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www.ildialogo.org Domenica 29a del tempo ordinario -A– 16 ottobre 2011 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 29a del tempo ordinario -A– 16 ottobre 2011 –

di Paolo Farinella, prete

A prima vista la liturgia di questa domenica 29a del tempo ordinario-A non è bene armonizzata. Ogni lettura sembra andare per proprio conto e per coglierne il nesso e il messaggio è necessario superare il livello dell’apparenza e scendere nelle trame interiori della Parola per assaporarne la profondità con il nostro ascolto.

La 1a lettura è tratta dal 2° Isaia, che scrive nel sec. VI a.C. in esilio a Babilonia. Egli è autore dei cc. 40-55 che costituiscono il cosiddetto «Libro della consolazione», perché questi capitoli puntano a sostenere la speranza di un prossimo ritorno a Gerusalemme degli esiliati demotivati e rassegnati. Ciro II il Grande re di Persia (559-529 a.C.) nel 549 conquista la Media che annette alla Persia, formando così l’impero dei Persiani e dei Medi. Dieci dopo nel 539 conquista anche Babilonia dominando incontrastato tutto il Vicino Oriente Antico, unificando in uno tre imperi: il persiano, il medio e il babilonese. Come primo atto di clemenza, Ciro II concede ai popoli che erano stati sottomessi dai Babilonesi, il permesso di ritornare ai propri paesi di origine e di riprendere a professare la propria religione, dando anche aiuti economici per la ricostruzione dei luoghi di culto. Tra questi popoli c’è anche quello giudeo, deportato dal 586 al 538 a.C. (48 anni di esilio).

Nella presa di Babilonia da parte di Ciro, il profeta vede un segno di Dio e descrive il re pagano come uno strumento della Provvidenza: Dio ha permesso a Ciro di prendere Babilonia perché solo così poteva liberare il popolo dell’alleanza e farlo ritornare a Gerusalemme. L’entusiasmo del profeta è talmente grande che attribuisce ad un re pagano l’appellativo di «messia/cristo/unto/eletto». A Ciro riserva cariche che appartengono a Davide e al suo discendente il Messia come «aprire e chiudere» del v. 1 (cf Is 22,22; Ap 3,7) e ne descrive l’intervento come una vocazione profetica: «ti ho chiamato per nome» del v. 4, espressione che lo stesso profeta riserva al Servo di Yhwh (cf Is 41,25). Queste affermazioni sono molto impegnative e rasentano l’eresia nel contesto giudaico in cui vive il profeta.

Nel vangelo, al contrario, abbiamo una situazione opposta. Gesù aveva messo a tacere i Sadducei, cioè il partito dei sacerdoti, con la questione se il battesimo di Giovanni venisse dal cielo o dagli uomini (Mt 21,23-27). I Farisei che formano il partito laico avverso a quello dei Sadducei, credendosi più bravi, tramano per cogliere in fallo Gesù e poterlo accusare all’autorità civile. Essi avrebbero dovuto cogliere nella persona di Gesù il segno di una novità e invece si chiudono nel loro mondo di privilegi e manovrano per ucciderlo1.

Sta qui la connessione tra le letture: nella 1a, il profeta Isaia sa cogliere la mano di Dio nella storia, anche attraverso le vicende di un pagano, nel vangelo, al contrario, i capi religiosi che conoscono le Scritture e mediano la Parola di Dio, fanno macchinazioni per eliminare chi li obbliga a leggere la sua presenza anche fuori dai loro schemi chiusi e ritualistici. Un pagano è strumento della salvezza; i religiosi «esperti di Dio», ne ostacolano i disegni e non si pongono nemmeno il problema se ciò che accade di nuovo possa portare il suo segno e sigillo. L’atteggiamento descritto dalla liturgia di oggi è molto attuale perché è presente ancora oggi nella chiesa e nel mondo: se fossimo liberi staremmo in ascolto di Dio che parla nella Chiesa, ma anche fuori di essa e andremmo alla ricerca della presenza di Dio dovunque essa ha inteso stabilire la sua tenda. Giovanni sintetizza questa realtà affermando che «lo Spirito soffia dove vuole» (Gv 3,8) e nessuno può imprigionare Dio entro i confini angusti di una religione, di un pensiero, di una filosofia, di una morale, di una ideologia. Dio sarà sempre «oltre» perché la Parola di Dio non può essere incatenata da nessuno (cf 2Tm 2,9).

La lettera ai Tessalonicesi tra gli scritti del NT che possediamo è il più antico (50/51 ca. d.C.). In essa san Paolo offre la prospettiva dell’atteggiamento che bisogna assumere di fronte a ciò che accade: guardare agli eventi nuovi, come p.es. la risurrezione, l’unità della storia, l’annuncio del vangelo, ecc. con disponibilità interiore coltivando i sentimenti profondi della vita trinitaria che sono la fede, la speranza e soprattutto la carità (v. 3). Paolo a modo suo ripete il messaggio di Isaia: nessuno può imprigionare Dio nella gabbia del proprio pensiero e dei propri schemi perché Dio sempre più grande. Questo è lo scopo dell’Eucaristia: imparare a riconoscere la grandezza di Dio per renderlo libero anche nella nostra vita dai nostri schemi angusti, per apprendere a spezzare la nostra storia e il nostro cuore come lui spezza la Parola e condivide il Pane e il Vino del suo corpo e del suo Sangue. Alla scuola dell’Eucaristia impariamo a riconoscere i segni dei tempi che sono anche i sacramenti della presenza di Dio nella nostra e nella storia di tutti gli uomini e di tutte le donne. Nella gioia di questa fatica ci sostiene e ci guida lo Spirito che il Signore morto e risorto ci ha lasciato come eredità e caparra, facendo nostre le parole dell’antifona d’ingresso (Sal 17/16,6.8 ): Io ti invoco, mio Dio: dammi risposta, rivolgi a me l'orecchio e ascolta la mia preghiera. Custodiscimi, o Signore, come la pupilla degli occhi, proteggimi all'ombra delle tue ali.

Spirito Santo, tu educhi la chiesa a non escludere alcuno dalla paternità di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu chiami anche i non credenti a vedere il volto di Dio e del suo Cristo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidi al bene anche chi non crede, ma agisce con giustizia e verità, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidi le nazioni a fare dei loro popoli una sola famiglia di popoli, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu susciti il canto dei popoli della terra perché riconoscano il Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la forza con la quale il Signore sorregge il mondo e i suoi abitanti, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la ragione per cui il mondo non vacilla sul fondamento dell’amore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu susciti il ringraziamento dell’apostolo Paolo a motivo della Chiesa, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu alimenti la fede, la speranza e la carità dei credenti in ogni tempo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu suggerisci la preghiera-memoriale davanti alla Maestà di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la potenza con cui il Padre diffonde il vangelo di Cristo crocifisso, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ispiri pensieri di pace e non d’inganno, azioni di verità e non di falsità, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu purifichi con la tua grazia sempre più l’immagine di Dio che è in noi, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni a rendere noi stessi a Dio perché gli apparteniamo per amore, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci educhi a cercare il bene comune della società e non i nostri interessi, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci imponi di non confondere mai Dio con qualsiasi Cesare del mondo, Veni, Sancte Spiritus!

Noi viviamo in mezzo ai miracoli, eppure non sappiamo vederli perché ci aspettiamo qualcosa di impressionante, mentre il Signore parla attraverso la straordinarietà della vita ordinaria. E’ qui che siamo chiamati a cogliere i segni dei tempi, imparando alla luce della Parola di Dio a guardare oltre l’orto di casa nostra verso l’orizzonte del mondo, i cui confini sono segnati dallo Spirito di Dio. La profezia più piena che illumina e spiega la vita di ogni giorno si compie nella trama ordinaria della nostra storia. Veniamo all’Eucaristia per imparare il linguaggio di Dio che ci parla attraverso segni che possono superare i nostri orizzonti.

(greco)2

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

Non aspettiamo più un Ciro liberatore che ci restituisca la patria perduta. Dio stesso è venuto a stabilire per sempre la sua tenda in mezzo a noi e ha portato misericordia e amore. Egli ci ha restituito la libertà della nostra coscienza con la quale valutiamo le nostre responsabilità. L’altare ha una esigenza: deve essere riempito della materia prima formata dalla nostra umanità, peccati, resistenze, rifiuto di restituire a Dio quello che di Dio e cioè noi stessi, perché creati a sua immagine e somiglianza. L’atto penitenziale eucaristico ha lo scopo di rimettere a fuoco l’immagine del nostro cuore offuscato dalla nostra superficialità. Con fiducia riconosciamoci bisognosi della misericordia di Dio che ci abilita a celebrare il mistero della Parola e del Pane.

Signore, tu ci chiami a collaborare con il tuo disegno di libertà contro il pressappochismo, Kyrie, elèison!

Cristo, tu ci convochi perché impariamo ad essere prossimo dei vicini e dei lontani Christe, elèison!

Signore, tu sei l’immagine seminatA in noi perché risplendesse il tuo volto santo, Pnèuma, elèison.

Signore, tu ci provochi sempre perché siamo fedeli alla nostra immagine di figli, Kyrie, elèison!

Dio onnipotente che ha chiamato Ciro, re pagano perché liberasse il suo popolo Israele dalla schiavitù dell’esilio babilonese; che suscita il ringraziamento e la gioia dell’apostolo Paolo a favore della chiesa locale di Tessalonica; che ci mette in guardia da ogni compromesso con i Cesari del mondo; che in Gesù esige da noi la corrispondenza con l’immagine di sé che ha dipinto nel nostro cuore; per i meriti di Isaia profeta, dell’apostolo Paolo, dei cristiani di Tessalonica e di tutti i credenti di tutti i tempi, per i meriti del Signore nostro Gesù Cristo venuto a purificare la nostra adeguatezza a Dio, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna, Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3].

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Padre, a te obbedisce ogni creatura nel misterioso intrecciarsi delle libere volontà degli uomini; fa, che nessuno di noi abusi del suo potere, ma ogni autorità serva al bene di tutti, secondo lo Spirito e la parola del tuo Figlio, e l'umanità intera riconosca te solo come unico Dio. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Is 45,1.4-6. Il re persiano Ciro nel 539 a.C. sottomette l’impero babilonese occupando la capitale. Il suo primo gesto politico lungimirante è la liberazione delle nazioni che Babilonia aveva ridotto in schiavitù. Una di queste nazioni liberate è Giuda, il regno del sud. Il profeta legge questo comportamento alla luce delle promesse fatte da Dio ad Israele e lo annuncia come un trionfale ritorno alla terra di Palestina e al tempio. Preso dall’entusiasmo non esita ad attribuire a Ciro caratteristiche riservate ai re e ai profeti d’Israele. Ciro, re pagano, politeista e incirconciso al v. 1 nel testo ebraico è chiamato con il termine «mashiàh-messia» che il greco della Lxx traduce con «christós-unto» e che la versione italiana rende con «eletto», smorzando così la dirompente forza del testo ispirato che non esita ad attribuire ad un «impuro» il titolo esclusivo di Messia. Anche un re pagano rientra nel disegno di Dio con un compito pasquale di liberazione.

Dal libro del profeta Isaia 45,1.4-6

1 Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. 4 Per amore di Giacobbe, mio servo, e di Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. 5 Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, 6 perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 96/95, 1.3; 4-5; 7-8; 9-10ac. Il salmo 96/95 è un inno che riassume concetti di altri salmi e del profeta Isaia. E’ composto da due poesie che in origine, forse, erano distinte: una celebra la regalità e l’altra il giudizio di Dio sul mondo. Domina il senso universale della potenza creatrice e giudicante di Dio. Inizia con un invito corale alla lode (vv.1-3), espone i motivi per cui bisogna lodare (vv. 4-6), invita le nazioni ad imitare la natura che serve Dio (vv. 7-10). La forza universalistica che promana dal salmo è fortemente dirompente e forma un tutt’uno con le altre letture odierne. Credere nel Dio d’Israele e di Gesù Cristo significa accogliere l’universalità come prospettiva della propria vita. Secondo il più grande esegeta ebreo Rashì l’inno verrà cantato in onore del futuro Redentore d’Israele. Noi lo cantiamo ora in onore del Lògos eterno che incontriamo e riconosciamo nel Bambino, il Redentore e Messia d’Israele, della Chiesa e del mondo. Il Dio re e giudice è qui davanti a noi e c’invita a lasciarci giudicare dalla misericordia dell’Eucaristia che ci costituisce popolo regale, profetico e sacerdotale.

Rit. Grande è il Signore e degno di lode.

1. 1 Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore uomini di tutta la terra.
3 In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. Rit.

3. 7 Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
8 date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri. Rit.

2. 4 Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
5 Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli. Rit.

4. 9 Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

Tremi davanti a lui tutta la terra
10 Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine. Rit.

Seconda lettura 1Ts 1,1-5b. La lettera ai cristiani di Tessalonica (attuale Salonicco in Macedonia a nord est della Grecia) è il primo scritto del NT, redatto a Corinto nell’anno 50/51 d.C., quindi dopo appena una ventina d’anni dalla morte e risurrezione di Gesù. Timoteo è da poco tornato da un viaggio e porta buone notizie all’apostolo sulla fede, la speranza e la carità (v. 3) dei Tessalonicesi. Paolo che si trova a Corinto scrive un biglietto di ringraziamento e per la prima volta chiama una comunità con il titolo di «chiesa», cioè la «chiamata/convocata/radunata» dallo Spirito Santo (v. 5)3.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1,1-5b

1 Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicèsi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace! 2 Rediamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente 3 presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. 4 Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. 5 Il nostro vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione. - Parola di Dio.

Vangelo Mt 22,15-21. Scribi, farisei e sadducei sovente chiedono a Gesù prove della sua autorità perché spesso egli introduce novità d’insegnamento con cui apre il senso della Toràh a significati nuovi inesplorati dalla tradizione. Il brano del vangelo di oggi riporta la prova dell’immagine sulla moneta che raffigura l’imperatore romano Tiberio Cesare Claudio Nerone (regnò dal 14 al 37 d.C.). Presentando una moneta con effige imperiale i farisei cercano di costringere Gesù a dire che non bisogna pagare le tasse per poterlo accusare presso di Romani di insubordinazione sociale oppure di costringerlo ad affermare che bisogna pagare le tasse e così accusarlo di collaborazionismo presso il popolo. Gesù non ha via d’uscita: qualunque risposta dia è condannato. Gesù si sottrae a questo gioco e li rimanda al loro profondo. Se i farisei portano la moneta di Cesare significa che usandola ne accettano l’autorità e lo riconoscono come loro re, contravvenendo all’alleanza per la quale sono Dio è il re d’Israele. In questo modo essi condannano se stessi perché hanno dimenticato di essere immagine e somiglianza di Dio creatore (Gen 1,27), mentre scelgono di essere solo servi di un usurpatore invasore. La risposta lapidaria di Gesù che purtroppo spesso viene citata a sproposito come fondamento della separazione tra Stato e Chiesa, è un pressante invito alla conversione: restituire cioè a Dio ciò che gli appartiene: loro stessi. L’invito di Gesù è straordinariamente attuale in un mondo e in una chiesa che confondono spesso e volentieri il volto del Dio del vangelo con le sembianze dei Cesari di turno.

Canto al Vangelo Fil 2,15-16

Alleluia. Splendete come astri nel mondo, / tenendo alta la parola di vita. Alleluia

Dal Vangelo secondo Matteo 22,15-21

In quel tempo, 15 i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 21 Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». - Parola del Signore.

Spunti di Omelia

Gesù ha appena messo a tacere i Sadducei (v. nota Errore: sorgente del riferimento non trovata) con la questione del battesimo di Giovanni (Mt 21, 23-27). Gesù si trova sulla spianata del tempio dove, come suo solito, insegna apertamente la sua nuova visione della storia della salvezza. La sua predicazione non solo contrasta con la religione ufficiale, ma anche la delegittima. Di fronte a questo pericolo i capi religiosi vogliono sapere su quale autorità della tradizione si basa il suo insegnamento4. Gesù li mette in difficoltà, perché subordina la sua risposta alla loro risposta alla domanda se il battesimo di Giovanni viene da Dio o dagli uomini? (cf Mt 21,25). Qualunque sia la risposta, i Sadducei sono in un angolo: se rispondo che il battesimo di Giovanni viene da Dio, ammettono di non avergli creduto, auto-condannandosi; se rispondono che viene dagli uomini, temono il linciaggio della folla che riconosceva in Giovanni un profeta di Dio. I Sadducei, infatti, non sanno cosa rispondere (cf Mt 21,27).

I Farisei, credendosi più esperti e furbi dei Sadducei, vogliono contraccambiare Gesù con la stessa moneta e provano a farlo tacere con una domanda trabocchetto, prospettando una questione capestro, da manuale scolastico. Essi davanti alle folle chiedono a Gesù la sua opinione se bisogna pagare o no le tasse. La questione può apparire ridicola a noi oggi, uomini e donne della civiltà del diritto, che pagano gioiosamente le tasse fino all’ultimo centesimo, tanto grande è il senso civile del bene comune come fondamento di democrazia e di senso etico. Al tempo di Gesù però le cose stavano in un altro modo. Le tasse erano imposte da Roma che occupava la Palestina ed erano il segno della sottomissione a Roma. Il procuratore romano imponeva una tassa per tutto: per il senato, per l’imperatore, per il mantenimento dell’esercito, per i trasferimenti di persone e cose, per la pesca, per i porti, ecc.5. La riscossione di tutte queste tasse, tranne quella del tempio, era appaltata a gabellieri giudei che, per questo motivo, il popolo odiava per una duplice ragione: erano collaborazionisti dell’occupante pagano ed erano ladri universalmente riconosciuti come tali. Il nome dispregiativo loro affibbiato era «pubblicani»6. I Giudei dovevano poi pagare anche una tassa particolare per il mantenimento del tempio che veniva riscossa direttamente dai sacerdoti/leviti7.

Il brano si trova nei Sinottici (Mt 22,15.22; Mc 12,16-17; Lc 20,20-26) ma non in Gv., segno di una tradizione stabile e attestata a cui i la comunità primitiva attribuisce una notevole importanza. Da un punto di vista critico le varianti testuali, abbastanza notevoli specialmente in Mc e Lc non sono decisive per quanto concerne il contenuto perché riguardano prevalentemente la forma. In più il versetto decisivo che è la risposta di Gesù è riportato dai tre in modo uniforme con piccole varianti stilistiche8. Il contesto dell’intervista dei Farisei a Gesù è un contesto di aggressione e complotto (v. 19: mettergli le mani addosso, ma ebbero paura del popolo) perché c’è in atto una macchinazione per perseguire un fine ingiusto (v. 20: spie, che si fingessero persone oneste) e una collusione/complicità con il potere pagano e impuro (v. 20: consegnarlo all’autorità e al potere del governatore).

Di fronte alla domanda: «tasse sì, tasse no» posta in termini assoluti senza alcun distinguo, qualunque risposta Gesù avesse dato, si sarebbe condannato da sé: se avesse detto che è ingiusto pagare le tasse, si sarebbe schierato contro il potere di Roma. I Farisei avrebbero avuto buon gioco per accusarlo come sobillatore; se avesse detto che bisognava pagare le tasse, si sarebbe messo contro il popolo e la società tutta perché avrebbe parlato come i collaborazionisti e i pubblicani: sarebbe stato un bestemmiatore. Gesù non cade nel tranello, ma trasporta la questione ad un livello superiore e più profondo, dando così una lezione non solo di storia, ma specialmente di teologia. Si serve della stessa domanda che gli fanno i farisei per snidare il loro pensiero e svelare le ragioni segrete dei loro comportamenti. Mai come in questo caso, è autentico e vero il detto di Giovanni l’evangelista: «Egli infatti sapeva quello che c’era nell’uomo» (Gv 2,25).

Prima di rispondere chiede che gli mostrino una moneta ed essi gliela dànno (v. 19). Con questa richiesta Gesù dimostra tre cose: 1) di non avere una moneta9, a differenza dei suoi accusatori che la posseggono; 2) che le monete romane erano usate in modo pacifico per le transazioni ordinarie e nessuno se ne scandalizzava; 3) che i farisei, uomini ossessionati dalle norme di purità portavano addosso l’«immagine» dell’imperatore, cioè di un pagano, nonostante il divieto esplicito della Toràh (cf Es 20,4). Ogni moneta, infatti, porta l’immagine dell’imperatore che l’ha coniata e la scritta o epigrafe che nel caso è «Tiberius Caesar Divi Augisti Filius Augustus Pontifex Maximus – Tiberio Cesare Augusto Figlio del Divino Augusto Sommo Sacerdote» per cui usare quella moneta dal punto di vista giudaico significa non solo riconoscere l’autorità dell’imperatore romano, ma anche di avvallarne la sua pretesa divinità, dal momento che l’epigrafe fa riferimento alla «divinità» della persona di Cesare. La questione è più grave perché la Toràh vieta di farsi immagini di Dio, ma ancora più energicamente vieta il riconoscimento degli idoli (Es 20,4; Dt 4,16).

Portando addosso l’immagine dell’imperatore, i farisei dimostrano che hanno abdicato dalla loro obbedienza all’unico loro re e signore, Yhwh e lo dimostreranno nell’ora della passione, quando di fronte a Pilato, il rappresentante ufficiale della «divinità imperiale», rinnegheranno il Figlio di Dio che si presenta come Messia per proclamare solennemente loro re, e quindi loro «dio» l’imperatore romano:

«Allora i Giudei urlarono: “Se tu liberi costui [Gesù] non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare”… Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re”». Quelli però urlarono: “Via! Via! Crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Dovrò crocifiggere il vostro re?”. Risposero i capi dei sacerdoti: “Non abbiamo re se non Cesare”» (Gv 19,12-15).

Da notare in questo brano di Gv che la dichiarazione sul riconoscimento della regalità di Cesare è fatta solo dai capi dei sacerdoti, gli stessi che ora cercano di trarre in inganno Gesù e complottano per farlo morire. Non possedendo una moneta, Gesù non può essere accusato di riconoscere l’autorità di Cesare e tanto meno la sua divinità: la sola autorità che egli riconosce è il Padre (Gv 4,34; 5,30; 6,38; cf 9,31). I farisei, al contrario, non solo accettano l’autorità di Cesare, servendosi dei suoi benefici attraverso il denaro di Cesare, ma hanno sostituito la regalità di Dio con quella dell’imperatore romano. Sono fuori della storia della salvezza, cioè dall’alleanza e sono diventati illegittimi detentori del potere religioso. I farisei sono così ridotti al silenzio prima ancora di cominciare perché la domanda di Gesù di presentargli una moneta svela da sé che essi collaborano con un potere che occupa il loro popolo e ne limita la libertà. Essi hanno dimenticato molto presto che su Israele può regnare solo Yhwh. Accettando la collaborazione in qualsiasi forma del potere d’occupazione, essi si rendono complici e conniventi. In poche parole, Gesù dice loro: voi non rappresentate più l’autorità di Dio perché vi siete lasciati comprare con la moneta che porta l’immagine di un re pagano che vi impone di riconoscere la sua divinità e che voi di fatto riconoscete: voi siete idolàtri.

Questa disputa non si comprende se non si tiene conto del costume orientale, secondo il quale ogni imperatore o re che saliva al trono, faceva coniare denaro con la propria immagine perché chi lo usava, sapeva da chi dipendeva. Faceva inoltre costruire statue/immagini di sé che faceva collocare lungo i confini del suo impero perché chiunque le vedesse potesse riconoscere la sua signoria. Nel racconto della creazione di Adam ed Eva, anche Dio è presentato come un re che delimita i confini del suo regno con la «statua» che raffigura la «sua immagine»: «Dio creò Adam a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gen 1,27; Sap 2,23).

L’autore sacerdotale del 2° racconto della creazione (sec. VI-IV a. C.) presenta Dio secondo le usanze imperiali del tempo, come un re che delimita i confini del creato con la propria immagine che è l’uomo e la donna. Egli infatti la depose nel giardino di Eden (cf Gen 2,15) affinché chiunque avesse visto l’uomo e la donna, creati «ad immagine e somiglianza di Dio» (Gen 1,27) potesse contemplare il volto di Dio creatore, riconoscerne l’autorità e venerandone la signoria10. Esaminiamo più approfonditamente il versetto nel suo contesto immediato e remoto, anche da un punto letterario. Dice il testo (traduzione letterale):

«20 Di chi [è] questa immagine e l’epigrafe? Gli risposero: «Di Cesare». 21 Allora dice loro: «Rendete/restituite/pagate le cose [che sono] di Cesare a Cesare e le cose [che sono] di Dio a Dio».

E’ evidente che Gesù faccia diretto riferimento a Gen 1,27 quando chiede a chi appartiene l’immagine della moneta (v. 20) e infatti si rivolge ai farisei con il titolo offensivo di «ipocriti» (v. 18). Gesù, partendo dalla domanda dei farisei sulle tasse, riporta le cose all’ordine primordiale, «al principio»: ritornate ad essere l’immagine di creature di Dio e non le scimmie dei cesarotti di turno: se voi usate dei benefici che Cesare vi offre, restituitegli quello che gli appartiene cioè l’ossequio e l’ubbidienza… ma io vi dico: voi siete immagine di Dio e ve ne siete dimenticati… restituite a Dio la sua creatura e il segno vivente della sua presenza nel mondo: … e… date a Dio quello che gli appartiene: voi stessi.

Nella sua risposta pertanto, Gesù non dice se il potere romano è lecito o illecito (questa questione esula dal vangelo di oggi), dice soltanto che coloro che usano il denaro dell’imperatore romano, gli riconoscono un’autorità e se ne servono. Se i farisei che contestavano i Romani fossero stati coerenti, avrebbero dovuto rifiutarsi di usarne il denaro che è il segno più evidente di quell’autorità che essi vogliono negare, finendo invece per riconoscerne anche la pretesa divinità. La questione poteva essere chiusa qui, invece Gesù va oltre e svela la profondità teologica che i farisei non hanno neppure considerato. Di fronte al loro mutismo Gesù continua richiamandoli alle esigenze di quella alleanza che essi hanno tradito: restituite a Cesare quello che gli appartiene, visto che la moneta porta il marchio della sua immagine con la quale avanza pretesa di divinità: riconoscendo la sua autorità voi disconoscete quella di Dio che vi ha imposto di non farvi immagine alcuna di ìdoli. Gesù li richiama al loro responsabilità in quanto creati a «immagine di Dio» per cui li rimprovera di permettere a Cesare di avere un potere su di loro: …e…date a Dio quello che è di Dio esprime l’invito/comando a ritornare ad ubbidire a Dio creatore e re che vi ha creati, come unico Signore.

Oggi l’espressione date a Cesare…date a Dio… è comunemente interpretata e citata come fondamento della separazione tra Stato e Chiesa, anche da chi, vescovi e cardinali compresi, dovrebbe conoscere e sapere leggere la Scrittura. Essi così dimostrano non solo che non conoscono la Bibbia, ma danno un pessimo esempio di lettura fondamentalista e strumentale. Se si prende la singola frase, le si può fare dire tutto e il contrario di tutto. Bisogna al contrario leggere ogni parola dentro il suo contesto e mai fuori di esso. Con quella frase Gesù non stabilisce un equilibrio o una separazione tra il potere civile e quello religioso. Dice solo che l’autorità civile ha diritto di essere ubbidita da coloro che ne accettano i vantaggi che essa assicura (Rom 13,1-8; Tit 3,1-3; 1Pt 2,13-14), ma nello stesso tempo chi si sottomette a qualsiasi autorità deve verificare che non sia in contrasto con l’obbedienza che si deve a Dio. La risposta di Gesù è duplice:

  1. Restituite le cose di Cesare a Cesare: se accettate l’autorità di Cesare, pur essendo un usurpatore dei diritti di Dio e del popolo e se ne beneficiate perché trafficate con il suo denaro, è vostro obbligo pagare le tasse perché non fate altro che restituire a Cesare ciò che gli appartiene, cioè ciò che vi ha imposto e che voi servilmente avete accettato. Voi utilizzate i benefici di Cesare? Di che vi lamentate? Fare pagare le tasse è un suo diritto. Siete voi che vi siete posti fuori dell’autorità di Dio, usando il suo denaro e quindi riconoscendo la sua autorità su di voi.

  2. Gesù, però, non si lascia perdere l’occasione per richiamare i capi alla verità della loro coerenza e li invita e ritornare «al principio», cioè all’autorità di Dio da cui si sono allontanati, collocandosi nella prospettiva della Genesi: «e [ridate/restituite] le cose che di Dio a Dio» cioè ritornate alla vostra dignità di figli di Dio che non possono accettare di essere servi di un’autorità illegittima. E’ l’invito radicale ad una motivazione di fede radicale di ritorno alla purezza dell’alleanza, senza confusioni tra Cesare e Dio.

L’opposizione che Gesù pone tra Cesare e Dio è di natura religiosa non politica: si tratta di scegliere tra il Dio creatore e Cesare imperatore, tra Dio che crea a sua immagine e Cesare che conia la sua immagine, tra Dio che regna in Israele e Cesare che occupa illegalmente Israele, tra Dio che stipula l’alleanza con il figli di Abramo e Cesare che impone le tasse ai sudditi che vivono in Palestina. Gesù svela un dramma: gli scribi e i farisei, cioè i custodi della Parola di Dio e quindi della sua volontà «mostrano» una moneta con l’immagine di Cesare.

A questo punto e dentro questo contesto di fede, si pone il problema del rapporto tra il potere politico/economico e l’ambito religioso e spirituale. L’individuo non vive sulle nuvole, ma sulla terra dove nulla è così netto da spaccarsi con l’accetta, per cui è necessaria una vigilanza costante per non porre in atto un «sistema di confusione», una struttura di connivenze che portano a gestire benefici e utili, smarrendo la dovuta coerenza.

Se si accettano i benefici economici (denaro, leggi protettive o di scambio) non si può contestare lo Stato, il quale ha diritto di imporre la sue leggi e di pretendere che siano osservate. Lo Stato può pretendere obbedienza da chi usufruisce i vantaggi di esso e della sua protezione (cf Rom 13,1-8; Tit 3,1-3; 1Pt 2,13-14).

Chi vuole contestare l’autorità e la legittimità dello Stato (cf v. 22: «E’ lecito pagare le tasse?») deve rinunciare ai privilegi e ai vantaggi anche irrisori che lo Stato garantisce, in altre parole: la separazione totale o se si vuole non può esserci commistione e confusione di sorta. In questo contesto, per es. un matrimonio concordatario è una confusione perché se il ministro di culto è anche ufficiale di stato civile non può poi inveire contro il divorzio. In forza della risposta di Gesù, per restare all’esempio, sarebbe d’obbligo la separazione dei regimi giuridici. Ancora più radicalmente: se la gerarchia stipula un concordato con uno Stato, deve accettare una delimitazione alla sua libertà di critica, specialmente se riceve benefici economici di qualunque natura. Se si vuole contestare lo Stato e le sue leggi, lo si può fare, ma da un pulpito libero, non da una posizione di privilegio molto comoda

Il vangelo di per sé non pone una opposizione tra «Cesare» e «Dio» che sarebbe illogica perché il regno di Dio pur non confondendosi con il regno di Cesare non è fuori del territorio su cui governa Cesare. Gesù non parla assolutamente di separazione tra «Stato e Chiesa»: questa è una indebita conclusione estranea al testo, come se vi fossero due autorità equipollenti, distinte, ma convergenti che si dividono l’uomo: la parte spirituale alla Chiesa e la parte materiale allo Stato. Questo ragionamento è tipico di una concezione della società come «cristianità» che è il vero regno della confusione tra Stato e Chiesa, come auspicano i tradizionalisti che negano e rinnegano il concilio Vaticano II, perché secondo loro non vi può essere autonomia nelle cose della terra, ma solo governi che realizzano civilmente ciò che la Chiesa stabilisce sul piano spirituale ed etico: è il ritorno allo Stato come braccio secolare dell’altare e l’uso del cristianesimo come identità civile di una identità nazionale. Sono i moderni farisei che non sanno quello che dicono perché hanno smarrito l’immagine impressa in loro dal creatore e redentore. Non c’è opposizione tra regno di Cesare e Regno di Dio. Il Regno di Dio non è di questo mondo nel senso che non è la somma dei regni della terra, ma è in questo mondo (Gv 17, 11.16; cf 15,19) perché si propone ad ogni regno della terra, ad ogni cultura, ad ogni civiltà, ad ogni condizione11

Il cristiano non è alternativo, ma è dentro il mondo in cui deve lavorare come il sale (Mt 5,13) e il lievito (Mt 13,33; 13,21), cioè impegnandosi in una propria trasformazione fino a scomparire e diventare una cosa sola con la realtà che lo circonda. In questo programma non cerca alleanze e scorciatoie, ma offre solo una proposta come appello alla coscienza libera che tanto viene coinvolta quanto più è rispettata e valorizzata. Il cristiano non ha soluzioni cristiane, ma ha solo se stesso che dona in modo gratuito nella logica della croce in vista della risurrezione, dove si compie la «teo-drammatica»: la morte è premessa della vita.

La prospettiva che Gesù pone con la questione del tributo a Cesare è una prospettiva soprannaturale all’interno del criterio di incarnazione che è la logica del chicco di grano che deve cadere in terra e morire se vuole portare frutto (Gv 12,24). Il cristiano non lotta per avere uno strapuntino di potere nel mondo, ma lascia ogni potere per assumere in pieno in ciò che gli compete e gli appartiene di diritto: la testimonianza che pone il grande capitolo dell’etica. Non esiste una etica cristiana in contrapposizione ad un’etica umana o naturale come non esiste un monopolio dell’etica da parte della Chiesa. Esistono persone che non fanno riferimento ad alcuna chiesa e forse neanche a Dio, eppure conducono una vita morale ineccepibile, spesso anche superiore a quella di credenti (o religiosi?) conclamati12. L’eucaristia che celebriamo ci restituisce la nostra immagine nell’immagine del Figlio (Rom 8,29; Col 1,15), Parola e Pane che si consuma per servire e non per essere servito (Mc 10,45).

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

[breve pausa 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

MENSA EUCARISTICA

Scambio della pace e presentazione delle offerte

Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, e come insegna il vangelo (cf Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech» che diventi il pane della vita e il calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).

La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.

E’ con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

Nel Nome di Cristo e con l’aiuto del suo Spirito, Pace su Gerusalemme, Pace sulla Chiesa e sul Mondo!

[Tutti si scambiamo un segno di pace]

Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Donaci, o Padre di accostarci degnamente al tuo altare perché il mistero che ci unisce al tuo Figlio sia per noi principio di vita nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II13 (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario VI: Cristo Parola, Salvatore e Redentore

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.

Santo, Santo, Santo, sei tu, Signore, Dio dell’universo: tutti i popoli cantano la tua gloria. Osanna nei cieli.

Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla vergine Maria.

Osanna nell’alto dei cieli e pace agli uomini che egli ama. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.

Benedetto nel nome del Signore sei tu, o Cristo che eri, che sei e che verrai, Santo d’Israele .

Per questo mistero di salvezza, uniti agli Angeli e ai Santi, proclamiamo a una sola voce la tua gloria :

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

Tu hai scelto Ciro come tuo Cristo per liberare Israele il tuo eletto fra tutti i popoli (Cf Is 45,1).

Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Cantiamo al Signore un canto nuovo, cantiamo al Signore da tutta la terra (cf Sal 96/95,1).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Diamo al Signore, o famiglie dei popoli, diamo al Signore gloria e potenza (cf Sal 96/95,7).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Diciamo con tutte le genti: «Il Signore regna!» su Israele, sulla Chiesa e sull’umanità intera (cf Sal 96/95,10).

MISTERO DELLA FEDE.

Per il mistero della tua santa croce, salvaci o Cristo Risorto, atteso dalle genti! Maranà thà! Vieni, Signore!

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

In mezzo ai popoli narreremo la tua gloria, le meraviglie della tua tenerezza (cf Sal 96/95,3).

Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Ti rendiamo sempre grazie, o Dio, per tutti gli uomini nel Nome santo di Gesù, Cristo e redentore (cf 1Ts 1,2).

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa …, il Vescovo…, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

Ti presentiamo, o Padre, l’operosità della nostra fede e la fermezza della nostra speranza in te (cf 1Ts 1,3).

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.

O Signore, noi sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio: insegnaci ad amare come Gesù (cf Mt 22,16).

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

Donaci di restituirti sempre la nostra immagine di te che abbiamo ricevuto dal Signore Gesù (cf Mt 22,21).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)

Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra.

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona di Comunione Mc 10,45 Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la sua vita in riscatto per tutti gli uomini.

Preghiamo. O Signore, questa celebrazione eucaristica, che ci ha fatto pregustare le realtà del cielo, ci ottenga i tuoi benefici nella vita presente e ci confermi nella speranza dei beni futuri. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore che chiama Ciro «suo eletto», cioè «Cristo», ci apra il cuore al mondo intero. Amen.

Il Signore che convoca tutti i popoli nel suo santuario di lode, ci faccia «cattolici» nel pensiero. Amen.

Il Signore che rifugge dall’ipocrisia e dall’inganno, ci converta alla condivisione del cuore. Amen.

Il Signore che ci svela l’immagine del Padre, ci renda degni di accogliere il suo invito. Amen.

Il Signore che ci ha convocato vangelo della coerenza dell’Eucaristia, sia davanti a voi per guidarvi. Amen.

Il Signore che ci chiede di essere «segni» della sua credibilità del Figlio sia dietro di voi per difendervi. Amen.

Il Signore che ci invia nel mondo come testimoni, sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi. Amen.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa finisce come celebrazione: inizia la Messa della testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

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© Domenica 29a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 16/10/2011 - San Torpete – Genova

Sabato 22 ottobre 2011, ore 17,30: Conversazione – Concerto – Mara Bezzi, Soprano – Park Yung Eun, Baritono -Seo Hoon Ha, Tenore – Riccardo Ristori, Basso - Roberto Beltrami, Pianoforte – Annamaria Cecconi, Musicologa. - L’Italia all’Opera. Musica, pittura e teatro musicale nella costruzione dell’identità italiana - Musiche di G. Verdi, V. Bellini.

Mercoledì 26 ottobre 2011, ore 20,30 a Giulianova (Pescara) su iniziativa dell’Associazione «Società Civile» - Onlus, nell’ambito della 16° edizione del «Premio Nazionale Paolo Borsellino: 10 giorni per la legalità», incontro con Paolo Farinella, prete sul tema: «Legalità e moralità».

Martedì 1 novembre 2011, ore 10,00: Festa di Tutti i Santi – Messa Concertata Accademia dei Virtuosi, Luca Franco Ferrari, Direttore - Illustri parenti. Familiari e antenati di Haydn, Mozart e Puccini - 1. Il padre: Leopold Mozart - Missa brevis in Do. La Messa sarà celebrata per l’onomastico di mio fratello Santo deceduto, i miei familiari e tutti i defunti dei presenti.

1 Spesso sentiamo parlare di sadducei, farisei, scribi, leviti, anziani ed erodiani senza comprenderne appieno il significato nel contesto del tempo di Gesù, quando la Palestina era occupata dai Romani. Roma aveva una politica lungimirante: usava lasciare una grande autonomia anche amministrativa ai popoli sottomessi, rispettandone la religione e le usanze, purché pagassero le tasse che erano segno di sottomissione. Nel caso d’Israele, i Romani lasciarono come re Erode che non era giudeo e dopo la sua morte ai suoi tre figli. Su tutti dominava il procuratore romano, in questo caso, Ponzio Pilato che governò la Palestina tra il 26 e il 36 d.C. Di norma, per non urtare la suscettibilità sia dei Giudei che del re, risiedeva a Cesarea sul Mediterraneo, vicino l’attuale Tel Aviv, a 50 km da Gerusalemme. L’autonomia politica e religiosa del popolo d’Israele era simboleggiata dal tempio di Gerusalemme, dove era insediato il Grande Sinedrio, composto da 71 membri. Esso era la suprema autorità religiosa e politica d’Israele. Tutto poteva gestire tranne due cose: le tasse romane e la pena di morte o ius gladii (il diritto della spada), riservate a Roma. Il procuratore custodiva anche le vesti pontificali del sommo sacerdote, come di indiscussa autorità a cui doveva sottostare anche il Sinedrio in cui confluivano diverse categorie o caste: 1) I sadducei, appartenevano alla casta degli aristocratici e si consideravano discendenti del sacerdote Sadòq (2Sa 8,17; 20,25; 1Re 2,27; 4,2) ed esercitavano il sacerdozio, coadiuvati dai leviti, discendenti della tribù di Levi, che si occupavano del servizio liturgico del tempio Nm 1,49-50). I sadducei non credevano negli angeli e nella risurrezione dei morti. 2) Vi erano gli scribi, cioè gli specialisti dell’interpretazione delle Scritture (scritta e orale): essi sedevano anche nel porticato del tempio per dirimere questioni di qualsiasi genere, rispondendo alle domande che ponevano i fedeli sui diversi comportamenti e circostanze della vita. 3) Gli Anziani, cioè i rappresentanti della classe agiata, che al tempo di Gesù era alquanto decaduta ((cf Mc 15,1; Mt 16,21; Lc 22,52). 4) I farisei erano laici e molto pii che a differenza dei sadducei credevano negli angeli e nella risurrezione ed erano molto vicini al popolo da cui erano apprezzati e stimati. 5) Il numero di 71 membri è simbolico: nel dopo esilio e fino al sec. I d.C. si riteneva che i popoli della terra fossero in numero di 70 per cui il Sinedrio era rappresentativo di tutta la terra. Questo è il contesto politico in cui deve inserirsi la discussione di oggi. Farisei e Sadducei sono partiti opposti che si fronteggiano nel Sinedrio e quindi cercano ogni occasione per mettersi in difficoltà.

2 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

3 Per l’etimologia del termine «chiesa» e il suo rapporto con lo Spirito «Paràcleto» v. la Liturgia del giorno di Pentecoste.

4 Dopo l’esilio di Babilonia (sec. VI/V a. C.) in Israele si sviluppa l’insegnamento della Toràh orale come interpretazione della Toràh scritta. Il meccanismo funziona così: chi dà una interpretazione della Toràh o di un precetto o di una parola della Scrittura deve appoggiarsi sull’autorità di un Rabbi più antico. Più antica è l’autorità del Rabbi, più autorevole è la dottrina che si manifesta. Questo è il motivo per cui nella Mishnàh e nel Talmud si trovano sempre espressioni del tipo: «Il Rabbi Tal dei Tali ha detto sulla parola del Rabbi X Y che ha parlato per il Rabbi Z Q, il quale a sua volta ….». E’ lo schema che segue Mt nel discorso della montagna quando contrappone l’autorità di Gesù a quella dei Maestri della tradizione: «Avete inteso che fu detto [agli antichi, cioè ai Rabbi precedenti], ma io vi dico…» (cf Mt 5,21-22.27-28.31-32.33-34.38-39.43-44).

5 La tassa di cui si tratta nel vangelo odierno era detta in latino «census» che i Romani imponevano a tutti i popoli sottomessi. In Palestina fu introdotta nel 6 d.C. ed era una tassa «pro capite»: tutti, uomini, donne, e schiavi, dall’età di 12 anni e fino a 65 anni delle regioni della Samaria, Giudea e Idumea (patria di Erode il grande), erano obbligati a questa tassa, anch’essa corrispondente ad un denaro d’argento, pari a una giornata lavorativa.

6 La tassa, detta fiscus judaicus, non era calcolata in base al reddito, ma, in modo forfetario, secondo le necessità dello Stato: Roma dagli esattori (pubblicani) pretendeva una somma stabilita in precedenza in base a determinati parametri (densità di popolazione, livello di vita, lavoro, strade di passaggio importante per il commercio, ecc.). Quello che i pubblicani riuscivano a rubare in più al popolo lo tenevano per sé e ciò, altre al resto, spiega perché erano odiati dal popolo ancora più che i Romani. Un chiaro riferimento si ha in Lc quando narra della conversione di Zaccheo «capo dei pubblicani» (Lc 19,1-10). Questi dichiara pubblicamente che restituirà la metà dei suoi beni acquisiti con l’inganno e il furto e «se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (Lc 19,8), andando oltre ogni prescrizione legale. La Toràh infatti prevedeva la restituzione di quattro volte tanto solo nel caso di furto di bestiame (bue o agnello), strumenti essenziali di lavoro (bue) e di nutrimento (agnello) (Es 21,37), mentre Zaccheo supera la norma e aggiunge generosamente in più del dovuto anche la distribuzione di «metà dei miei beni» (Lc 19,8): egli sa che il denaro accumulato è veramente «mamona iniquitatis» (Lc 16,9), frutto d’ingiustizia e di perversione.

7 La tassa per il tempio (cf Mt 17,24-27) e doveva era essere pagata una volta all’anno da tutti i maschi ebrei, anche residenti fuori dalla Palestina: corrispondeva ad una giornata di lavoro. Doveva essere pagata in moneta ebraica, non in moneta romana che avendo incisa l’immagine dell’imperatore era considerata impura e idolatrica: per questo motivo, sotto il porticato del tempio vi erano i cambiavalute che convertivano le monete «straniere» in denaro giudaico (cf Mt 21,12; Gv 2,15). Questa tassa cessa dopo il 70 d.C. e al suo posto Vespasiano ne impone una analoga per la ricostruzione del tempio di Giove capitolino (cf G. Flavio, GG VII,6,6 §§ 216-218: «Egli [Vespasiano] impose a tutti i Giudei dovunque risiedessero una tassa di due dracme a testa da versare annualmente al Campidoglio come prima l’avevano versata al tempio di Gerusalemme» cf anche Svetonio, Domiziano, XII,2; per la complessa questione del fisco, cf R. Fabris, Matteo, Borla, Roma [s.d., forse 1982], 374375].

8 «(a) Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare «e» (b) a Dio quello che è di Dio» (v. 21). Da un punto di vista morfologico tra la prima (a) e la seconda parte (b) c’è la congiunzione coordinante copulativa «kài – e» che potrebbe avere valore di congiunzione coordinativa avversativa (= «allà – ma»). Se si mantiene il valore coordinate copulativo della congiunzione «kài-e» si mette in evidenza l’atteggiamento dei farisei che accettando la moneta imperiale con la scritta sulla divinità di Cesare, mettono questi sullo stesso piano di Dio. Se si accetta l’uso avversativo, si mette in evidenza la contestazione di Gesù che rivendica l’esclusiva autorità di Yhwh senza compromessi.

9 Quando Gesù, pur ritenendosi libero dal pagare le tasse, per non scandalizzare, paga il tributo del tempio per sé e Pietro, manda questi in riva al mare a pescare un pesce che avrebbe avuto la somma equivalente per la tassa di due persone, segno ulteriore che egli non maneggiava denaro (cf Mt 17,24-27;

10 In Gen 2,15 si dice che «Dio pose l’uomo nel gradino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse» secondo la traduzione del greco della LXX, mentre in ebraico si usano due verbi straordinari: «per servirlo e per osservarlo». Il primo verbo indica il servizio liturgico, cioè la dipendenza affettiva e vitale, per cui l’uomo compie un atto sacro da cui dipende progresso o regresso. Il secondo verbo è squisitamente giuridico perché è riservato all’«osservanza» della Toràh e dei precetti. Il rapporto che c’è tra l’uomo e le realtà terrestri è un rapporto che lega giuridicamente e costringe l’uomo ad «ascoltare» il mondo e le cose (in ebraico c’è assonanza tra «shama’ – ascoltare» e «shamar – osservare/custodire». Da ciò nasce l’unione indissolubile tra l’individuo e l’ambiente dove è posto.

11 Di distinzione netta e di separazione invece si parla in un altro contesto che è quello della passione nel IV vangelo. In Gv 18,36 Gesù afferma proprio davanti a Pilato che ribadisce il suo potere politico: «Il mio regno non è di questo mondo», cioè non si assomma ai regni della terra e nello stesso tempo si estende a tutti i regni della terra, fino agli estremi confini (At 1,8), cioè fin dove c’è una persona con una coscienza attenta e attiva. Ad imitazione di Gesù, i suoi discepoli sono nel mondo, ma sono del mondo (Gv 17,11-14; cf A Diogneto, V,4-17; VI,1-3). Il cristiano è nel mondo per mandato vocazionale e missionario, il cultore della relativizzazione e l’assertore dell’Assoluto che è solo Dio.La Chiesa non può vivere in competizione con il mondo né può pretendere di esercitare il suo dominio sul mondo profano e/o secolarizzato. La Chiesa non è chiamata a trasformare il mondo da profano in mondo cristiano perché rischia di ritornare a quella infausta «cristianità» che tanti mali ha arrecato alla chiesa e al mondo. La Chiesa ha il dovere e il diritto di «andare nel mondo» e rendere visibile il volto di Dio per farlo apparire credibile attraverso la credibilità del suo operato e della sua testimonianza e suscitare quindi la conversione

12 Dalla Costituzione «Gaudium et Spes» sulla chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Ecumenico Vaticano II: «La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane... Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell’attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, [la Chiesa] rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini». (Gaudium et Spes, 76 in EV 1/1581).

13 Detta di Ippolito, prete romano del sec. II: è stata reintrodotta nella liturgia dalla riforma di Paolo VI in attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.



Mercoledì 12 Ottobre,2011 Ore: 21:05
 
 
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