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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org SOLENNITÀ DI PENTECOSTE MESSA CONCERTATA,di Paolo Farinella, prete

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE MESSA CONCERTATA

di Paolo Farinella, prete

SOLENNITÀ DI PENTECOSTE
MESSA CONCERTATA
MISSA “VENITE, EXULTEMUS DOMINO”[1] di ALESSANDRA VAVASORI (1969, vivente)[2]
Conclusione del Tempo Pasquale-A
– 12 giugno 2011 –
ESEGUE
 
L’«ACCADEMIA DEI VIRTUOSI»
 
Ensemble Musicale della Scuola “Giuseppe Conte” di Genova-Pegli
 
e Cappella Musicale della Parrocchia di San Torpete esegue
Cantus:           Patrizia Bozzo, Luisa Cuneo (solo in Benedictus)
Altus:              Flavia Boero, Raffaella Romano, Linda Zunino
Tenor:                         Carlo Bavastro, Filippo Biolé
Bassus:           Marcello Modena, Lorenzo Tocco
 
Federica Di Maio, organo
Alessandro Paolini, contrabbasso
Luca Moretti, timpani
 
Luca Franco Ferrari, direttore
 
INGRESSO - Organo
Pentecoste (dal gr. pentekostês/pentêkonta = 50 giorni) è l’ultimo dei cinque momenti liturgici del «mistero pasquale»[3] che conclude le celebrazioni di Pasqua, iniziate «cinquanta» giorni prima. A Pasqua, Dio interviene di sua iniziativa, senza concorso d’Israele e concede la libertà dalla schiavitù del Faraone:
«Il Signore disse [a Mosè]: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido… conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese bello e spazioso”» (Es 3,7-8).  
A Pentecoste, al monte Sinai, Israele prende coscienza di sé come popolo liberato e accetta il dono della Toràh/Legge che lo educherà alla libertà come compito missionario: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7)[4]. A Pasqua si è liberati, a Pentecoste si sceglie di restare liberi[5]. Pasqua e Pentecoste sono intimamente connessi e l’una non può reggere senza l’altra. La Pentecoste cristiana è l’evento centrale dell’alleanza nuova, come la Toràh lo fu della prima, stabilendo così che non c’è una nuova alleanza, ma il compimento della prima. Al tempo di Gesù si celebrava la «Festa di Shavuôt, o delle sette settimane», cioè dei cinquanta giorni (= 7x7) in memoria del dono della Toràh. Ancora oggi gli Ebrei in questa festa leggono i dieci comandamenti come sintesi della Toràh e il libro di Rut perché si vi si parla di raccolto delle spighe e perché la fedeltà di Naomi a Rut[6] richiama la fedeltà d’Israele all’alleanza.
La Toràh che Mosè ricevette sul Sinai, ora è rinnovata e purificata nello Spirito del Risorto e scende dal Calvario per essere scritta nel cuore di carne di ciascun credente come aveva previsto il profeta Ezechiele[7]. Già nel sec. V a.C. il profeta aveva annunciato il raduno d’Israele radunato dalla dispersione nella forma di una nuova alleanza descritta come «questione di cuore». Si tratta di un trapianto cardiaco per sostituire le tavole di pietre che hanno resa fredda anche la Toràh con un cuore di carne che porta in sé la volontà di vivere secondo la Legge del Signore. Anche Gesù si inserirà in questa prospettiva, quando rimprovera i discepoli di Emmaus di essere «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (Lc 24,25).
A Pentecoste si compie non solo il raduno di Israele, ma anche l’unità del genere umano. Leggiamo, infatti, in Gv 19,30: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spiritoê»[8] a Maria (una donna) e al discepolo (un uomo), immagine dell’umanità nuova, in sostituzione di Adam ed Eva che non seppero custodire lo «l’alito di vita» deposto in loro dal soffio del creatore (Gen 2,7; 6,3). Questa umanità ora è rappresentata dalla Chiesa nascente, simboleggiata dalla Madre e dal discepolo in rappresentanza dell’ovile universale che raccoglie il genere umano (Gv 10,16). Consegnando il suo Spirito alla donna e all’uomo, alla Madre e al figlio che stanno ai piedi della croce, Gesù pone termine alla divisione consumata ai piedi della torre di Babele (Gen 11,1-9), quando l’unità del genere umano simboleggiato dall’unica lingua, si frantuma in frammenti impazziti che stanno all’origine della frammentazione e della violenza organizzata nella guerra perché ora tutti sono contro tutti. La lingua originaria si frantuma in tanti idiomi incomunicabili e l’incomunicabilità produce divisione, fratture, conflitti. Era necessaria una nuova èra di salvezza.
Questo nuovo inizio che è l’opposto di Babele è il giorno di Pentecoste (1a lettura), dove idealmente convergono e sono presenti tutti i popoli della terra conosciuti: «E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?» (At 2,8). Pentecoste capovolge la storia: con Adamo ed Eva, cacciati dall’Eden era iniziato un processo di allontanamento da Dio, a Pentecoste con il dono dello Spirito inizia il processo di ritorno a Dio. Il figliol prodigo dell’umanità ha trovato la forza e la luce per riprendere la strada del ritorno all’Eden del «principio». E’ una nuova creazione. E’ il tempo della Chiesa. E’ il nostro tempo. E’ il nostro impegno e la nostra speranza.
Oggi non celebriamo solo un evento passato, ma mentre facciamo «memoriale» di due momenti storici: l’esodo e la morte di Gesù, riviviamo e sperimentiamo questo dono perché lo Spirito Santo è presente «oggi» nella Chiesa e nel mondo ed alimenta la nostra fede, sostiene la nostra speranza, forgia la nostra libertà. Pentecoste è oggi. Per questo disponiamo i nostri sentimenti con l’inno del Veni creator, Spiritus, attribuita a Rabano Mauro, abate di Fulda in Germania (780-856). L’inno, tra i più belli della Liturgia, si canta ai Vespri di Pentecoste.
Latino
Italiano
1. Veni Creator Spiritus, mentes tuorum visita,
imple superna gratia quae Tu creasti pectora.
1. Vieni, o Spirito Creatore, visita le nostre menti,
riempi della tua grazia i cuori che hai creato.
 
 
2. Qui diceris paraclytus, altissimi donum Dei,
fons vivus, ignis, caritas, et spiritalis unctio.
2. O dolce consolatore, dono del Padre altissimo,
acqua viva, fuoco, amore, santo crisma dell’anima.
 
 
3. Tu septiformis munere, digitus paternae dexterae,
tu rite prossimus patris, sermone ditans guttura.
3. Dito della mano di Dio, promesso dal Salvatore,
irradia i tuoi sette doni, suscita in noi la parola.
 
 
4. Accende lumen sensibus: infunde amorem cordibus:
infirma nostri corporis virtute firmans perpeti.
4. Sii luce all'intelletto fiamma ardente nel cuore;
sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore.
 
 
5. Hostem repellas longius, pacemque dones protinus:
ductore sic te praevio, vitemus omne noxium
5. Difendici dal nemico, reca in dono la pace,
la tua guida invincibile ci preservi dal male.
 
 
6. Per te sciamus da patrem, noscamus atque filium teque utriusque spiritum credamus omni tempore.
6. Luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero
di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo Amore.
 
 
7. Deo patri sit gloria et filio, qui a mortuis
surrexit ac paraclyto, in saeculorum saecula. Amen.
7. Al Padre sia gloria e al Figlio dai morti risorto
e allo Spirito Paràclito, nei secoli dei secoli. Amen.

 (greco)[9]
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito
Il Dio di Gesù Cristo che convoca nello Spirito tutta l’umanità sia con tutti voi. E con il tuo spirito.
Nel giorno di Pentecoste, la Pasqua è offerta la mondo intero, passando così da memoriale di un popolo ad evento cosmico. Lasciamoci abitare dallo Spirito del Risorto che ci convoca alla mensa del perdono di Dio, fonte di libertà e di coscienza. Riconoscersi peccatori davanti a Dio, significa riconoscere la sua paternità, accogliere la redenzione del Figlio, vivere la Presenza dello Spirito: solo così possiamo essere abilitati a celebrare l’Eucaristia, il sacramento dell’unità e della missione, dove Dio ci restituisce a noi stessi, rinnovati e purificati.
[Esame di coscienza reale]


 

Santissima Trinità, Unico Dio, tu rinnovi la faccia la terra,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito di sapienza e di scienza, tu doni la sapienza del cuore,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito di intelletto e di pietà, tu susciti il timore di Dio,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito di pace e di mitezza, tu sei la Pace di Gesù Risorto,               Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, dono pasquale, tu sciogli il nostro egoismo,                 Veni, Sancte Spiritus.
Spirito di consiglio e di fortezza, tu sei la forza della vita,                 Veni, Sancte Spiritus.
Spirito di grazia e di preghiera, tu sei l’orante che è in noi,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito del Messia benedetto, donaci il cuore infinito di Dio,             Veni, Sancte Spiritus
Il Dio di Adamo ed Eva, il Dio dei Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, il Dio di Noè di Sem e Iafet, il Dio che confuse le lingue a Babilonia, il Dio di Mosè che conservò le lettere dell’alfabeto in vista della Toràh, il Dio che a Pentecoste ricompone l’unità del genere umano, il Dio degli apostoli che parlano le lingue dello Spirito, il Dio Gesù Cristo che ci raduna nel sacramento dell’unità e della pace perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
CAPPELLA MUSICALE
Alessandra Vavasori (1685-1757):MIssa “Venite, exultemus Domino”: Kyrie e GLORIA
Kyrie, elèison             Christe, elèison          Kyrie, elèison
Gloria in excelsis Deo
Gloria a Dio, nell'alto dei cieli,
Et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo,
Te, glorificamus Te,
ti glorifichiamo,
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam,
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa.
Domine Deus, Rex coelestis, Deus Pater omnipotens.
Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente,
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Domine Deus,
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio,
Agnus Dei, Filius Patris:
Agnello di Dio, Figlio del padre:
Qui tollis peccata mundi miserere nobis;
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
Qui tollis peccata mundi
tu che togli i peccati del mondo,
suscipe deprecationem nostram,
accogli la nostra supplica;
Qui sedes ad dexteram Patris miserere nobis.
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi.
Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus,
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore,
Tu solus Altissimus,
tu solo l'Altissimo:
Jesu Christe,
Gesù Cristo
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
Preghiamo (colletta). O Dio, che oggi porti a compimento il mistero pasquale del tuo Figlio, effondi lo Spirito Santo sulla Chiesa, perché sia una Pentecoste vivente fino agli estremi confini della terra, e tutte le genti giungano a credere, ad amare e a sperare. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen[10].
Mensa della Parola
Prima lettura A-B-C- At 2,1-11. La Pentecoste cristiana, descritta da Lc, ha le stesse caratteristiche di quella ebraica, al momento della Promulgazione dell’alleanza sul monte Sinai. Tuoni, fulmini e fiamme accompagnano la manifestazione di Dio, dando così alla Toràh e allo Spirito una dimensione non solo universale, ma anche cosmica. Le nazioni elencate negli Atti richiamano la tavola dei popoli di Gen 10 che poi a Babele si disperdono per incomunicabilità. A Pentecoste lo Spirito risana la frattura perché tutti ascoltano tutti e tutti capiscono tutti: «li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa». 
Dagli Atti degli apostoli At 2,1-11
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10 della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». - Parola di Dio.
Salmo responsoriale A-B-C104/103, 1ab.24ac; 29bc-: 30; 31.34. Il salmo è un inno cosmologico di 35 versetti. La liturgia ne riporta solo 6 per cui è difficile coglierne la portata. La struttura del salmo segue la stessa cronologia del racconto della creazione di Gen 1 da cui dipende, formato, forse, in ambiente sacerdotale al tempo dell’esilio. Anche questo salmo potrebbe appartenere alla stessa scuola. Il salmo è stato scelto per il v. 30: «Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» che suggerisce l’idea dello Spirito come origine della nuova creazione (v. Rom 8 e Ger 31,31). Facciamo nostro questo anelito perché l’Eucaristia è il punto di arrivo e di partenza per il rinnovamento nostro e della storia.
Rit.Manda il tuo Spirito, Signore a rinnovare la terra.
1. 1 Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
24 Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature. Rit.
30 Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.Rit.
3. 31 Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
34 A lui sia gradito il mio canto,
2. 29 Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
io gioirò nel Signore.Rit.
Seconda lettura - C. Rm 8,8-17.  Il binomio «carne-spirito» (greco: sàrx-pnèuma) descrive un’opposizione irriducibile. «carne» indica tutto ciò che è caduco, mortale, finito e infine le tendenze negative presenti in ogni cuore; «spirito» indica tutto ciò che è trascendente, immortale, infinito, in una parola la persona aperta a Dio e inserita nella sua volontà. Lo Spirito di Pentecoste è uno «spirito di libertà» (2Cor 3,17) perché rende operante la risurrezione del Signore nella vita di ciascun credente che così è abilitato a rapportarsi a Dio non come il suddito con il padrone, ma come il figlio con il proprio padre. Nessuno può raggiungere questa intimità se non è animato e abitato dallo Spirito del Risorto che svela e garantisce la nostra identità di figli, abilitandoci a chiamare Dio con il nome affettivo di«Abbà/papà».
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani 8,8-17
Fratelli e Sorelle, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10 Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11 E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. 12 Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, 13 perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. 14 Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». 16 Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. - Parola di Dio.
 
Canto al Vangelo
Alleluia. Vieni, Santo Spirito, / riempi i cuori dei tuoi fedeli / e accendi in essi il fuoco del tuo amore. Alleluia.
Vangelo C. Gv 14,15-16.23b-26. Anche dopo la risurrezione, il Signore Gesù «prega» il Padre perché ci doni «un altro Paràclito» (v. 16). Il termine traduce il greco: paràkletos che appartiene al vocabolario giuridico e significa «colui che parla a favore» e quindi ha il senso di avvocato, difensore e consolatore che ha il compito di «assisterci», di «stare accanto» perché possiamo imparare le parole e i comandamenti di Gesù Signore. Abbiamo qui delineata la dimensione trinitaria della vita intima di Dio come Padre, come Figlio e come Spirito alla quale possiamo accedere perché il Dio Unico di Israele svelato nella sua dinamica relazionale abita la nostra stessa vita, facendo di noi la sua Dimora. A Pentecoste, noi e Dio siamo veramente una cosa sola, un’intimità totale.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,15-16.23b-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». - Parola del Signore.
Sequenzadetta anche «Sequenza Aurea», è composta tra il 1150 e il 1250 daStefano di Langhton arcivescovo di Canterbury († 1228) o, secondo altri, dal suo contemporaneo Lotario dei Conti di Segni divenuto papa Innocenzo III nel 1198.
 


 

1. Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.
2. Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
3. Consolatore perfetto,
ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
4. Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
5. O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
6. Senza la tua forza,
nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.              
7. Lava ciò che è sórdido,
bagna ciò che è árido,
sana ciò che sánguina.
8. Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
9. Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.  
10. Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna. Amen.


 

 
Appunti di omelia
La prima lettura descrive la discesa dello Spirito Santo nella prima Pentecoste del NT come un parallelo della discesa di Yhwh sul monte Sinai al momento della consegna della Toràh al popolo di Israele. La coreografia cosmica è simile: tuoni, lampi, fulmini e tremore della montagna accompagnò la discesa di Yhwh sul Sinai (Es 19,16-25), come gli stessi elementi naturali accompagnano la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli (1a lettura). La natura tutta come un corteo di accoglienza accompagna i due eventi.
Nel NT, i vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc) mantengono lo schema «cinquantenario» dentro la tradizione giudaica e Lc addirittura nel capitolo 2 degli Atti, riportato oggi, descrive la Pentecoste come una riedizione della manifestazione/teofania di Yhwh sul Sinai, da cui mutua anche lo scenario cosmico: tutta la natura partecipa con la sua potenza di tuoni, fuoco e lampi, alle nozze tra Dio e il suo popolo nel segno dell’alleanza:
-    Es 19,16 (monte Sinai): «vi furono tuoni, lampi, una nube densa e un suono fortissimo»,
-    At 2,3-4 (Pentecoste): «Venne all’improvviso  dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso …Ap-
parvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro» (At 2,3-4).
Giovanni, a differenza dei Sinottici, pone la Pentecoste nell’«ora della Gloria», cioè nell’ora della morte e glorificazione di Gesù, dove sintetizza tutto il mistero pasquale, compresa Pentecoste che non è più la consegna della Toràh scritta e orale, ma il «dono dello Spirito Santo». Il monte Sinai della nuova alleanza è la croce di Cristo che diventa il trono/luogo della teofania definitiva davanti alla Storia intera, simboleggiata dalla presenza di quattro soldati romani, in rappresentanza del mondo pagano (cf Gv 19,24), e da quattro donne ebree, in rappresentanza del mondo credente (cf Gv 19,25). Da questo nuovo monte non scende più un uomo con tavole di pietra, ma vi è innalzato il Figlio dell’uomo che attira tutta l’umanità redenta (cf Gv 12,32) che ora guarda a colui che è stato trafitto (cf Gv 19,37).
Vi sono, però, molte differenze tra la teofania del Sinai e quella di Pentecoste che è bene cogliere:

Esodo
Pentecoste
19,16
Il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore
2,4
Tutti furono colmati di Spirito Santo
19,1
Ai piedi del Sinai vi è solo Israele
2,9-11
Sono presenti tutti i popoli della terra[11]
19,12-13
Al Sinai il popolo deve stare lontano dalla montagna di Dio, pena la morte:
2,9-13
A Pentecoste la teofania è un evento cosmico che coinvolge tutti ricevono nel ricevere lo Spirito, anche coloro che sono estranei perché tutti percepiscono che si tratta di evento divino
19,10-11
Il popolo deve purificarsi per tre giorni
2,3-4
Tutti i popoli sono purificati nel fuoco

Pentecoste è l’annuncio del regno di Dio al mondo intero, ma è anche l’inizio della Chiesa come strumento di questo Regno. Quando il clero pretende di identificare la Chiesa con il Regno, si determina il corto circuito tra cristianesimo e cristianità. Il cristianesimo è nell’ordine della profezia e della testimonianza vissute nel mondo con simpatia e verità, mentre la cristianità è la pretesa di volere instaurare in terra il Regno perfetto di Dio attraverso governi cristiani, leggi cristiane, politiche cristiane, morali cristiane, economie cristiane, ecc. In questo modo si arriva a fare compromessi immorali tra potere e religione, scambiandosi favori e tornaconti che sono la negazione della forza dirompente del vangelo. Quando la Chiesa accetta di diluire il suo messaggio per venire incontro a politiche di convenienza, tradisce lo Spirito Santo e lo annega nella vergogna del ludibrio della fornicazione incestuosa che ha per obiettivo solo l’interesse di affermare la propria supremazia.
E’ l’occupazione del mondo, o meglio la gestione del potere mondano in nome della religione che s’identifica con il nome di Dio. E’ il relativismo assoluto perché riduce l’annuncio del Vangelo ad una visione puramente terrena e di potere, circoscritta ad un tempo e ad un luogo. La solennità di Pentecoste ci libera da ogni velleità di instaurare in terra «la cristianità», con buona pace di tutti i clericalismi e dei rigurgiti tradizionalisti che oggi si riconoscono nel ritorno al «messale di Pio V» e contro il concilio ecumenico Vaticano II, purtroppo autorizzato dal papa Benedetto XVI.
Le conseguenze nefaste si cominciano già a cogliere, andranno sempre più aggravandosi nel prossimo secolo, perché saranno questi gruppi che misureranno il fallimento della Chiesa come «sacramento universale di salvezza» nel mondo (Conc. Vat. II, Lumen Gentium, 1). L’uso del messale e del rituale di Pio V, infatti, è funzionale alla visione anacronistica di Chiesa come cittadella di puri, che si contrappone al mondo visto e interpretato come luogo del demonio, rinunciando e rinnegando il concetto stesso di incarnazione. Noi oggi vogliamo affermare la nostra totale fedeltà alla Chiesa universale, cattolica e apostolica come si è espressa nel concilio Vaticano II che accogliamo come massima espressione di autorità nella Chiesa Cattolica[12].
Narra la tradizione giudaica che Dio prima di dare la Toràh ad Israele interpellò tutti i popoli della terra, uno ad uno e tutti, uno dopo l’altro, s’informarono di cosa si trattasse e conosciuto il contenuto la rifiutarono. Per ultimo la propose a Israele: «Vuoi accettare la mia Toràh?». Israele senza preoccuparsi del contenuto, rispose come un sol uomo: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7)[13].
Pentecoste è l’antidoto a Babele, anzi è l’opposto contrario di Babele. Chi costruisce le torri di Babele costruisce schiavitù, perché quella torre incompiuta è il simbolo muto di una prevaricazione e di un delirio di onnipotenza: i popoli che abitavano la terra, avevano un solo linguaggio, cioè avevano capacità di comunicazione, ma il loro desiderio di scalare il cielo, gli fa smarrire la dimensione del loro limite: vogliono costruire una torre, la cui cima tocchi il cielo (Gen 11,4), cioè che sia vista da tutta la terra e avere così un «nome», una fama immortale. Essi sono i degni figli di Àdam che vuole essere «come a Dio» (Gen 3,5) perché non accetta il limite della sua creaturalità e della morte. Nel giorno di Pentecoste Lc nella 1a lettura cita una serie di popoli che richiama la tabella dei popoli di Gen 10,1-32.
Il limite dell’uomo è non accettare il limite della morte, ma egli soccombe sempre alla tentazione di Àdam ed Eva di essere come Dio. Il popolo o la persona che perde la cognizione del proprio confine e straripa fuori di sé per realizzarsi anche a dispetto di sé perde «la lingua», cioè la capacità comunicativa con sé e con gli altri. E’ Àdam che ritorna in ogni tempo. L’impresa di Babele è dispersa da Dio con una conseguenza disastrosa: gli uomini non solo non riescono a giungere fino in cielo, ma si smarriscono anche sulla terra, non comunicano più tra loro. L’incomunicabilità con Dio rende muti i fratelli tra loro. L’impossibilità di accedere alla Parola rende morte le parole umane. La parola che è il ponte di congiunzione tra linguaggi e culture diverse, ora è motivo di opposizione e incomprensione. Nascono tensione, travisamenti, guerre, aggressioni e sopraffazione. L’uomo che si allontana da Dio si allontana anche dal fratello che considera diverso e nemico.
A Pentecoste, il Risorto costruisce unità e scrive una storia di convergenza e di comunione di popoli. Gesù risorgendo libera il suo Spirito che irrompe sull’umanità guidandola ad un nuovo esodo di liberazione. Lo Spirito si oppone a Babèle come il giorno alla notte: egli è fonte di unità cercata ed elaborata nella condivisione con gli altri che non sono più nemici, ma prolungamento di se stessi. Lo Spirito restituisce la capacità di linguaggio che non è solo la «Parola» e le parole, ma prevalentemente il principio attivo della comunicazione come fondamento delle relazioni con sé e con gli altri. Lo Spirito impedisce a ciascuno di perdere il contatto con sé e con il proprio io profondo che è la misura di ogni rapporto esistenziale e di vita anche comunitaria. Non si può incontrare Dio se prima non si è incontrato il proprio «io» e la propria consistenza.
La Parola di Dio annunciata dagli Apostoli è intesa e compresa da tutti i presenti: tutti i popoli presenti ascoltano gli apostoli che «parlano le lingue» cioè tutti capiscono che essi stanno parlando di Dio. Quando si parla di Dio tutti ne capiscono il linguaggio e ciascuno ne comprende il senso, cioè lo ascolta nella propria lingua. Parlare le lingue deve intendersi non in senso letterale come se gli apostoli parlassero in aramaico e i presenti sentissero in traduzione simultanea: parlare in lingue significa che quando si parla di Dio con animo vero e con la passione dello Spirito, tutti capiscono perché tutti comprendono il linguaggio dello Spirito. Lo Spirito di Pentecoste, donato a tutti i popoli della terra convocati a Gerusalemme, realizza la profezia di Isaia (cf Is 2,1-5)[14].
La tradizione giudaica sostiene che sul Sinai, Mosè dovette stare 40 giorni e 40 notti perché Dio ha dovuto scolpire la Toràh sulla pietra (Toràh scritta) e insegnargli a memoria la 2a Toràh da trasmettere solo oralmente (Toràh orale) che verrà codificata nei secoli futuri nella Mishnàh e nel Talmud. Mentre Dio scolpiva, ogni colpo di martello sprigionava settanta scintille, una scintilla per ogni popolo esistente sulla terra:
«Un maestro della scuola di Rabbì Ishmael ha insegnato: “La mia parola non è forse come il fuoco - oracolo del Signore - e come un martello che spacca la roccia?” (Ger 23,29) Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici» (bShabbat 88b; bSanhedrin 34a)[15].
C’è però anche un’altra spiegazione aggiuntiva: della Scrittura noi capiamo spesso solo una scintilla, mentre vi sono altri sessantanove significati che ci restano oscuri e che dobbiamo indagare perché la Scrittura è inesauribile e ogni parola è una miniera profonda di sensi, spesso nascosti. Avviene lo stesso nella relazione interpersonale: spesso abbiamo la presunzione di «comprendere» la parola dell’altro, senza metterci in ascolto. L’altro è la sua parola e ha molti più significati di quanti noi possiamo immaginare. Per capire dobbiamo solo avere l’umiltà di ascoltarla col cuore e senza prevenzioni. Ascoltare a lungo, a volte anche tutta la vita, perché chi porta in sé l’immagine di Dio creatore (Gen 1,26-27) è inesauribile come Dio stesso.
Ciò è possibile a Pentecoste perché come garantisce il profeta Gioele: «io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo» (Gl 3,1; cf At 2,17), cioè su ogni essere vivente e quindi sugli uomini, sulle donne, sugli animali, sulle piante… in una parola sull’intero cosmo creato da Dio, quel cosmo per cui Àdam ed Eva furono creati perché lo trasformassero nella immagine di Dio creatore (cf Gen 1,26-27). E’ la novità messianica che si manifesta a Pentecoste nell’abbondanza dello Spirito che viene a ricomporre le fratture di Babele. Pentecoste è il «vangelo» dell’unità che esprime e manifesta nel mondo il volto di Dio, padre di tutti gli uomini[16]. Non è un caso che nella festa di Shavuôt, gli Ebrei ancora oggi leggono insieme ai dieci comandamenti come sintesi della volontà di Dio, anche il libretto di Rut, dove si parla di spighe di grano, ma specialmente dove si narra come Noèmi organizzi il matrimonio tra la nuora Rut e il parente Bòoz. Rut è una straniera che sposa un israelita e darà alla luce Òbed padre di Iesse che è padre del re Davide da cui nascerà il Messia, il redentore d’Israele.
-          A Pentecoste celebriamo non solo le nozze tra Dio e il suo popolo, che ormai è il popolo di Dio è formato da tutti i popoli della terra. Nessuno è più straniero nel regno di Dio, ma tutti i popoli hanno diritto di cittadinanza nella casa del Padre.
-          A Pentecoste, i cristiani fanno un esame di coscienza di come si rapportano con i fratelli immigrati, venuti come Rut a spigolare le spighe di grano cadute dalle mani dei mietitori.
-          A Pentecoste, il cristiano prende coscienza che ogni uomo e ogni donna è carne della sua carne e sangue del suo carne perché solo così l’eucaristia diventa un sacramento, cioè il senso della vita ovvero della vita che diventa senso significativo e compiuto.
-          A Pentecoste noi impariamo a spezzare il pane e a condividere la Parola con tutte le genti, con tutti i popoli che formano l’unico popolo di Dio per il quale Cristo ha dato la vita.
-          A Pentecoste, possa Dio trovarci svegli e pronti a vivere l’avventura cristiana dell’universalità nello Spirito del Risorto.
Il vangelo di oggi è tratto dal 2° discorso dell’ultima cena, ma con tagli non giustificabili che rendono complicata la spiegazione. ci limitiamo ad alcune suggestioni.
1.      Quattro sono i verbi importanti del vangelo odierno: inviare (gr.: pempo), soffiare (gr.: emphysào), ricevere (gr.: lambàno) e rimettere/perdonare (gr.: aphìemi). Gesù si dichiara «inviato», in aramaico «shaliàh». Il termine indica un «incaricato/plenipotenziario» che porta un messaggio in nome di qualcuno. Oggi si direbbe un diplomatico. La «shalùt» è la missione da recapitare. Un sinonimo lo si trova nell’AT nel termine «Servo», che è un altro titolo onorifico attribuito a chi è incaricato da Dio per eseguire un compito speciale: prototipo ne è il famoso e misterioso personaggio del «Servo di Yhwh» di Isaia (Is 42,1-7: 49,1-6; 50,4-9 52,13-53,12) che assume su di sé il compito di annunciare alle nazioni la salvezza di Dio e di prendere su di sé il male del mondo intero, offrendo in dono la sua stessa vita. Nel NT Giovanni Battista è lo «shaliàh – messaggero» (cf Mc 1,2-3) che precede il Messia perché la sua missione è quella di indicarlo a coloro che lo aspettano, ma non riescono a individuarlo, perché egli viene in forme e modi inusuali e inaspettati[17].
2.      Gesù è l’«Inviato» e quindi non si appropria di prerogative non sue: il Padre ha sempre il primo posto nella sua vita e nelle sue scelte (Gv 14,18) e il motivo sta nel fatto che lui e il Padre sono una cosa sola (Gv 10,30): è l’identità che nasce dall’amore. Egli assume per sé questo titolo che è insieme onorifico e gravido di responsabilità perché riprende la missione liberatoria di Mosè che Dio gli diede con l’investitura del roveto ardente: «Dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha inviato da voi”» (Es 3,14). Con Gesù riprende l’avventura dell’esodo non più verso una terra promessa, ma verso una umanità nuova che si compirà nel regno di Dio. Nel NT il termine «Shaliàh» è tradotto con «apostolo» che deriva da «apo-stèllo» col significato di «io invio/mando».
3.      Gesù compie il gesto di alitare/soffiare, ripetendo quello di Yhwh (Gen 2,7) nel momento di dare vita ad Adam, essere di terra, anzi di polvere del suolo, cioè essere leggero e superficiale. In questo essere tanto fragile che basta un soffio per farlo cadere a terra, Yhwh insuffla il suo spirito e l’Adam di creta respira la vita attraverso l’alito creatore diventando così la somiglianza di Dio sulla terra. L’evangelista usa lo stesso termine greco della Lxx per rappresentarci che Gesù non è solo un Inviato, ma è Dio stesso che ora ri-crea l’uomo nuovo compiendo lo stesso gesto creatore del «principio». Ora però c’è qualcosa di nuovo e di più. Nella Genesi, l’Adam che viene animato è un pupazzo di creta, inerte e assente: una materia passiva nelle mani di Dio. Gesù invece offre lo Spirito a persone consapevoli e coscienti e lo partecipa come un amico può fare con altri amici, come lui stesso aveva detto: «Non vi chiamo più servi…ma ho continuato a chiamarvi amici» (Gv 15,15).
4.      In questo rapporto di condivisione e di corresponsabilità, Gesù offre agli amici con il suo Spirito anche un potere grande che appartiene solo a Dio: il perdono che deve diventare il sigillo e l’emblema della nuova comunità, riunita attorno al risorto. Perdonare è un atto creativo perché recupera all’amore anche ciò che appare perduto e che forse è perduto. In Dio la giustizia si identifica con il perdono per cui Dio è giusto perché perdona. In questo veramente Dio non è umano: «perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira» (Os 11,9) e ancora in Isaia: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9).
5.      Il testo del vangelo di oggi non può essere ridotto a riferimento fondativo dell’istituzione del sacramento della penitenza o confessione perché significherebbe impoverirlo: il perdono, infatti, esprime la caratteristica della Chiesa in quanto corpo di Cristo. Se è vero che l’amore è il comandamento (v. omelia della domenica 6a Anno-A) distintivo della nuova alleanza, ne consegue che il perdono è il sigillo del comandamento: come si può amare senza perdonare?[18].
Oltre i verbi, una sostantivo emerge su tutte nel brano del vangelo: consolatore. Ne abbiamo accennato nella domenica 6a del tempo pasquale-C, rimandando ad oggi l’approfondimento del significato e della funzione del «Consolatore». Il termine consolatore deriva dal greco «paràkletos – paràcleto/paràclito» che sia nella tradizione biblica che giudaica, compresi Giuseppe Flavio e Filone, ha sempre il significato di intercessore e consigliere. Nel testo ricorre 2 volte (vv. 16 e 26). In tutto il NT ricorre solo 5 volte e soltanto in Gv, di cui quattro volte nei discorsi di addio (14,16.26; 15,26; 16,7; 1Gv 2,1), mentre nella Bibbia greca della Lxx si trova 2 volte (Gb 16,2; Zac 1,13). Ciò significa che il termine è esclusivo di Gv il quale gli attribuisce una importanza particolare che dobbiamo tentare di capire.
Il verbo base è il verbo «kalèo – io parlo/chiamo». Da questo stesso verbo si forma sia la parola «paràcleto/consolatore» sia il termine «ekklesìa/chiesa»[19]. Da questo concludiamo che «Consolatore/Spirito» e «ekklesìa/chiesa» pertanto  hanno la stessa matrice e quindi un significato di fondo in comune che definisce anche le rispettive funzioni[20]. In epoca patristica assunse anche il significato più specifico di «consolatore». Il termine greco è un composto dalla preposizione «parà» e dal verbo «kaléo» e significa «chiamo, invito, nomino in favore di… o a nome di…» da cui anche «prego, invito, esorto, consolo». Il termine greco trasportato in italiano è diventato «paràclito» assumendo anche il significato logico di «avvocato». 
In 1Gv 2,1 «paràclito» è un attributo di Gesù, qualificato come giusto: «se qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto». Tutte le altre quattro occorrenze sono riferite allo Spirito Santo come è detto espressamente al v. 26. Perché? Nella risposta a questa domanda risiede la comprensione della festa della Pentecoste cristiana.
Lo Spirito Santo è dato in abbondanza ed è dato «ad ogni carne» perché tutti devono sapere che Gesù è stato condannato ingiustamente e ha subito un processo nullo perché basato su false testimonianze (Mc 14, 55-56.59; Mt 26,59-60; Lc At 6,13). Secondo il diritto sia giudaico che romano, il processo deve essere rifatto perché una ingiustizia giuridica è stata consumata a donno di un innocente. Gesù non può più essere tradotto in tribunale perché egli ora è assente nel corpo e non può essere giudicato.
Questo compito spetta ai discepoli che nel 2° discorso dell’ultima cena sono messi di fronte alla situazione di odio e di persecuzione cui andranno incontro (Gv 15,18-27; At 8,1; 9,1; 17, 5, ecc.; 1Ts 3,3; Rom 8,18; Fil 1,29; Col 1,24; 1Pt 4,14-16; Gc 1,12; Ap 5,4). La «ekklesìa» è un tutt’uno con il suo Signore perché è la «sposa dell’Agnello» (Ap 21,2.9; 19,7). Cristo è «il capo», la chiesa «il suo corpo» (Ef 3,23; Col 1,18.24). In questo regime sponsale, il compito della Chiesa nel mondo è uno solo: pretendere di essere riconosciuta come «carne» del suo Sposo-capo ed esigere di essere tradotta nei tribunali in attuazione del mandato del Signore che impone di non preparare alcuna difesa perché parlerà lo Spirito Santo, il Consolatore/Avvocato: «Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire» (Lc 12,11-12; Gv 14,26). La Pentecoste è dunque il ristabilimento della verità riguardo a Gesù e la coscienza della missione che ora diventa «testimonianza».
Il rapporto tra la Chiesa e il mondo, specialmente con il mondo del potere, può essere solo un rapporto antitetico, inconciliabile: mai la Chiesa può accordarsi con il potere del mondo e tanto meno può chiedere privilegi, perché la Chiesa deve essere giudicata dal mondo al posto di Gesù e questo nuovo giudizio deve convincere il mondo della sua superbia e dell’innocenza di Gesù che non si è sottratto all’ingiustizia, ma l’ha accettata su di sé donando la sua vita per i suoi carnefici, cioè il mondo intero (Lc 23,34).
Quando la Chiesa va a braccetto con il potere (politico, economico, militare) tradisce la sua missione essenziale, cessa di essere «la sposa dell’Agnello» per diventare soltanto una prostituta occasionale che non svende solo se stessa, ma anche l’innocenza del suo sposo e capo, barattata per meno di trenta denari. Quando la Chiesa è riverita, osannata, circuita, omaggiata dagli uomini di potere è segno che ha già oltrepassato il confine del degrado spirituale, rinchiuso lo Spirito Santo nella vetrina degli ammennicoli ornamentali e privilegiato l’istituzione sulla profezia e sul martirio. La vocazione della Chiesa è il «martirio» nel senso etimologico della parola: dare la vita in testimonianza per il suo Signore[21].
Pentecoste è l’annuncio universale che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza del corpo che è la Chiesa, la quale deve essere cosciente di essere solo uno strumento docile al fuoco dello Spirito con il quale incendiare il mondo. Se, però, la Chiesa usa i metodi del mondo e si adegua al suo stile, essa è un pericolo per il mondo, uno ostacolo alla conversione e pietra di scandalo per i deboli. Inutile.
Alla luce dei testi della liturgia di Pentecoste e in modo particolare dei verbi del vangelo (inviare, soffiare, ricevere e perdonare) e del loro significato è facile cogliere l’ecclesiologia missionaria del popolo di Dio: la Chiesa non è fine a se stessa perché essendo «inviata» è nell’ordine degli strumenti in quanto una volta consegnato il messaggio e compiuta la missione, non ha più ragione di esistere. La sua natura finale è di scomparire, come il sale la cui funzione è scomparire e può salare perché scompare (cf Mt 5,13). Nello stesso tempo, la Chiesa deve avere una struttura agile e snella perché deve essere più vicina alla tenda che si monta e si smonta in un batter d’occhio che alla casa in muratura che resta immobile e inamovibile: la sua natura è pellegrina e ha l’esodo nel sangue[22]. La coscienza dell’«inviata» impedisce alla Chiesa di identificarsi con il Regno di Dio e quindi di cercare bracci secolari che ne supportino la sua presenza nella storia. La chiesa, nel giorno di Pentecoste sa di essere solo «un sacramento» (Lumen Gentium, 1): niente di più e niente di meno di un «segnale» che indica la strada senza possederla.
A Pentecoste è la Chiesa che entra a servizio del mondo, non il contrario. Il rapporto tra la Chiesa e il mondo può solo essere un rapporto di servizio. Solo col mondo del potere il rapporto della Chiesa deve essere antitetico e inconciliabile: mai la Chiesa può accordarsi con il potere del mondo e tanto meno può chiedere privilegi, perché la Chiesa deve essere giudicata dal mondo al posto di Gesù e questo nuovo giudizio deve convincere il mondo della sua superbia e dell’innocenza di Gesù che non si è sottratto all’ingiustizia, ma l’ha accettata su di sé donando la sua vita per i suoi carnefici, cioè il mondo intero (Lc 23,34).
A Pentecoste si rinnova l’alleanza nuova, perché Gesù stesso è l’alleanza eterna il cui Spirito si fa «Consolatore/Avvocato/Difensore» di coloro che accettano di ripercorrere le vie del mondo per convincere gli uomini e le donne di tutti i tempi a farsi trascinare nei tribunali per testimoniare in favore di Gesù il Giusto e per ristabilire la verità dell’umanità stessa che prendendo coscienza del suo errore possa convertirsi ed entrare nel «mistero/verità» della vita che è la persona stessa di Gesù di Nazareth, l’uomo nuovo, il Figlio di Dio, il cui Spirito respira in ciascuno di noi.
 
Professione di fede. Rinnoviamo le promesse battesimali, memori del sacramento del battesimo, dove per noi si è compiuta la discesa dello Spirito Santo che ci ha abilitati alla celebrazione dell’Eucaristia. Le promesse hanno una struttura trinitaria nella quale siamo invitati ad immergerci col cuore.
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre?           Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna?     Credo.
[Insieme] Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede nella quale siamo stati battezzati. Noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.
Preghiera dei fedeli
LITURGIA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
CAPPELLA MUSICALE: Presentazione delle offerte: ORGANO
LITURGIA EUCARISTIACA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico] 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                                    Benedetto nei secoli il Signore.
Preghiamo (sulle offerte).Manda, o Padre, lo Spirito santo promesso dal tuo Figlio, perché riveli pienamente ai nostri cuori il mistero di questo sacrificio, e ci apra alla conoscenza di tutta la verità. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio di Pentecoste - Ringraziamo il Padre per lo Spirito che dona ai suoi figli di adozione

Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
«Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano» (At 2,2).
Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito santo, che agli albori della Chiesa nascente ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli, e ha riunito i linguaggi della famiglia umana nella professione dell’unica fede.
«Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito santo» (At 2,3-4). Osanna nell’alto dei cieli.
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale, l’umanità esulta su tutta la terra, e con l’assemblea degli Angeli e dei Santi canta l’inno della tua gloria:
 
Alessandra Vavasori (1969, vivente):Missa “Venite, exultemus Domino” - SANCTUS
[Se non c’è la Cappella l’Assemblea prosegue:]
Osanna al Figlio di Davide. Benedetto nel Nome del Signore colui che viene. Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
«Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! La terra è piena delle tue creature. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104/103, 24.30).
Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«La gloria del Signore è per sempre; gioisca il Signore delle sue opere» (Sal 104/103,31).
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5,25).
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
 Quanto il Signore ha ordinato, noi faremo e ubbidiremo (cf Es 24,7)
MISTERO DELLA FEDE.
«Benedici il Signore, anima mia, Signore, nostro Dio, quanto sei grande!» (Sal 104/103,1).
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
 «Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8).
Ti preghiamo: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
«Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito santo» (At 1,1-2).
Memoria dei Volti e dei Nomi sulla terra
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa …, il Vescovo … le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Gesù prega il Padre che ci dà un altro Consolatore perché rimanga con noi per sempre e  il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manda nel suo nome, ci insegna ogni cosa e ci ricorda tutto ciò che il Signore ci ha detto (cf Gv 14,16.26).
Memoria dei Volti e dei Nomi nella Gerusalemme celeste
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Noi ti amiamo, Signore e con l’aiuto dello Spirito Paràclito osserviamo la tua parola e vogliamo essere la dimora, la Shekinàh della santa Trinità (cf Gv 14,23).
Memoria dei credenti di ogni tempo
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Noi non abbiamo ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma abbiamo ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre” (Rom 8, 15).
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA’ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli
Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit?abed re?utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear?a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta?alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13): Riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:

Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hemôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthèto he basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genethêto to thelemàsu,
come in cielo così in terra.
hos en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hemôn tòn epiùsion dòs hemîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hemîn tà ofeilêmata hemôn,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hos kài hemêis afêkamen tôis ofeilètais hemôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkeis hemâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hemâs apò tû ponerû. Amên.

 
 
CAPPELLA MUSICALE
Alessandra Vavasori (1969, vivente):Missa “Venite, exultemus Domino” – AGNUS DEI
Communio: Alessandra Vavasori (1969, vivente):“Venite, exultemus Domino” - Mottetto
[Se non si esegue il canto si proclama:]
 
Antifona alla Comunione Gv 14,16
«Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre». Alleluia.
Dopo la comunione
Dal libro di Rut (1,16-17)
«16 Ma Rut replicò: “Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio. 17 Dove morirai tu, morirò anch'io e lì sarò sepolta. Il Signore mi faccia questo male e altro ancora, se altra cosa, che non sia la morte, mi separerà da te”».
Preghiamo. O Dio che hai dato alla tua Chiesa la comunione ai beni del cielo, custodisci in noi il tuo dono, perché in questo cibo spirituale che ci nutre per la vita eterna, sia sempre operante in noi la potenza del tuo Spirito. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione
Il Signore risorto è con voi.     E con il tuo spirito.
Il Signore risorto che alita su di noi il suo Spirito di vita, ci benedica ora e sempre.
Il Signore risorto che invia la Chiesa nel mondo, ci nutra del suo amore per il mondo.
Il Signore risorto che vi dona il Paràclito come sua eredità, vi disseti con il suo Spirito.
Il Signore risorto che è presente nella santa Assemblea, ci sveli il suo cuore.
Il Signore risorto che dona lo Spirito ad «ogni carne», aumenti in voi la fede in lui.
Il Signore risorto che dona lo Spirito nel battesimo, sia davanti a noi per guidarci.
Il Signore risorto che santifica con lo Spirito, sia dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore risorto che chiama i popoli al monte dello Spirito effuso a Pentecoste,
sia accanto a noi per confortarci e consolarci.
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo discenda su di voi, sui vostri cari e vi rimanga sempre. Amen.
 
Termina l’Eucaristia, sacramento memoriale del Signore risorto, comincia ora la Pasqua della nostra vita sacramento di testimonianza in ogni giorno. Andiamo nella fortezza della Spirito di Gesù Alleluia, alleluia.
Ti rendiamo grazie, Signore Risorto, perché resti con noi ogni giorno. Alleluia, alleluia.
Dal Sermone per la Pentecoste di Sant’Efrem Siro(306-373)
Gli apostoli erano lì, seduti, in attesa della venuta dello Spirito. Erano lì come fiaccole pronte e in attesa di essere illuminate dallo Spirito Santo per illuminare con il loro insegnamento l'intera creazione... Erano lì come agricoltori che portano la semente nella falda del loro mantello in attesa di ricevere l'ordine di seminare. Erano lì come marinai la cui barca è legata al porto del Figlio e che attendono di ricevere la brezza dello Spirito. Erano lì come pastori che hanno appena ricevuto il bastone del comando dalle mani del grande Pastore dell'ovile e aspettano che siano loro distribuite le greggi...
O Cenacolo, nel quale venne gettato il lievito che fece fermentare l'intero universo! Cenacolo, madre di tutte le chiese! Grembo meraviglioso che ha generato templi per la preghiera! Cenacolo che vide il miracolo del roveto ardente! Cenacolo che stupì Gerusalemme con un prodigio ben più grande di quello della fornace che meravigliò gli abitanti di Babilonia!
Il fuoco della fornace bruciava coloro che erano attorno, ma proteggeva coloro che erano in essa. Il fuoco del Cenacolo raduna coloro che dal di fuori desiderano vederlo, mentre conforta quanti lo ricevono. O fuoco la cui venuta è parola, il cui silenzio è luce! Fuoco che fissi i cuori nell'azione di grazie!
 
 
Uscita: ORGANO
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© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica  
Paolo Farinella, prete – 12/06/2011 – Parrocchia S. M. Immacolata e San Torpete – Genova 
Solennità di Pentecoste A-B-C. Liturgia accompagnata dalla Accademia dei Virtuosi, ensemble musicale della Scuola Giuseppe Conte di Genova e Cappella Musicale della Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete.
 
OGGI E’ IL GIORNO DEI 4 REFERENDUM: UN IMPEGNO DI CIVILTA’ COME CITTADINI, UN DOVERE DI FEDE COME CRISTIANI. NON POSSIAMO TOLLERARE CHE IL GOVERNO DECIDA SULLA VITA E SULLA MORTE DEI CITTADINI SPINTO SOLTANTO DA INTERESSI ECONOMICI PER SE’ E I COMPLICI DI BERLUSCONI.
 
VOTARE 4 «SÌ» SIGNIFICA ANCHE ALLONTANARE LA SCIAGURA SPETTRALE DI BERLUSCONI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: SAREBBE LA FINE DI OGNI DECENZA. NON POSSIAMO TOLLERARLO. NON POSSIAMO PERMETTERLO.                VOTIAMO 4 «SÌ».
 
Domenica 26 giugno ore 10,00 in San Torpete: Festa del Corpus Domini: «Missa Brevis Scti. Joannis De Deo» di Franz Joseph Haydn (1732-1809), eseguita dal coro «I Phunamboli», diretti dal M°. Maria Collien.


[1] Missa «Venite, exultemus Domino» di Alessandra Vavasori, in prima esecuzione mondiale. La Messa è composta appositamente per la Cappella Musicale della Chiesa di San Torpete, «Accademia dei Virtuosi», ensemble musicale della Scuola Giuseppe Conte di Genova-Pegli. Sull’origine della Messa così scrive la stessa autrice: «Un giorno l’amico Luca Franco Ferrari, con cui avevo avuto il piacere di fare bellissima musica, mi telefonò e mi chiese: “Visto che ti abbiamo sentito cantare e suonare e che il tuo repertorio è ampio, adesso che studi composizione perché non scrivi una messa per la Cappella Musicale di San Torpete?” . Lì per lì credevo fosse uno scherzo, ma Luca diceva sul serio. Accettai con gioia la commissione e l’invito ad esprimermi in veste di compositrice. La richiesta era per la celebrazione della funzione di Pentecoste, una festività impegnativa e nel contempo ancora sotto l’energia della Risurrezione. Così pensai alle potenzialità vocali degli amici dell’Accademia dei Virtuosi e ad un accompagnamento anomalo e un po’ diverso dal solito: un contrabbasso, l’organo e le percussioni. Studiando il Liber Usualis decisi che lo spunto che meglio avrebbe espresso la gioia della Risurrezione e la potenza dello Spirito Santo da quando l’uomo emise la sua prima manifestazione di esaltazione poteva provenire dai salmi alleluiatici della festa di Pentecoste, e nella fattispecie il Salmo 95/94. Da questo punto di partenza, ecco quindi prendere forma il Kyrie, che dovrebbe dare il senso della supplica e al tempo stesso della fermezza, con cui dare e chiedere pietà. Decisi di introdurre il testo con un tema fugato che sfociasse in un Christe singhiozzante e disperato, sottolineato dalle pause in sincope, per poi tornare nuovamente al Kyrie, questa volta più forte, concluso da un unicum vocale spiegato, preceduto da reiterati cromatismi su accordo semplice. Per il Gloria, composto tutto d’un fiato, volevo qualcosa che offrisse subito un rimando etnico, un “ricordo dei tempi”, l’esaltazione tribale di quell’espressività umana che, attraverso il ritmo e la voce quasi urlata, si inchinava alla grandezza degli eventi. Ecco quindi spiegato il ritmo reiterato e ipnotico del contrabbasso (suono scuro, terreno) che introduce e accompagna il secondo brano dell’Ordinarium Missae esu cui si inserisce la giubilante intonazione del Gloria nell’alto dei cieli. Per sottolineare maggiormente tutto questo, era necessaria una contrapposizione “celeste” attraverso l’inserimento di un paio di momenti in cui il coro – a ranghi ridotti – canta a cappella, quasi a dar voce alle schiere angeliche. Ero riuscita così, alemno lo spero vivamente, a rappresentare quel particolare “macrocosmo” interiore tanto caro anche ad Hildegard von Bingen (1098-1179) di cui la Cappella ha già eseguito la «MESSA PER IL MONASTERO DI RUPERTSBERG». In questo modo tra la visceralità terrestre e il sublime del cielo si colloca l’elemento di congiunzione: l’uomo. Nulla meglio di un eco di canto gregoriano può rappresentare la nostra tradizione cristiana Ho voluto connotare il Sanctus con la maestosità che spetta al Dio tre volte Santo della visione del profeta Isaia (cf Is 6,3). Le prime battute accolgono e sospingono alla preghiera, mentre il successivo “pleni sunt”, festoso e in una tonalità ardita rispetto a quelle precedenti, sfocia in un Hosanna di ispirazione barocca. Per il Benedictus, che ho trattato come momento cardine del Sanctus, ho pensato a Mozart e alle sue arie concertate. Lo strumento concertante è il contrabbasso, che con le sue profonde sonorità esalta ed eleva il canto del soprano, il tutto sostenuto da un semplice basso continuo affidato all’organo. Come spesso la tradizione sei-settecentesca prevedeva, l’Agnus Dei riprende il tema del Kyrie. Il mottetto “Venite, exultemus domino” propone inizialmente l’incipit gregoriano tratto dal liber usualis in modo che i fedeli, dopo averlo ascoltato per un paio di volte, possano partecipare con il loro canto assembleare a quello del coro. Non è volutamente un brano complesso, poiché il momento della comunione è quello della riflessione, del dialogo intimo con Dio e una composizione troppo elaborata avrebbe potuto distrarre l’assemblea da tutto questo. Ringrazio Don Paolo Farinella e il M°. Calogero Farinella, Direttore Artistico dei “Concerti di San Torpete”, che mi accolgono in San Torpete nella Domenica di Pentecoste dell’anno 2011 per la prima esecuzione mondiale della mia Missa, e che, insieme al M.° Luca Franco Ferrari e agli esecutori tutti, con stima e affetto mi hanno offerto la possibilità di coniugare la “Musica Bella” con la Bellezza intrinseca della Liturgia che, a Pentecoste, raggiunge l’apice della potenza della Risurrezione pasquale che esplode nello Spirito Santo, dato ad ogni essere vivente di oggi, di ieri e di domani.
[2] Alessandra Vavasori, mezzosoprano. Diplomata il Organo e Composizione organistica,Canto gregoriano e musica prepolifonica e Clavicembalo (col M° S. Vartolo e massimo dei voti) presso il Conservatorio “ B. Marcello “ di Venezia, ha poi conseguito il diploma di Canto presso il Conservatorio “ L. Campiani “ di Mantova. Presso il Conservatorio “A. Vivaldi” di Alessandria mentre si sta specializzando in Canto Interpretativo con R. Ristori, studia composizione con A. Galanti. Ha iniziato lo studio belcantistico col M°. P. Vaglieri. Numerosi Master Internazionali le hanno consentito di confrontarsi con maestri di fama indiscussa quali: A. Curtis, R. Alessandrini, C. Stembridge, A. Marcon, B. Leighton, M. King, U. Forni, C. Ansermet. Ha vinto borse di studio presso la Fondazione “ G.Cini” di Venezia (canto e organo), e a Neuburg an der Donau per il canto; ancora nel 1997, con C. Miatello e U. Forni, vince una borsa di studio per l’approfondimento della musica veneta nel sec. XVIII. Debutta nel 1998 con “Le nozze di Dorina” nel ruolo di Dorina di B. Galuppi cui segue il ruolo di Lena ne “Il Filosofo di campagna” dello stesso compositore con la regia di Enzo Dara. Nel 1999 vince il I° premio al Concorso internazionale “L. Marenzio”. Come solista è stata interprete di ruoli in prime assolute in tempi moderni e ospite in trasmissioni radiofoniche come rai radio 3. Come solista vocale e strumentale ha partecipato a festival e stagioni concertistiche in Italia e in Europa: Trento Musicantica, Medioevo e oltre, Piemonte musica, Feste musicali Bolognesi, Festival Monteverdi, Festival Lodoviciano…; Polonia, Austria, Germania, Francia, Malta. Ha collaborato con direttori quali Radulescu, Vartolo, Desideri, Clemencic, Fasolis, Fussneger, Ayrton, Oren. Nutrito é il repertorio sacro e profano dal medioevo ai giorni nostri, con particolare riguardo al periodo rinascimentale e barocco. Come artista del coro ha collaborato con il teatro “ G.Verdi” di Trieste, Arena di Verona, Regio di Parma, Carlo Felice di Genova. Ha inciso per Musica Rediviva, Tactus, Brilliant Classic.
[3] Per un approfondimento del «mistero pasquale» v. Festa dell’Ascensione – Anno-C, Introduzione.
[4] V. sotto, nota 13.
[5] Non sappiamo quando, ma nel Medio Evo iniziò l’usanza di chiamare la festa di Pentecoste col nome «Pasqua delle rose». Il colore rosso della rosa ed il suo profumo erano facili simboli delle lingue di fuoco che discesero nel Cenacolo su ciascuno dei presenti come tanti petali di rosa. Alla luce di questa simbologia la liturgia adottò il colore rosso non solo per la festa, ma anche per tutta l’Ottava. In questo modo Pentecoste era equiparata alla Pasqua. Durando di Mende (1286-1292)nel suo Rationale divinorum officiorum, prezioso per gli usi liturgici del Medio Evo, annota che nel sec. XIII nelle Chiese, alla Messa di Pentecoste, si liberavano alcune colombe che volteggiavano al di sopra dei fedeli, a ricordo della prima manifestazione dello Spirito Santo sul Giordano e contemporaneamente dalla volta si buttavano sui fedeli batuffoli di stoppa infiammata insieme a fiori, a ricordo della discesa dello Spirito nel Cenacolo (Cf Prosper Guéranger, dom, L’anno liturgico. II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Edizioni Paoline, Alba, 1959, 273).
[6] Rut è bisnonna di Davide, dal cui casato discende il Messia (cf Mt 2,6).
[7] Ez 11,19-20: «19 Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, 20 perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio». Ez 36,24-27: «24Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. 25Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; 26vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 27Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi».
[8] La Bibbia Cei del 1974 traduce con il neutro e riduttivo «spirò», mentre una piccola apertura si nota nella 2a edizione del 1997 traduce «rese lo spirito», ma senza rendere ancora la pregnanza del testo greco che con «parèdoken ton pneûma» esprime l’atto della «paràdosis – consegna» solenne e ufficiale: è l’investitura di Cristo che affida il suo Spirito.
[9] La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
[10] Scegliamo la colletta della vigilia che si sembra più adatta alle letture e al senso generale della liturgia di oggi, riportando qui di seguito la colletta propria: «O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondi sino ai confini della terra, i doni dello Spirito santo e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo nei secoli dei secoli. Amen».
[11] Esplicito riferimento ai popoli elencati nella tavola dei popoli di Gen 10,1-37.
[12] Tra i più agguerriti nemici del concilio Vaticano II stanno i seguaci dello scismatico Marcel Lefebvre che perseguono l’obiettivo di fare cancella il Vaticano II dagli annali e dalla memoria della Chiesa. Anche per reclutare costoro il papa ha promulgato il motu proprio «Summorum Pontificum» con liberalizza la messa preconciliare senza alcuna condizione previa, nemmeno quella di riconoscere il concilio come massima autorità nella Chiesa. Seguono altri gruppi, ordini e istituti religiosi, impostati su schema militare anche nel nome: «Milites Christi, Legio Mariae, Legionari di Cristo, ecc.» che si danno il carisma di appropriarsi del mondo in nome della religione, una religione di altri tempi: non a caso si rifanno tutti ad una teologia pre-conciliare e combattono il concilio ecumenico Vaticano II come un castigo di Dio e considerano Paolo VI eretico. Grande è la responsabilità del papa Giovanni Paolo II che concesse indiscriminatamente libera cittadinanza a questi gruppi, riconoscendoli e, spesso, concedendo loro una enorme autonomia con facoltà di razzia, favorendo così la creazione di «chiese e chiesuole» all’interno della Chiesa. Molto più grande è però la responsabilità di Benedetto XVI che autorizzò indiscriminatamente a saccheggiare il concilio Vaticano II generalizzando il ricorso alla messa preconciliare con la semplice motivazione della nostalgia da parte di singoli e gruppi immaturi e malati.
[13] E’ importante mettere in evidenza questo aspetto della risposta di Israele che non s’impegna soltanto ad eseguire le parole del Signore, ma accoglie la Toràh prima ancora di sapere cosa c’è scritto. Il testo ebraico e il testo greco della Lxx lo evidenziano e anche noi dobbiamo farlo perché esprime un rapporto profondo che la letteratura ebraica fa rifiorire. Israele prima la mette in pratica e poi se ne domanda la ragione: (ebr.) «‘asher dibèr Adonai ne’hassèh wenishmà’» che la Lxx traduce con «Pànta hòsa elàlesen Kýrios poiêsomen kài akousòmetha» (Sul rifiuto dei popoli e l’accoglienza d’Israele, cf Sifre Deuteronomio 343; L. Ginzberg, Le leggende degli Ebrei, IV. Mosè in Egitto, Mosè nel deserto, Adelphi, Milano 2003: l’intero racconto pp. 199-201; le fonti alla nota 181 a p. 320).
[14] L’elenco di At 2 richiama la tabella dei popoli di Gen 10,1-32 che verranno dispersi nell’episodio di Babele e che ora tornano di nuovo a comprendere la Parola di Dio.
[15] I due testi in A.C. Avril-P. Lenhardt, La lettura ebraica della Scrittura, Qiqajom, Magnano 19892,86-87. Allo stesso modo si esprime Ambrogio: «Semel locutus est Deus, et plura audita sunt/Dio parlò una volta sola e furono udite molte [parole]»(In Psalmo LXI, n. 33-34 [PL, XIV, 1180 C]; cf Origene, In Romanis, VII,19 [PG XIV, 1153-1154]; Id., In Lucam, Hom. 34 [PG 199-200]; Agostino, In Psalmo LXI, n.18 [CCL = Corpus Christianorum, series Latina, Turnholti 39, 786]). Per la tradizione secondo cui la terra era abitata da 72 popoli che parlavano 72 lingue (v. tabella dei popoli in Gen 10), cf l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico, molto antico, La Caverna del Tesoro, 24,18, in E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, Casale Monferrato 20022, 73). 
[16] A Corinto, i cristiani erano divisi e davano ai pagani spettacolo di scandalo e Paolo dovette intervenite per dire che la porzione di Spirito presente in ciascun credente non è per la realizzazione personale, ma per l’utilità comune, per il bene comune (1Cor 12,1-13,13). Noi siamo parte di un tutto, noi siamo porzioni di un unico chiamati ad essere costruttori di pace, cioè coloro che edificano l’unità.
[17] Per questo motivo, Gesù lo paragona ad Elia (Mt 11,14), il profeta che secondo la tradizione giudaica avrebbe preceduto il Messia (Mt 17,10). Ancora oggi, nella preparazione del rito della Pasqua (Seder Pesàch) si lascia un posto vuoto perché Elia potrebbe presentarsi nelle sembianze di un povero e di uno sconosciuto e si la cena si chiude bevendo la quarta coppa di vino, la «coppa di Elia» che chiude il rito col sapore della speranza del Messia (cf Veglia pasquale del Sabato Santo, anno-A, Introduzione sulle «quattro coppe». Anche Gesù viene da alcuni scambiato per il profeta Elia (Mt 18,14).
[18] «La misericordia è il perdono dato gratuitamente senza ricevere alcuna contropartita: è equivalente di «agàpe». Essa esplicita il senso di «giustizia» della beatitudine precedente perché «le prescrizioni più gravi della Legge sono: la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23). In questo contesto, il misericordioso non è soltanto colui che esercita il perdono in sommo grado (aspetto etico), ma anche e colui che esercitando il perdono si fa carico del peso altrui e delle conseguenze che appesantiscono l’altro, come la sua fame, la sua sete, i suoi bisogni. San Paolo dirà: «Portate i pesi gli uni degli altri; così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,2)» (Omelia della Domenica 4a del Tempo Ordinario-A). «La natura di Dio è il perdono. Si potrebbe dire con una frase ad effetto: se Dio è Dio, non può che perdonare, oppure perdonare è il mestiere che Dio si è dato da tutta l’eternità. Le letture infatti ci parlano della natura di Dio e della sua identità: come si riconosce il Dio della Bibbia? Quante volte noi diciamo: se Dio ci fosse! Perché Dio non si fa vedere? Se desse un segno della sua presenza, gli uomini crederebbero, e via di questo passo. Siamo ciechi e non vediamo ciò che è semplice ed evidente: Dio è presente nel perdono. Dio è il Perdono. Ogni volta che una persona compie un gesto o dice una parola di perdono, manifesta Dio in modo eminente e sovrabbondante. Etimologicamente «perdonare» è formato da un prefisso «per-» che esprime pienezza e abbondanza e il verbo «donare»: il verbo composto pertanto significa «donare completamente/del tutto, donare in sommo grado/in abbondanza». In altre parole «perdonare» è il verbo «donare» al superlativo. San Tommaso, rifacendosi ad alcuni testi del NT (Ef 4,32; 2Cor 2,10) afferma che nel perdono Dio esercita un potere superiore a quello della creazione perché il dono per eccellenza è il perdono (S. Th., II-II,113,9, sc.)» (Domenica 24a Tempo Ordinario-C, Introduzione, compresa la nota 1, qui non riportata).
[19] Aggiungendo a questo verbo la preposizione «parà-» che indica vicinanza, prospettiva, si ha il significato di «invito/conforto» da cui consolatore, mentre aggiungendo la preposizione «ek-» che indica origine/provenienza si ha il termine «ekklesìa - chiesa» che derivando quindi da «ek-kaléo» nel senso proprio di «chiamo/invito da… [ parte di Dio]». L’ekklesìa è la radunata/convocata/riunita da Dio che è costituisce il fondamento e l’origine. 
[20] Nel sistema giudiziario semitico, il «consolatore» è una figura giuridica e richiama quella dell’AT del «go’el-vendicatore/riscattatore/redentore». Quando uno veniva deferito in giudizio davanti agli anziani radunati alla porta della città, se uno dei giudici, stimati e autorevole, si fosse alzato e andasse a collocarsi «accanto» all’imputato, senza nemmeno proferire una sola parola, quell’uomo era salvo sulla garanzia sìdi colui che «ri-»vendicava la sua innocenza sul suo onore e la sua credibilità. La figura del «paràclito» è dunque una figura stimata per la sua dirittura e autorevolezza che tutti gli riconoscono: un uomo il cui giudizio è inappellabile e in questo senso ha una valenza giudiziaria particolare. In questo contesto il «consolatore/redentore» è anche «avvocato» perché prende le difese di qualcuno e testimonia in suo favore. L’affinità semantica tra «ek-klesìa» e «parà-clito» non è solo linguistica, ma anche funzionale di reciprocità che bisogna mettere in luce.
[21] In questa prospettiva, sono segni di poca fede sia i veicoli corazzati con cui si crede di proteggere il papa nei suoi spostamenti, sia le scorte che uno Stato ateo e pagano impone agli uomini di Chiesa che accettano, senza nemmeno fingere un rifiuto. Un vescovo o un prete scortati e per giunta da uomini armati sono un contro-segno e una contro-testimonianza: se lo Stato impone misure preventive, un vescovo o un prete possono sempre rinunciarvi con determinazione perché solo il Signore è la loro roccia, fortezza, scampo, rupe, rifugio, scudo e potenza di salvezza (cf Sal 18/17,3.31.36; 7,11, ecc.). Un vescovo e un prete devono essere disarmati e solo se costituiscono un bersaglio potenziale indifeso, possono essere credibili e rendere credibile quel Dio e quella «Verità» che dicono di annunciare. Essi possono essere anche ammazzati e noi preghiamo che lo siano, se deve accadere, «a causa sua [di Gesù]» (Mt 16,25) e non per altri motivi. Un altro prenderà il loro posto e di martirio in martirio, si compirà sulla terra la Pentecoste dello Spirito che non ci abbandona al nostro destino.
[22] Cf Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, cap. VII: «Indole escatologica della Chiesa peregrinante e sua unione con la Chiesa celeste».


Gioved́ 09 Giugno,2011 Ore: 12:25
 
 
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