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www.ildialogo.org Domenica 32a per annum A – 06 novembre 2010 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 32a per annum A – 06 novembre 2010 –

di Paolo Farinella, prete

La domenica 32a ordinaria-A è la terz’ultima dell’anno liturgico che si concluderà fra due domeniche con la festa di Cristo, Re dell’universo. Seguirà il ciclo B con la 1a domenica di avvento. La liturgia della Parola di oggi può essere così articolata: la 2a lettura ci proietta nella prospettiva finale della parusìa che è stare sempre con il Signore (v. 1Ts 1,17): alla fine della storia individuale, che si compie col passaggio della morte e alla fine della storia cosmica che avviene con la fine del mondo; il piano di Dio, nell’uno e nell’altro caso, è la comunione nell’Amore. Nel brano di oggi San Paolo esprime lo stesso concetto con le parole «radunerà con lui» (1Ts 4,14): la chiesa è «radunata/convocata» dal Signore risorto. I pochi giorni che viviamo sulla terra sono il tempo «delle prove» per esercitarci ad amare: oltre la soglia della morte noi ameremo per l’eternità perché saremo tutti in Dio (cf 1Co 12,6). San Paolo ci invita a guardare oltre l’orizzonte del quotidiano: davanti a noi c’è la dimensione oltre la morte che è reale perché si fonda sullo stesso evento che ci riguarda: la risurrezione di Gesù. Tutti saremo oggetto e soggetti d’amore senza fine.

La 1a lettura ci dice che per raggiungere questa meta è necessario avere una guida speciale: «donna Sapienza» che si fa desiderare e si lascia trovare. Una guida che è già pronta prima ancora che ciascuno di noi sia disponibile a partire. Essere sapienti non significa sapere molte cose o avere studiato tanto, ma accettare che qualcuno ci guidi e ci preceda lungo il cammino della conoscenza: la Sapienza si trasmette attraverso una relazione vitale; infatti deriva dalla radice «sophsop…» che ha attinenza con «sap-ore, od-orare (gusto, avere naso)»: il discepolo di Donna Sapienza è colui che gusta, odora la verità delle cose che conosce, cioè tende al di fuori di sé per incontrare qualcuno e condividersi.

Nella Bibbia la Sapienza occupa un posto privilegiato e raggruppa un insieme di cinque scritti detti appunto «libri sapienziali»: il libro dei Salmi, il libro della Sapienza, quello del Siracide, del Qoèlet e infine il libro dei Proverbi. Questo «corpus» letterario si colloca dopo la storia, dopo le riforme, dopo l’esilio (ma possono contenere materiale più antico) perché in un tempo di ordinaria amministrazione, il Sapiente si rivolge alla complessa problematica che innerva la vita di ogni giorno come gestione della ordinarietà. In prima battuta, nella Bibbia, la sapienza è l’arte del buon governo, a volte del buon senso e della difficile convivenza tra successi e contrarietà, tra progetti sublimi e realizzazioni deludenti. Dicevano i saggi ebrei: da giovani si legge il Cantico dei cantici (l’amore) in età matura il libro del Siracide (la saggezza/la Sapienza) e nella vecchiaia il libro dei Proverbi (i ricordi).

Il vangelo da parte sua si rivolge alle diverse categorie che compongono il popolo di Dio, suggerendo a ciascuna le condizioni specifiche per accedere al regno della comunione senza fine. Per Mt vi sono due grandi categorie di persone:

  1. quelli che consapevolmente appartengono al popolo di Dio come il servo fedele e vigile in assenza del padrone (Mt 24,45-51) o come le vergini del vangelo odierno (Mt 25,1-30);

  2. quelli che vi partecipano anche senza saperlo come i «benedetti» del giudizio universale che hanno accolto il Cristo nel volto dei fratelli bisognosi, sfamandoli, vestendoli e assistendoli (Mt 25,31-46). Negli anni ‘70, la teologia parlava di «Cristiani anonimi»1.

Nella prima categoria, quella degli appartenenti consapevoli, Mt cita i responsabili del popolo come il servo costituito soprintendente di altri servi (24,45-51); la categoria delle donne (Mt 25,1-13: il vangelo odierno) e quella degli uomini: i servi dei talenti (25,14-30 che proclameremo domenica prossima).

Il brano di oggi quindi sarebbe una catechesi al femminile in cui Mt ricorda alle donne il compito della vigilanza. Questo procedimento «binario»: catechesi maschile/femminile si trova altre volte nel vangelo (Mt 9,18-26; 13,31-33; 24,18-19)2. Siamo così preparati alla liturgia di domenica prossima la cui 1a lettura sarà un elogio della donna. A conclusione dell’anno liturgico, l’evangelista mette un sigillo femminile per descrivere l’atteggiamento corretto che il credente deve assumere. Ancora una volta, la misura della fede e dell’attesa e anche la prospettiva del regno sono «donna» per la ragione provata che l’amore che Dio comunica è accoglienza pura e gratuita, una virtù prevalentemente femminile.

Invochiamo lo Spirito Santo perché nella celebrazione dell’Eucaristia, ciascuno di noi possa riscoprire la parte femminile di sé ed essere un docile strumento di amore ricevuto e donato in abbondanza; facciamo nostra l’antifona d’ingresso: (Sal 88/87,3): «La mia preghiera giunga fino a te; tendi, o Signore, l’orecchio alla mia preghiera».

Spirito Santo, tu ti fai trovare da chiunque ti cerca con umiltà e sincerità di cuore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei sempre vigile sulla soglia del nostro cuore ad aspettarci, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu vieni sempre in cerca di chi cerca la Parola di Dio per condividerla, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu previeni sempre ogni nostro desiderio di bene e ogni nostra speranza, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei l’acqua del Giordano che disseta ogni nostro anelito di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei l’ombra che ci protegge e ripara da ogni pericolo incombente, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, ha sete di te l’anima nostra che t’invoca dall’aurora al tramonto, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu non ci lasci mai nell’ignoranza, ma ci educhi alla risurrezione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei il vivente che raduna i popoli dispersi in terra dalla divisione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidi i risorti ad andare incontro al Signore Gesù, il Santo di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sulla Sposa-Chiesa preghi: Maràn-athà!-Vieni, Signore Gesù!, Veni,Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sostieni la Chiesa perché vegli in assemblea l’attesa dello Sposo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei l’olio che alimenta la lampada delle fede nel Cristo Risorto, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu introduci la Chiesa-Sposa nel banchetto nuziale del Cristo-Sposo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu solo conosci il giorno e l’ora e ci insegni a vegliare nella notte, Veni, Sancte Spiritus!

Anche questa mattina venendo a questo altare abbiamo trovato una sorpresa: uscendo di casa abbiamo trovato il Signore accovacciato sulla nostra soglia e lungo la strada avevamo la certezza che lo Spirito Santo pregasse il suo «Amen!» su di noi, quell’«Amen!» che ora a nostra volta pronunciamo sulla chiesa e sul mondo intero, nel sigillo trinitario che tutto raduna nell’unità della diversità:

(greco)3

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

Anche ora la santa Trinità ci precede perché prima ancora che chiediamo perdono, ha già rimesso ogni nostra colpa per i meriti di Gesù Cristo. Il suo perdono diventa così la roccia su cui poggia la nostra esistenza perdonante, divenendo segno visibili della sua Sapienza che si fa premura di prendersi cura di noi. Affidiamo alle sue materne cure la nostra anima, immergendoci nella misericordia senza fine del Signore Gesù.

Signore, abbiamo anteposto il nostro sapere povero alla tua Sapienza, Kyrie, elèison!

Cristo Gesù, Sapienza eterna incarnata che doni lo Spirito di Sapienza, Christe, elèison!

Signore, che ci accoglie anche quando siamo stolti e senz’olio, Kyrie, elèison!

Cristo crocifisso, che con la tua croce previeni ogni nostra conversione, Christe, elèison!

Signore, Dio premuroso che ti fai carico del peccato nostro e del mondo, Kyrie, elèison!

Dio onnipotente che ha inviato il Cristo, Sapienza eterna a stabilire la sua tenda in mezzo a noi per renderci attenti ascoltatori della sua Parola; che mette a fuoco nel nostro cuore la coesistenza della saggezza e della stoltezza; che ci libera da noi stessi per essere capaci di accogliere gli altri; per i meriti dei Profeti, dei Martiri e dei Santi d’Israele ed ella Chiesa; per i meriti degli Apostoli e di tutti i credenti di tutti i tempi; per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3].

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima lettura Sap 6,12-16. Il libro della Sapienza è l’ultimo libro dell’AT, scritto direttamente in greco nella 2a metà del sec. I a.C. L’autore, un ebreo ellenizzato, vive ad Alessandria di Egitto in un ambiente misto e multiculturale. Egli personifica «donna Sapienza» (cf Pr 1,20-33; 8,1-36; 9,1-6;) presentandola agli Ebrei della diaspora in termini tradizionali e nello stesso tempo proponendola ai pagani disposti ad accettarla. I cristiani hanno identificato la Sapienza che assisteva Dio nella creazione dell’uomo (9,1-2.9) con il Lògos incarnato (cf Sir 24,1-21; Gv 1,1-18) e per questo motivo gli Ebrei l’hanno escluso il libro del loro canone. Il brano di oggi appartiene alla seconda parte che è l’esaltazione di «donna Sapienza» come premura di Dio verso gli uomini. La Sapienza non solo si lascia scoprire da coloro che la cercano (vv. 12-16), ma addirittura li previene accucciandosi sulla soglia della loro porta (v. 14). Essa per noi oggi ha il volto del Figlio di Dio, che è la premura del Padre, il Lògos che si fa Parola e Pane per noi.

Dal libro della Sapienza 6,12-16

12 La sapienza è splendida e non si sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano. 13 Nel farsi conoscere previene coloro che la desiderano. 14 Chi si alza di buon mattino per cercarla non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. 15 Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; 16 poiché lei stessa va in cerca di quanti sono degni di lei, appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro. - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 63/62, 2; 3-4; 5-6; 7-8. Un perseguitato errante nel deserto, assetato, solo e lontano dalla sua famiglia non ha altra salvezza che abbandonarsi a Dio. Egli sperimenta la profezia di Amos 8,11: «manderò la sete sulla terra, non sete d’acqua, ma sete di ascoltare la Parola di Dio». L’arsura della sete materiale richiama un’altra sete: quella del Tempio dove la Toràh scorre come acqua zampillante. La tradizione giudaica l’ha applicato a Davide che fugge dal figlio Assalonne, mentre i cristiani l’applicano a se stessi dissetati nelle acque del battesimo.

Rit. Ha sete di te, Signore, l’anima mia.

 

1. 2 O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua. Rit.

2. 3 Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria
4 Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode. Rit.

3. 5 Così ti benedirò per tutta la vita,
nel tuo nome alzerò le mie mani.
6 Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Rit.

4. 7 Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
8 a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali. Rit.

 

Seconda lettura 1Ts 4,13-18. La lettera ai Tessalonicesi è lo scritto più antico del NT (50/51 ca. d.C.) e riflette anche le convinzione del suo tempo. I primi cristiani erano inquieti circa la fine del mondo e si domandavano se all’arrivo imminente del Regno di Dio avrebbero partecipato anche i loro defunti sui quali la teologia tradizionale non è in grado di dire ancora una parola definitiva. Paolo parla espressamente di risurrezione dei morti nel significato forte di «stare con il Signore» (cf Gv 14,3; 17,24). I morti allo stesso modo di coloro che sono sulla terra partecipano alla gloria per condividere la sua stessa vita. Per questo noi, senza alcuna angoscia attendiamo il Signore pregando con Paolo e l’Apocalisse: «Maràn athà/Signore nostro,vieni» (1Cor 16,22; Ap 22,20).

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 4,13-18

13 Non vogliamo, fratelli e sorelle, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. 14 Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio per mezzo di Gesù radunerà con lui coloro che sono morti.

Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.

Confortatevi dunque a vicenda con queste parole. - Parola di Dio.

Vangelo Mt 25,1-13. Ci avviamo verso l’ultimo discorso di Gesù (cc 24-25), il quinto: il discorso escatologico (èskaton-ultima realtà/lògos-discorso), all’interno del cui orizzonte Matteo ha collocato la parabola odierna. Gesù ha raccontato un fatto di cronaca, un matrimonio andato per le lunghe, la comunità primitiva ha trasformato la parabola in una allegoria delle nozze tra Cristo e la Chiesa. Matteo aggiunge qualcosa di suo: descrive le diverse categorie che entrano nel nuovo Regno e qui si sofferma a parlare delle donne che invita alla vigilanza. Non siamo o stolti o saggi. Siamo stolti e saggi e perciò abbiamo bisogno della lampada della Parola (Sal 119/118, 105) per vedere anche al buio.

Canto al Vangelo cf. Mt 24, 42a.44

Alleluia. Vegliate e tenetevi pronti, / perché, nell’ora che non immaginate, / viene il Figlio dell’uomo. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Matteo 25,1-13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1 «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4 le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6 A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro!”. 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 Le stolte dissero alle sagge: Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10 Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!” 12 Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora». - Parola del Signore.

Spunti di omelia

La parabola delle dieci vergini fa parte di un trittico di parabole che vogliono illustrare l’invito del Signore riportato da Mt 24,42: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno verrà il Signore», invito ripreso alla lettera alla fine della 2a parabola (Mt 25,13; cf anche Mc 13,35), diventando così il vero tema di raccordo tra le tre parabole. Certo, alcuni hanno buon gioco a considerare i due versetti una «inclusione» per cui la 3a parabola sarebbe a se stante: il trittico sarebbe in effetti un dittico. A noi non sembra che sia così: riteniamo che le tre parabole sia collegate oltre da un punto di vista tematico, anche da quello letterario, infatti se le prime due sono strettamente legate dalla ripetizione dello stesso versetto (Mt 24,42 e Mt 25,13), la terza parabola che segue immediatamente è introdotta da un «gàr-infatti» che qui è congiunzione coordinante/esplicativa che si attacca immediatamente a quanto precede che è la parabola delle dieci vergini4. Le parabole sono:

  1. Mt 24,45-51: la parabola del servo fidato e prudente fedele

  2. Mt 25,1-13: la parabola delle dieci vergini

  3. Mt 25,14-30: la parabola dei talenti

Anche ad una sommaria lettura della parabola delle dieci vergini, ci si accorge che il testo si trova fuori dal suo ambiente naturale. L’invito, infatti, del v. 13 che riprende Mt 24,42 e cioè «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora», è anacronistico se è vero che si sono addormentate tutte dieci le vergini e non solo le cinque stolte. Questa incongruenza sta a dimostrare che il testo non è un racconto di un fatto reale, ma nell’intenzione dell’autore si tratta di una allegoria esortativa, come vedremo subito, che descrive l’atteggiamento della Chiesa/comunità nel tempo dell’attesa che è la storia. Che sia una allegoria è provato dal fatto che ci troviamo di fronte a «dieci vergini», uno sposo in ritardo e una sposa totalmente assente, per cui non si può dire che il tema della parabola sia quello nuziale. Probabilmente essa è frutto di diverse mani e il v. 13 può essere stato aggiunto più tardi sia per armonizzarla con la parabola precedente sia per invitare ad un atteggiamento morale in una condizione di Chiesa ormai scontata e affievolita. L’allegoria riguarderebbe quindi non il tema della nuzialità, ma quello della condizione della comunità stanca e ripiegata che vive di rendita e senza entusiasmo, seduta sul senso del dovere perché ha smarrito quello della missionarietà. Una Chiesa a disagio nel mondo, rassegnata alla religione dei rituali e dell’obbligo che fa fatica ad esercitare il ministero della profezia della testimonianza: si sente estranea nel mondo che dovrebbe essere casa sua.

La parabola delle «dieci vergini»5 è stata messa qui nel contesto della parusìa, che non è il suo, anche perché nel vangelo Gesù non si è mai paragonato alla sposo. La comunità cristiana, al contrario, ha paragonato se stessa alla sposa per descrivere la sua relazione in rapporto a Cristo sposo (cf Lc 3,5; Gv 3,29; 2Cor 11,2). Probabilmente le cose sono andate in questo modo. Gesù, come suo solito prende lo spunto da un fatto della vita ordinaria di tutti i giorni. Forse ha partecipato ad un matrimonio (cf Gv 2,1-11) o forse le cronache del tempo hanno parlato a lungo di una trattativa di nozze andata tanto per le lunghe da sconvolgere tutti i piani organizzativi e la stessa durata della festa. In bocca a Gesù il riferimento all’eventuale e probabile incidente durante le trattative di un matrimonio, è solo il pretesto per annunciare ai suoi ascoltatori l’imminenza del Regno e invitarli così alla vigilanza. Questa predicazione di Gesù sarebbe coerente con il suo primo annuncio, riportato dal 1° vangelo in ordine cronologico e cioè da Marco: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è già qui, convertite e credete al vangelo» (Mc 1,14-15). Il regno arriva veloce con il ladro nella notte (1Tes 5,1-5; Mt 24,42) o, come abbiamo accade nel vangelo di oggi, è paragonato ad un padrone che giunge inaspettato (Mt 24,48).

Gesù da grande narratore descrive la scena dell’arrivo dello sposo in modo evocativo, rendendo plasticamente contemporanei i suoi ascoltatori, tra i quali noi oggi e qui. Il momento culminante del suo giungere è afferrato sul vivo, il grido che spezza il silenzio della notte crea un momento di sospensione e di ansia e, infine, lo stesso buio che subito si popola di rumori che cercano di adeguarsi alla novità improvvisa fa meno paura e quasi diventa un amico. «A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro!”» (Mt 25,6). L’ora notturna, la mezzanotte, l’urlo, lo sposo presente prima ancora di apparire, il trambusto, l’invito… tutto è calcolato per una irruzione drammatica e scenicamente travolgente. Infatti, l’espressione «andategli incontro» è formula tecnica che si usa per l’arrivo ufficiale del sovrano che visita il suo regno. In questa occasione egli «appare» ai suoi sudditi (è il concetto di «parusìa – manifestazione -presentazione») che accorrono «incontro a lui» per ossequiarlo e riconoscerne l’autorità.

C’è un matrimonio e secondo la tradizione vi sono le trattative fra le famiglie. Qualcuno forse ha ripensato agli accordi e vuole ridiscuterli, facendo saltare il cerimoniale. I tempi si allungano più del dovuto e gli invitati cominciano a stancarsi. Di regola lo sposo arriva quando gli invitati erano stanchi e questa improvvisa apparizione ha lo scopo di rimettere tutto in gioco e riaprire la festa delle nozze. Questa prassi nella logica di Gesù è molto adatta per mettere in guardia i suoi ascoltatori distratti sull’imminente arrivo del Regno di Dio.

Un altro dato che salta agli occhi è l’assenza completa della sposa che non è mai nominata, fatto strano in un matrimonio6, anche perché in un matrimonio «reale» le «vergini» avrebbero composto il corteo di accompagnamento della sposa, mai dello sposo. Dunque ci troviamo di fronte ad una allegoria, sviluppata in un secondo tempo, quando ormai la chiesa è attestata e organizzata e non si aspetta più il Regno di Dio e il Messia in modo repentino. La comunità cristiana riflette sulla parabola e la trasforma in una allegoria tra Cristo-Messia-Sposo (ho nýmphios)7 e la Chiesa-sposa, qui rappresentata dal complesso delle «dieci vergini-parthénoi). Cristo è lo sposo della Chiesa (cf Mt 9,15; 2Cor 11,2; Ef 5,23-24; Ap 19,7-9; 21,2-3). Se lo sposalizio riguarda Cristo e la Chiesa, i cristiani devono prepararsi acquisendo condizioni morali che li rendano idonei all’ingresso nella sala del banchetto nuziale.

Per quanto riguarda le «dieci vergini», bisogna fare attenzione a non separarle in gruppi di cinque, perché il testo dimostra che i primi cristiani hanno identificato tutta la chiesa nelle dieci vergini, nelle sagge come nelle stolte, perché la chiesa prima della mietitura finale, prima del giudizio escatologico è composta di santi e peccatori. Nessuno può delimitare con certezza il confine tra bene e male, puro e impuro, santo e malvagio perché in ognuno di noi vi è tutto questo, fin «dal principio» e lo scopo della vita è imparare a distinguere, discernere, identificare e separare. Anzi, in ogni santo c’è sempre in agguato un peccatore pronto ad emergere e a prendere il sopravvento. I rabbini, commentando insegnano che in ebraico nella parola cuore (lebab: pronuncia: levav) vi sono due lettere «b» che simboleggiano le due tendenze che sono sempre presenti nel cuore umano: la tendenza al bene e la tendenza al male8. Nessuno si può sottrarre all’una o all’altra: esse convivono come sorelle dentro ciascuno di noi. Bisogna imparare ad amare Dio sia con la tendenza al bene che con quella al male. Il dramma non è il male, ma esso nasce quando prendiamo coscienza del male e nonostante lo vediamo distintamente, lo scegliamo come obiettivo della vita.

La parabola si colloca sulla stessa linea di quella del grano e della zizzania e della rete che pesca pesci di ogni genere (cf Mt 13,24-34.36-43. 47-50), ma anche con quella del banchetto nuziale che raccoglie invitati senza e con l’abito nuziale (Mt 22,10). La chiesa non è una setta di puri e duri, ma una convocazione di uomini e donne, un’assemblea pellegrina di santi e peccatori che va incontro al Signore che viene: lungo il viaggio alcuni tengono accese le lucerne della vigilanza, altri si lasciano distrarre da interessi di poco conto, altri si smarriscono per strada. E’ la Chiesa «casta meretrix» di cui parla Sant’Ambrogio9.

C’è chi fissa lo sguardo sull’essenziale e chi invece si attarda sulle futilità e sui preparativi, perdendo di vista l’essenziale. Oggi diremmo che nella chiesa vi sono fondamentalmente due categorie di persone: coloro che sono consapevoli della portata in gioco avvenuta con l’incarnazione del Lògos a cui aderiscono con piena coscienza e coloro che si accontentano di una appartenenza puramente sociologica, magari scaldandosi nella difesa del cristianesimo quando si sentono minacciati dall’esterno e usano la religione come scudo contro altri che considerano diversi da sé in modo irriducibile.

Al v. 12 troviamo le tracce di costume tipicamente rabbinico che regola il rapporto con gli studenti/discepoli attraverso una delle quattro forme di «scomunica», previste dalla tradizione orale: «Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”» (cf anche Mt 7,23). In tutta la Bibbia, il verbo «conoscere» (in ebraico «yadàh») ha il significato anche di «relazione sessuale», quindi rapporto generativo e d’identità. In questo contesto «Non vi conosco» diventa la formula tecnica, detta «nezifàh – biasimo» per descrivere la prima forma di scomunica, quella più blanda e leggera. A questa forma si rapporta il rimprovero del maestro al discepolo indisciplinato o contro qualcuno che manca di rispetto verso il superiore. Chi era sottoposto alla «nezifàh» doveva essere isolato per sette giorni in Palestina (a Babilonia, invece un solo giorno): si stabilisce il rifiuto provvisorio di ogni relazione10.

L’invito di Gesù a vigilare per l’imminenza del Regno è valido sia per gli uni che per gli altri: i primi, i cristiani coscienti non devono inorgoglirsi e non devono chiudersi in se stessi come se fossero la setta dei giusti che teme di sporcarsi venendo a contatto con gli altri; dall’altro lato i cristiani delle occasioni socio-religiose e della religione «occasionale» dai responsabili della pastorale, attraverso adeguata formazione, devono essere spinti avigilare perché la campana del Regno suona anche per loro, invitatati a lasciare da parte le quisquilie per dedicarsi all’olio della fede che illumina il volto di Gesù che si manifesta dove spesso non immaginiamo neppure. Questa seconda categoria deve sapere che non basta presenziare ad una processione o «assistere» a qualche celebrazione «emotiva» (Natale, Prima Comunione, ecc.) per adempiere l’obbligo di essere «segno e strumento» nel mondo della Presenza di Dio che esige la scoperta dell’altro e la condivisione con l’altro non solo dell’attesa, ma anche dell’olio della speranza. Se questa gente sapesse che Gesù non era bianco e non era biondo e non aveva i capelli lunghi e non aveva lo sguardo stralunato dei tanti «sacri cuori» orripilanti che addobbano le pareti di case e chiese, si scandalizzerebbero anche di Lui che invece era olivastro, con barba e capelli neri crespati. Se dovessimo fargli una foto, dovremmo prendere un arabo e forse ci avvicineremmo alla sua vera fisionomia.

La cernita avverrà alla fine, quando il giudice chiederà conto della vita: se l’abbiamo impegnata nelle cose vere o nelle cose futili, nelle relazioni o nell’egoismo, nella condivisione o nella grettezza, nella socialità o nella solitudine, nella dinamica del convivere civile o nell’egolatrìa che ci ha risucchiato il tempo che avremmo dovuto dedicare alla vita vissuta per amore. Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, nel 70 d.C., Ebrei e cristiani si rendono conto che i tempi dell’attesa si sono allungati a dismisura. Inizia il tempo della Chiesa, il tempo della vigilanza che è anche il tempo del coraggio e della profezia che noi alimentiamo ed educhiamo con il Pane, il Vino e la Parola, gli alimenti naturali che sono l’olio che nutrono la lampada della nostra fede che cammina nella storia.

Credo o Simbolo degli Apostoli11

Io Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [breve pausa 1-2-3]

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitato da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [breve pausa 1-2-3]

Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

LITURGIA EUCARISTIACA

Prima di presentare le offerte all’altare, ascoltiamo la Parola del Signore: «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Questa Parola è per noi un comandamento perché nessuno può celebrare il Signore nell’Eucaristia senza avere partecipato il perdono che abbiamo ricevuto. Lasciamo convertire dalla grazia di Dio.

La Pace del Signore sia con Voi E con il tuo Spirito

Scambiamoci un gesto sincero di pace e di accoglienza.

[La raccolta abbia un senso sacramentale di condivisione con la parrocchia che viene incontro a chi ha bisogno senza rumore]

Preparazione delle offerte. Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, perché dalla tua misericordia abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna. Li presentiamo a te perché diventino per noi cibo e bevanda di salvezza. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, o Padre, l’offerta del tuo popolo e donaci in questo sacramento di salvezza i beni nei quali crediamo e speriamo con amore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen.

REGHIERA EUCARISTICA II12 (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario VI: Cristo Parola, Salvatore e Redentore

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.

Santo, Santo, Santo, sei tu, Signore, Dio dell’universo: tutta la terra canta la tua gloria. Osanna nei cieli.

Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla vergine Maria.

Osanna nell’alto dei cieli e pace agli uomini che egli ama. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.

Benedetto nel nome del Signore sei tu, o Cristo che eri, che sei e che verrai, Lògos disceso dal cielo.

Per questo mistero di salvezza, uniti agli Angeli e ai Santi, proclamiamo a una sola voce la tua gloria :

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

Tu mandi a noi tuo Figlio, Sapienza splendida che non si sfiorisce, ma si lascia vedere da quanti l’amano (Cf Sap 6,12).

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Noi ti cerchiamo Sapienza eterna del Padre e ti benediciamo, Verbo incarnato (cf Sap 6,12).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse:

PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA

ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Ecco lo Sposo andiamogli incontro! Maràn athà – Signore nostro vieni! (cf Mt 25,6; 1Cor 16,22; Ap 22,20).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

La tua Shekinàh sta sempre seduta sulla soglia del nostro cuore per inondarci della tua grazia (cf Sap 6,14).

MISTERO DELLA FEDE.

Per il mistero della tua croce, salvaci o Cristo Risorto, atteso dalle genti! Maràn athà! Vieni, Signore!

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

Tu, o Signore, sei il nostro Dio: di te ha sete l’anima nostra e ti cerca il nostro cuore (cf Sal 63/62,2).

Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Nel santuario dell’umanità di Gesù contempliamo e vediamo la tua potenza e la tua gloria (cf Sal 63/62,3).

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa …, il Vescovo…, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

Perché il tuo amore vale più della vita e per questo nella santa Assemblea proclamiamo le tue lodi (cf Sal 63/62,4).

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.

Riguardo a coloro che sono morti, noi non siamo nell’ignoranza, ma con loro e per loro professiamo e proclamiamo che il Signore è veramente risorto (cf 1Ts 4,13-14).

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

Con l’aiuto dello Spirito Santo, vegliamo perché attendiamo il giorno e l’ora della tua misericordia (cf Mt 25,13).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)

Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra.

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona alla Comunione (Lc 24,35) I discepoli riconobbero Gesù, il Signore, nello spezzare il pane

Dopo la comunione

Dal libro dell’Apocalisse

Se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te (Ap 3,3). Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita. Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù (Ap 22,17.20).

Preghiamo. Ti ringraziamo dei tuoi doni, o Padre: la forza dello Spirito santo, che ci hai comunicato in questi sacramenti, rimanga in noi e trasformi tutta la nostra vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo spirito.

Il Signore risorto, Sapienza infinita del Padre, benedica ora e sempre la Chiesa e il mondo. Amen.

Il Signore risorto, Sapienza che si lascia trovare da chi la cerca, ci colmi della sua benedizione.

Il Signore risorto che il nostro cuore cerca, invoca e anela, ci renda fedeli al nostro ministero.

Il Signore risorto che illumina il mistero della nostra morte, vi doni la misura del suo cuore.

Il Signore risorto che è presente anche quando sembra tardare, sia davanti a noi per guidarvi.

Il Signore risorto che giunge all’improvviso nella notte, sia dietro di voi per difendervi dal male.

Il Signore risorto che ci viene incontro nella vita, sia accanto a voi per confortarvi e consolarvi.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo discenda su di voi, sui vostri cari e vi rimanga sempre. Amen.

Termina l’Eucaristia come sacramento e memoriale del Signore risorto, comincia ora la Pasqua della nostra vita come sacramento di testimonianza nella vita di ogni giorno. Andiamo nel mondo con la fortezza dello Spirito di Gesù.

Ti rendiamo grazie, Signore Risorto, perché resti con noi ogni giorno.

_________________________

© Domenica 32a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 6/11/2011 - San Torpete - Genova

AVVISI E APPUNTAMENTI

Giovedì 10 novembre 2011 a Milano in Corso Venezia 29 – 2° piano (citofono Bianchi) ore 20,30 accoglienza; ore 21,15 cena; ore10,30 dopo cena con discussione. Paolo Farinella, prete interverrà con una riflessione su «La deriva della Chiesa berlusconista e lo smarrimento della profezia»). Chi volesse partecipare alla cena deve prenotare (cell. Augusto Bianchi 3357516711); chi arriva per il dopo cena, alle ore 10,30 non deve prenotare. Per arrivare: Metro: fermata San Babila.

Martedì 15 novembre 2011, ore 21,00 a Lecce, Conferenza di Paolo Farinella, prete sul tema «Vaticano e Italia: laicità e clericalismo in epoca berlusconista. Chi paga i danni?».

UN SERVIZIO PER I POVERI e 500 AMICI

di Paolo Farinella, prete

Cerchiamo 500 amici che ci diano € 100,00 a testa, per potere affrontare i costi dei lavori per l’allestimento della segreteria. I locali hanno bisogno di interventi forti, anche perché sono sotto tutela della Soprintendenza che vigila e impone modi e lavori. Se riusciamo a raggiungere 500 amici potremmo rinunciare al mutuo e così non pagheremo soldi alla banca, ma potremmo utilizzarli per aiutare sempre più poveri.

L’alternativa è limitare ad opera parrocchiale l’attività dell’Associazione che verrebbe di fatto svuotata di senso e quindi sciolta. Emergono esigenze di terapia psicologica e di ascolto per cui stiamo attrezzando due salette riservate ai colloqui e un locale per la segreteria che per ora non funziona per mancanza di spazio e di stabilità. Assistiamo persone di Genova e fuori Genova, italiani e stranieri, bambini e anziani, uomini e donne sole o in famiglia. Gli utenti del Comune, oggi vengono da noi perché non hanno occhi per piangere.

Chi vuole fare una riflessione, ha tempo fino a Natale 2011, giorno dell’assemblea straordinaria. In base a quello che avremo a disposizione, possiamo fare ponderare l’entità del mutuo. Con gratitudine e amicizia in nome di quei poveri che sono sempre tra noi e che grazie all’aiuto di tanti oggi possono respirare. Chi vuole e può usare uno dei seguenti strumenti con la causale: «Emergenza lavori» Un abbraccio a tutti

Non promettiamo ricompense, ma assicuriamo giustizia a chi non ne ha. Chi auna tantumChi può e vuole condividere con noi questo percorso sociale di welfare di giustizia e sostitutivo di quello ormai inesistente dello Stato italiano, può farlo utilizzando gli strumenti in chiusura di questo documento.

  1. Associazione Ludovica Robotti (non può rilasciare ricevute per detrazione fiscale)

Vico San Giorgio 3R presso Chiesa San Torpete, via delle Grazie 27/3 16128 Genova:

  • Banca Etica: Iban: IT87 D050 1801 4000 0000 0132407 - Codice Bic: CCRTIT2T84A

  • Banca Poste: Iban: IT10H0760101400000006916331- Codice BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX

  • Conto Corrente Postale N. 6916331: Intestato a: Associazione Ludovica Robotti San Torpete

  1. Associazione Massoero 2000- Onlus (rilascia ricevuta anche ai singoli per detrazione fiscale)

Via della Maddalena, 29 - 16124 Genova:

  • Banca: Iban: IT65M0617501432000001274680 – BIC: CRGEITGG132

  1. Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torperte (rilascia ricevuta solo alle imprese con P. Iva)

  • Banca: Iban: IT49 P 03069 01400 10000 0032248 Indirizzo SWIFT: BIC BCITITMM

Paolo Farinella, prete – presidente dell’Associazione

CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA STRAORDINARIA

DELL’ DELL’ASSOCIAZIONE «LUDOVICA ROBOTTI – SAN TORPETE»

Il giorno domenica 06 novembre 2011 alle ore 21,00 presso i locali della Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete, in Piazza San Giorgio, è convocata l’Assemblea straordinaria dell’Associazione «Ludovica Robotti – San Torpete» in prima convocazione e in seconda convocazione per il giorno lunedì 07 novembre ore 17,00 presso gli stessi locali, con il seguente OdG:

  1. Modifiche allo statuto alla presenza del Notaio Alberto Clavarino.

  1. Relazione della Vice Presidente sull’attività dell’Associazione.

  1. Ipotesi di adire a mutuo bancario c/o Banca Etica per finanziare i lavori di ristrutturazione della sede per renderla abitabile.

  1. Varie ed eventuali

Si ricorda che a norma dell’art. 7 comma 5 dello Statuto, ogni socio può rappresentare oltre se stesso, soltanto un altro socio con delega scritta che deve essere consegnata all’inizio della seduta o inviata al presidente via internet ( paolo_farinella@fastwebnet.it ) o fax (010 2468777).

Genova, 21 ottobre 2011 Paolo Farinella, prete, presidente

1 cf A. Roper, I Cristiani anonimi, Queriniana, Brescia 1966.

2 Raccogliendo tutti i passi di Lc che si riferiscono alle donne si può fare una raccolta a sé, quasi un vangelo femminile (7,37-50; 8,2.43-47;17,35; 21,23; 23,27.49.55; 24,5.10.11.22.24, ecc.).

3 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

4 Le tre parabole sono collegate, oltre che a livello letterario, anche sul piano tematico: la prima sviluppa due temi, la fedeltà e la prudenza che sono ripresi dalle altre due parabole: la seconda parabola infatti sviluppa il tema della prudenza, mentre la terza quello della fedeltà. C’è inoltre un altro elemento che lega le tre parabole: ognuna di esse descrive una situazione-bivio perché i protagonisti hanno la possibilità di scegliere tra due opzioni. Il servo della 1a parabola può essere fedele o infedele; le vergini possono essere prudenti o stolte; i servi dei talenti possono scegliere tra la paura e l’iniziativa personale. Crediamo siano motivi sufficienti per considerare le tre parabole come un tutt’uno letterario da non separare.

5 Il numero «dieci» potrebbe essere un velato riferimento alla regola del «minyan – numero» in base alla quale la tradizione stabilisce che il numero minimo per la celebrazione rituale, compresa la Pasqua, per la preghiera dello Shemà Israel, per la preghiera di Amidàh – In piedi, e per la Birkàt kohanìmBenedizione dei preti (cf Nm 6,24-26) e per le due preghiere del mattino e della sera Barekù – Benedite (cf Sal 134/133, 1-2; 135/134,19-20). La tradizione giudaica prevede solo la presenza di «maschi» per la validità del numero minimo, mentre in ambito cristiano, si comincia a vedere la figura e la presenza della donna in modo nuovo, sebbene sempre in un contesto maschilista: Gesù è seguito da donne, Gesù appare ad esse per primo dopo la risurrezione e Lc addirittura ne fa un filo rosso di tutto il terzo vangelo: se si raccolgono infatti tutti i passi in cui compaiono le donne in rapporto a Gesù, si ottiene un piccolo «vangelo femminile». Non diamo questo riferimento come scontato, ma come una pista di orientamento. La preghiera ufficiale, così come l’attesa del Regno di Dio non sono competenze esclusiva degli uomini in quanto maschi, ma sono atteggiamenti nuovi di tutta l’umanità, senza distinzione di sesso (cf Mishnàh, Berakòt 7,3 e Talkmud babilonese, Berakòt, 6a. 50a; Mishnàh, Pirqè Avot 3,6; cf anche DEJ,157-148; 752-753;901-903).

6 Anche nelle nozze di Cana descritte da Giovanni, fa colpo l’assenza totale della sposa e in parte dello sposo che è ricordato solo in modo incidentale (cf Gv 2,1-11). Tutto ciò è la prova ulteriore che in questi racconti l’oggetto che interessa non è il matrimonio, ma l’insegnamento che vi è modulato dietro.

7 Il simbolismo Messia-Sposo è una novità cristiana perché mai l’AT o il Giudaismo hanno usato questa metafora.

8 In ebraico la parola «cuore» si dice in due modi: «leb» (pronuncia lev) e «lebab» (pronuncia: levav) in cui si ripete la consonante «bet = b = v). Commentando la preghiera dello Shemà «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutti i tuoi averi» (Dt 4,5), il Talmud si domanda la ragione della ripetizione della consonante «b» nella parola «lebab – cuore» perché nella Scrittura nulla è causale. La risposta dei sapienti è la seguente: «con tutto il tuo cuore: con i tuoi due istinti, con l'istinto del bene e con l’istinto del male»; «con tutta la tua anima»: anche se ti che ide la vita; «con tutti i tuoi averi, cioè perfino se Egli ti prende tutto il tuo denaro» (cf Talmud, Berachòt 54a).

9 [Chiesa] « casta meretrice, perché molti amanti la frequentano per l’attrattiva dell’amore, ma senza la sconcezza del peccato [casta meretrix, quia a pluribus amatoribus frequentatur dilectionis inlecebra et sine conluvione delicti]» (Sant’Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca 3, 17-23).

10 Oltre alla nezifàh che la forma più blanda di scomunica ne esistevano altre tre, in crescendo: la Chamntà dal significato incerto [forse distruzione], di cui non si esattamente in cosa consistesse; seguiva la Niddùi che significa separazione e che in Israele comportava la segregazione per trenta giorni, mentre a Babilonia e nella diaspora era solo di sette: chi vi era sottoposto doveva vestire un abito di penitenza per tutto il tempo delle segregazione; infine vi è lo Chèrem che significa scomunica/distruzione che è la forma più grave della pena e comprendeva anche l’interdetto di ascoltare e insegnare la Toràh ed era escluso da qualsiasi forma comunitaria, esclusa la famiglia di origine (cf J. Jeremias, Le parabole di Gesù, 208; DEJ 387-388; A. Mello, Evangelo secondo Matteo, 433)

11 Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Abrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).

12 Detta di Ippolito, prete romano del sec. II: è stata reintrodotta nella liturgia dalla riforma di Paolo VI in attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.



Giovedμ 03 Novembre,2011 Ore: 11:37
 
 
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