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www.ildialogo.org Domenica 34a e ultima Tempo Ordinario - A Gesù Cristo, re dell’universo,di Paolo Farinella, prete

Domenica 34a e ultima Tempo Ordinario - A Gesù Cristo, re dell’universo

di Paolo Farinella, prete

20 novembre 2010 –

La figura dominante di questa domenica conclusiva dell’anno liturgico è il Cristo «Re/Pastore»: il Redentore che restaura il creato ferito dalla defezione di Adam e dalla scia di decadenza che ha segnato la storia come un cammino di allontanamento da Dio, come insegna il midrash ebraico:

«Gli empi allontanano la Dimora dalla terra, i giusti invece fanno abitare la Dimora sulla terra. Quando peccò il primo uomo, la Dimora salì al primo cielo; peccò Caino, e salì al secondo cielo; con la generazione di Enoch, al terzo; con la generazione del diluvio, al quarto, con la generazione della torre di Babele, al quinto; con i sodomiti, al sesto, con gli Egiziani ai giorni di Abramo al settimo. Al contrario, vi furono sette giusti: Abramo, Isacco, Giacobbe, Levi, Keat, Amram, Mosè (con il quale la Dimora discese di nuovo sulla terra, al Sinai, come era sulla terra, all’Eden, prima del peccato)» (Numeri Rabbà [= grande] (XIII,4); Genesi Rabbà (XIX,13 = Cantico Rabbà V,1).

Oggi, almeno liturgicamente, tutto ritorna al suo «principio», al suo fondamento: al Cristo redentore che l’arte bizantina ha raffigurato come Pantocràtor/Creatore-di-ogni-cosa. Si compie così la profezia di Donna Sapienza che lodando se stessa, afferma la propria preesistenza perché era accanto a Dio creatore (cf Pr 8,22-31) che la inviò a fissare «la tenda in Giacobbe» e a prendere «in eredità Israele» e porre «le radici in mezzo ad un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità» (cf Sir 24,1-12, qui vv. 8.13). I primi cristiani hanno identificato la Sapienza con il Signore Gesù, il Lògos che era in principio e che venne tra la sua gente per rivelare il volto del Padre: «Il Lògos-carne fu fatto» (cf Gv 1,14.18). La regalità di Cristo, dal punto di vista biblico, è l’assunzione da parte del Risorto della sua eredità che per un verso è lui stesso perché figlio d’Israele e per l’altro verso egli raccoglie il suo popolo come eredità da consegnare al Padre insieme al popolo nuovo che nasce dal tronco israelita, la Chiesa degli apostoli. Cristo è re nella dimensione di Davide: Pastore, ma è anche redentore.

La regalità di Cristo è un argomento da manovrare con prudenza perché spesso è stato usato ideologicamente per giustificare scelte clericali e/o politiche di natura mondana in compromesso o in contrapposizione ai regni degli uomini. L’espressione «Regno di Cristo» o «Regno di Dio» è stata usata in modo ideologico per giustificare il dominio del potere clericale, chiamato sfacciatamente «potere spirituale», su quello laico, temporale1.

Quando il potere politico (ed economico) e il clericalismo, che è un aspetto dell’ateismo pragmatico, entrano in collusione, perde sempre la spiritualità, la trasparenza della missione della Chiesa e la profezia del vangelo che è sempre antagonista dei poteri mondani e clericale per diventare un supporto del potere costituito, anche quando fa scelte che opprimo i poveri e gli indifesi. Il profeta Amos ne è testimone (cf Am 2,6; 8.6). In questi contesti si usa l’ideologia di Cristo-Re, interpretato al modo pagano e si tralascia il Cristo-Pastore che contesta sulla terra ogni potere politico o religioso per affermare la primazìa della persona e della coscienza2.

La festa di Cristo-Re è recente: fu istituita da Pio XI nel 1925 in un contesto storico particolare che vedeva da un lato le monarchie governare l’Europa che si avviava verso la deriva della dissoluzione umana, morale e religiosa come conseguenza dell’«inutile strage» che fu la 1a guerra mondiale il cui esito finale culminerà nel «regno» nazifascista, abominio di ogni forma di governo terreno. All’interno della Chiesa vi era una mentalità diffusa di opposizione al mondo visto come nemico « a prescindere»: si aveva paura di tutto, anche de respiro di chi intuiva che tempi nuovi si stavano addensando all’orizzonte. E’ il clericalismo che vede la struttura religiosa sovrastante anche sul mondo laico: una forma di dittatura del pensiero e dell’organizzazione3. Pochi capirono che proprio con questa festa, almeno nelle sua intenzioni, il papa voleva opporsi sia al laicismo che al clericalismo.

Contro il laicismo affermando la centralità di Cristo «Re dell’universo» di fronte alla pretesa di instaurare il paradiso in terra. Nel 1918 in Russia si era diffuso il leninismo foriero di inumane tragedie come dimostrò qualche decennio più tardi l’èra staliniana; nel 1919 nascevano i partiti comunista cinese e italiano e Mussolini organizzava il partito fascista, salutato entusiasticamente da buona parte del clero, che vangelo alla mano non seppe discernere il grano dalla zizzania, ma si lasciò avvolgere dalle spire di un governo e di uno Stato atei nel pensiero e nella prassi, divenendone un supporto e un sostegno; nel 1920 in Germania il partito nazista fa la sua prima manifestazione pubblica. Tutta l’Europa sta ponendo le basi per la tragedia che culminerà nella 2a guerra mondiale e marchierà per sempre l’umanità intera con il marchio a fuoco della Shoàh che resta il segno indelebile della vergogna umana. Contro il clericalismo che, mettendo da parte Cristo, coltivava l’eresia della centralità salvifica della Chiesa, considerata come il fulcro, il mezzo e il fine della salvezza in forza del principio dell’«extra ecclesiam nulla salus»4 detentrice di ogni potere (spirituale e politico: la teoria delle due spade)5 e che logicamente doveva coincidere col il pensiero dei clericali. E’ evidente che questa concezione pagana del potere clericale era finalizzata all’esaltazione sulla terra del potere ecclesiastico inteso come strumento divino per instaurare il Regno di Dio.

I cristiani più riflessivi, attenti alle esigenze del Vangelo e allo sforzo di riconciliare la chiesa e il mondo moderno non fecero salti di gioia per questa nuova festa e pensarono, invece, che potesse costituire un ostacolo alla stessa evangelizzazione. Dovettero passare 40 anni perché il Concilio Vaticano II con la costituzione «Gaudium et Spes» desse ragione a questi ultimi, dichiarando che la creazione stessa porta in sé lo statuto dell’autonomia delle realtà terrestri. Sull’altro versante, la riforma liturgica di Paolo VI mantenne la festa, ma la purificò da ogni residuo clericale, affermando che «Cristo-Re» nulla ha da spartire con i regni di questa terra perché la sua regalità poggia sul mistero della croce e della sofferenza del Figlio dell’Uomo che in quanto «Re-Pastore» offre la vita per le sue pecore (Gv 10,11.15): nulla vada perduto tra quanti Dio ha creato e redento (cf Gv 6,39;17,12). Paolo VI volle arricchire la festa strutturandola in tre anni e con una dovizia di letture che nell’insieme del ciclo triennale forma una vera teologia della «regalità» del Cristo Crocifisso.

Cristo, usando gli schemi del suo tempo, usa il simbolismo del re, ma ci tiene a precisare che il suo regno non è di questo mondo (Gv 18,36): esso si estende a tutti i regni della terra perché è universale, ma non s’identifica con alcuno perché non è nazionale o, peggio, nazionalista. Ogni volta che lo si vuole fare re, Gesù fugge (Gv 6,15) perché per lui «essere re» significa essere l’unico mediatore dell’alleanza con il creato e con tutta l’umanità. Egli è re al modo di Davide che conduce le pecore ai pascoli erbosi, le protegge nelle valli tenebrose, le cura con amore (Salmo 23/22, odierno). Egli è re perché obbediente fino alla morte di croce (Fil 2,8) si carica dei peccati dell’umanità e ne fa la sua corona regale simbolo del suo regno di misericordia: egli è re perché perdona. L’Eucaristia che celebriamo è lo spazio e il trono di questa «regalità» donata che si fa «servizio» per amore: Pane per essere mangiato e Parola per essere ascoltata e condivisa. Accostiamoci, dunque al torno della grazia (cf Eb 4,16) con la forza dello Spirito Santo che ci fa comprendere e sperimentare la maestà della regalità di Cristo. Facciamo nostre le parole dell’antifona d’ingresso (Ap 5,12; 1,6): L’Agnello immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore: a lui gloria e potenza nei secoli, in eterno.

Spirito Santo, tu sostieni le pecore disperse in attesa del Pastore Gesù, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci convochi da ogni luogo al grande raduno del Regno, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu custodisci la pecora smarrita fino all’arrivo del Pastore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu curi la pecora ferita in attesa che il Pastore Medico, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu nutri il nostro desiderio di essere risorti con Cristo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu alimenti la nostra forza nella lotta contro la morte, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci educhi ad educarci per essere sottomessi a Cristo Re, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni ad essere fedeli a Cristo nostro Re fedele, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni a riconoscere nel discepolo il volto di Cristo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci apri gli occhi a riconoscere nei poveri il Cristo-Povero, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu susciti in noi ogni parola e gesto di agàpe gratuita, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei Amore e ci generi nell’amore che salva il mondo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu Consolatore degli afflitti sei nostra consolazione e pace, Veni, Sancte Spiritus!

Il termine «re» oggi è anacronistico e richiama forme di sudditanza superate: anche dove alligna ancora kla monarchia, nella maggior parte dei casi, si tratta di monarchia «parlamentare» . Di certo non possiamo presentare Cristo come un «presidente» o un «premier»: anche il «presidente Cristo» è fuori logica. All’inizio di ogni eucaristia ci attestiamo sul triplice fondamento da cui nulla ci potrà schiodare: il fondamento trinitario che è paternità, figliolanza e relazione d’amore. Per questo non possiamo non iniziare che nel Nome benedetto della Santissima Trinità:

(greco)6

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

A guardare bene più in profondità la realtà che viviamo, scopriamo che ciascuno di noi è suddito non una volta, ma tante volte e forse in modo permanente di molti idoli che adoriamo e veneriamo più di un qualsiasi re umano. In questo esame di coscienza, purificazione del cuore chiamiamo per nome i nostri «re» a cui assicuriamo la nostra deferenza e lasciamo convertire per ritornare all’unico Re e Signore che «ha dato la vita per me» (Gal 2,20). Con la nostra povertà Cristo impasta il pane caldo del suo Regno senza fine.

Signore, quando anteponiamo il nostro interesse a quello dei poveri, Kyrie, elèison!

Cristo, quando non ti riconosciamo nel «sacramento» dei poveri, Christe, elèison!

Signore, quando pieni di noi non ti riconosciamo Pastore e Guida, Pnèuma, elèison!

Cristo, primizia dei risorti che ci associ a sconfiggere la morte, Christe, elèison!

Signore, quando amiamo noi stessi e disertiamo il pascolo della Parola, Kyrie, elèison!

Dio onnipotente che ha mandato a noi non un re per governarci, ma il Figlio per insegnarci ad amare come ama lui che dà la vita per i suoi amici, per i meriti di tutti i servi e le serve di Dio che in ogni epoca sono stati e continuano ad essere testimoni delle regalità del Servo di Yhwh, abbia misericordia di noi e ci conduca alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI… e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3].

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Dio Padre, che ci hai chiamati a regnare con te nella giustizia e nell’amore, liberaci dal potere delle tenebre; fa’ che camminiamo sulle orme del tuo Figlio, e come lui doniamo la nostra vita per amore dei fratelli, certi di condividere la sua gloria in paradiso. Egli è Dio, e vive e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Ez 34,11-12.15-17. Ez 34, detto anche il capitolo del «buon pastore» si colloca dopo la caduta di Gerusalemme: il profeta Ezechiele forse nel 584 si scaglia prima contro i cattivi pastori (vv. 1-16), forse i capi di bande predone che terrorizzavano paesi e villaggi; poi nel 2° discorso (vv. 17-22 e forse 31) si rivolge contro le pecore ricche che sfruttano quelle povere per concludere (vv 23-24) che Dio ristabilirà il regno di Davide. I vv. 25-31 sono un poema di consolazione, ispirato dal 2° Isaia ed è un’aggiunta di un secolo dopo. La liturgia odierna riporta una parte del 1° discorso e l’inizio del 2° in cui si esprime l’intervento diretto di Dio che verrà a sostituire i pastori indegni e si prenderà cura lui stesso delle sue pecore abbandonate.

Dal libro del profeta Ezechiele 34,11-12.15-17.

11 Così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. 12 Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. 15 Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. 16 Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia. 17 A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri. - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 23/22, 1-3; 5; 6. Due immagini dominano il salmo 23/22: il pastore e l’ospite. Il salmista ospite del banchetto messianico ringrazia Dio pastore che non gli fa mancare nulla. La tradizione cristiana ha sempre applicato questo salmo ai sacramenti, specialmente al battesimo e all’eucaristia che sono il pascolo verdeggiante per eccellenza: l’acqua della vita che introduce al banchetto del «pane disceso dal cielo» (Gv 6,51.58). E’ «già» l’anticipo sacramentale del banchetto escatologico «non ancora» definitivo.

Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

 

1. 1 Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

2 Su pascoli erbosi mi fa riposare.
Ad acque tranquille mi conduce. Rit.

2. 3 Rinfranca l’anima mia,

mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome. Rit.

3. 5 Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca. Rit.

4. 6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni. Rit.

 

Seconda lettura 1Cor 15,20-26.28. Il capitolo 15 della 1a lettera ai Corinzi è complesso. Paolo si muove all’interno della concezione giudaica che considera la persona non composta di anima e di corpo alla maniera greca, ma come essere unico che vive anche dopo la morte, nella risurrezione, la quale rispetterà una certa gerarchia: prima Cristo, poi i credenti e poi gli oppositori fino al nemico per eccellenza che è la morte. La regalità di Cristo altro non è che la sua risurrezione partecipata a tutti.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 1Cor 15,20-26.28

Fratelli, 20 Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. 22 Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. 23 Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; 24 poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. 25 È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. 28 E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti. - Parola di Dio.

Vangelo Mt 25,31-46. Quale sarà la sorte dei pagani, di coloro che non hanno mai incontrato Cristo sulla terra o ai quali non è mai giunta la predicazione del vangelo? Mt oggi risponde a questa domanda. Gli Ebrei pensavano che alla fine i pagani sarebbero stati confusi e distrutti (Is 14,1-2; 27,12-13; Sal 6,11…). Non così Gesù che parla del «più piccolo dei miei fratelli», riferendosi sia agli apostoli che hanno lasciato tutto per seguirlo, ma anche al povero per se stesso senza alcun riferimento a Dio. Gesù infatti è venuto a chiamare poveri, storpi, ciechi, esclusi, emarginati di ogni sorta. La carità/agàpe è il segno e la via maestra per instaurare il Regno di Dio sulla terra. Per questo partecipiamo all’Eucaristia che è la scuola dell’amore ricevuto e partecipato senza condizioni. Il regno di Cristo è il Regno dell’amore senza contraccambio.

Canto al Vangelo cf. Ap 1,8; 2,25

Alleluia. Benedetto colui che viene nel nome del Signore! / Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Dal Vangelo secondo Matteo 25,31-46

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33 e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40 E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, 42 preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” 45 Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». - Parola del Signore.

Spunti di Omelia

Oggi con la festa di Cristo-Re si conclude l’anno liturgico del ciclo A, segnato dalla lettura semi-continua del vangelo di Matteo. Con domenica prossima iniziamo il nuovo anno con la 1a domenica di Avvento. Siamo partiti dalla notte di Pasqua, dalla Veglia, madre di tutte le veglie e di otto giorni in otto giorni, abbiamo puntellato l’intero anno della risurrezione di Gesù che abbiamo celebrato come memoriale settimanale. Questa è la missione dei cristiani segnare la storia con il mistero pasquale che comprende i cinque momenti fondamentali della vita di Gesù: la passione, la morte, la risurrezione, l’ascensione e la pentecoste.

In un certo senso abbiamo coniugato il tempo con l’eternità e abbiamo introdotto elementi temporali nell’eternità. Dio si fa uomo e l’uomo s’innalza a Dio così come la storia è allo stesso modo umana e divina, divina e umana. In questa ultima sosta prima di cominciare di nuovo un altro ciclo di pellegrinaggio, accompagnati dal vangelo di Marco, la liturgia ci aiuta e ci obbliga a guardare a tutta la storia vissuta con una angolazione di retrospettiva. Siamo invitati a guardare la nostra esistenza dal punto di vista della fine.

Immaginiamo di essere dentro la scena del vangelo, drammatica, palpitante e piena di ansia. C’è un re-giudice in mezzo e una folla immensa che viene separata in due file: di qua e di là. Ognuno spera di non essere il primo perché vuole vedere come comincia e come va a finire. Perché questa separazione a destra e a sinistra? La paura è grande e l’attesa paralizza. Fin dalle prime parole del giudice prendiamo atto che il giudizio non sarà sugli atti di culto, sulle preghiere, sulle processioni o sulle cose che ci hanno fatto arrabbiare nella vita, ma unicamente sul tipo di relazione che abbiamo intessuto con gli altri. Apprendiamo, infatti, che «gli altri» non sono estranei anonimi, ma un volto noto, conosciuto e creduto: gli «altri» sono Lui, il Giudice che ora vuole esaminare il «mio modo» di accoglienza o rifiuto.

Da battezzati e frequentatori dell’eucaristia dovevamo vivere in modo «trasfigurato», vedendo cioè gli eventi e le persone con gli occhi di Dio: «Beati i puri di cuori!» (Mt 5,8; cf Sal 73/72,1) che sanno «vedere» Dio oltre il guardare, non immaginarlo e lo sanno scoprire là dove è presente: nel povero, nell’escluso, nel volto anonimo di chi incontrano sulla strada o nello sguardo di paura dell’immigrato braccato dalle leggi incivili di una civiltà suicida. La pagina del vangelo di oggi è discriminante, perché o la prendiamo sul serio o, se siamo onesti, dobbiamo strapparla e buttarla via.

Nelle ultime domeniche dell’anno abbiamo appreso che dobbiamo vigilare in ogni occasione per fare parte del Regno del Figlio dell’Uomo: è questo il senso sintetico dei cc. 24-25 di Mt. Se un non credente dovesse chiedere ad un credente: dimmi con una sola parola la sintesi dell’impegno cristiano del credente nel mondo, credo che la risposta più semplice e obbligata sia «vigilare». Oggi lo stesso Mt ci pone di fronte ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti: non tutti hanno riconosciuto Cristo come Messia e Mediatore, ma molti forse la maggioranza sono rimasti o all’oscuro o hanno rifiutato l’appartenenza a qualsiasi chiesa. Nasce un’altra domanda: quale sarà la fine dei pagani, dei non credenti? In che modo parteciperanno alla «regalità di Cristo» che è venuto perché tutti si salvino e giungano alla verità? (1Tt 2,4). Gli Ebrei pensavano che alla fine del mondo, all’arrivo del Messia, Dio avrebbe confuso i popoli pagani e li avrebbe condannati (Is 14,2; 27,12-13). Matteo dà una risposta diversa con una composizione certamente di suo pugno, ma articolata in tre parabole e una ambientazione.

L’ambientazione è descritta nei vv. 31-32 che presentano la corte celeste che accompagna il Figlio dell’uomo e il raduno universale. Al v.31 troviamo la descrizione della corte celeste, formata dalla Gloria e dagli angeli. Chi sono questi angeli? Gli angeli abbondano nella letteratura apocalittica e sono protagonisti finali della lotta tra il bene e il male. Il giudizio avverrà davanti a testimoni, quegli angeli che abbiamo incontrato nella parabola del grano e della zizzania, dove Gesù assicura che al tempo della mietitura «IL Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità» (cf Mt 13,41). Sono gli angeli citati nella parabola della rete che simboleggia la fine del mondo: «Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni» (Mt 13,49). Sono gli angeli promessi nel contesto del discorso sulla sequela di Gesù, dopo il 1° annuncio della passione, quando Gesù promette che alla fine non verrà da solo: «Il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (Mt 16,27). Sono gli angeli che difendono e proteggono i bambini e i piccoli e che «vedono sempre la faccia del Padre mio» (Mt 18,10). Sono gli angeli che accompagneranno la venuta del Figlio dell’uomo il quale «manderà i suoi angeli, con una grande tromba, e raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».

Al v. 32 un fatto salta subito agli occhi perché non si tratta più di «eletti» o di credenti o di chi ha seguito o non ha seguito Gesù, ora il contesto è universale e riguarda tutti i popoli, senza differenze, senza qualifiche, senza condizioni: «Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre». Nell’ultimo discorso, quello escatologico, Gesù di Nàzaret, nato e cresciuto ebreo si libera da ogni identità particolare per essere il Dio universale che accoglie e valuta i popoli. Il testo dice: «tutti i popoli». Da ciò deduciamo che non saranno solo il popolo cattolico, il popolo ortodosso, il popolo riformato, il popolo ebreo, ecc., perché il giudizio non sarà un «affare interno», ma un evento universale, perché il mondo finirà indipendentemente dalle appartenenze. Ciò significa che il Dio di Gesù Cristo non è cattolico né ortodosso, né riformato: egli è il Dio sconfinato che nessun popolo può contenere e nessuna religione può imprigionare.

Il brano è introdotto dalla breve parabola del pastore che separa le pecore (vv. 32-33) seguita da due altre parabole in cui Gesù s’identifica con sei diverse situazioni di povertà risolte positivamente nell’accoglienza (vv. 35-40) e con le stesse sei situazioni risolte negativamente nel rifiuto (vv.42-45). Probabilmente il contesto originario di queste parabole era nel «terzo discorso», quello della missione, in Mt 10,42 dove Gesù afferma che anche un bicchiere d’acqua fresca dato «ad uno di questi più piccoli» non sarebbe rimasto privo di ricompensa.

Era consuetudine in oriente che alla sera, finito il pascolo, il pastore separasse le pecore dai capri. Attribuendosi questa funzione di separazione, è possibile che Gesù si appropri del potere giudiziario descritto dal profeta Ez 34,17-22. Se ciò è vero, abbiamo qui una novità assoluta perché, contrariamente a quanto pensavano gli Ebrei, il giudizio non consisterà in una separazione etnica, popolo eletto da una parte e pagani dall’altra, ma sarà eminentemente morale: giusti e ingiusti, buoni e malvagi. La separazione etnica è un sopruso che nasce da privilegi millantati, mentre la separazione morale si basa su una scelta di vita che porta a conseguenze logiche.

Nel mondo in cui viviamo, proprio perché carente di morale, si nutre del rigurgito della separazione etnica e scempi deturpanti si commettono ancora in nome e per conto della etnia, spesso di matrice religiosa, considerata come idolo: in quasi tutto il mondo il tarlo dell’etnia che produsse il mostro nazista si afferma come strumento di potere millantato da difesa di un ordine morale che invece è solo il sintomo di un disordine spirituale, economico e politico.

Nel vangelo di Mt accade un fenomeno non rado nella Scrittura: il rovesciamento delle situazioni, come nella parabola del fariseo e del povero al tempio (Lc 18,10-14), come nel Magnificat di Maria ( Lc 1,51-53), come nell’esempio degli invitati che scelgono i primi posti che poi devono cedere (Lc 14,7-11), come nella parabola di Lazzaro-povero e del ricco crapulone (Lc 16,19-26). Alla fine della storia, avremo sorprese inimmaginabili: non credenti e atei che passeranno avanti a coloro che magari si sono illusi in una religiosità di prassi o di convenienza o d’identità, facendo i gargarismi con il nome di Dio e usandolo come martello per schiacciare gli altri e assentandosi dagli appuntamenti con la storia, là dove si decidono le sorti della fame e della sete, della sopravvivenza e della dignità delle singole persone e dei singoli popoli. Tanta gente semplice che ha vissuto la propria religiosità senza secondi fini, ma con coscienza e carità, passerà davanti ad esperti e sapienti che con i loro distinguo non si sono mai sporcate le mani e la vita, ma si sono sempre assopiti nella penombra del trono del potere. Allo stesso modo, molti non credenti hanno servito Cristo senza saperlo, rifiutando spesso il Cristo caricaturale dei cristiani, ma non il Figlio dell’uomo che nel giorno del giudizio riconosceranno senza problemi perché lo vedranno nel volto degli uomini e delle donne che anno servito e per i quali hanno lottato7. Gesù ce ne dà un assaggio, quando ci mette in guardia da facili entusiasmi: « I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31). La fede non semplifica la vita di chi crede, né l’addolcisce e neppure la rende meno pesante, semmai aumenta la responsabilità. Non saremo giudicati perché abbiamo compiuto atti di culto, o abbiamo celebrato rituali sontuosi «a gloria di Dio» che poi coincideva con la «nostra» gloria o abbiamo indossato paramenti pregiati; al contrario saremo giudicati su queste cose perché «quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re» (Mt 11,8) e non negli atri della casa del Signore al cui cospetto invece si adempiono solo i voti di fedeltà e di amore (cf Sal 116/115,19). Dio deciderà il nostro destino in base della nostra coscienza, non in nome di qualsiasi altra appartenenza o, sia etnica che religiosa.

Per scegliere in senso etico e non etnico, è necessario possedere lo spirito del discernimento, cioè la capacità di cogliere la verità dei singoli eventi che viviamo e la porzione di verità portata dalle persone che incontriamo. Per imparare questo criterio possediamo due metodi complementari che si integrano a vicenda: la legge delle beatitudini combinate con la legge dell’impossibilità codificata dall’apostolo Paolo: «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28). Il risultato finale è la legge suprema dell’agàpe/amore codificato dal Signore stesso: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35; cf 1Cor 13,1-8), senza nulla pretendere in contraccambio, ma dando la vita e dandola senza riserve.

La regalità di Cristo altro non è che la regalità dell’amore crocifisso e risorto, vissuto in nome di Dio nel volto di ogni fratello e sorella che incontriamo lungo il nostro cammino e costruendo con loro spazi ed esperienze di comunità, di accoglienza e di condivisione nel «Nome di Gesù» benedizione di Abramo (Ga 3,14). Siamo ad un bivio e dobbiamo scegliere: o impariamo il discernimento del capovolgimento o dobbiamo essere coerenti e strappare il vangelo di oggi che non ha parole in libertà, ma parole che sono pietre e non lasciano scampo: «fame, sete, forestiero, nudo, malato, carcerato». Due sole possibilità possiamo offrire: o c’ero o non c’ero. Con l’aiuto di Dio!

Professione di Fede (rinnovo delle promesse battesimali)

La festa della regalità di Cristo ci richiama alla nostra consacrazione battesimale che ci inserisce come membra vive del popolo di Dio, popolo sacerdotale, regale e profetico (1Pt 2,9). Essere un popolo regale significa che non siamo schiavi, ma figli liberati e liberi per un regno di amore. Con questi sentimenti rinnoviamo le promesse del nostro battesimo, avendo la coscienza di essere membra vive della Chiesa nostra Madre.

Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.

Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine,

morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.

Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi,

la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna? Credo.

Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa fede noi ci gloriamo di professare in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.

Preghiera universale [Intenzioni libere]

Preghiamo (sulle offerte). Accetta, o Padre, questo sacrificio di riconciliazione e per i meriti del Cristo tuo Figlio concedi a tutti i popoli il dono dell’unità e della pace. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA III8

Cristo re dell’universo

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.
É cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Nella santa assemblea, sei tu che ci convochi e ci cerchi per contemplare il nostro volto e sentire la nostra voce orante, o Signore nostro re (cf Targum a Ct 2,8).

Tu con olio di esultanza hai consacrato Sacerdote eterno e Re dell’universo il tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore.

Benedetto nel Nome del Signore colui che viene. Tuo è i Regno, la Potenza e la Gloria, Agnello di Dio che rpendi su di te il peccato del mondo. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison.

Egli sacrificando se stesso immacolata vittima di pace sull’altare della Croce, operò il mistero dell’umana redenzione; assoggettate al suo potere tutte le creature, offrì alla tua maestà infinita il regno eterno e universale:

Il Regno del tuo Figlio è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison.

E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli, ai Troni e alle Dominazioni e alla moltitudine dei cori celesti, proclamiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria della tua santità. Maraàn-athà! Santo Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

Tu, o Signore, sei il pastore che raduni il tuo popolo da tutti i luoghi dove era disperso nei giorni nuvolosi e della caligine (cf Ez 34,12).

Ora ti preghiamo umilmente:manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.

Tu, o Padre, conduci la santa Chiesa al pascolo della Parola e la fai riposare alle sorgenti dell’Eucaristia (Cf Ez 34,15).

Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Ecco sono giunte le nozze dell’Agnello e la Chiesa sua sposa è pronta per il suo Signore e Re (cf Ap 19,7).

Dopo la cena, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Tu, o Signore sei il nostro pastore: ci guidi ai pascoli del tuo amore e ci conduci alle acque tranquille della risurrezione (cf Sal 23/221).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Davanti a noi prepari una mensa, ungi il nostro capo dell’olio di esultanza e fai traboccare il calice della tua vita donata per amore e con amore (cf Sal 23/22,5).

Mistero della fede.

Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro re, vieni.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.

Il tuo Figlio, Gesù è risorto dai morti per essere primizia di coloro che sono morti in Cristo per ricevere la vita e stare con lui sempre (cf 1Cor 15,20.22).

Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.

Rendici testimoni della Parola che è Cristo, quando ci dirà: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» (cf Mt 25,34).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.

Egli ci giudicherà sull’amore e dirà: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (cf Mt 25,35-36).

Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare … e il popolo che tu hai redento.

Noi ti risponderemo: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti? (cf Mt 25 38-39 ).

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

Il Cristo, tuo Figlio e nostro Redentore ci risponderà: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (cf Mt 25,40).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.

Il tuo regno, o Signore, non è di questo mondo; e anche noi siamo nel mondo, ma non vogliamo essere di questo mondo. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, o beata Trinità» (cf Gv 18,36; 17,11.16; Ord. Messa).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)

Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra.

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona alla comunione Mt 25,31-32: «Il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria per giudicare tutte le genti».

Dopo la Comunione:

Da: Preghiera per i quattro tempi della Commissione francofona cistercense

Avevo fame, / voi contavate / i vostri incassi.
Avevo fame, / voi assicuravate: /«Vi mettete in testa / strane idee».

Avevo fame, / voi sentenziavate: /«Non c’è fretta».
Avevo fame, / voi scrivevate: / «I nostri avi avevano fame».

Avevo fame, / voi annunciavate / il buon ordine costituito.
Avevo fame, / voi preparavate / delle riforme / a tempo debito.

Avevo fame, / voi partivate / in viaggio.
Avevo fame, / voi rispondevate: / «Che peccato, / a presto!».

Avevo fame / voi andavate / in vacanza.
Avevo fame, / voi auguravate: / «Buona fortuna, / amico!».

Avevo fame, / voi dicevate: / «Povero fratello!».
Avevo fame, / voi promettevate / preghiere / al Buon Dio.

Dal Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 88 (EV 1/1414; 1628)

I cristiani volentieri e con tutto il cuore cooperino all’edificazione dell’ordine internazionale nel reale rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la maggior parte del mondo soffre di una miseria così grande che sembra quasi intendere nei poveri l’appello del Cristo che reclama la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti troppo spesso per la maggior parte si dicono cristiani, godono di una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario per vivere e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e di amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo.

Dal Vangelo (Mt 7,21-23)

Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerà loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità (Mt 7,21-23).

Sul vangelo di Matteo di san Giovanni Crisostomo (Omelia 88)

Quando si disprezza il povero, si disprezza Cristo; perciò la colpa è enorme. Anche Paolo ha perseguitato il Cristo perseguitando i suoi. Perciò, sente la voce che gli dice: “Perché mi perseguiti?”.

Preghiamo. O Dio nostro Padre, che ci hai nutriti con il pane della vita, fa’ che obbediamo con gioia a Cristo, Re dell’universo, per vivere senza fine con lui, nel suo regno glorioso. Egli vive e regno nei secoli dei secoli. Amen.

Benedizione e saluto finale

Il Signore Creatore e Redentore, Principe di Pace è con voi. E con il tuo spirito.

Il Signore Pastore d’Israele e Capo della Chiesa, ci doni la sua benedizione.

Il Signore immagine visibile del Volto del Dio invisibile, ci manifesti la sua gloria.

Il Signore che prenderà possesso della Storia, ci guidi alla mèta del Regno nella Pace.

Il Signore che Alfa e Omèga, Principio e Fine dei secoli, ci protegga e ci benedica.

Il Signore, Re di Israele e Sposo della Chiesa, sia sempre davanti a voi per guidarvi.

Il Signore, Pastore d’Israele e Capo della Chiesa suo corpo, sia dietro di noi per difenderci.

Il Signore, Agnello di Dio e Servo di Yhwh sia accanto a voi per confortarvi e consolarvi. Amen.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

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© Domenica 34a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 20/11/2011 - San Torpete – Genova

Appendice

Schema (quasi letterario) del brano evangelico (Mt 25,31-46)

Gesù disse ai suoi discepoli: 31«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33 e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo.

A

35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,

1

         
 

B

ho avuto sete e mi avete dato da bere;

 

2

       
   

C

ero forestiero e mi avete accolto,

   

3

     
     

D

36 nudo e mi avete vestito,

     

4

   
       

E

malato e mi avete visitato,

       

5

 
         

F

ero in carcere e siete venuti a trovarmi.

         

6

37 Allora i giusti gli risponderanno:

A

“Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare,

1

         
 

B

o assetato e ti abbiamo dato da bere?

 

2

       
   

C

38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto,

   

3

     
     

D

o nudo e ti abbiamo vestito?

     

4

   
       

E

9 Quando mai ti abbiamo visto malato

       

5

 
         

F

o in carcere e siamo venuti a visitarti?

         

6

40 E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.

41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, 42 preparato per il diavolo e per i suoi angeli.

A

Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare,

1

         
 

B

ho avuto sete e non mi avete dato da bere;

 

2

       
   

C

43 ero straniero e non mi avete accolto,

   

3

     
     

D

 nudo e non mi avete vestito,

     

4

   
       

E

malato

       

5

 
         

F

e in carcere e non mi avete visitato”.

         

6

44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore,

A

quando mai ti abbiamo visto affamato

1

         
 

B

o assetato

 

2

       
   

C

o straniero

   

3

     
     

D

o nudo

     

4

   
       

E

o malato

       

5

 
         

F

o in carcere e non ti abbiamo servito?”.

         

5

45 Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Osservazioni

Il brano si compone di 6 affermazioni sempre nello stesso ordine ripetute 4 volte per un totale di affermazioni 24:

2 volte sono riportate in forma positiva: = 6x2 = 12 = 3

2 volte sono riportate in forma negativa: = 6x2 = 12 = 3 [=3+3 = 6]

Il risultato finale è sempre 6: = 3+3 = 6 oppure 12+12 [= 3+3] oppure = 24 = 2+4 = 6 = 6

Il n. 6 è il giorno della creazione dell’uomo: il giudizio finale ricompone il «principio» della creazione. Al v. 34 si fa riferimento al posto «creato prima della fondazione del mondo» con la quale Mt si riferisce ad una tradizione giudaica secondo la quale prima della creazione del mondo furono create 7 cose (un’altra tradizione dice 10 e un’altra 5): «Diedi cose furono create al crepuscolo del primo Sabato e cioè: 1. l’apertura della terra; 2. la bocca del pozzo; 3. la bocca dell’asina; 4. l’arcobaleno; 5. la manna; 6. la verga [di Mosè]; 7. lo shamìr [= insetto miracoloso con cui furono intagliati i nomi delle 12 tribù d’Israele sull’efod del sommo sacerdote e le pietre dell’altare del Tempio]; 8. le lettere dell’alfabeto [= incise sulle tavole]; 9. la scrittura [= lo scrivere]; 10. le tavole di pietra della Legge» (Mishnàh: Pirqè Avòt/Massime dei Padri, V,6).

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© Domenica 29a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 16/10/2011 - San Torpete – Genova

MARTEDÌ 29 NOVEMBRE ORE 17,00 CAPANNORI (FI), Paolo Farinella, prete partecipa alla presentazione del libro

1948 di sani principi. Oggi parliamo di Costituzione, Libro-intervista di Monica Innocenti e Luca Cosci, Maria Pcini Fazzi Editore, Lucca 2011.

LUNEDÌ 05 DICEMBRE, ORE 18,00, Libreria Feltrinelli Genova, Paolo Farinella, prete partecipa insieme al prof. Giorgio Doria, alla presentazione del libro «La fede Ribelle», a cura di Alberto De Sanctis, edizioni La Meridiana, Genova 2011. Il libro a più voci, prende a misura alcuni grandi teologi e pensatore del Novecento come parametro per leggere la religione dal punto di vista della contestazione del potere.

SIAMO ALLA RICERCA DI 400 AMICI e Amiche che con una quota di € 100,00 ci aiutino a predisporre i locali della segreteria dell’Associazione Ludovioca Robotti – San Torpete»

1 Basti pensare alla lotta per le investiture durata 69 anni (1073-1122) tra il papato e l’impero, culminato nell’opposizione tra Enrico IV e Gregorio VII: lotta di supremazia politica ed economica. Tutto ciò accadde perché il mondo viveva in un regime di cristianità che è governare in nome della teocrazia. Tutto ciò accade anche oggi quando nella chiesa prevale lo spirito clericale che chiede appoggi non sempre limpidi al potere di turno, il quale è ansioso di concederli, aumentando i privilegi pur di avere in cambio un appoggio incondizionato nella gestione pratica del potere. In una Chiesa dove sono assenti i profeti, prosperano gli intrallazzatori e i conniventi, atei e praticanti quanto basta.

2 Uno degli effetti della reintroduzione della Messa tridentina ad opera di Benedetto XVI è questo: ha dato fiato non solo ai seguaci di Marcel Lefébvre, ma a tutti i nostalgici del tempi andati quando la Chiesa poteva determinare la politica e le scelte dei governi «cristiani». La gerarchia ecclesiastica ha sempre aspirato a condizionare politiche e leggi civili, a volte riuscendo a volte trovando serie opposizioni laiche. Si confonde il «Regno di Dio» predicato dal vangelo con la restaurazione sulla terra del «Regno della Chiesa». La Messa «in latino» è per costoro la bandiera di una teologia che vede il potere temporale della Chiesa (cioè della gerarchia, cioè il papa e naturalmente loro stessi ai posti di comando) come essenziale alla sua missione. Non a caso nei loro documenti ufficiali parlano di «ritorno alla cristianità» che deve essere imposta con ogni mezzo. Sulla stessa linea si pongono i gruppi e le organizzazioni dal nome altisonante e militaresco come Legionari di Cristo, Milites Christi, Legio Mariae, ecc. che già nel nome sono un «preventivo» programma di assalto e di prevaricazione verso il mondo considerato come nemico irriducibile, senza considerare le dovute precisazioni del vangelo, specialmente di Giovanni: in Gv 1,9-10 il termine «mondo» è usato quattro volte con quattro significati diversi. Più grave ancora però è non considerare la volontà di Dio espressa nel vangelo di Giovanni: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17); «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47).

3 Pio XI intuì ciò che stava per succedere in Europa e con questa festa intese porre un argine spirituale. L’istituzione della festa di un Cristo «regale» fu accolta dalla maggioranza dei cattolici come una rivalsa: in Italia infatti, essi erano ancora ai margini della vita politica in conseguenza del «non expedit», abrogato solo da Benedetto XV nel 1919. Anche il clericalismo rampante di sistema, nemico strutturale di ogni novità e i cultori della Chiesa come museo del passato, accolsero la festa come uno strumento idoneo e un mezzo in più per difendere e diffondere il regno di Dio che identificavano con i regni della terra, ponendosi contro ogni ipotesi di modernità che essi riducevano al laicismo puro e semplice. Il clericalismo è il l’atrofia della religione: esso si ferma dottrinalmente al concilio di Trento (1545-1563) che assume come punto di riferimento per il sistema teologico e al concilio Vaticano I (1868-1870) per la definizione dell’infallibilità del papa che per loro significa il punto massimo di sviluppo dell’ecclesiologia: se il papa è infallibile non servono più i concili e le strutture consultive. Ormai basta solo il papa che pensa per tutti e decide per tutti. La Chiesa non deve fare altro che «ubbidire» e anche i vescovi vengono ridotti al rango di commissari papali «in regionibus mundi». Molti infatti si stupirono, anche tra i cardinali presenti all’atto dell’annuncio, quando papa Giovanni indisse il concilio ecumenico Vaticano II (basilica di San Paolo fuori le mura in Roma, 25 gennaio 1959), dicendo che ormai dopo il dogma dell’infallibilità, il concilio era superfluo, inutile e forse anche pericoloso.

4 Questa espressione è stata girata e rigirata in ogni modo e quasi sempre fuori dal suo contesto fino a diventare un assioma assoluto di natura evidente, come un principio geometrico che si enuncia e non si spiega: «fuori della Chiesa non c’è salvezza». Punto. Il principio è enunciato per primo da San Cipriano (Epist. 73,21: PL 1123AB), ripreso dal concilio Lateranense IV (DS 870), da Bonifacio VIII (bolla Unam snctam: DS 870) e dal concilio di Firenze (Decretum pro Iacobitis: DS 1351) e ruformulato dal concilio di Trento (Catechismo, n. 114) ripreso da Pio X (Catechismo n. 149): cf anche Gregorio XVI (Summo iugiter, 27 maggio 1832); Pio IX (Singolari quidam, 9 dicembre 1854; Quanto conficiamur, 10 agosto 1863). Il concilio Vaticano II attenua l’assioma e cerca di riportarlo all’interno di una visione unitaria della storia della salvezza (cf Lumen Gentium, 4 e Unitatis Redintegratio, 3), ponendo la Chiesa non come unico mezzo di salvezza, ma «uno» di essi. Il concetto è trattato in ben quattro numeri del Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC 816, 819 e 846-848). Giovanni Paolo II riprende e sviluppa il tema, ammorbidendolo nella enciclica Redentoris Missio, 7 dicembre 1990, n. 10 e specialmente nell’udienza generale del 31 Maggio 1995 in cui cita tutti i testi sopra riportati. Una espressione che in San Cipriano aveva il valore «ad intra» perché riguardava solo i cristiani, con il passare del tempo, è diventato un principio universale valido per tutti, anche per non credenti e per coloro che non hanno mai incontrato Cristo e la Chiesa, ponendo così la Chiesa, di fatto, nell’ordine dei fini e di conseguenza al di sopra di Cristo stesso (cf Congregazione per la dottrina della fede [prefetto cardinal Joseph Ratzinger] Dichiarazione Dominus Iesus «circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», 6 agosto 2000, qui il n. 20).

5 Nel 1° Giubileo della storia ideato da papa Bonifacio VIII, avvenuto nel 1300, nella processione inaugurale, il papa a cavallo e vestito con i paramenti pontificali si fece precedere da due palafrenieri che portavano due cuscini con sopra due spade: la spada spirituale e la spada temporale. Per l’occasione il papa invento anche la «tiara» con doppia corona, a scanso di equivoci.

6 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

7 Cf Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, 19-20.

8 La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.



Martedì 15 Novembre,2011 Ore: 15:01
 
 
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