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www.ildialogo.org Domenica 26a del tempo ordinario -A– 25 settembre 2011,di Paolo Farinella, prete

Domenica 26a del tempo ordinario -A– 25 settembre 2011

di Paolo Farinella, prete

La liturgia della domenica odierna, 26a del tempo ordinario-A, continua il tema iniziato nella domenica 23a quando il profeta Ezechiele ci richiamò alla responsabilità individuale e il vangelo, introducendoci nel 4° discorso di Gesù rivolto alla comunità, ci invitò alla responsabilità solidale nelle relazioni ecclesiali. Domenica scorsa abbiamo riflettuto sul binomio «cercare e trovare» che ci ha svelato le ragioni del pensiero e del comportamento di Dio, molto diversi dal comportamento e dal pensiero umani (cf Is 55,8). La liturgia di oggi va oltre e ci dice che non basta avere coscienza della responsabilità individuale, che non basta «cercare e trovare», ma è necessario vivere le conseguenze logiche che ogni scelta e/o comportamento esigono. Il credente non si ferma alla superficie e alle buone intenzioni, ma scende in profondità per essere in grado di porre a confronto il modo di essere di Dio e quello dell’uomo anche nelle conseguenze comportamentali o scelte di vita. E’, se si vuole dire in altri termini, la questione della vita morale o etica. Non si può essere in un modo e comportarsi in un altro. Il credente sa che dal suo comportamento più che dalle sue parole dipende la credibilità stessa di quel Dio in cui afferma di credere: l’agire infatti è l’espressione conseguente (conseguenza logica) del modo d’essere, l’esito visibile del mondo interiore, spesso nascosto anche a noi stessi. E’ necessario conoscere «chi siamo» per capire come ci comportiamo.

Il compito e l’impegno più difficili per un credente, ma anche per ogni persona ragionevole, sono la tensione all’unità interiore che amiamo definire «movimento ecumenico personale»: esso riguarda ciascuno di noi nel cammino verso la sintesi armonica tra chi si è e ciò che si fa, tra ciò che si fa e ciò che si prega, tra ciò che si prega e ciò che si desidera, tra ciò che si desidera e ciò che si spera, tra ciò che si spera e ciò che si pecca, tra ciò che si pecca e ciò che si vive. Solo se siamo immersi dentro questo dinamismo possiamo anche pretendere umilmente di operare a servizio dell’ecumenismo interecclesiale prima, interreligioso dopo e interumano come punto di approdo.

Noi giudichiamo in ragione della nostra esperienza che spesso, essendo differente da quella degli altri, è incapace di fare valutazioni e dare giudizi onesti. Per natura siamo «prevenuti», per grazia diventiamo liberi da ogni pregiudizio, perché non si possono misurare situazioni diverse con lo stesso metro. Sapendo ciò, Gesù ci obbliga a non giudicare mai: «Non giudicate affinché non siate giudicati» (Mt 7,1) e in Gv 7,24 aggiunge una postilla impegnativa: «Non giudicate secondo apparenza, ma giudicate secondo giusta giustizia». E’ il senso della profondità a cui la Parola di Dio ci chiama: valutare tutto secondo una giustizia giusta, cioè «discernere da Dio». Chi di noi può vantare di possedere questo discernimento dello Spirito? Adamo nel giardino di Eden credette di essere più giusto del Creatore e si ritrovò nudo ed espulso nel deserto della morte (cf Gen 3,7.23-24). Non è sufficiente nemmeno scendere in profondità del nostro essere, ma una volta raggiunta la nostra identità interiore, occorre fare un passo ulteriore e abitare il pozzo profondo del nostro io, a quel livello d’intimità che solo sa rivelare il nostro «nome» e la presenza di Dio.

La Parola di Dio di oggi, infatti, ci chiede di non perdere mai la capacità di «ascolto» dell’agire degli altri. Ascoltare non significa solo udire le parole materiali. Ascolto è sinonimo di empatia: mettersi sulla stessa lunghezza d’onda di chi sta di fronte a noi, viverne il travaglio, afferrarne il movimento, comprenderne le motivazioni e le finalità, senza mai perdere il contatto con se stessi e senza mai smarrirsi in maldestri tentativi di sostituzione. Nessuno può aiutare qualcuno, sostituendosi a lui: ognuno è responsabile di sé e solo così può farsi carico degli altri, senza giudicarli e senza imposizioni, lasciando l’altro se stesso, signore della propria libertà, nel contesto di una fraternità affettiva e di fede che diventa effettiva perché si fa carico di custodire l’altro come la parte migliore di sé.

La prima lettura ci dice che Dio guarda solo al movimento radicale del cuore e alle sue scelte vitali: il resto è solo perditempo e calcolo d’interesse geloso. Per essere credibili, dobbiamo essere seri con noi stessi perché nel segreto della nostra coscienza, noi non possiamo barare: e lo sappiamo. La seconda lettura ci pone di fronte ad un metodo: prima di giudicare gli altri, mettersi di fronte al Crocifisso che è morto per chi giudica e per chi vorremmo giudicare. Il Dio crocifisso ci insegna che gli altri, distinti e diversi da noi, sono non solo la parte migliore di noi, ma anche il volto incarnato del Lògos perché esprimono e svelano la nostra vera intimità riflessa sul volto di Dio.

Il Vangelo oppone due tendenze: le parole dette e le scelte di vita. Le parole finalizzate a se stesse svaniscono subito perché sono un guscio vuoto. Chi è superficiale getta parole al vento, senza sapere che ogni parola ha un’anima e un corpo e possiede una vita che non può essere dilapidata. Ogni parola che pronunciamo è preziosa e lascia sempre il segno perché dopo l’evento Gesù, Dabàr-Lògos-Verbum-Parola fatta carne, ogni parola è e deve essere parola di carne che diventa vita, scelta, contrasto, fatto, comprensione, consenso, rifiuto e sentimento, dialogo. Gli Ebrei hanno l’usanza di arricchire ogni parola della Bibbia con piccole coroncine perché ogni parola è una regina che avanza verso di noi densa di senso e di significato, come la sposa verso lo sposo. La parola più piena, più alta e più corposa è il silenzio. Ben lo sanno gli innamorati che possono stare silenziosi perché nessuna parola umana è capace di esprimere l’intensità e la pienezza del cuore: solo il silenzio amante sa dire la parola adeguata perché il silenzio è Parola di Dio1. In una società dominata dal cicaleccio, dal rumore e dagli sms, acquista valore profetico l’invito del mistico indiano Tagore ai suoi discepoli: «La polvere delle morte parole ti copre, lavati l’anima nel silenzio».

Tutto ciò vale anche per la vita di fede: non basta dire di credere, bisogna credere. Non basta nominare Dio e mitragliare preghiere vocali, bisogna somigliare a Dio. Non basta praticare la religione del dovere, bisogna vivere la fede, esponendola al rischio della fragile testimonianza di cui siamo capaci, ma che è il più grande dono che ciascuno di noi può fare all’umanità intera: il dono della parola divenuta vita. Per questo chiediamo al Signore che ci insegni i sentieri e le vie della sua verità (cf Sal 25/24,4-5) alla scuola del Maestro di verità e di giustizia che è lo Spirito Santo, nel quale siamo stati immersi nel fonte battesimale facendo nostra l’invocazione dell’antifona d’ingresso (Dn 3,31.29.30.43.42): Signore, tutto ciò che hai fatto ricadere su di noi l’hai fatto con retto giudizio; abbiamo peccato contro di te, non abbiamo dato ascolto ai tuoi precetti; ma ora glorifica il tuo nome e opera con noi secondo la grandezza della tua misericordia.

Spirito Santo, tu susciti la ragione e la condotta per una vita di rettitudine, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu chiami ogni peccatore alla conversione al Vangelo, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegni le vie di Dio e guidi per i suoi sentieri di pace, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu guidi alla verità, alla sapienza del cuore e al silenzio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegni ai poveri la misericordia senza fine del Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu convochi i peccatori alla mensa della redenzione del Figlio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei la consolazione del Cristo, Figlio del Dio vivente, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu realizzi l’unione degli spiriti e dei sentimenti di comunione, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu vanifichi la vanagloria dei vanitosi, insegnando l’umiltà, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu educhi a cercare il bene degli altri insieme al proprio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu vivifichi i sentimenti di Cristo nel cuore amante dei credenti, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegni ai piccoli ad adorare, amare, lodare e tacere, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu ci precedi sempre nel lavoro della vigna del Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu conformi la nostra parola e l’agire alla volontà del Padre, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu insegni che la volontà di Dio è la nostra pace e silenzio, Veni, Sancte Spiritus!

Spirito Santo, tu sei il sostegno e la speranza certa dei peccatori, Veni, Sancte Spiritus!

Nella Bibbia il termine ebraico dabàr significa due cose: parola/discorso, ma anche fatto/cosa. In un solo termine è racchiuso tutto il mistero dell’incarnazione: la parola è evento, il dire è agire, il detto è azione. Entriamo con consapevolezza in questo grande mistero: l’Eucaristia infatti è la mensa della Parola che diventa pane spezzato. Noi l’ascoltiamo perché diventi la vita che celebriamo: «il Lògos-Carne fu fatto» (Gv 1,14). Per questo ci radichiamo sul fondamento sicuro della Trinità Santissima che ci ha convocati a questa assemblea.

(greco)2

Èis to ònoma

toû Patròs

kài Hiuiû

kài toû Hagìu Pnèumatos

Amèn.

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e del Santo Spirito

Nel salmo responsoriale confessiamo che la fedeltà del Signore è da sempre e che egli non ricorda i nostri peccati (vv. 6-7). Dio solo in ragione della sua bontà si ricorda della sua misericordia (v. 7: lett. il fremito delle viscere materne), per questo la richiesta di perdono è un momento gioioso perché ogni perdono è un atto d’amore che genera e rigenera.

Nel riconoscerci peccatori e bisognosi della tenerezza di Dio, invochiamo questo dono anche sulla chiesa e sull’umanità distratta e forse schiacciata dal suo stesso peso, perché impari che senza silenzio, ogni parole è perduta e con esse si rischia di perdere la Parola di Dio e le parole d’amore.

[Esame di coscienza: alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]

Signore tu conosci le profondità del cuore umano, vieni in nostro soccorso, Kyrie, elèison!

Cristo, tu convochi i peccatori alla mensa dei giusti, purifica le nostre miserie, Christe, elèison!

Signore, le prostitute ci precederanno nel tuo Regno, perdona le nostre prostituzioni, Pnèuma, elèison!

Cristo, hai capovolto i criteri per distinguere il bene dal male, salvaci dal perbenismo, Christe, elèison!

Signore, tu ci accogli per i meriti della tua Passione , morte e risurrezione, Kyrie, elèison!

Signore, tu sei l’Amen che parla, il Testimone verace e fedele (Ap 3,14), Pnèuma, elèison!

Cristo, tu non stai tra «sì» e «no», ma sei il Dio del «si» filiale (2Cor 1,19), Christe, elèison!

Dio onnipotente che ci raduna alla mensa della responsabilità gioiosa e ci guida a conformare il nostro dire con il nostro cuore, per i meriti del santo popolo d’Israele, della santa Assemblea della Chiesa, per i meriti del profeta Ezechiele, dell’apostolo Paolo e del santo Evangelo che è Gesù Cristo, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna, Amen.

GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente [breve pausa 1-2-3].

Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]

Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]

Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

Preghiamo (colletta). O Padre, sempre pronto ad accogliere pubblicani e peccatori appena si dispongono a pentirsi di cuore, tu prometti vita e salvezza a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia: il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù. Egli è Dio, e vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

MENSA DELLA PAROLA

Prima lettura Ez 18,25-28. L’AT è intriso della legge della retribuzione: ogni male deve essere riparato da chi lo commette o dai suoi discendenti, per cui i figli pagano le colpe dei padri. In questa ottica si sviluppa un atteggiamento fatalista: se uno deve essere comunque colpito anche per conto degli antenati perché bisogna impegnarsi? (cf Dt 5,9; 29,18-21; Es 20,5; cf inoltre i detti contestati da Ez 18,1-4). Non si sfugge al destino. Si sviluppa il senso di rassegnazione alla propria condizione come condanna piovuta da fuori e dall’alto. Alla luce di questa dottrina, si capisce la straordinaria importanza che assume Ezechiele 18 (cf Ez 14,12-23; 33,10-20; 34,16) perché fa appello alla responsabilità individuale: ognuno vale per se stesso per chi è e per ciò che agisce e sceglie. La fede non è la gestione delle conseguenze di ciò è accaduto ieri, ma vivere in pienezza ciò che ciascuno decide di essere alla scuola della Parola di Dio.

Dal libro del profeta Ezechiele 18,25-28

Così dice il Signore: 25 «Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? 26 Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. 27 E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 25/24, 4-5; 6-7; 8-9. Salmo alfabetico, il salmo 25/24 si compone di 22 versetti, uno per ogni lettera dell’alfabeto ebraico, tranne il v. 18 che è senza lettera. Il genere letterario è un’antologia senza ordine e senza logica: vi si trovano lamentazione, supplica e riflessioni sapienziali senza un nesso diretto tra loro che fanno apparire il salmo come un centone per molti usi. Nonostante ciò però vi si può individuare la supplica individuale di un peccatore che chiede di conoscere le vie del Signore (v. 4). I primi sei versetti sono forse un’aggiunta posteriore (cf Sal 16/15) e inneggiano al creatore dell’universo, amico che accoglie e salva il giusto. La creazione è vista in prospettiva della redenzione. I vv. 7-10, invece, sono di natura più storica perché potrebbero celebrare il trasferimento dell’arca al tempo di Davide (cf 2Sam 6,12-16; Sal 69/68; 133/132). Noi facciamo nostro il salmo come preghiera di comunione con tutti gli Ebrei e i cristiani che lo hanno pregato lungo la storia della salvezza, memori che anche Gesù e Maria sua madre lo hanno pregato nella sinagoga di Nàzaret. La fedeltà eterna che il salmista canta (v. 6) per noi domina dal trono della croce su cui il Figlio si consuma totalmente nella fedeltà all’umanità creata.

Rit. Ricòrdati, Signore della tua misericordia.

 

1. 4 Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
5 Guidami nella tua verità e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza,
io spero in te tutto il giorno. Rit.

2. 6 Ricòrdati della tua misericordia

e del tuo amore, che è da sempre.
7 I peccati della mia giovinezza

le mie ribellioni, non li ricordare:

ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore. Rit.

3. 8 Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
9 guida gli umili secondo giustizia,
insegna ai poveri le sue vie. Rit.

 

Seconda lettura Fil 2,1-11. La comunità di Filippi che Paolo fondò durante il suo 2° viaggio apostolico (50-52 d.C.) vive un rapporto affettivo intenso con l’apostolo che considera non solo come fondatore, ma specialmente come padre. I Filippesi sono molto legati affettivamente a Paolo che da parte sua ricambia considerandoli come figli prediletti verso i quali sperimenta abbondanza di sentimenti. Paolo teme che una minaccia di divisione sovrasti la comunità di Filippi per cui esorta con passione all’unità che si esprime «con l’unione dei vostri spiriti ... la carità, con i medesimi sentimenti» (v. 2), seguendo l’esempio di Cristo che rinuncia anche a se stesso pur di avvantaggiare gli altri. Questi versetti probabilmente erano un inno liturgico anteriore a Paolo e che Paolo ora utilizza come espressione del suo pensiero teologico.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2,1-11 (tra [ ] la forma breve).

[Fratelli e Sorelle, 1 se c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, 2 rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. 3 Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 5  Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:] 6 egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio; 7 ma svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. 8 Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9 Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome, 10 perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; 11 e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è il Signore!», a gloria di Dio Padre. - Parola di Dio.

Vangelo Mt 21,28-32. Solo Mt riporta la parabola dei due figli dal comportamento opposto che nella bocca di Gesù terminava al v. 31: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». Successivamente in fase di redazione, il richiamo ai «pubblicani e alle prostitute» vi fece includere il detto su Giovanni Battista del v. 32 che Lc (cf Lc 7,29-30) riporta come lòghion indipendente e isolato: «Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». Mt rielabora questo versetto, introducendo il tema della giustizia e usando la forma diretta della 2a persona plurale. Con questa parabola Gesù risponde a coloro che si scandalizzano di lui perché frequenta gli emarginati del suo tempo: i peccatori che si pentono sono più vicini a Dio di chi si crede giusto, passa il suo tempo nel tempio e non si converte mai.

Canto al Vangelo Gv 10,27

Alleluia. Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, / io le conosco ed esse mi seguono. Alleluia.

Dal vangelo secondo Matteo 21,28-32

In quel tempo, disse Gesù ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e gli disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero:«Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli». - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Mai come oggi si parla tanto di libertà fino al punto che questa parola è diventata uno spot pubblicitario in bocca anche (e specialmente) a chi nutre tendenze liberticide e aspira a regimi illiberali. S’inneggia alla libertà per asservire un Paese, si fanno i gargarismi con le parole per imprigionare la realtà e sottometterla ai propri interessi. E’ la contraddizione del nostro tempo perché vi sono ancora uomini e donne che cadono nel tranello di piccoli tiranni che vendono la dipendenza come libertà. Il dramma è che riescono e anche senza fatica. Il mercato deve essere libero, ma a condizione che rimpingui le tasche degli speculatori e degli evasori; la legge deve essere libera, «senza lacci e laccioli», come si ama dire, perché deve servire gli interessi del potente che si considera più libero degli altri; le merci devono essere libere e pazienza se questa libertà uccide l’economia di interi popoli poveri incapaci di competere con le tecnologie avanzate dei paesi ricchi. Si arriva perfino all’assurdo di pensare che la libertà come bene universale possa essere imposta con le armi, purché coloro a cui è imposta siano a servizio di chi la impone: chiunque pensa diversamente, altro non è che terrorista e nemico dell’umanità.

E’ difficile essere liberi, cioè accettare di dipendere solo dalla propria coscienza e dal propria personale responsabilità senza bisogno di scaricare su altri le ragioni riuscite o fallite della propria esistenza. In politica come in economia, nella vita civile come in quella familiare, le colpe stanno sempre … dalla parte degli altri, mentre istintivamente collochiamo noi stessi nel recinto dei «buoni». Chi però è buono di professione o per tornaconto diventa una tragedia per l’umanità intera, come purtroppo la storia insegna inutilmente, visto che tutte le sciagure e le tragedie che hanno colpito l’umanità sono sempre state fatte per il bene del popolo.

Il merito di Ezechiele, nella 1a lettura, sta tutto nel fatto che taglia corto su tutte le disquisizioni anteriori sull’attribuzione di colpa: se sia del padre o del figlio. Il profeta giunge al nocciolo della questione e dà una risposta che fa piazza pulita della tradizione precedente: ogni individuo è rimandato alla sua libertà personale, indivisibile e unica, cioè alla propria individuale responsabilità. Viene affossata la dottrina della retribuzione, basata sul concetto che le colpe dei padri ricadono sui figli, come abbiamo visto tre domeniche scorse e che la giurisprudenza moderna ha accolto in pieno, quando sancisce che la responsabilità penale è solo individuale. In genere da Adamo ed Eva , il genere umano gioca spesso e volentieri a «scarica barile» (cf Gen 3,11-13).

Accettare l’orizzonte della responsabilità individuale significa accettare la sfida della vita affrontandone la drammaticità con le sue contraddizioni che sono frutto dell’evoluzione della psicologia umana. Significa misurarsi con la dose di angoscia che ogni evento porta in sé e discernere l’angoscia di crescita dall’angoscia di distruzione e morte. Significa ancora non rassegnarsi mai al fatalismo dell’esistenza che relega e inchioda in un infantilismo rachitico e mortale. Espressioni come «bisogna rassegnarsi al destino» sono il sintomo di una personalità o di una cultura immature e incapaci di vivere il senso di responsabilità. Ognuno di noi, in qualsiasi età vive e cresce, cambia e si modifica: nulla rimane come prima. La persona umana cambia sempre pur permanendo identica. Nulla è immobile sotto il sole, ma tutto cammina, si evolve e ci trasforma. Lo stesso invito alla conversione, alla metànoia (letteralmente al cambiamento del pensiero) altro non è che entrare in questa dinamica di cambiamento perenne, un abituarsi al cambiamento, sapendo che nel difficile cammino non siamo soli, ma Dio è nostro compagno e cirenèo.

La parabola che il vangelo oggi ci propone e che possiamo definire la parabola dei figli della contraddizione, descrive in modo lapidario un «no» conclamato che diventa «sì» e un «sì» che con noncuranza diventa «no», illustrando un processo etico-psicologico che potremmo definire «cammino verso l’armonia» interiore oppure, se si vuole, come abbiamo anticipato nell’introduzione, un processo ecumenico intimo alla persona-individuo, dove la parola corrisponde all’azione e questa alla preghiera che a sua volta s’identifica con il pensiero il quale nutre le scelte di coerenza e trasparenza. Se volessimo sintetizzare la parabola in una sola parola, potremmo definirla come la parabola della verità, di cui ci apprestiamo a cogliere la prospettiva provando a navigare tra le sue parole.

La parabola dei due figli forma una trilogia con le due parabole seguenti: quella dei vignaioli omicidi (cf Mt 21,33-46 parallelo a Mc 12,1-12) e quella del banchetto nuziale che però Luca colloca in un altro contesto (cf Lc 14,15-24). Qui no ci troviamo di fronte ad una narrazione storica, ma ad un impianto teologico che mette in evidenza il sistematico rifiuto della proposta di salvezza di Dio da parte di Israele. Matteo, come è suo solito descrive uno scenario gigantesco: il rifiuto della proposta di Gesù ripetuto tre volte, sebbene con personaggi diversi, è una muraglia, un ostacolo insormontabile, una condanna senza attenuanti. Da una parte egli mette in luce tutti i tentativi che Dio ha fatto per illuminare la mente del cuore d’Israele, dall’altra si evince che nulla può scalfire il cuore di pietra di chi non vuole vedere e accettare. Nell’AT i profeti (in parte anche Giovanni Battista) e nel NT i discepoli sono stati inviati da Dio con l’annuncio della novità che tutti subiscono la stessa sorte e ricevono lo stesso rifiuto. Ci troviamo di fronte ad un processo in grande stile contro i capi religiosi (cf Mt 23,1-29) e relativo interrogatorio (cf Mt 21,23-27) con un’accusa formale (cf Mt 21,32), una sentenza di condanna (cf Mt 21,41) e infine l’esecuzione della condanna stessa senza appello (cf Mt 22,7).

Sulla bocca di Gesù, la parabola3 intende spiegare perché i poveri e i peccatori accolgono il Vangelo, cioè la Persona stessa di Gesù a differenza dei professionisti del sacro che si ritengono auto-sufficienti e giusti per professione. Sono gli stessi che hanno gravato il popolo dell’osservanza dei 613 precetti che non discendono direttamente dalla Parola di Dio, ma sono elaborati dalla tradizione che interpreta la Toràh alla lettera, in modo fondamentalista. Gesù in per sei volte si contrappone a questa tradizione di «puri»4, cultori della forma e della religione dell’apparenza, arrivando fino al paradosso di proporre come modello di adesione al Vangelo, cioè alla sua Persona i pubblicani e le prostitute. I primi sono impuri perché sempre a contatto con i pagani e perché collaborano con i Romani per riscuotere le tasse e dal popolo sono considerati ladri per scelta perché consapevoli; le prostitute sono impure per definizione: esse non possono accedere al tempio nemmeno per offrire il denaro prescritto perché è considerato un guadagna abominevole, simile all’impurità causata dal contatto con gli animali (cf Dt 23,19).

Questa la scena d’ambiente: Gesù si trova all’interno del tempio e si rivolge ai «capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo» (Mt 21,23) che sono identificati nel figlio del «no»: essi lodano Dio a parole, ma lo evitano nella vita. Altre volte Gesù si era rivolto a loro5. Essi stessi capiscono che le parole di Gesù descrivono la loro vita: «Udite queste parole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro» (Mt 21,45).

La parabola dunque è rivolta ieri come oggi in modo particolare a coloro che hanno responsabilità di guida, ai capi religiosi e politici e li identifica come specialisti della forma e negatori della verità interiore. Essi si scandalizzano dell’agire di Dio e lo vogliono imbrigliare nelle loro ristrette categorie, escludendo le persone che non sono di loro gradimento. Sono quei religiosi o anche quei finti atei che pensano di potere insegnare a Dio il suo mestiere e tentano di ridurlo a semplice ingranaggio dei loro disegni di potere. E’ facile dire «questa è la volontà di Dio» per imporre la propria visione di Chiesa o di etica o di liturgia senza sperimentare la fatica della ricerca e del travaglio che ahnno tempi di maturazione differenti da persona a persona. Dio ci scampi dai professionisti della religione e dai finti laici!

Sono una iattura per la chiesa e per l’umanità! Condannano la prostitute perché rendono indecorose le strade, ma non guardano mai le prostituzioni con cui convivono in tutti i loro traffici e le prostituzioni che hanno commesso per fare carriera e per giungere al potere.

«I pubblicani le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt 21,31): gli esclusi dal tempio ufficiale rispondono all’appello di Dio e accolgono il vangelo di misericordia (cf Gv 8, 1-11) e diventano modello di accoglienza, sconvolgendo così le teorie e «i princìpi» su cui si fonda l’istituzione. La liturgia formale e asettica che si auto-celebra nel tempio, prende a pretesto la gloria di Dio per mettere in atto la passerella della vanagloria degli uomini che amano addobbare se stessi come manichini con paludamenti e cappelli, di stampo egizio-persiano che definire ridicoli è solo un eufemismo. Essi innalzano un muro d’incenso invalicabile che riesce a nascondere Dio ai peccatori e questi a Dio. Gesù li ha bollati senza riserva: «Che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re» (Mt 11,8). Stanno nei palazzi dei re, non nel tempio del Re che è la casa di preghiera del Padre (cf Is 56,7) e che gli uomini spesso trasformano in spelonca di vanità e vanagloria (cf Mt 21,13). L’uomo di Dio aspira a vivere anche un solo giorno nell’atrio del Signore piuttosto che mille nelle case degli empi (cf Sal 84/83,11) perché ha coscienza della propria pochezza e si addossa alla parete di fondo del tempio e ripete come una nenia dell’anima: Pietà di me, o Dio nella tua misericordia; pietà di me peccatore (cf Sal 51/50,3; Lc 18,13).

E’ il rovesciamento delle situazioni: mentre i sacerdoti si rinchiudono nel tempio, trafficando con pizzi e merletti e disquisendo sulle liturgie e sui rituali, credono di onorare Dio, invece alimentano e moltiplicano le tradizioni degli uomini e oscurano la Parola di Dio (cf Mc 7,13). Dio da parte sua abbandona il tempio e va di nuovo sulle strade a raccogliere gli avanzi impuri che la religione ufficiale ha abbandonato sui marciapiedi del perbenismo:

Lc 10,30-32: «30Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani di alcuni banditi, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre dall’altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre».

Lc 14,21.23-25 : «Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, 23… perché la mia casa si riempia. 24Perché vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena».

All’epoca di Mt, il conflitto tra Ebrei e Cristiani era giunta ad un livello di non ritorno e ci s’incamminava velocemente verso la scomunica definitiva (cf Gv 9,22; 16,2; cf anche Lc 12,11)6, mentre intanto il vangelo, con il suo messaggio di liberazione e di speranza, specialmente per opera di Paolo e delle sue comunità sparse nel mondo greco-romano, considerato dagli Ebrei come pagano, faceva breccia tra gli emarginati, gli esclusi e i poveri. Essi accorrevano alla nuova religione diversa da tutte le altre perché non offriva orge sacrali o evasione con riti misterici, ma formava all’amore dei nemici, prediligeva le classi degli esclusi, poneva gli schiavi sullo stesso piano dei padroni e si riunivano insieme per celebrare un morto che essi consideravano vivo. Con questa parabola Gesù cerca di fare ragionare quelli che si scandalizzano della sua scelta preferenziale dei poveri, peccatori ed pagani, i quali se si convertono e fanno penitenza sono vicini a Dio più di quanto lo siano coloro che si ritengono religiosi, ma sono atei nel cuore (cf Mt 9,10-13). Il figliol prodigo fu colpevole davanti al padre suo, ma poi pentito, cambiò strada e ritornò a casa affidandosi alla misericordia paterna (Lc 15,11-32).

Da parte sua Mt in fase di redazione finale riprende il v. 32 originariamente in forma generale e lo rimaneggia: vi aggiunge il richiamo alla giustizia che aveva sviluppato nel discorso della montagna (cf Mt 5, 6.10.2; 6,1.33; cf 3,15), passa dalla terza persona singolare al «tu» della seconda e aggiunge il ricordo di Giovanni Battista perché nei versetti precedenti (Mat 21,26-27) vi era un accenno all’atteggiamento del Precursore («chi tra voi vuole essere grande si farà vostro servo») il quale pur essendo il più grande tra i nati di donna (Mt 11,11) non esitò a farsi piccolo davanti al Messia (cf Mt 3,11). Mt 21,32 con il riferimento a Giovanni Battista, ai pubblicani e alle prostitute è un’aggiunta posteriore, avvenuta in fase di redazione provvisoria, quando i testi furono raggruppati per esigenze catechistiche, mettendo insieme i versetti con gli stessi richiami verbali. Poiché in Mt 21,31 vi era il richiamo a pubblicani e prostitute, vi fu messo anche Mt 21,32 che aveva lo stesso richiamo, ma che si trovava in un contesto indipendente e autonomo (cf Lc 7,29-30).

Il v. 32 nella redazione di Mt trasforma la parabola in una allegoria di tutta la storia della salvezza perché la inserisce nel filone del «grande rifiuto»: i capi religiosi che si oppongono alla salvezza della nuova alleanza che mira la cuore e al cuore ritorna (Ger 31,31; Ez 11,19; 18,31; 36,26) somigliano ai vignaioli omicidi (cf Mt 21, 33-38) o agli invitati alle nozze (Mt 22,1-9). Gli uni e gli altri hanno rifiutato il vangelo della liberazione, costringendo Dio a rivolgersi altrove e ad altri (cf Mt 21,32 con 21,41 e 22,8-10).

Conclusione: Dio non ha rigettato Israele che resta il suo popolo eletto, ma Israele dopo avere detto «si» alla Toràh, di fatto ha vissuto in modo tale da trasformarlo in un «no» al Vangelo che avrebbe dovuto essere il suo compimento naturale. La chiesa di oggi deve stare molto attenta, ognuno di noi deve vigilare perché è facile dire agli altri che non sono coerenti: questa parabola è per la Chiesa in ogni sua componente; essa inchioda ciascuno alla propria responsabilità morale, perché in ogni momento possiamo essere i figli della contraddizione. Ancora una volta: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» (Gv 8,7). L’Eucaristia è la forza che nutre la nostra capacità e volontà di aderire alla volontà del Padre superando ogni interesse particolare e momentaneo per essere figli dell’obbedienza (cf Eb 5,8) e della testimonianza credibile.

Credo o Simbolo degli Apostoli7

Io Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra; [breve pausa 1-2-3]

e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitato da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti. [breve pausa 1-2-3]

Credo nello Spirito santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen.

Preghiera universale [intenzioni libere]

LITURGIA EUCARISTIACA

Prima di presentare le offerte all’altare, ascoltiamo la Parola del Signore: «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Questa Parola è per noi un comandamento perché nessuno può celebrare il Signore nell’Eucaristia senza avere partecipato il perdono che abbiamo ricevuto. Lasciamo convertire dalla grazia di Dio.

La Pace del Signore sia con Voi E con il tuo Spirito

Scambiamoci un gesto sincero di pace e di accoglienza.

Preparazione delle offerte. Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo, perché dalla tua misericordia abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna. Li presentiamo a te perché diventino per noi cibo e bevanda di salvezza. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo, fratelli e sorelle, perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Padre misericordioso, i nostri doni, e da quest’offerta della tua Chiesa fa’ scaturire per noi la sorgente di ogni benedizione. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA PER LA MESSA DEI FANCIULLI II

Prefazio proprio

Dio, nostro Padre, tu ci dai la gioia di riunirci nella Chiesa per dirti il nostro grazie con Cristo Gesù nostro salvatore.

Rendici giusti, Signore, perché possiamo camminare con rettitudine sulla via della giustizia (cf Ez 18,25-26).

Tu ci hai tanto amato, che hai creato per noi il mondo intero, immenso e meraviglioso.

I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini e alle donne della sua benevolenza.

Tu ci hai tanto amato, che hai dato a noi il tuo Figlio Gesù per condurci fino a te.

Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Tu ci hai tanto amato, che hai dato a noi il tuo Santo Spirito per formare in Cristo una sola famiglia.

Il tuo Spirito ci fa conoscere le tue vie e ci insegna i tuoi sentieri che ci guidano alla tua verità (cf Sal 25/24,4-5).

Per questi doni del tuo amore ti rendiamo grazie, o Padre, e, uniti agli angeli e ai santi, cantiamo insieme la tua gloria:

Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison. Christe, elèison. Pnèuma, elèison.

Sia benedetto Gesù Cristo, tuo Figlio, che ci hai mandato, amico dei piccoli e dei poveri. Egli ci ha insegnato ad amare te, nostro Padre, e ad amarci tra noi come fratelli e sorelle.

Ricòrdati della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre, per la tua bontà Signore (cf Sal 25/24,6.7).

È venuto a togliere il peccato, il male che allontana gli uomini da te e li rende nemici gli uni degli altri. Ci ha promesso il dono dello Spirito Santo che rimane sempre con noi perché viviamo come tuoi figli.

Rendi piena, Signore, la nostra gioia perché possiamo vivere il medesimo sentire nella carità (cf Fil 2,1-2).

Ora ti preghiamo, Dio nostro Padre, manda il tuo Santo Spirito, perché questo pane e questo vino diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, nostro Signore.

Donaci il tuo Spirito perché vogliamo imparare a vivere senza rivalità e senza vanagloria (cf Fl 2,3)

Prima della sua morte sulla croce, egli ci lasciò il segno più grande del suo amore: nell’ultima Cena con i suoi discepoli, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede loro e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

È il Signore Gesù! Si offre per noi! Maràn athà – Signore nostro, vieni!

Allo stesso modo prese il calice del vino e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

È il Signore Gesù! Si offre per noi! Maràn athà – Signore nostro, vieni!

Poi disse loro: FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Con la forza dello Spirito chiediamo che tu ci conceda, o Padre, gli stessi sentimenti di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro redentore (Cf Fl 2,5).

Noi ricordiamo, o Padre, il tuo Figlio Gesù, morto, risorto, salvatore del mondo. Egli si è offerto nelle nostre mani e noi lo offriamo a te come nostro sacrificio di riconciliazione e di pace.

La tua Parola illumini la nostra mente perché il cuore possa dirti «» e agire di conseguenza (cf Mt 21,28-30).

Ascolta, o Padre, la nostra preghiera e dona lo Spirito del tuo amore a tutti quelli che partecipano alla tua mensa; fa’ che diventino un cuor solo e un’anima sola nella tua Chiesa, con il nostro Papa N., con il nostro Vescovo N., e con quanti lavorano per il bene del tuo popolo sparso su tutta la terra.

Gesù Cristo è l’Amen, il Testimone fedele veritiero, il Signore che fa la volontà del Padre (cf Ap3,14; Gv 6,40).

Benedici e proteggi, o Padre, i nostri genitori, i nostri fratelli e i nostri amici e anche quelli che non amiamo abbastanza. Ricordati dei nostri morti N.N.: prendili con te nella gioia della tua casa.

Nella forza dello Spirito Santo, veniamo nel tuo regno insieme a coloro che precedono: pubblicani e prostitute. (cf Mt 21,32).

Padre santo, concedi a noi tuoi figli di venire un giorno a te nella festa eterna del tuo Regno con la beata Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Con tutti gli amici e le amiche di Gesù canteremo per sempre la tua gloria.

Allora Maria disse: «Oh, sì! Sono la serva del Signore, avvenga per me quello che tu hai detto» (cf Lc 1,36).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in greco (Mt 6,9-13): Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo:

Padre nostro, che sei nei cieli,

Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,

sia santificato il tuo nome,

haghiasthêto to onomàsu,

venga il tuo regno,

elthètō hē basilèiasu,

sia fatta la tua volontà,

genēthêtō to thelēmàsu,

come in cielo così in terra

hōs en uranô kài epì ghês.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,

e rimetti a noi i nostri debiti,

kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn

e non abbandonarci alla tentazione,

kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,

ma liberaci dal male.

Allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.

Antifona alla comunione 1Gv 3,16 Da questo abbiamo conosciuto l’amore di Dio: egli ha dato la sua vita per noi, e anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli.

 

Preghiamo. Questo sacramento di vita eterna ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo, perché, comunicando a questo memoriale della passione del tuo Figlio, diventiamo eredi con lui nella gloria. Per Cristo nostro Signore. Amen.

 

Il Signore che ci ha convocato alla santa Eucaristia, sia sempre davanti a voi per guidarvi. Amen.

Il Signore che ci nutre con la volontà del Padre sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.

Il Signore che ci invia nel mondo come testimoni, sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen!

Finisce La messa come celebrazione: inizia la Messa della testimonianza della vita.

Andiamo incontro al Signore nella storia.

Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

______________________

© Domenica 26a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova

[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]

Paolo Farinella, prete – 25/09/2011 – San Torpete – Genova

AVVISI

Sabato 24 settembre 2011, ore 17,30 in San Torpete, Piazza san Giorgio

CONCERTO DEDICATO ALL’UNITA’ D’ITALIA: Trio Nova – Vernizzi – Costa

Giuseppe Nova, Flauto – Rino Vernizzi, Fagotto – Giorgio Costa, Pianoforte

VIVA V.E.R.D.I. – Note sull’unità d’Italia in occasione dei 150 anni

Musiche di Giuseppe Verdi, L. Hugues, K. Doppler, P. Morlacchi, A. Torriani

SABATO 15 OTTOBRE GIORNATA A PIAN DELLA CASTAGNA – (Bosio).

Partenza in pullman alle ore 9,00 dal capolinea del 12/13

Ritorno alla sera alle 19,00 al capolinea del 12/13.

Pranzo e merenda al Centro agro-spirituale-culturale «Pian della Castagna» di Adolfo Biolè.

Pomeriggio ore 16,00 incontro sul tema: «Se io fossi parroco a San Torpete. Suggerimenti, proposte, osservazioni per migliorare la liturgia e le attività».

Spesa (tutto compreso: pranzo, merenda, ospitalità e pullman): € 35 [compreso € 1,00 di mancia per autista]).

Anticipo: € 10,00.

Iscrizioni in sacrestia. Mx 50 posti.

  

La mia amica Gisella Riganti mi invia questa poesia di Trilussa che è lo specchio di quanto è accaduto in Italia e purtroppo sta continuando ad accadere: la maggioranza ha voluto eleggere un asino a presidente del consiglio o ora tutti ne pagano le conseguenze:

L’elezzione der presidente

di Trilussa (Carlo Alberto Salustri [1871-1950]

Da Favole rimodernate - 1923

Un giorno tutti quanti l’animali / sottomessi ar lavoro / decisero d’elegge un Presidente

che je guardasse l’interessi loro. / C’era la Società de li Majali, /la Società der Toro,

er Circolo der Basto e de la Soma, / la Lega indipendente /fra li Somari residenti a Roma;

eppoi la Fratellanza / de li Gatti soriani,de li Cani, / de li Cavalli senza vetturini,

la Lega fra le Vacche, / Bovi e affini ... / Tutti pijorno parte a l’adunanza. Un Somarello, che pe’ l’ambizzione

de fasse elegge s’era messo addosso / la pelle d’un leone, / disse: - Bestie elettore, io so’ commosso:

la civirtà, la libbertà, er progresso ... / ecco er vero programma che’ ciò io, ch’è l’istesso der popolo! Per cui

voterete compatti er nome mio. - / Defatti venne eletto propio lui. / Er Somaro, contento, fece un rajo,

e allora solo er popolo bestione / s’accorse de lo sbajo d’avé pijato un ciuccio p’un leone!

- Miffarolo!8 - Imbrojone! - Buvattaro!9

- Ho pijato possesso:- / disse allora er Somaro - e nu’ la pianto10 nemmanco se morite d’accidente.

Peggio pe’ voi che me ciavete messo!

Silenzio! e rispettate er Presidente!

Quando gli Italiani cominceranno a smettere a credere che gli asini volano, inizierà per loro l’èra della democrazia e della dignità. Chiunque ha creduto e crede ostinatamente che l’asinio-Berlusconi sia un leone, è meglio che si spari un colpo secco e non se ne parli chiusi (Massima di Paolo Farinella, prete).

Sistemare questi dati

Nel secondo figlio si vede l’atteggiamento denunciato da Gesù nella polemica

contro farisei e scribi dove tanto ostentato zelo maschera il nulla: “ipocriti! Bene ha

profetato di voi Isaia, dicendo: questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me ” (Mt 15,78).

Questo comportamento esclude dall’appartenenza al Regno: “non chiunque mi

dice: Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del

Padre mio che nei cieli” (Mt 7,21).

Costoro prendono il posto delle autorità nel Regno di Dio (la costruzione del

verbo proa,gousin = proágusin = non ha il significato di precedenza ma di esclusione.

I rappresentanti dell’autorità religiosa per il loro atteggiamento ottuso e

malvagio si escludono dal Regno.

Il verbo greco metemelh,qhte ([da non confondere con metanoe,w] =

metemelḗthēte da metame,lomai = metamélomai = aver rimorso pentirsi) viene usato

unicamente da Matteo per tre volte e sempre per personaggi che vivono in un ambito di morte: i peccatori, le autorità giudaiche (vv. 29 e 32) e Giuda il traditore che

“si pentì” (Mt 27,3) = metamelhqei.j ma si suicidò.

Ciò che conta è compiere la volontà del Padre,

1 Narra il Midrash: «Rabbi Abbahu (300 ca.) diceva in nome di Rabbi Jochanan ( m. 279): Quando Dio diede la Legge nessun uccello cinguettava, nessun volatile volava, nessun bue muggiva, nessuno degli Ofanìm (ruote del carro divino: cf Ez 1,15-21) muoveva un’ala, i Serafini non dicevano “Santo, Santo, Santo”, il mare non mormorava, le creature tacevano, tutto l’universo era ammutolito in un silenzio senza respiro, e venne la voce: “Io sono il Signore tuo Dio” (Es 20,2)» (Midrash, Esodo Rabbà 29,9 a 20,1). Nella liturgia cattolica, l’antifona d’ingresso della II Domenica del Tempo di Natale canta: «Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale» (Sap 18,14-15).

2 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.

3 Nel nuovo lezionario si trova finalmente una gradita novità che rispecchia i codici più antichi e i Padri della Chiesa (Diatèssaron (v. sotto, in questa nota). Ireneo, Origine, Eusebio, Ilario, Cirillo): l’ordine delle risposte dei figli è invertita. Per primo c’è il figlio che dice no e poi invece va’ nella vigna; segue il secondo figlio che dice e poi non va’ nella vigna. L’edizione precedente della Bibbia- Cei riportava l’ordine inverso perché esprimeva la convinzione che la parabola riguardasse Israele (il figlio che dice e poi fa no) e i Greci (il figlio che dice no, ma poi va’): era una interpretazione apologetica della Chiesa in contrapposizione ad Israele all’interno della teologia della sostituzione. La parabola invece riguarda solo Israele e, al suo interno, coloro che credono a Giovanni Battista e coloro che sono rimasti increduli di fronte alla predicazione del Battista. Interessante notare come nel brano per quattro volte si parla di «credere» in Giovanni Battista (cf Mt 21,25.32), nel senso ovvio di ascoltare il suo messaggio. Il Diatèssaron (tò dià tessàrōn euanghelìōn – Il [vangelo] attraverso i quattro vangeli). L’autore, Taziano il Siro o Tatiano (120-180) ha cercato di armonizzare i quattro vangeli fondendoli in uno solo. L’opera è databile intorno al 172 ed fu usata fra i cristiani di Siria fino ai primi del 5° sec. È la prima traduzione del NT in siriaco e per alcuni secoli fu il testo ufficiale della chiesa di Siria e di cui esiste anche un commento scritto da Sant’Èfrem il Siro (306-373). Nel 423 il vescovo Teodoreto di Ciro (393-457) ne proibì l’uso a favore dei quattro vangeli separati come avveniva nelle altre chiese e ne ordinò la distruzione. Noi oggi conosciamo l’esistenza del Diatèssaron solo attraverso il commento di Sant’Èfrem, non possedendo più il testo originale, di cui resta un brevissimo frammento in greco molti rifacimenti arabi, compresa una versione araba dal siriaco del sec. XI, e un rifacimento in latino.

4 Cf Mt 5,21-22; 27-28; 31-32; 33-34; 38-39; 43-44.

5 Cf Lc 18,9: parabola del fariseo e del pubblicano; Lc 7,40: i due debitori; Lc 15,2: la dramma della pecora perduta e ritrovata, ecc.

6 Dopo la distruzione del Tempio nell’anno 70 d. C., di tutte le correnti giudaiche (Sadducei, Scribi, Zeloti, Esseni e Farisei) si salvò solo la corrente dei Farisei a cui il generale romano Vespasiano concesse la cittadina Jabne (vicino Tel Aviv) con il permesso di costituirvi una scuola per salvare le tradizioni dei padri. Qui iniziò la ricostruzione e la riorganizzazione del giudaismo della diaspora con l’approvazione del canone ebraico, la sua forma tripartita (Toràh, Neviìm/Profeti e Ketubìm/Scritti), la cronologia della formazione, l’inclusione del Cantico dei Cantici e l’esclusione del libro della Sapienza in polemica anticristiana. L’esponente di primo piano fu Rabbi Johanan ben Zakkaj per la parte legale e Rabban Gamlièl II per la parte liturgica. San Paolo fu discepolo del secondo. Da questo momento la separazione tra Giudaismo e Cristianesimo è netta, totale e causa d’infiniti mali per gli Ebrei che, considerati colpevoli di deicidio, saranno in balìa di una diaspora durata duemila anni fino allo scempio orribile della Shoàh; ma fu anche fonte di male per i Cristiani che persero il contatto fisico con l’ambiente che li vide nascere fino a smarrire del tutto la sacramentalità della loro ebraicità e il contesto giudaico degli scritti del NT.

7 Il Simbolo degli Apostoli, forse è la prima formula di canone della fede, così chiamato perché riassume fedelmente la fede degli Apostoli. Nella chiesa di Roma era usato come simbolo battesimale, come testimonia Sant’Abrogio: « È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune» (Explanatio Symboli, 7: CSEL 73, 10 [PL 17, 1196]; v. commento in Catechismo della Chiesa Cattolica, 194).

8 Bugiardo. 9 Chi vende o spaccia fandonie. 10 Non smetto.



Giovedě 22 Settembre,2011 Ore: 14:42
 
 
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