizzare» la guarigione e quindi il rientro nella comunità umana. Una guarigione infatti poteva essere dichiarata ufficialmente solo dal sacerdote che fungeva da notaio per riammetteva il guarito nella vita sociale e religiosa. Notiamo che per questo miracolo no vi sono indicazioni di tempo e di luogo: potrebbe essere accaduto ovunque e con chiunque. Non c’è più la folla, ma solo un incontro personale, forse a causa proprio della lebbra che potrebbe avere indotto la falla a scappare. E’ un segno. Gesù è solo con il lebbroso come resterà solo con la donna adultera (Gv 8, 9). I momenti della verità non possono essere condivisi con la folla, ma devono essere vissuti nella più profonda solitudine che è la profondità della propria coscienza e la capacità di abitare gli abissi del proprio «io» senza paura e senza angoscia.

Nella tradizione biblica la lebbra è sinonimo di peccato che lacera la pelle dell’anima fino a renderla irriconoscibile. Prendendo coscienza che «per le sue piaghe siamo stati guariti» (Is 53,5), invochiamo lo Spirito Santo perché ci abiliti ad avvicinarci a Gesù fino a farlo commuovere affinché anche noi possiamo tornare nel mondo e commuoverci davanti ai fratelli e alle sorelle dolenti che incontriamo sul nostro cammino. Invochiamo lo Spirito, facendo nostre le parole del salmista (31/30,3-4): «Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi».

Spirito Santo, tu hai rivestito Adam ed Eva con la pelle della luce divina, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei sostegno di quanti sono affranti nell’emarginazione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu copri con pudore le piaghe di quanti sono malati e morenti, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu lavi ogni impurità perché tutti siano degni di essere con Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei medico che cura tutte le impurità dell’anima e del corpo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu raccogli chi è fuori dal recinto e lo conduci nel cuore di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu susciti e sostieni i giusti nel cui cuore non è inganno, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sorreggi il peccatore a prendere coscienza del suo limite, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu converti la malizia del peccatore nella gioia della condivisione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu raddrizzi le motivazioni all’origine delle nostre scelte, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu previeni lo scandalo verso i piccoli e coloro che non credono, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu animi i cuori di chi vive e agisce senza alcun tornaconto, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci nutri con la volontà di Dio perché diventi la nostra, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu hai guidato i passi di Gesù verso il lebbroso implorante, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu hai suscitato in Gesù la compassione delle sue viscere, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu accompagnasti la mano di Gesù perché toccasse il lebbroso, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu custodisci il segreto messianico per manifestarlo sulla croce, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu nostro medico, lavi ciò che è sordido e sani ciò sanguina, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu Principio di guarigione curi ogni ferita col sangue di Cristo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu Consolatore perfetto lenisci ogni bruciore con la Parola di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu Sorgente di purificazione, ci lavi nelle acque del Battesimo, Veni, Sancte Spiritus!

Per celebrare l’Eucaristia bisogna essere disposti a lasciarsi sconvolgere. Nulla è scontato. Nulla è prevedibile perché noi ci accingiamo ad entrare nel cuore stesso di Dio, la dove tempo ed eternità s’identificano e si mescolano. Se veniamo per pagare il pedaggio o per fare un favore a Dio o per comprare la sua protezione, siamo veramente piccini e gretti di spirito. Siamo qui per prendere coscienza di tutte le ingiustizie che impediscono alle persone la loro dignità di figli. Siamo qui per travolgere le barriere di ogni tipo: sociali, religiose, etniche, culturali, ideologiche e lasciarci scuotere nelle viscere come Gesù (vangelo di oggi, v. 41) per diventare così imitatori non dell’apostolo Paolo, la di Cristo stesso (2a lettura 11,1). Convocati alla Mensa della Parola e della libertà, noi vi accediamo

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Amen.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Qualunque sia la nostra condizione, qualunque sia il giudizio che diamo di noi stessi, qualunque sia la fragilità che sperimentiamo, qualunque sia la paura che teniamo nascosta dentro di noi, abbiamo fiducia nel Signore che viene per donarsi il suo perdono e renderci trasparenti davanti al suo volto. Buttiamo il nostro affanno sul Signore perché solo lui può sostenerci con la sua misericordia liberatrice (Sal 55/54, 23).

[L’esame di coscienza sia vero e non simbolico]

Signore, che sei venuto a chiamare i peccatori e non i giusti alla mensa del Regno, Kyrie, elèison.

Cristo, che ti scuoti nelle viscere con la medicina della misericordia verso tutti, Christe, elèison.

Signore, non c’è lebbra che tu non possa mondare e sanare, ascolta e perdona, Pnèuma, elèison.

Cristo, che ci guarisce per restituirci la dignità di figli di Dio liberi di amare, Christe, elèison.

Dio onnipotente che ha annunciato il vangelo di liberazione anche ai lebbrosi, dichiarando così che Dio è il Padre dei piccoli e degli esclusi, per i meriti di Gesù Cristo che non esita a diventare impuro per abbracciare un figlio di Dio, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3]

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo , che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Mensa della Parola

Prima lettura Lv 13,1-2.45-46. La liturgia di oggi riporta questo testo legislativo sulla lebbra unicamente perché il vangelo riporta l’incontro di Gesù con un lebbroso. Tutte le malattie della pelle erano considerate impure e rendevano emarginati, anche fisicamente. «Quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4), Gesù, come nel vangelo di oggi, non solo si avvicina, ma «lo toccò» (v. 41), dichiarando con il suo gesto che nessuna persona è impura davanti a Dio, ma abbiamo bisogno della sua misericordia che ci rende accessibili al cuore di Dio. Nessun peccato, nessuna impurità può allontanarci da Dio, perché non siamo noi che ci allontaniamo o avviciniamo, ma è Dio che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno di noi perché potessimo guarire dalla lebbra dell’egoismo ed essere capaci di toccare il Verbo della vita (1Gv 1,3).

Dal libro del Levitico 13,1-2.45-46

1 Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «2 Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. 45 Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. 46 Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 32/31, 1-2; 5; 11. Il salmo 32/31 è il secondo salmo penitenziale, dopo il salmo 6. Il suo genere letterario si può dire «didattico» perché mira alla formazione morale del credente. Sui divide in due parti: i vv. 1-7 invitano a confessare le proprie colpe per ottenere il perdono; i vv. 8-11 sono la risposta del Signore che accenna alla sofferenza come strumento di purificazione per giungere alla «beatitudine». Gesù dichiarerà «Beato» il povero che si affida senza riserve alla paternità di Dio. La sofferenza non è voluta da Dio, perché essa è parte integrante della vita; quando si manifesta se vissuta in comunione con la croce di Cristo, essa diventa uno «strumento» che purificandoci purifica anche il mondo. Anche la sofferenza vissuta in Dio può diventare un ministero di salvezza.

Rit. Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia.

 

1. 1  Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
2 Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno. Rit.

2.5 Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.

Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato. Rit.

3. Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti!

Voi tutti, retti di cuore, gridate di gioia! Ri

 


 

Seconda lettura 1Cor 10,31-11,1. I cristiani di Corinto non mettono in dubbio l’Eucaristia, ma la vivono in modo scandaloso: per mettersi in mostra, per apparire più sapienti e in contrasto gli uni con gli altri. Il sacramento della comunione diventa così lo strumento della divisione. Il rito ha ripercussioni esistenziali. Chi celebra è chiamato anche a vivere. L’Eucaristia deve condurre alla «comunione» con gli altri, previene gli scandali ed educa alla gratuità perché è scuola di ascolto del cuore di Dio. Essa non è una tassa da pagare che è la logica del precetto da osservare con obbligo, ma una vita da vivere e spendere per la gloria di Dio come appare nei fratelli e nelle sorelle con cui spezziamo il pane e beviamo il calice. L’Eucaristia è il vangelo del Lògos che si fa pane perché anche noi possiamo spezzare chi e cosa siamo con gli altri che sono il segno di Dio nella Storia.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 10,31-11,1

Fratelli e Sorelle, 31 sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. 32 Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio; 33 così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. 11,1 Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo. - Parola di Dio.

Vangelo Mc 1,40-45. Prosegue l’opera di risanamento o di guarigione del giovane rabbi Gesù di Nazaret. Nelle domeniche precedenti abbiamo appreso che egli scacciava spiriti immondi, ora vediamo che si avvicina ad un lebbroso che è un «immondo» che contamina (v. 1a lettura, v. 45). Il miracolo è uno dei primi di Gesù che ancora una volta contravviene alle leggi religiose del suo tempo e non esita a diventare «impuro» con gli impuri, proseguendo nel suo processo di incarnazione. Mc narra questo racconto senza data e senza tempo per dirci che Gesù «domina il male» e ora egli marcia con l’umanità emarginata verso la terra promessa della liberazione che è il Regno di Dio. Nessuna persona può più sentirsi ed essere ai margini della vita perché ora Dio stesso viene a «sporcarsi le mani» con la nostra solitudine e la nostra impotenza.

Canto al Vangelo Lc 7,16

Alleluia! Un grande profeta è sorto tra noi, / e Dio ha visitato il suo popolo. Alleluia!

Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45

In quel tempo, 40 venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41 Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42 E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43 E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: 44 «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45 Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. - Parola del Signore.

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Spunti di Omelia

Sul racconto della guarigione del lebbroso c’è accordo tra i Sinottici (Mc 1,40-45; Mt 8,2-4 e Lc 5,12-26): appartiene all’attività iniziale del giovane rabbi, si svolge in Galilea, perché immediatamente dopo in Mc 2,1 Gesù «entrò di nuovo a Cafàrnao». Lc colloca il fatto addirittura all’interno di una città (Lc 5,12), cosa poco probabile dato il divieto ai lebbrosi di avvicinarsi ai centri abitati. I lebbrosi infatti dovevano portare un campanello legato al piede e se vedevano qualcuno sulla loro strada dovevano gridare: «Immondo, immondo» (cf 1a lettura, v. 45). E’ il segno che Lc ha perso il contesto storico degli avvenimenti, perché riporta questo miracolo solo per lo stupore che ha suscitato negli astanti (Lc 5,15).

Mt invece, molto più attento alla sensibilità giudaica, pone la guarigione del lebbroso fuori della città di Cafàrnao, potremmo dire alla porta della città perché in 8,5 puntualizza che solo dopo la guarigione Gesù entra in Cafàrnao. Mt riporta immediatamente dopo anche un miracolo fatto ad un pagano, il centurione romano a cui guarisce il servo (8,1-13) e la guarigione di una donna, la suocera di Pietro (8,14-15). In Mt abbiamo quasi una trilogia di miracoli: un ebreo, un pagano, una donna, cioè tre categorie di disprezzati ed esclusi dalla comunità del popolo eletto.

Nella preghiera del mattino ancora oggi gli Ebrei maschi pregano così: «Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo che hai dato al gallo l’intelligenza di distinguere il giorno dalla notte … Benedetto sei tu, Signore … che non mi hai creato idolatra/pagano … che non mi hai fatto nascere schiavo … che non mi hai creato donna». La donna, invece, ringrazia Dio come gli uomini per non averla creata idolatra/pagana e schiava, ma poi alla terza invocazione prega così: « Benedetto sei tu, Signore, nostro Dio, Re dell’universo, che mi hai creata secondo la tua volontà»2.

Per Mt dunque Gesù è colui che viene a cambiare anche i contenuti della preghiera. Succede anche oggi, quando qualcuno prega Dio per fare morire qualcun altro, per invocare la vendetta o per uccidere in nome di Dio… è segno che anche l’immagine di Dio, la preghiera e la religione di riferimento sono entrati in un abisso di dissoluzione che solo gli uomini sono capaci di predisporre.

Al v. 41 Mc ci dice che Gesù fu «mosso a compassione», dove il greco usa un verbo «splanchinìzomai» composto dal sostantivo «splànchna» che significa «viscere» e deriva dall’ebraico «rèchem-grembo/utero» con evidente riferimento alla gestazione materna cioè alla parte vitale più interiore della donna, ad indicare un moto generativo, un processo vitale. Non è solo «compassione» nel senso moderno del termine (avere compassione = provare pena) ma impregnarsi dell’altro con una profonda condivisione interiore fino a farlo proprio, nel senso etimologico del termine: «cum-pati» cioè «patire con …/insieme», avere lo stesso sentimento e quindi farsi carico della vita e dei pesi dell’altro3. Chi può farsi carico gratuitamente e solo per amore dell’iniquità degli altri? Isaia aveva già attribuito questo compito di compassione al Servo di Yhwh e San Paolo lo aveva esteso a tutti i cristiani:

«4Egli si è caricato delle nostre sofferenze,si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dá salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo» (Is 53,4-8).

«Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2).

Il sentimento profondo della compassione porta Gesù a «toccare» il lebbroso (v. 41), dove il gesto corporeo esprime la profondità del sentimento spirituale. Luca che è l’evangelista più attento ai sentimenti interiori di Cristo, in questo caso, non ne fa cenno, mentre usa lo stesso termine per il sentimento del padre verso il figlio minore dissipatore (figlio prodigo: Lc 15, 20). Gesù non fa appello alla fede del lebbroso, come invece farà in seguito: si direbbe che è lo stesso Gesù ad essere sorpreso dalla guarigione di cui sembra avere una certa paura. Impone il silenzio all’uomo con veemenza perché dice il testo: «dopo averlo scosso» (v. 43) quasi prendendolo per le spalle e scuotendolo con forza quasi ad imprimere l’obbligo del silenzio. Non c’è nulla da fare: più impone il silenzio più i fatti parlano da soli. Come poteva mantenersi segreta la «rivoluzione» che Gesù ha portato, destabilizzando sistemi, ordini sociali, schemi religiosi, strutture di convenienza? Se non parlasse il lebbroso parlerebbero le pietre (Lc 19,40).

Gesù intende guarire l’uomo in quanto uomo prima di essere religioso o pagano, giudeo o greco: attraverso il suo amore «fisico» egli intende comunicare il sentimento di Dio che si sente scosso nelle viscere come una donna partoriente nei riguardi del suo popolo. Non esiste salvezza spirituale senza guarigione del corpo perché si salva la persona nella sua interezza.

Secondo l’antropologia ebraica, l’anima non esiste come entità separata dal corpo: il concetto di separazione e quindi di unione tra spirito e corpo proviene dalla filosofia greca, specialmente da Platone che mediato dal filosofo ebreo Filone d’Alessandria (circa 30 a. C. - 50 d. C.) prima e San Agostino (345-430) dopo approda al cristianesimo dove raggiunge il vertice della sintesi con Tommaso d’Aquino (1221-1274).

Per il mondo semitico la persona è un tutt’uno armonico perché il corpo è l’estensione dell’anima che così diventa visibile, mentre l’anima è la spiritualizzazione del corpo che diventa così «tempio dello Spirito» di Dio (1Cor 16,19): il corpo è l’anima palpabile e l’anima è il corpo spirituale. Per questo motivo, la mentalità del tempo ritiene la malattia del corpo come espressione di un disordine morale per cui guarendo il corpo, Gesù dichiara l’inizio di una nuova era che sarebbe stata contrassegnata dalla «com-passione» di Dio fino al giorno in cui questa presa in carico non raggiungerà il vertice sulla croce, quando Dio stesso proverà sulla sua carne tutta la sconfitta dell’umanità fino al fiele della morte (Mt 27,34).

Il messaggio dell’evangelista è: Gesù viene a dirci che Dio è interessato alla totalità della persona umana che guarisce nell’essere intimo e profondo stabilendo relazioni di sentimenti unici. Egli mette in moto un processo generativo: non solo si fa carico, ma rigenera l’altro ammettendolo al suo livello e sollevandolo dallo stato di emarginazione dove il «sistema» lo aveva inchiodato. Noi possiamo sperimentarlo nella nostra vita: quando viviamo sentimenti veri di relazioni vitali, noi sperimentiamo un processo di nascita che trasmigra dall’uno all’altro. Quando non ci mettiamo in gioco, ma svolgiamo ruoli, assumiamo atteggia-menti che possono solo essere esteriori e sperimentiamo il vuoto, la delusione, il fallimento, lo smacco.

La preghiera, la vita, l’amicizia, la relazione di coppia, il lavoro, la professione, la solitudine o sono àmbiti esistenziali vissuti in pienezza di relazione generante o sono nulla. O sono scelte di «com-passione» o sono atteggiamenti vacui che provocano vuoti e sensi di abbandono. Ciò vale anche per il rapporto che abbiamo con noi stessi: se ci accettiamo con gratitudine sapremo essere fecondi anche se siamo soli, se invece non abbiamo compassione di noi e ci riteniamo inetti, inutili, insignificanti e senza senso, non solo pecchiamo contro lo Spirito Santo di cui siamo stati costituiti tempio vivo (1Cor 16,19), ma vanifichiamo la nostra stessa fatica di vivere e la consolazione che quanti incontriamo possono avere da noi.

Il peccato grave è pensare di valere nulla perché disprezziamo di essere immagine e somiglianza di Dio, chiamati nel mondo a testimoniare la sua tenerezza e la sua misericordia. Non c’è peccato, impurità o abisso che non possa essere accolto da Dio e trasformato in terra fertile per il Regno. Se saremo capaci di inginocchiarci davanti a lui e gridargli dal profondo del nostro cuore (Sal 129/130, 1): «Se vuoi, puoi guarirmi» (v. 40) avremo anche la forza gioiosa di andare per le strade del nostro mondo non solo per dire, ma a vivere ciò che viviamo, ad essere il segno visibile della compassione e della tenerezza di Dio. Stenderemo la mano e toccando gli altri compiremo anche i miracoli dell’amore e della fede: «Lo voglio, guarisci» (v. 41). Lui stesso ci ha promesso che avremmo anche potuto spostare le montagne, a condizione di mettere in gioco tutto noi stessi (Mt 17,20-21; 21,20-21).

Credo o Simbolo degli Apostoli4

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [Pausa: 1 – 2 – 3]

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, [Pausa: 1 – 2 – 3]

il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato,

fu crocifisso, morì e fu sepolto; [Pausa: 1 – 2 – 3]

discese agli inferi; il terzo giorno è risuscitato da morte; salì al cielo,

siede alla destra di Dio onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [Pausa: 1 – 2 – 3]

Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

MENSA EUCARISTIACA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Questa nostra offerta, Signore, ci purifichi e ci rinnovi, e ottenga, a chi è fedele alla tua volontà la ricompensa eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen!

 

PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
La creazione loda il Signore

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E’ cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipo-tente ed eterno.

Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo per la tua gloria immensa.

 

Tu hai creato il mondo nella varietà dei suoi elementi, e hai disposto l’avvicendarsi dei tempi e delle stagioni.

Siamo veramente beati perché tu, o Signore, prendi su di te la nostra colpa e il nostro peccato (Sal 32/31,1.5).

 

All’uomo, fatto a tua immagine, hai affidato le meraviglie dell’universo, perché, fedele interprete dei tuoi disegni, eserciti il dominio su ogni creatura, e nelle tue opere glorifichi te, Creatore e Padre, per Cristo Signore nostro.

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.

E noi, con tutti gli angeli del cielo, innalziamo a te il nostro canto, e proclamiamo insieme la tua gloria:

Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Osanna nell’alto dei cieli.


Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore. Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

«Hai sfamato il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto» (Sap 16,20).


Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

«Alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il nome del Signore» (Sal 116/115, 13).

 

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME
Quanto il Signore ha ordinato, noi faremo e ubbidiremo (cf Es 24,7)

MISTERO DELLA FEDE
Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Sia che mangiamo, sia che beviamo, tutto vogliamo fare per la gloria di Dio, con l’aiuto dello Spirito Santo (1Cor 10,31).

Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Insegnaci, Signore, ad essere tuoi imitatori, come l’apostolo Paolo lo fu del tuo Figlio Gesù.

Memoria dei Volti e dei Nomi sulla terra

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che ricordiamo … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

Tu, hai compassione di noi, inviando il tuo Figlio a guarirci dalla lebbra dell’egoismo e dell’indifferenza (cf Mc 1,40-41)

Memoria dei Volti e dei Nomi nella Gerusalemme celeste

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza … ammettili a godere la luce del tuo volto.

Il Signore ha detto: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17).

 

Memoria dei credenti di ogni tempo

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

«Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua … E gridavano: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all`Agnello”» (Ap 7, 9-10).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

 

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit‛abed re‛utach

come in cielo così in terra.

kedì bishmaià ken bear‛a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta‛alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione Mc 1, 40.41: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi!». Gesù disse: «Lo voglio, sii purificato!».

Dopo la comunione

Da Pascasio Radberto (786- ca. 860) Commento al Vangelo di Matteo, 5:

La fede pura, vissuta nell’amore, conservata con perseveranza, paziente nell’attesa, umile nella sua affermazione, ferma nella sua fiducia, piena di rispetto nella sua preghiera e di saggezza in ciò che chiede, è certa di sentire in ogni circostanza questa parola del Signore: “Lo voglio”. Tenendo presente questa mirabile risposta di Gesù al lebbroso, dobbiamo raggruppare le parole secondo il loro significato. Il lebbroso ha cominciato dicendo: “Signore, se vuoi” e il Signore ha detto: “Lo voglio”. Poiché il lebbroso ha aggiunto: “Tu puoi sanarmi”, il Signore ha ordinato con la potenza della sua parola: “Sii sanato”. In verità, tutto ciò che il peccatore ha affermato in un’umile confessione di fede, la bontà e la potenza divine l’hanno subito realizzato per grazia.

Preghiamo. Signore che ci hai nutriti al convito eucaristico, fa’ che ricerchiamo sempre quei beni che ci dànno la vera vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. Amen.

Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi. Amen.

Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.

Il Signore sia sempre accanto a voi per consolarvi e confortarvi. Amen.

Vi benedica l’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre. Amen!

La messa finisce come rito, continua nella testimonianza. Andiamo incontro al Signore che viene.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

Domenica 6a del tempo ordinario – B,– Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete

© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica

Paolo Farinella, prete – 12-02-2012 – San Torpete,Genova

 

AVVISI

Mercoledì 22 febbraio, GIORNO DELLE CENERI, in San Torpete, NON SI CELEBRA IL RITO DELLE CENERI perché don Paolo è operato nello stesso giorno.

Sabato 25 febbraio 2012, ore 17,30: Accademia dei Virtuosi - Luca Franco Ferrari, direttore - Illustri parenti. Familiari e antenati di Haydn, Mozart e Puccini: 2. Il trisavolo - Giacomo Puccini senior: Te Deum in Re maggiore - Prima esecuzione assoluta in epoca moderna.

QUESTA È POLITICA, COMUNITÀ, BENE-COMUNE

Un sant’uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:

- «Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l’Inferno».

 

Dio condusse il sant’uomo verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all’interno. C’era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant’ uomo sentì l’acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall’aspetto livido e malato. Avevano tutti l’aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po’, ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant’uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.

Dio disse: «Hai appena visto l’Inferno».

Dio e l’uomo si diressero verso la seconda porta. Dio l’aprì. La scena che l’uomo vide era identica alla precedente. C’era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l’acquolina. Le persone intorno alla tavola avevano anch’esse i cucchiai dai lunghi manici. Questa volta, però, erano ben nutrite, felici e conversavano tra di loro sorridendo. Il sant’uomo disse a Dio:

- «Non capisco!»

- «E’ semplice - rispose Dio - essi hanno imparato che il manico del cucchiaio troppo lungo, non consente di nutrire sé stessi ... ma permette di nutrire il proprio vicino. Perciò hanno imparato a nutrirsi gli uni con gli altri! Quelli dell’altra tavola, invece, non pensano che a loro stessi».

Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura ... La differenza, la portiamo dentro di noi!

Mi permetto di aggiungere: «Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo».

(Mahatma Gandhi)

 

1  La stessa Bibbia traduce il termine ebraico «Toràh» con la parola greca «Nòmos – Legge» che snatura in parte il senso profondo del vocabolo ebraico. «Legge» ha una valenza giuridica e legale, mentre «Toràh – Insegnamento» ha una portata esistenziale, finalizzata alla vita. La Toràh scritta comprende i primi cinque rotoli/libri che la tradizione ebraica attribuisce a Mosè; ciascuno di essi in ebraico assume il nome dalle prima parola con cui comincia: 1. Bereshìt In principio (= Genesi) 2. Shemòt I nomi (= Esodo) 3. Waykrà E chiamò (= Levitico) 4. Bamidbar Nel deserto (= Numeri); 5. Devarìm Parole/Discorsi (= Deuteronomio).

2 V. Preghiera del mattino ’Elohai neshamah/Barùk – Signore mio l’anima/Benedetto; inoltre P. Farinella, Spunti di Omelia della 4a domenica di Avvento-B.

3 Nel NT il verbo/sostantivo ricorre 26 volte, di cui 4 volte ciascuno nei Sinottici (in Giovanni è assente), 1 volta in Atti e 13 volte negli altri scritti. Nell’AT «splànchna» e derivati compare 26 volte negli scritti recenti (secc. III-I a.C.) col significato di sacrifici alle divinità (a cui si offrivano le parti scelte degli animali) e avere misericordia.

4 Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Ambrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).



Giovedμ 09 Febbraio,2012 Ore: 15:17
 
 
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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 12/2/2012 18.16
Titolo:auguri
In quel giorno pregherò per Lei. Milvia

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