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www.ildialogo.org Domenica 28a per annum -A– 9 ottobre 2011 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 28a per annum -A– 9 ottobre 2011 –

di Paolo Farinella, prete

Ci avviamo lentamente verso la conclusione dell’anno liturgico. Solo cinque domeniche ci separano dalla Festa di Cristo Re, che chiude sempre l’anno il ciclo annuale. La liturgia in questo scorcio dell’anno ci propone testi proiettati verso il giudizio finale per aiutarci a guardare alla fine di un anno liturgico come paradigma e allegoria della fine della storia, del giudizio e della misericordia di Dio. Per realizzare questo scopo didattico ci presenta le parabole che descrivono in modo fascinoso la storia della salvezza come un processo nel quale si confrontano due atteggiamenti: quello di Dio e quello dell’uomo. E’ importante anche nella vita ordinaria imparare a «vedere» gli avvenimenti dal punto di vista della «fine»: impareremmo a non perdere tempo in valutazioni e argomentazione che potrebbero risultare superflue o inutili. Osservare la vita dal punto di vista della morte significa considerare le conseguenze logiche di tutte le nostre scelte e delle nostre omissioni; significa imparare a sapere prevedere/prevenire che dovrebbe essere l’arte di chi esercita una qualsiasi autorità che coinvolga il futuro di altri. Governare è prevedere.

Domenica scorsa abbiamo contemplato l’allegoria della salvezza che si fa storia attraverso l’immagine della vigna nel contesto della nuzialità tra Dio-sposo e Israele-sposa. Le nozze furono preparate accuratamente perché lo sposo-Dio inviò i suoi amici, i profeti, a preparare il banchetto e la festa, ma senza risultato: il popolo-sposa non solo li uccise, ma uccise anche il Figlio promesso-sposo. La sposa rimase vedova prima ancora di conoscere il volto dello sposo. Oggi Mt ci descrive il «pranzo» nuziale secondo l’uso orientale e presenta le categorie degli invitati soffermandosi sull’atteggiamento morale di coloro che entrano nella sala del convito: è il senso simbolico della veste nuziale (vv. 11-12). Anche noi ci riferiamo a questo senso morale ogni volta che nell’Eucaristia diciamo: «Beati gli invitati al banchetto del Signore…Signore, non sono degno che tu entri nella mia casa, ma di’ soltanto una parola…».

Secondo le usanze orientali, il banchetto è sempre il momento culminante del rito d’intronizzazione del re o della vittoria su un nemico o di un contratto nuziale. Quando un re viene insediato, il pranzo è il segno della sua potenza e liberalità (Est 1,1-4; 1Re 10,5; 1Sam 16,11; Dan 5, ecc.). Dopo una vittoria militare è il sigillo dell’alleanza tra gli alleati perché chi partecipa al banchetto stringe obblighi di solidarietà che nulla dovrà infrangere pena la morte (1Re 2,7; 2Sam 9,6-8). Nel caso di pranzo per la vittoria di guerra, i viveri confiscati al nemico costituiscono le prime portate per mettere in evidenza plastica la dipendenza dei vinti che ora stanno sotto la protezione del vincitore. L’alleanza non è un contratto bilaterale, ma l’atto post bellico di protezione del più forte sul più debole: il vincitore si prende carico del vinto. Un contratto nuziale presso gli antichi orientali veniva concluso con il pranzo di nozze che di solito si svolgeva la sera e si protraeva per tutta la notte. In ogni caso, chi partecipa a questi banchetti entra in intimità perché mangia le stesse vivande, condividendo momenti fondamentali della vita individuale e nazionale.

Il profeta Isaia nella 1a lettura considera Yhwh alla stregua di un re che prende possesso del suo regno: non è forse Yhwh, il Creatore, più che un qualsiasi re della terra? Yhwh-Re invita al banchetto di alleanza e di amicizia il popolo che ha legato a sé con la promessa fatta ai patriarchi. Il banchetto di vittoria celebra la sconfitta del nemico per eccellenza che è la morte (vv. 7-8; cf Ap 21,4; 1Cor 15,26) e di conseguenza la gloria di Dio si riversa sulla terra degli uomini (tema della montagna ai vv.6.7 e 10) che così partecipano alla «signoria» di Dio. Non è Dio che scende «in basso», ma è l’umanità che nel banchetto nuziale, viene innalzata sul monte, al livello di Dio. Il banchetto descritto in questi termini dal profeta quattro/cinque secoli prima di Cristo, assume il valore di preludio del banchetto eucaristico quando il Risorto intronizzato sul trono della croce dello scandalo e dell’ignominia (1Cor 1,18-23) celebrerà la vita immortale offrendo se stesso in dono all’umanità (cf Gv 6,51).

San Paolo nella seconda lettura ci presenta se stesso come «indifferente» alle cose di poco conto, come la ricchezza e la povertà perché il suo cuore è immerso nella volontà del Signore che si è impossessato della sua vita: l’apostolo è libero di non essere libero. Per questo sa apprezzare gli amici che si accorgono del suo bisogno e lo soccorrono senza essere richiesti: è l’Eucaristia che si fa vita e la vita che diventa azione sacrificale per amore.

Mt ancora una volta si rivolge «ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» che si manifestano sempre più ostili nei confronti di Gesù (cf Mt 22,21-22). Questa parabola, infatti, come abbiamo già detto nelle ultime due domeniche, forma una trilogia insieme a quella dei due figli «contraddittori» (21,28-32) e dei contadini [omicidi] (21, 35-45) che descrive l’ostilità dei «capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo» contro Gesù. Mt è più polemico con i Giudei di Lc (14,16-24) perché descrive la contrapposizione attualizzata nel presente: è adesso l’incompatibilità tra Chiesa e Sinagoga. Lc, invece, più attento alla teologia della storia affronta i problemi dell’accoglienza dei poveri e dei peccatori, coniugando povertà ed escatologia (cf 6,20) in prospettiva degli ultimi tempi. Per questo Mt si sofferma sull’atteggiamento morale (veste nuziale) e sulle esigenze della giustizia per insegnare ai credenti che una appartenenza puramente esteriore alla Chiesa non è garanzia di salvezza.

La partecipazione all’Eucaristia ci custodisce da questa logica esteriore e ci rende anche più vulnerabili per la fatica della ricerca, ma ci abilita e ci rafforza nella logica del vangelo e della missione, animati dallo Spirito del Risorto che invochiamo su tutta la Chiesa e sul mondo., facendo nostre le parole dell’antifona d’ingresso (Sal 130/129,3-4): Se consideri le colpe, Signore, chi potrà resistere? Ma presso di te è il perdono, o Dio di Israele.

Spirito Santo, tu prepari sul monte di Dio il convegno dei popoli senza distinzione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci guidi al monte del banchetto di Dio come incontro universale, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu strappi la coltre di odio e di incomprensione che avvolge i popoli, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu elimini dalla terra la morte per sempre con le guerre e le ingiustizie, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei inviato a noi per asciugare le nostre lacrime e curare le piaghe, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu riscatti gli uomini dal disonore consolandoci con la Parola di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la guida che ci conduce ai pascoli erbosi della conoscenza di Dio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci precedi per proteggerci proteggi nelle valli oscure e tenebrose, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci insegni a valutare le priorità della vita perché tutto possiamo in te, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci educhi a prendere parte attiva alla tribolazioni dell’umanità, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu prepari la mensa eucaristica come banchetto nuziale dell’alleanza, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci predisponi al banchetto nuziale della Parola e del Pane, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu convochi i poveri e gli esclusi al banchetto nuziale della vita, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la veste nuziale che ci permette di andare alle nozze dell’alleanza, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei sostegno alla nostra debolezza con la Parola e il Pane della vita, Veni, Sancte Spiritus!

Portare la «veste nuziale» significa rivestirsi di una personalità nuova. Adam ed Eva smarrirono la loro perché contraffacendo la loro naturale identità, si ritrovarono nudi e dovettero nascondersi anche davanti a Dio, colui che «scruta i cuori e i reni» (Ap 2,23; Sal 7,10). San Paolo lo ricorda espressamente: «Rivestite l’uomo nuovo che è stato creato secondo Dio in giustizia e santità e verità» (Ef 4,24), ma «sopra ogni cosa poi [rivestitevi] della carità che è vincolo di perfezione» (Col 3,14). Lo Spirito di Dio e del Signore risorto che abita in ciascuno di noi (Rom 8,9.11) ci accompagni dentro questa Eucaristia.

(greco)1

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

Potrebbe sembrare strano che in un contesto conviviale, addirittura di un banchetto di nozze, si posa e si debba parlare di «digiuno», che però è una condizione preliminare per una retta comprensione della fede. Digiunare significa avere consapevolezza di alleggerire il corpo per gustare le cose dello spirito. Davanti a Dio non si sta sazi, ma affamati di verità e assetati di giustizia. Solo così possiamo entrare nella sala nuziale per partecipare al banchetto della vita. Per questo la liturgia c’invita a riconoscerci bisognosi della misericordia di Dio che purificandoci da ogni nostra debolezza ci rende stabili sulla roccia delle fedeltà. Attraverso di noi, supplichiamo il perdono del Padre per la chiesa e per tutta l’umanità affaticata e smarrita.

Signore, tu ci convochi sul monte del banchetto eucaristico, abbi pietà di noi, Kyrie, eleison!

Cristo, per tutte le volte che abbiamo disertato l’invito a nozze, abbi pietà di noi, Christe, eleison!

Signore, tu ci accogli alla mensa ciechi, storpi e zoppi, abbi pietà di noi, Pnèuma,eleison!

Dio onnipotente, Padre di tutti i popoli che li convoca alla sua presenza sul santo monte di Sion perché tutti, nessuno escluso partecipino al banchetto della conoscenza, della Parola e del Pane della vita, per i meriti di tutti coloro, uomini e donne che lavorano nel mondo per eliminare barriere di qualunque genere e costruire di ponti di collegamento, per i meriti del santo profeta Isaia,, dei Filippesi che si fanno carico dell’apostolo Paolo, per i meriti di Gesù che viene a svelare il volto materno di Dio, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna, Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3].

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Padre che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza del tuo Spirito, perché possiamo testimoniare qual è la speranza della nostra chiamata, e nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o a entrarvi senza l’abito nuziale. Per il nostro Signore, Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Is 25,6-10a. I capitoli 24-27 di Isaia, in passato sono stati considerati come testi disparati senza una propria unità. La scienza biblica però, anche alla luce del manoscritto scoperto a Qumran (1947), oggi è concorde nel ritenere che questi capitoli formano un libretto unitario del dopo l’esilio, databile tra il V e il IV sec. a.C., opera di un autore anonimo che si richiama alla teologia del profeta Isaia vissuto nel sec. VIII a.C. Il blocco dei cc. 24-27 è chiamato «Apocalisse maggiore» per distinguerlo dai cc. 34-35, detti «Apocalisse minore», altra inserzione dovuta al 2° Isaia (autore dei cc. 40-55) e maldestramente inserita nel contesto del 1° Isaia. Il termine «apocalisse» indica un movimento di pensiero, sorto dopo l’esilio perché legge la storia dal punto della fine del mondo e si svilupperà in modo particolare con i profeti Daniele e Zaccaria (9-14) e nel libro apocrifo di Enoch. Il libretto dell’«Apocalisse maggiore» da cui è tratto il brano della 1a lettura di oggi, contiene tre liturgie della parola per celebrare l’intronizzazione di Yhwh re d’Israele. Il brano di oggi appartiene alla 2a liturgia di cui riporta la 2a lettura che descrive lo sfarzoso banchetto regale e le acclamazioni della folla festante. Partecipando all’Eucaristia non siamo invitati ad un sontuoso banchetto, ma alla mensa povera della Parola e del Pane spezzato che chiedono solo di essere condivisi e consumati per saziare la fame della conoscenza di Dio.

Dal libro del profeta Isaia 25,6-10a

6 Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7 Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8 Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9 E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10 poiché la mano del Signore si poserà su questo monte». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 23/22, 1-3a; 3b-4; 5; 6. Salmo poetico di squisita delicatezza che descrive una fiducia totale nel Signore descritto come pastore premuroso delle sue pecore. La freschezza delle immagini, la delicatezza dei sentimenti e la profondità teologica ne fanno una perla di tutto il Salterio. Il salmo 23 è unanimemente attribuito a Davide che, secondo la tradizione ebraica, lo compose mentre fuggiva da Saul che voleva ucciderlo. Dio irrigò la foresta con una rugiada che aveva il sapore del mondo futuro e così rese anche commestibile l’erba del prato e le foglie degli alberi. Ancora oggi il salmo è recitato dagli Ebrei prima della benedizione del pasto perché in ebraico il salmo si compone di 57 parole, numero a cui corrisponde il termine «nutrimento» in ebraico «‘oklàh». Il Salmo è centrato su due figure: il pastore premuroso come allegoria di Dio e l’ospite come allegoria del credente. Il viaggio del Pastore richiama l’esodo di Israele nel deserto, durante il quale fu nutrito da Dio con la carne, la manna e con l’acqua (Es 16,1-36; 17,1-7). La tradizione cristiana da sempre applica questo salmo alla vita sacramentale specialmente al battesimo e all’eucaristia che è il pascolo erboso su cui il «Pastore bello» (Gv 10,11.14) ci fa riposare per nutrirci con la Parola, il Pane e la forza del Vino per attraversare la valle oscura che interseca la vita.

Rit. Abiterò per sempre nella casa del Signore.

 

1. 1 Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
2 Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
3 Rinfranca l’anima mia. Rit.

2. Mi guida per il giusto cammino,
a motivo del suo nome.

4 Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza. Rit.

3. 5 Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca. Rit.

4.6 Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò nella casa del Signore / per lunghi anni. Rit.

 

Seconda lettura Fil 4,12-14.19-20. Durante la prigionia romana, i Filippesi hanno inviato aiuti all’apostolo che risponde con un biglietto, l’ultimo scritto alla diletta comunità e riportato dalla liturgia odierna. Di fronte agli aiuti dei Filippesi, che vive come un vero sacrificio (v. 18), Paolo manifesta anche il suo disinteresse di fronte alle cose materiali mentre rende grazie a Dio: tutto viene da Dio, ma da tutto l’apostolo è distaccato e non è avido (cf 1Tm 6,6-10), ma non rifiuta gli aiuti perché il disinteresse svela chi è amico e chi non lo è; la vera religione infatti non è poi così difficile: basta abituarsi a sapere ricevere per imparare a dare quello che si è ricevuto. L’Eucaristia è questa scuola che c’impegna alla gratuità ricevuta e alla generosità condivisa.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 4,12-14.19-20.

Fratelli e Sorelle, 12 so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza; sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. 13 Tutto posso in colui che mi dà la forza. 14 Avete fatto bene tuttavia a prendere parte alle mie tribolazioni. 19 Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù. 20 Al Dio e Padre nostro sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. - Parola di Dio.

Vangelo Mt 22,1-14. Il capitolo 21 di Mt riporta tre parabole: due, i figli contraddittori (Mt 21,28-32) e i contadini [omicidi] (Mt 21,33.43), sono state proposte nelle due ultime domeniche, mentre la terza, quella del banchetto nuziale è proposta oggi. Anche questa parabola è un’allegoria della storia della salvezza che però differisce da quella dei contadini [omicidi] di domenica scorsa: in questa il Messia-Sposo deve ancora arrivare, in quella del banchetto lo Sposo-Cristo è già qui ed entra nella sala nuziale per verificare l’adeguatezza morale degli invitati. L’«abito» nuziale indica la condizione morale di ciascuno. Non ci si può accostare a Dio in qualsiasi modo perché Dio è amico e Padre, ma non è mai un «amicone» da strada. Gli Ebrei insegnano che prima di cominciare a pregare, bisogna prepararsi con un tempo introduttivo, un tempo di preparazione. Vivere eticamente, cioè conforme all’alleanza, è prepararsi all’incontro con la persona più importante della nostra vita. Il testo è intessuto dei verbi «invitare» e «chiamare» (vv. 3.4.9.14) che segnano anche la nostra vocazione all’Eucaristia, il sacramento nuziale che convoca alla condivisione, ma esige anche che portiamo l’abito della festa per lasciarci «abitare» dalla Parola che diventa così il fondamento della morale, come abito della vita.

Canto al Vangelo cf Ef 1,17-18

Alleluia, alleluia. Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore / per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati. Alleluia!

Dal Vangelo secondo Matteo 22,1-14

In quel tempo, 1  Gesù riprese a parlare in parabole [ai capi dei sacerdoti e e ai farisei] e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4 Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 10 Usciti nelle strade, quei servi radunarono quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12 Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui sena l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Se facessimo una statistica siamo convinti che tutte le invettive di Gesù che si trovano nel vangelo sono indirizzate tutte contro l’autorità del suo tempo che era insieme religiosa e civile: il Sinedrio infatti, composto da settanta membri aveva potere assoluto su Israele, ma sotto la supervisione romana, prima con Erode e poi direttamente. Nella parabola del banchetto nuziale, infatti, riportata oggi dalla liturgia, ancora una volta Gesù si rivolge ai capi e ai responsabili del popolo, quasi a sottolineare che essi devono rispondere davanti a Dio di ciò che i loro popoli fanno o non fanno. Ciò è valido anche in piccolo per i genitori, gli insegnanti, i responsabili del personale in una azienda, il superiore e la superiora in un monastero, come pure per i governanti, i vescovi e i papi. Nessuno che abbia un ruolo di autorità, sia singolo, gruppo o popolo, è immune dal giudizio di Dio quando entrerà nella sala del convegno. Il contesto in cui scrive Mt è molto differente da quello di Lc (14,16-24) perché i due hanno prospettive e comunità differenti per cui i due scritti mettono in evidenza maggiore le divergenze piuttosto che le convergenze, segno del travaglio che la parabola ha vissuto nel corso della sua formazione:

  • In Mt 22,2 si tratta di un pranzo nuziale (epòiēsen gàmous), predisposto per il figlio di un re.

    • In Lc 14,16 invece si parla di un uomo che fa una grande cena (epòiei deîpnon mèga).

  • In Mt 22,6 il re manda gli inviatati due volte con esiti anche violenti: «li insultarono e li uccisero».

    • In Lc 14,17 l’ospite manda un solo servo.

  • In Mt 22,5 gli invitati sono indifferenti all’invito.

    • In Lc 14,18-20 si scusano per non potere andare.

  • In Mt 22,10 i servi invitano «cattivi e buoni».

    • In Lc 14,21 invece il servo invita «poveri, storpi, ciechi e zoppi».

  • In Mt 22,10 la sala delle nozze si riempie subito di ogni genere di invitati.

    • In Lc 14,22 invece «c’è ancora posto» per altri e il servo deve uscire una seconda volta.

  • In Mt 22,11 si esige la veste nuziale.

    • In Lc il tema della veste nuziale è assente.

  • In Mt 22,12 vi sono il giudizio e la condanna.

    • In Lc 14,24 solo la constatazione che nessuno degli invitati ufficiali mangerà la cena del Signore.

  • Mt 22,14 conclude con la formula stereotipa: «molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti».

    • In Lc manca.

Da questo breve confronto si capisce la diversità di prospettiva dei due evangelisti che quindi hanno elaborato le parole di Gesù in funzione della loro catechesi. Lc vive in comunità dove freme il confronto tra cristiani giudei e cristiani greci: i primi fanno fatica ad accettare i secondi, per cui propone come modello Gesù che accoglie poveri, storpi e ciechi, cioè coloro che la Toràh riteneva impuri e quindi emarginati. Lc è attento in tutto il suo vangelo al discorso sulla povertà materiale che nella sua catechesi diventa premessa dell’escatologia, cioè della fine del mondo (cf Lc 6,20). Mt al contrario si trova in mezzo ad una comunità che è stata educata alla purità legale e all’osservanza di tutti i precetti previsti nella Toràh e quindi si rende conto che la povertà materiale non è sufficiente per introdurre nel Regno di Dio fondato sulla giustizia.

In tutta la parabola ricorre molto spesso il verbo «kalèō» nel significato di «io invito/chiamo»: per 7x è ripetuto come un ritornello «ostinato» (Mt 22,3 [2x].4.8.9.14[2x]). Il tema dell’invito collega il vangelo con la 1a lettura che descrive la convocazione finale di tutti i popoli sul monte del Signore che lo stesso Isaia aveva già descritto come convergenza unitaria di tutta la storia verso un punto finale, identificato nel «monte del Signore» che ribalterà le condizioni di vita di tutti i popoli: le spade e le lance trasformate in attrezzi agricoli funzionali. La guerra sarà sconfitta dall’ascolto della Parola del Signore (Is 2,1-5). La storia è in movimento e nessuno può escludere un altro preventivamente. I popoli convocati sul monte del Signore partecipano senza distinzione di sorta al banchetto messianico preparato direttamente da Dio, come Gesù nell’ultima cena si alzerà da tavola per servire i suoi invitati (cf Gv 13,1-5) e come è descritto nella parabola del padrone che torna da un viaggio lontano e si mette a servire i servitori fedeli (Lc 12,35-48; cf Mt 24,43-51). Nell’antichità mangiare grasso era segno di ricchezza e di abbondanza: la persona grassa è una persona consistente di personalità2. Da una parte c’è il raduno dei popoli di tutta la terra e dall’altra il raduno d’Israele: questi non ha risposto a differenza dei primi che rispondono alla grazia e partecipano al banchetto.

Il motivo per cui Mt fa inviare due volte i servi a radunare gli invitati è un tentativo di armonizzazione con la parabola dei contadini [omicidi] e che abbiamo proclamato e spiegato domenica scorsa (cf Mt 21,34-36), con una differenza: nella parabola precedente la missione dei servi precede l’arrivo del figlio, qui i servi sono mandati mentre il figlio è presente e sta celebrando le sue nozze. E’ evidente che questo duplice invio, nella mente di Mt ha lo scopo teologico di identificare i servi del primo invio con i profeti dell’AT e quelli del secondo mandato con gli Apostoli del NT. Sia gli uni che gli altri hanno la stessa sorte (cf Mt 5,12; 10,17-18.41; 13,17; 23,29.35; 1 Ts 2,15). L’invito degli apostoli però si fa più sollecito perché c’è l’urgenza di annunciare il regno del Figlio che è già qui, in mezzo a Israele e all’umanità intera (cf Mt 4,17). Gli invitati omicidi, che somigliano ai contadini omicidi, per Mt rappresentano il Giudaismo ufficiale (cf Mt 21,36) nel contesto della contrapposizione tra Chiesa e Sinagoga.

Il castigo, assente in Lc, non tarderà ad arrivare e che Mt descrive con l’immagine classica dell’AT: un re che manda i suoi eserciti a punire i suoi nemici (cf Is 5,26-29; 7,18; Ger 5,15-17; 6,22-27; 4 13-17, ecc.): chiaro riferimento agli invasori stranieri che diventano strumento del giudizio di Dio (v. 7). E’ un’allusione esplicita alla distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. Di fronte al rifiuto di Gesù da parte della religione ufficiale, Mt legge la presa di Gerusalemme da parte di Tito come un castigo di Dio per dire che le nozze cominciano dopo la distruzione della città: deve cadere Gerusalemme per iniziare una storia nuova.

Se in Lc alla cena partecipavano i poveri (Lc 14,21), in Mt nella sala nuziale entrano «tutti quelli che trovarono» (Mt 22,9-10) che attua una universalità senza confini e senza condizioni come avviene nella parabola della rete che prende ogni sorte di pesci e quella della zizzania che cresce insieme al grano (cf Mt 13,24-30.36-43.47-50). Questa prospettiva di universalità la si ritroverà anche nel discorso escatologico, quando tutta l’umanità sarà radunata dopo la caduta di Gerusalemme (Mt 24,30-31).

In sintesi si può condensare tutto il messaggio della parabola in due parole: Dio manda il suo Figlio a Israele per rinnovare l’Alleanza, Israele rifiuta, ma poiché il disegno di Dio non può fallire, gli inviati/apostoli sono mandati per le strade del mondo a convocare tutti i popoli della terra. Il compito sacerdotale che avrebbe dovuto svolgere Israele, ora è affidato agli apostoli del NT.

Quando Mt redige il suo vangelo (dopo il 70 d. C.) i cristiani giudei erano perseguitati e derisi dai loro stessi connazionali Giudei che non hanno voluto riconoscere in Gesù il Messia. Era necessario rafforzare la loro capacità di vigilanza e di resistenza, aiutandoli a perseverare nelle tribolazioni. A questo scopo Mt introduce il tema dell’abito nuziale, assente in Lc e certamente in Gesù. Mt sembra ispirarsi al profeta Sofonìa:

«7Silenzio, alla presenza del Signore Dio, perché il giorno del Signore è vicino, perché il Signore ha preparato un sacrificio, ha mandato a chiamare i suoi invitati. 8 Nel giorno del sacrificio del Signore, io punirò i prìncipi e i figli di re e quanti vestono alla moda straniera; 9 punirò in quel giorno chiunque salta la soglia, chi riempie di rapine e di frodi il palazzo del suo padrone» (Sof 1,7.8-9).

Con ogni probabilità, Sof 1,7 ha ispirato la prima parabola, mentre Sof 1,8-9 quella dell’abito nuziale che nella penna di Mt diventa un giudizio severo e definitivo, simile a quello del «giorno del Signore» che stana le condizioni nascoste di ciascuno. Mt infatti si preoccupa degli atteggiamenti morali di chi ascolta piuttosto che dell’insegnamento di Gesù in quanto tale. La questione morale non è altro che l’adeguatezza della vita alle esigenze del regno che si compie nelle scelte vive e concrete della vita. Non basta essere poveri per essere giusti, come in Lc perché per Mt un povero può essere cattivo come un ricco può essere buono3. Con questa parabola Mt insegna alla sua comunità fatta di povera gente che è necessario avere un discernimento superiore per valutare i fatti della vita e le scelte. Questo criterio centrale egli lo individua nella veste nuziale che è simbolo delle disposizioni morali come insegna l’Apocalisse: «la veste di lino [della sposa-chiesa] sono le opere giuste dei santi» (Ap 19,8).

Nota. Nella Bibbia, il vestito è sempre il prolungamento del proprio corpo e indica una identità interiore. Esso non serve per coprire, ma per adornare la rivelazione di una personalità interiore. Quando Adam ed Eva furono creati non avevano bisogno di vestito perché erano vestiti di «luce», cioè la loro pelle era luminosa perché rivelava immediatamente «l’immagine di Dio» (Gen 1,27). In ebraico «luce» si dice «‘or». Dopo il peccato, la loro pelle di spegne, diventa opaca e restano «nudi» e Dio stesso deve procurare loro un vestito di pelle di animali morti (cf Gen 3,21). In ebraico «pelle» si dice «’or». Come si vede, l’ebraico gioca sulle assonanze: nella lingua italiana non si nota la differenza tra «luce/’or» e «pelle/‘or» che è solo nella consonante iniziale («‘» e «’»), la prima non aspirata e la secondo più aspirata, ma evidente nella lingua parlata. Dopo il peccato, l’opacità del corpo umano deve essere coperto, non per coprire quelle che volgarmente si chiamano «vergogne», cioè il sesso, ma perché l’uomo è morto senza immagine di Dio. I vestiti che Dio prepara infatti sono derivati dalle pelli di animali morti. E’ questo anche il motivo perché in Oriente ci si leva le scarpe per entrare nel tempio di Dio: anche esse veniva fatte con le pelli di animali morti. L’abito nuziale in questo contesto assume un simbolismo grandioso e profondo perché significa rivestirsi della luminosità di Dio, quasi un ritornare alle condizioni del «principio», quando la coppia rifletteva direttamente la gloria di Dio. Entrare nel banchetto nuziale significa tornare a riflettere l’immagine della Maestà di Dio4.

Il tema delle nozze non era presente nella parabola di Gesù, ma Mt lo introduce perché così può articolare meglio il tema del convito: il pranzo diventa così pranzo di nozze e l’abito nuziale indica le condizioni per parteciparvi (cf Mt 22,11-13). Non è un procedimento arbitrario perché Gesù si è presentato molto spesso come «sposo»5 che realizza l’anelito della sposa del Cantico e del salmista (cf Sal 45/44). Il re che «entra» nella sala nuziale (Mt 22,11) ha una portata escatologica come altrove in Mt (cf Mt 25,10.21.23; 7,13), come pure il luogo dove vi «sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,13) tradizionalmente nel Giudaismo e nel Cristianesimo indica l’inferno (cf Mt 8,12; 13,42.50; 24,51; 25,30).

Le due parabole, quella degli invitati e quella dell’abito hanno lo scopo comune di aiutare a riflettere sulla condizione storica della Chiesa mentre si realizza con fatica il piano salvifico di Dio. Il primo momento è stata la liberazione dall’Egitto fino all’ingresso nella terra promessa e la formazione che Israele ha avuto dai profeti, mandati da Dio; il secondo momento è stato il rifiuto di Israele all’Inviato di Dio e all’ingresso dei Pagani che hanno affollato il monte del banchetto del Signore; il terzo momento lo stiamo vivendo da pellegrini in cammino verso la fine della Storia, quando entreremo nella Gerusalemme celeste preparata come una sposa per il suo sposo (Ap 21,2). In questo tratto di strada, che coincide con il tempo della Chiesa, non basta più una appartenenza puramente sociologica, ma bisogna avere una prospettiva etica, simboleggiata dal tema dell’abito nuziale.

Mt infatti è preoccupato che in fase di affievolimento della fede, alcuni (molti?) cristiani vogliono ritornare al Giudaismo perché hanno paura del nuovo. Per spiegare l’inutilità di un ritorno al passato, egli fa riempire la sala delle nozze di «cattivi e buoni», mettendo così l’accento sulla gratuità della chiamata e sottolineando così che chi non corrisponde alla chiamata, come ha fatto il grosso d’Israele, può essere ripudiato. I cristiani che fanno fatica a reggere una fede della responsabilità sono tentati di ritornare al Giudaismo che li rassicurava con la sua pletora di adempimenti: è il ripiegamento alla religione rifugio in contrapposizione della fede fondata sulla vigilanza. E’ il regime della religione di pura appartenenza sociologica, contro la quale Mt mette in guardia i suoi uditori. Appartenere alla Chiesa solo formalmente non è una garanzia di vivere nella giustizia di Dio. Non basta essere battezzati e fare parte della chiesa, bisogna avere anche l’abito: cioè bisogna volerci e saperci stare con un atteggiamento interiore libero, ma radicato nell’amore e nella coscienza di essere invitati ospiti alla mensa della vita di Dio.

La liturgia di oggi ci impone, in un certo senso, di considerare come applicazione pratica, una dimensione del banchetto eucaristico che di norma viene messo sotto silenzio, mentre invece costituisce la nervatura interiore della celebrazione. E’ il tema del raduno o della convocazione universale, uno dei frutti più maturi e più profondi che ci ha lasciato il grande concilio ecumenico Vaticano II nella costituzione sulla Chiesa, Lumen Gentium.

Chi partecipa all’Eucaristia spesso si limita a compiere un atto di devozione privata, magari insieme ad altri fisicamente nello stesso luogo, ma senza alcuna comunione tra di loro. Quante volte entrando in una chiesa, durante la celebrazione si ha la certezza di trovarsi tra estranei raccolti nello stesso luogo in attesa che finisca l’impegno o l’obbligo del precetto! La Messa per obbligo è una bestemmia. Letture, modalità della celebrazioni, omelie e gesti sono scontati, accessori per occupare un tempo prestabilito che sia possibilmente minimo e senza scosse. Se nell’omelia si accenna all’attualità si dice che si fa politica, se si spiega la Scrittura si dice che la Messa non è una scuola, se si celebra senza fretta e assaporando ogni momento si dice che non bisogna stancare la gente. Ogni scusa, insomma, è buona per ridurre l’Eucaristia a puro corollario di una religiosità senz’anima e senza dignità.

La costituzione del Vaticano II Lumen Gentium sulla Chiesa insegna che quando un gruppo di cristiani si riunisce per celebrare la dominica dies, nella loro assemblea eucaristia è presente la Chiesa universale. Non importa se si è in due o tre o mille: l’assemblea eucaristia è il segno, il sacramento, qui e ora, del raduno universale della Chiesa che convoca il mondo intero sul monte della conoscenza di Dio e alla mensa del Pane e del Vino. Nessuna Messa è privata, nessuna Messa può essere privatizzata perché la sua natura è, per definizione e grazia, universale, anzi cosmica: essa anticipa il punto di vista della fine, il «punto Omèga» (come lo definiva il grande scienziato e teologo Teilhard du Chardin), perché la celebrazione dell’Eucaristia è «il già accaduto», ma «il non ancora compiuto».

Qui e adesso non celebriamo la «nostra» Messa, ma siamo sacramentalmente rappresentativi di tutta la Chiesa sparsa nel mondo e tutta la Chiesa è presente qui in noi e con noi. Ognuno di noi è venuto dall’individualità della sua casa perché ha risposto alla vocazione ecclesiale: lo Spirito lo ha convocato in una assemblea di fratelli e sorelle riuniti attorno a Cristo per svolgere un compito sacerdotale: rappresentare l’umanità a Dio e Dio all’umanità. In un mondo frantumato e diviso, in una società lacerata da divisioni e guerre, anche la più piccola comunità eucaristica è il germe di un’èra nuova: si raduna o meglio si lascia radunare per esprimere il desiderio profondo e fecondo dell’umanità assetata di unità e di condivisione. Non si viene in chiesa per mettere a posto Dio o per mettersi a posto con Dio: sarebbe un mercimonio di prostituzione a buon mercato. I martiri di Abitene (Tunisia) nel primo secolo di fronte alla scelta tra vivere senza la domenica o morire per la domenica, scelsero la morte perché «sine dominico non possumus – non possiamo vivere senza domenica» cioè senza Eucaristia6.

Per questo è ulteriore motivo di sofferenza lo sciagurato motu proprio del papa con cui si restaura la Messa preconciliare che è centrata solo sulla figura del prete, separato dalla Chiesa. Il popolo «assiste» ed è privato dalla ricchezza della Parola di Dio, mentre il prete bofonchia per conto suo in una rappresentanza «singolare» che non tiene conto della ecclesialità sacramentale dell’Eucaristia. Il papa si è reso responsabile di una divisione e di una sofferenza che attraversa la carne della Chiesa in tutto il mondo. Se lo scopo, come egli stesso ha dichiarato, era l’unità della Chiesa smembrata dallo scisma di Marcel Lefebvre, venendo incontro ai nostalgici del passato, incapaci di vedere lo Spirito nei giorni nostri, l’esito che ha ottenuto è esattamente l’opposto. Costoro infatti hanno letto il motu proprio come un atto di debolezza e un pentimento e hanno alzato la posta: non si accontentano più della Messa tridentina, ma vogliono che il papa dichiari eretico il concilio ecumenico Vaticano II e di conseguenza esigono che ripudi i documenti conciliari e quelli attuativi di Paolo VI che essi già giudicano scismatico.

La prova che il papa si è messo contro tutta la Chiesa sta nel fatto che l’episcopato mondiale ha boicottato il documento e ha frenato nella sua attuazione perché giudicato antistorico, antiteologico, palesemente erroneo perché impone l’esistenza di due messali e quindi di due teologie; di una liturgia (quella riformata da Paolo VI) e di un rituale (il Messale di Pio V) messi sullo stesso piano, mentre in verità sono in opposizione, anche dottrinale. Non è questione di sensibilità, ma di visione di Chiesa, di antropologia e infine di cristologia. Noi non ci rassegneremo e saremo disposti a dare la vita perché per noi la liturgia è l’azione di Cristo che si compie attraverso l’assemblea a beneficio di tutta l’umanità nella sottomissione alla Parola di Dio, che il rito tridentino di fatto estingue e riduce a mero complemento rituale. Consapevoli che ogni domenica esercitiamo il ministero profetico e sacerdotale del Cristo, entriamo nella domenica eucaristica per chiedere la grazia che diventi anche per noi la nostra vita e la nostra necessità.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[breve pausa 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera dei fedeli [intenzioni libere]

MENSA EUCARISTICA

Prima di presentare le offerte all’altare, ascoltiamo la Parola del Signore: «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Questa Parola è per noi un comandamento perché nessuno può celebrare il Signore nell’Eucaristia senza avere partecipato il perdono che abbiamo ricevuto. Lasciamo convertire dalla grazia di Dio.

La Pace del Signore sia con Voi E con il tuo Spirito

Scambiamoci un gesto sincero di pace e di accoglienza.

Preparazione delle offerte. Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, perché dalla tua misericordia abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna. Li presentiamo a te perché diventino per noi cibo e bevanda di salvezza. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, le nostre offerte e preghiere, e fa’ che questo santo sacrificio, espressione perfetta della nostra fede, ci apra il passaggio alla gloria del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA III7

Prefazio VI: Il pegno della Pasqua eterna

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. É cosa buona e giusta.

E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, dal quale tutto l’universo riceve esistenza, energia e vita.

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria della tua santità, o Santo d’Israele. Osanna nell’alto dei cieli.

Ogni giorno del pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore e un pegno della vita immortale

Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Kyrie, elèison.

Noi possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morte viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno.

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. A te salga la gloria, l’onore e la lode, Unico Dio, santa Trinità.

Per questo mistero di salvezza, insieme agli angeli e ai santi, proclamiamo a una sola voce l’inno della tua gloria:

Osanna nell’alto dei cieli e pace on terra a uomini e donne. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

Tu prepari per tutti i popoli un banchetto sul nostro altare, simbolo del tuo santo monte (cf Is 25,6).

Ora ti preghiamo umilmente:manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.

In lui strappi il velo che copre la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni (cf Is 25,7).

Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

«Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse»: E’ il Signore Gesù si offre per noi (cf Is 25,9).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

E’ il Signore in cui speriamo; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza nel sangue dell’alleanza (cf Is 25,9).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Tu, o Signore, Pastore d’Israele, rinfranca la nostra anima e sazia il nostro desiderio di te (cf Sal 23/22,1).

Mistero della fede.

Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.

Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.

Tu sei il nostro pastore che ci conduce alle acque tranquille della tua Parola (cf Sal 23/22,2).

Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.

Non permetti che l’oscurità ci sorprenda né che il male ci sovrasti: tu sei Padre e Madre (cf Sal 23/22,4).

Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.

Con la forza dello Spirito ci educhi a vivere nella povertà e nell’abbondanza condivisa con i poveri (cf Fil 4,12).

Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo il Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare…N.N.… e il popolo che tu hai redento.

In te che le dài forza, tutto può la tua santa Assemblea che hai convocato davanti alla tua Shekinàh, la santa Presenza (cf Fil 4, 13).

Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale.

Hai preparato per noi il banchetto dell’Eucaristia e siamo venuti per entrare nella sala nuziale (cf Mt 22,4).

Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.

Non siamo degni di partecipare alla tua Mensa, ma tu ci accogli al banchetto della vita (cf Mt 22,8).

Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.

Il Signore elimina la morte per sempre, asciuga le lacrime su ogni volto: il Signore ha parlato (cf Is 25,8).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13): Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

Allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona di comunione Sal 34/33,11. I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla.

Dopo la Comunione: Degli Atti dei Martiri di Abitene (sintesi)

 

Negli anni 303 - 304 d.C., l’imperatore Diocleziano scatena una violenta persecuzione contro i cristiani e ordina di bruciare i sacri testi, di abbattere le basiliche e di proibire la celebrazione del giorno del Signore.

In quel periodo nella città di Abitene nella provincia romana dell’Africa proconsulare (odierna Tunisia), un gruppo di 49 cristiani, composto da uomini, donne, giovani e fanciulli, appartenenti a differenti condizioni sociali e con compiti diversi all’interno della comunità cristiana, contravvenendo agli ordini dell’imperatore, si riunisce nel giorno del Signore per celebrare l’Eucaristia domenicale. Scoperti, vengono imprigionati e condotti in tribunale per essere sottoposti a giudizio. Alla domanda del proconsole Anulino che chiede ad Emerito se si erano tenute nella sua casa le assemblee, il martire risponde affermativamente e aggiunge che non l’aveva impedito, perché: «Noi cristiani senza la domenica non possiamo vivere».

Anche il presbitero della comunità, Saturnino, risponde al giudice che non è possibile «smettere di celebrare la Pasqua Domenicale perché così ordina la nostra legge».

Il martirio di Saturnino è raccontato come fosse un azione liturgica. Mentre era imminente il supplizio, egli supplicava il Signore con queste parole: «Ti prego, Cristo, esaudiscimi. Ti rendo grazie, o Dio. Fà che io sia decapitato! Ti prego, Cristo, abbi misericordia. Figlio di Dio, soccorrimi».

La martire Vittoria non cede alle lusinghe del fratello Fortunanziano, perché i veri fratelli «sono quelli che osservano i precetti del Signore». Ilarione, figlio minore di Saturnino, seguendo l’esempio degli altri membri della famiglia che, prima di lui, avevano subito il martirio, dichiara: «Sono cristiano, e di mia volontà ho partecipato all'assemblea domenicale con mio padre e i miei fratelli».

L’autore del racconto dei martiri di Abitene, facendo riferimento alla domanda rivolta dal proconsole al martire Felice, sottolinea che al giudice romano non interessa sapere se Felice sia cristiano, ma gli importa di essere informato se egli abbia preso parte alle «riunioni», cioè alla Messa.

Lo stesso autore è consapevole che un cristiano non può vivere senza la Pasqua domenicale della settimana come anche che la Pasqua domenicale non si può celebrare senza che ci sia un cristiano. Testualmente aggiunge: «Non lo sai, satana, che è la Pasqua domenicale a fare il cristiano e che è il cristiano a fare la Pasqua domenicale, sicché l’uno non può sussistere senza l’altro, e viceversa? Quando senti il nome “cristiano»”, sappi che vi è un’assemblea che celebra il Signore: e quando senti dire “assemblea”, sappi che lì c’è il cristiano».

Preghiamo. Padre santo e misericordioso, che ci hai nutriti con il corpo e sangue del tuo Figlio, per questa partecipazione al suo sacrificio donaci di comunicare alla sua stessa vita. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Il Signore è con voi. E con il tuo Spirito.

Il Signore che convoca tutti i popoli sul suo monte di santità, ci liberi da ogni pregiudizio.

Il Signore che prepara la mensa per sfamare tutta l’umanità, ci apra alla condivisione.

Il Signore che ci veste con l’abito nuziale dello Spirito, ci renda degni di accogliere il suo invito.

Il Signore che ci ha convocato al banchetto dell’Eucaristia, sia sempre davanti a voi per guidarvi.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

La messa finisce come celebrazione: inizia la Messa della testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

_________________________

© Domenica 28a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 09/11/2011 – San Torpete – Genova

1 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

2 In ebraico «kabòd» significa «gloria» e il senso base della radicale ««k-b-d» rimanda al concetto di «peso»: l’individuo pesante è un uomo glorioso e più è pesante più è glorioso. In questo senso il nome Yhwh è sostituito anche da «Kabòd» perché egli ha tanta abbondanza [= grasso] di vita da essere l’essere più glorioso esistente: «più alta dei cieli è la sua Gloria» (Sal 113/112,4).

3 Che un ricco possa diventare buono è molto difficile perché se un ricco diventa buono in senso evangelico cessa di essere ricco. Ricchi infatti non si nasce, ma si diventa usando mezzi e strumenti non etici, rubando, frodando il fisco e quindi la collettività, corrompendo amministratori, politici e giudici, alterando appalti e aggirando leggi e morale. Non esiste una ricchezza buona se non è fondata sulla giustizia e sul lavoro onesto. Gesù è severo, anzi durissimo con i ricchi e con i potenti di turno.

4 E. Haulotte, Symbolique du vêtement selon la Bible, Aubier, Paris 1966.

5 Cf Mc 2,19; Mt 15m1-13; 9,15; Gv 3,29; cf anche Ef 5,25; 2Cor 11,2; Ap 19,7-9; 21,2.9; 22,17.

6 Cf Atti dei Martiri, XII.

7 La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.



Giovedě 06 Ottobre,2011 Ore: 13:40
 
 
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