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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 5a di Quaresima – A - 10 marzo 2008,di Paolo Farinella, prete

Domenica 5a di Quaresima – A - 10 marzo 2008

di Paolo Farinella, prete

Domenica 5a di Quaresima – A
10 marzo 2008
Con la 5a domenica di Quaresima del ciclo A giungiamo alla 3a tappa degli scrutini catecumenali della chiesa antica, che la liturgia presenta nel tema di oggi: la vita e la risurrezione. Riportiamo in nota per comodità lo schema delle domeniche precedenti nel contesto globale dell’intero cammino catecumenale di Quaresima[1]. Ripetiamo: il ciclo di letture della Quaresima dell’anno-A ha una impostazione catecumenale perché la liturgia riprende le lettura che anticamente accompagnavano la formazione dei candidati al battesimo nella veglia di Pasqua, punto di arrivo della crescita nella fede, ma anche trampolino di lancio verso la pienezza di vita di fede.
La 1a lettura, tratta dal profeta Ezechiele, annuncia l’apertura dei sepolcri e la risurrezione dei morti che riprendono lo spirito «ridato» da Dio perché, essendo finito l’esilio di Babilonia, possano ritornare alla terra d’Israele. Nessuno nemmeno i morti devono restare nella terra della desolazione, ma anche essi parteciperanno all’epopea del nuovo esodo dalla terra di esilio alla terra d’Israele. E’ un tema importante perché quattro secoli a. C. si comincia a parlare, anche se in forma imperfetta, di risurrezione dei morti.
 La 2a lettura tratta dalla lettera di Paolo ai Romani,  va oltre e descrive la tensione tra la carne e lo spirito, in greco «sàrx-pnèuma», dove «sàrx-carne» indica la fragilità che nasce dall’autosufficienza che genera la pretesa di volersi realizzare e salvare da soli. L’«uomo carnale» protòtipo è Adam che in nome della propria realizzazione prova ad usurpare l’autorità di Dio e la sua «signoria». L’«uomo spirituale» invece è chi accetta la propria creaturalità come partecipazione alla vita divina. Il criterio per discerne tra i due criteri tra carne e spirito è la persona di Gesù che è il Cristo per la potenza dello Spirito che lo risuscita da morte per ridonare la vita.
Il vangelo infine descrive nel dettaglio la realizzazione della profezia di Ezechiele: Gesù apre materialmente il sepolcro di Lazzaro e gli ordina di riprendersi la vita. Secondo la tradizione giudaica, Dio ha riservato a sé quattro chiavi: la chiave della pioggia, la chiave del nutrimento, la chiave dei sepolcri e la chiave dell’utero, cioè della vita. Ezechiele e Giovanni oggi sviluppano il tema della 3a chiave, cioè l’apertura dei sepolcri. Aprendo il sepolcro di Lazzaro, Gesù si appropria delle prerogative che Dio aveva riservato a sé e quindi agendo come Dio in persona, annuncia la sua divinità, ponendosi sullo stesso piano di Yhwh.
Insegna la tradizione giudaica che quando Dio vuole punire l’umanità, chiude a chiave le acque superiori e manda la siccità sulla terra (cf Gb 12,15; Ag 1,10 e anche Sal 148,4). Quando vuole benedire, toglie il chiavistello dalle cateratte e manda la pioggia[2] In Gen 30,22 leggiamo: «Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la rese feconda». Quest’ultima frase nel testo ebraico suona così: «e aprì il suo ventre» che il Targum Neofiti commenta riportando una tradizione antica:. La pioggia nella tradizione è diventata simbolo dello Spirito Santo che scende sulla terra come profezia, come Shekinàh/Dimora/Presenza. Per questo il profeta può sperare nella fine della siccità della profezia e della Parola e desiderare che i cieli si aprano e mandino sulla terra la rugiada e la pioggia della Parola di Dio (cf Dt 32,2) che ci educa alla vigilanza sulla sua Dimora/Presenza: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19).
 
«Quattro chiavi sono nelle mani di Yhwh, signore dei secoli. Esse non sono affidate nemmeno a un angelo o a un serafino: la chiave della pioggia, la chiave del nutrimento, la chiave dei sepolcri e la chiave della sterilità. La chiave della pioggia perché è detto: Yhwh aprirà per voi il buon tesoro dei cieli (Dt 28,12). La chiave del nutrimento perché è detto: Tu apri la tua mano e sazi ogni vivente (Sal 145,16). La chiave dei sepolcri perché è detto: Ecco, aprirò i vostri sepolcri e vi farò uscire”. La chiave della sterilità perché è detto: Yhwh si ricordò di Rachele nella sua misericordiosa bontà e Yhwh l’ascoltò la voce della preghiera di Rachele e decise per la sua parola di darle dei figli»[3].
 
La parola «chiave» in ebraico si dice «maftèah» il cui acrònimo o natàriqon[4] dà il seguente risultato:
 mA
=
mitràh
=
Pioggia
f
=
Parnàsa
=
Nutrimento (in ebr. F = P)
tèa
=
Tehiàt hametìm
=
Resurrezione dai morti
h
=
hayyìm
=
Viventi
Yhwh ha riservato esclusivamente a sé queste quattro chiavi perché sono così preziose che non le ha affidato nemmeno ad un angelo. Ora esse sono nella mani di Gesù. In questo modo l’evangelista afferma la sua divinità di Gesù di Nàzaret. I primi cristiani provenivano dal giudaismo e quindi è facile che anche negli ambienti di lingua greca si sia mantenuto qualche ricordo delle tradizioni giudaiche. Della tradizione delle quattro chiavi abbiamo indizi in tutto il vangelo che ci fanno capire meglio certe espressioni di Gesù[5]Con la risurrezione di Lazzaro, morto da «quattro giorni» (Gv 9,17), Gesù si presenta con il creatore, colui che dà la vita perché ha in sé la chiave del sepolcro. La scena è suggestiva, se si pensa alle sepolture ebraiche: la tomba è un vano scavato nel tufo e chiusa davanti da una enorme pietra rotonda (tipo macina da frantoio) che ruota su se stessa: per spingerla sulla scanalatura che la guida, occorro molti uomini. Gesù non apre solo una tomba, ma spalanca il mondo della morte e lo riporta in vita. Partecipiamo anche noi al banchetto della vita che nella Eucaristia trova la chiave della nuova alleanza con: l’antifona d’ingresso (cf Sal 43/42,1-2): Fammi giustizia, o Dio, e difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall’uomo perfido e perverso, perché tu sei il mio Dio della mia difesa..
Spirito Santo, tu apristi i sepolcri per fare ritornare Israele dall’esilio all’alleanza,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’alito di vita che fa rivivere Israele, dopo l’abbandono dell’esilio,       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il riposo che il Signore ha promesso a chi si converte e crede,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il grido che dal profondo sale al Signore e invoca redenzione, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’orecchio attento del Signore che ascolta la voce orante,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sostieni l’anima d’Israele ad attendere il Signore come la sentinella,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei lo Spirito che abita nei cuori dei credenti nel Cristo Signore,                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la forza del progetto di Dio opposto al progetto dell’uomo di carne,     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai risuscitato il Cristo Gesù e dài la sua vita a chi t’invoca,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la risurrezione che il Signore Gesù ha ridato all’amico Lazzaro,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai aperto il sepolcro di Lazzaro, come segno della nuova alleanza,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai mostrato in Gesù che chiama Lazzaro alla vita, il volto di Yhwh,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la risurrezione e la vita che Gesù ci ha annunciato e promesso,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai sostenuto la fede di Marta e Maria perché credessero nel Risorto,        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu confermi la nostra fede nel Signore Gesù morto e risorto per noi, Veni, Sancte Spiritus!
 
Il mondo intero è un sepolcro a cielo aperto che custodisce cadaveri che non fanno più notizia: le guerre «moderne» che fanno vittime solo tra i civili inermi; la sete di petrolio che genera guerra e crea squilibri economici e morte per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale; uno stile di sperperi nel nostro mondo civile, occidentale e cristiano il cui prezzo è pagato dalla vita della sopravvivenza del terzo e quarto mondo; la mancanza di libertà nella Chiesa che diventa paura e quindi connivenza. In questo scenario di morte e di desolazione, si leva oggi la Parola di Dio: la chiave dei sepolcri è nelle mani di Dio. Solo la conversione a lui ci aiuterà a diventare strumenti di vita per tutti e ministri di risurrezione in un mondo in disfacimento. Veramente oggi la speranza non delude. Per questo invochiamo la Santa Trinità:

 (greco)[6]
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito
Nel nostro pellegrinaggio verso la Pasqua siamo giunti all’ultima domenica di Quaresima, il cui tema dominante è l’apertura del sepolcro (1a lettura e vangelo) e la conseguente risurrezione di Lazzaro. Questo tema parte da lontano: quando Dio creò Adam lo fece simile a sé, cioè vivente per sempre. Adam non ritenne ciò sufficiente perché voleva essere non l’immagine vivente del Vivente, ma «il» vivente, il solo. Con la sua scelta rimediò soltanto la fatica di vivere e la morte. Gesù ora riapre il sepolcro e riporta tutto «al principio» perché offre la vita nuovamente a Lazzaro simbolo dell’umanità morta per le sue stesse scelte.Nella celebrazione dell’Eucaristia noi proclamiamo che Dio è il «Dio dei viventi», accogliendo così il dono di partecipare anche noi al «potere della chiave dei sepolcri» perché la nostra missione è partecipare la vita con chiunque incontriamo. Prima di entrare in questa dimensione di Dio, lasciamo allo Spirito di Dio il compito di esaminare e liberare la nostra coscienza da ogni residuo di resistenza.
[ Breve, ma congruo e reale esame di coscienza]
 
Signore, tu sei la roccia d’acqua viva che ci accompagna nel pellegrinaggio della vita,        Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei il pozzo d’acqua viva che disseta con l’acqua della Parola e dello Spirito,       Christe, elèison!
Signore, dal cui cuore scorrono fiumi d’acqua viva, rendici sorgenti di vita per tutti,           Pnèuma, elèison!
Signore che ci fai rinascere dall’acqua e dallo Spirito nella roccia dell’Eucaristia,    Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che ha vivificato le ossa aride della visione di Ezechiele, che ha aperto i sepolcri per fare partecipare anche i morti risorti al ritorno del suo popolo dall’esilio, che in Gesù ha aperto il sepolcro di Lazzaro per anticipare la sua morte e risurrezione, per i meriti di tutti coloro che sono morti e risorti invocando il Nome del Signore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Eterno Padre, la tua gloria è l’uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del tuo Spirito richiamali alla vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura Ez 37,12-14. Ezechiele è un prete deportato insieme i notabili del suo popolo in esilio a Babilonia (597-538 a.C.), dove continua ad esercitare il suo ministero consolatorio per sostenere la speranza del ritorno. E’ un profeta dalla fertile immaginazione. Dalle rive del fiume Kèndar contempla la pianura che si estende davanti a perdita d’occhio e pensando al futuro del suo popolo schiavo, immagina la pianura come un immenso cimitero all’aperto dove i suoi connazionali si essiccano al sole e al vento. Restano solo le ossa essiccate, la parte più intima e al tempo stesso più resistente del corpo. Il profeta sogna ad occhi aperti la rianimazione di questi ossari per intervento diretto da Dio da cui trae il suo popolo per la ricostruzione di Gerusalemme che sarà opera non solo dei vivi, ma anche dei morti risorti. Da qui il messaggio di speranza agli esiliati delusi e confusi e ormai rassegnati a morire in esilio: gli esiliati sappiano che l’ultima parola non sarà l’esilio-morte, ma il ritorno-risurrezione.
 
Dal libro del profeta Ezechiele 37,12-14
12 Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalla vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. 13 Riconoscerete che Io-Sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14 Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che Io-Sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 130/129, 1-2; 3-4; 5-6; 7cd-8. Di natura penitenziale, il Sal 130/129 sfocia nella ricerca della speranza perché nessuna contrarietà o persecuzione possono spegnere il desiderio di Dio, atteso come l’alba della redenzione (v. 6). Non sempre la preghiera è un amoroso conversare, spesso è anche un grido, a volte un urlo o una protesta, comunque è sempre un’attesa dell’aurora anche quando siamo schiacciati dalle colpe e ci sentiamo in esilio: nessuna colpa è più grande dell’amore che genera sempre nel perdono: l’Eucaristia ne è il sacramento per eccellenza.
 
Rit. Il Signore è bontà e misericordia.


1. 1 Dal profondo a te grido, o Signore;
2 Signore, ascolta la mia voce.
Siano i tuoi orecchi attenti
alla voce della mia supplica. Rit.
2. 3 Se consideri le colpe, Signore,
Signore, chi ti può resistere?
4 Ma con te è il perdono:
così avremo il tuo timore. Rit.
3. 5 Io spero, Signore.
Spera l’anima mia, attendo la sua parola.
6 L’anima mia è rivolta al Signore
più che le sentinelle all’aurora. Rit.
4. 7 Più che le sentinelle l’aurora,
Israele attenda il Signore,
perché con il Signore è la misericordia
e grande è con lui la redenzione.
8 Egli redimerà Israele
da tutte le sue colpe. Rit


 
Seconda lettura Rm 8,8-11
L’opposizione «carne-Spirito»  è un’antitesi letteraria molto frequente in Paolo (cf Gal 5,16-24). L’uomo «carnale» è colui che si affida ai suoi mezzi di salvezza e rifiuta la signoria di Dio, rivelata in Gesù Cristo: L’uomo carnale è l’Adam di tutti i tempi che pretende di essere«dio» per se stesso e idolo per altri. L’uomo «spirituale» al contrario è l’uomo che si abbandona alla volontà di Dio, lasciandosi «dimorare» dallo Spirito del Figlio che attraverso la morte sconfigge la «carne», cioè  l’atteggiamento di Adamo per aprirsi alla risurrezione con cui “dà lo Spirito” come in una novella Pentecoste.
 
Dalla Lettera di Paolo apostolo ai Romani 8,8-11
Fratelli e Sorelle, 8quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. 9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. - Parola di Dio.
 
Vangelo Gv 11,1-45 (lett. breve 3-7.17.20-27.33b-45)
La risurrezione dalla morte di un amico è l’anticipo della morte di Gesù: dopo questo «segno», il sinedrio, superata ogni titubanza, cerca la soluzione finale: uccidere Gesù che mette in crisi la religione ufficiale e i suoi rappresentanti (v. 53). Di fronte alla tomba dell’amico Làzzaro, Gesù si turba (v. 33) come nell’ultima Cena prima del tradimento di Giuda (Gv 13,21) o come nel Getsemani (Mt 26,37). In questo contesto di morte, Giovanni dissemina anche i segni della risurrezione: le lacrime di Maria vicino alla tomba del fratello (v. 33) sono le stesse che versa ai piedi di Gesù scambiato per il giardiniere (Gv 20,11); il sepolcro con la pietra pesante dove è sepolto Lazzaro (vv.38-40) richiama quello dove fu sepolto Gesù (Gv 20,1); le fasce che impediscono a Lazzaro di camminare (v. 44)) rimandano a quelle abbandonate per terra nel sepolcro di Gesù risorto (Gv 20,17); l’invito a liberare Lazzaro e a lasciarlo andare (v. 44) è lo stesso che Gesù rivolge a Maria di non trattenerlo (Gv 20,17). Alla fine restano solo due sepolcri vuoti: quello di Làzzaro è il «sacramento» anticipato di quello di Gesù da cui inizierà il nuovo cammino verso il Regno di Dio. L’Eucaristia che viviamo, mentre celebra la morte di Gesù e la sua risurrezione, anticipa il compimento finale della morte e risurrezione della Storia che sotto la guida dello Spirito Santo sfocia nel regno eterno dell’Agàpe della Trinità. Noi come assemblea orante ne siamo « il sacramento» vivente.
 
Canto al Vangelo Cf. Gv 11,26a-26
Lode e onore a te, Signore Gesù! Io-Sono la risurrezione e la vita, dice il Signore, / chi crede in me non morrà in eterno. Lode e onore a te, Signore Gesù!
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 11,1-45 (lett. breve 3-7.17.20-27.33b-45)
1  In quel tempo,un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2 Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7 Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9 Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10 ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». 11 Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12 Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13 Gesù aveva parlato della morte di lui, essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14 Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15 ed io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16 Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». 17 Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro.18 Betania distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19 e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20 Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23 Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24 Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25 Gesù le disse: «Io-Sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». 27 Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel nel mondo». 28 Dette queste parole, andò a chiamare, Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29 Udito questo, ella, si alzò subito e andò da lui. 30 Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31 Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando che andasse a piangere al sepolcro. 32 Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide, si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33 Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: 34 «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35 Gesù scoppiò in pianto. 36 Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37 Ma alcuni di loro dissero: «Lui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38 Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39 Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40 Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41 Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42 Io sapevo che mi dài sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43 Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44 Il morto uscì, i piedi e le mani avvolti con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». 45 Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46 Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. 47 Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni! 48 Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione». 49 Ma uno di loro, di nome Càifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla, 50 e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca nazione intera». 51 Questo però non lo disse di suo, ma, essendo sommo sacerdote, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione, 52 e non per la nazione soltanto, ma anche per radunare insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53 Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 54 Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata èfraim, dove si trattenne con i suoi discepoli.Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Sia la prima lettura che il Vangelo espongono il tema della risurrezione dei corpi, un tema che non può essere banalizzato né letto in termini materialisti come purtroppo spesso accade, dando alla parola «corpo» il significato che ha nella cultura latino-occidentale. Quando diciamo «corpo», oggi pensiamo subito alla struttura ossea ricoperta di carne, considerandola una parte di noi stessi. Sul piano filosofico e teologico parliamo e pensiamo in termini di «anima e corpo», ponendo così una divisione all’interno della costituzione vitale dell’essere umano. Ragioniamo secondo la filosofia platonica per la quale il corpo è il male, mentre il bene è solo l’anima solo se libera dalla pesantezza della materia, cioè del corpo. Il resto lo ha fatto l’educazione che ci ha colpevolizzati solo al pronunciare la parola corpo.
Tutta l’ascetica cristiana è basata sul «disprezzo del corpo» visto come la somma e la sintesi di ogni male. Per secoli lo stesso sacramento della confessione/penitenza è stato concentrato solo sul corpo, facendo del sesso il peccato dei peccati e la vergogna delle vergogne, creando così generazioni intere di disadattati psicologici che hanno vissuto la sessualità con il terrore e la paura dell’inferno. Una causa della licenziosità sessuale che oggi domina i costumi dipende da questo atteggiamento poco realistico e pieno di complessi negli uomini che avrebbero dovuto formare e non spaventare, accompagnare e non invidiare. Tutto ciò è stato possibile perché ci siamo allontanati dall’universo biblico e ci siamo affidati alla filosofia e alle ossessioni di larga parte del clero che essendo privato «ufficialmente» dall’esercizio della sessualità, ha finito per concentrare tutto il suo interesse nell’oggetto del desiderio proibito, deformando il proprio stato e rendendo un inferno la vita degli altri.
Oggi le cose non stanno molto diversamente perché dal disprezzo per il corpo si è passati al culto del corpo, anzi alla sua idolatria, per il quale si spendono miliardi di euro unicamente per apparire. Vi sono persone che passano ore e ore a ricostruire e a sistemare il proprio corpo come un’area archeologica per apparire pochi minuti in tv. Questa ideologia idolatrica materialista ha già contaminato le giovani generazioni che diventano sempre più superficiali, strumentalizzate e senza senso sociale e comunitario. L’attenzione parossistica per il corpo è diventata ossessione che domina su tutto ed è espressione del narcisismo che privilegia l’individualismo sul senso comunitario e sulla responsabilità del bene comune.
La liturgia di oggi ci aiuta opportunamente a riflettere sul corpo come espressione visibile dell’anima e sull’anima come corpo spirituale. Per Ezechiele le ossa della steppa riprendono vita e nella Bibbia l’osso ha due significati: a) è la parte più intima della persona, e b) anche quella più resistente[7]«nomi»: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe (cf Lc 20,37-38).. Gli esiliati devono sapere che solo coloro che sapranno resistere al fuoco e alle prove sopravvivranno per realizzare il compito di ridare la vita a coloro che l’hanno persa nella tribolazione, nella sofferenza, nel dolore, nell’angoscia, nella perdita degli affetti e degli averi. Il Dio di Gesù Cristo non è il Dio dei morti, ma il Dio devi vivi, anzi dei
Per capire il capitolo 11 di Gv è necessario vederlo incastonato come una perla dentro lo scrigno del IV vangelo. Anche a costo di apparire didascalici, cioè scolastici e quindi ripetitivi, ci sembra opportuno riprendere alcune nozioni che già altre volte in altre occasioni abbiamo detto. Il vangelo di Giovanni si divide in due parti distinte e collegate insieme:
-          Gv 1-12: «libro dei segni» perché Gesù opera non miracoli (termine più proprio dei Sinottici) ma «segni» (termine tecnico giovanneo) o se si vuole opera dei «miracoli-segni» che manifestano non compiutamente la sua personalità. La domanda centrale che si pone l’evangelista di fronte ad un fatto o ad un «segno» è appunto la seguente: «Chi è Gesù?». Lentamente il lettore è guidato alla scoperta e alla comprensione della sua personalità.
-          Gv 13-20 (il c. 21 è un’aggiunta posteriore): «libro dell’ora» che manifesta apertamente la «Kabòd/Dòxa/ Gloria» del Figlio di Dio. E’ Gesù stesso che mette in relazione l’«ora» e la «gloria»: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv17,1).
Il termine «ora» è stato anticipato nel racconto dello sposalizio di Cana (cf Gv 2,4.14), ma come momento non maturo in attesa di diventare «un tempo propizio – kairòs» dell’intronizzazione regale di Cristo che non passa attraverso le regole, le immagini e i protocolli umani, fondati su riti e liturgie evanescenti perché solo appariscenti, ma attraverso la precisione dell’«ora» della croce che diventa il trono regale del Messia rifiutato e crocifisso. Si capovolge la realtà: da simbolo e strumento di supplizio abominevole, la croce diventa il trono regale del Cristo che rivela/manifesta il volto vero di Dio che svuota se stesso in nome dell’amore a perdere senza condizioni su cui si è lasciato crocifiggere. Il racconto di Làzzaro, anticipa tutto questo e, infatti, gli stessi «nomi» dei protagonisti ne un assaggio e un indizio:[8]
 
Lazzaro
=
Dio aiuta
Maria
=
Dio ama
Betània
=
casa dell’implorazione/della misericordia
Gesù
=
Dio salva.
Marta
=
(Dio è mio) Signore/marito/padrone
     
Nella casa dell’implorazione Dio aiuta: è il mio Signore dell’alleanza (marito) che ama e viene a salvare.
 
Il fatto narrato in Gv 11 è semplice: c’è un uomo di nome Làzzaro e le due sue sorelle, Maria e Marta sono amici intimi di Gesù che spesso ospitano nella loro casa a Betània, alle soglie del deserto di Giuda. Gesù viene informato della morte dell’amico mentre si trova dall’altra parte del Giordano e invece di partire subito, appositamente si intrattiene ancora «due giorni»[9]. Quando arriva nelle vicinanze della casa degli amici, intavola due dialoghi in successione con le sorelle del morto. La folla preme e Gesù prega il Padre suo per usare «la chiave che aspre i sepolcri, nonostante l’amico Làzzaro sia morto da quattro giorni. Dopo l’intervento di Gesù che sveglia Làzzaro dalla morte attraverso la forza della sua parola,  il morto si mette a camminare. La folla entusiasta e riconosce in lui la presenza di Dio. Il sinedrio decide la morte di Gesù per togliere di mezzo un pericoloso destabilizzatore. Il sommo sacerdote giustifica l’assassinio come una «necessità» di difesa delle istituzioni, ma non si rende conto che, in quanto sommo sacerdote, egli proclama una profezia: «E’ conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!» (Gv 11,50). Anche senza saperlo il sommo sacerdote profetizza che Gesù con la sua morte radunerà il popolo disperso d’Israele e Gv lo dichiara espressamente: «51Non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,51-52): Gesù dà la vita all’umanità e per questo deve morire.
 
Un’anticipazione
Il capitolo 11 è collegato strettamente a Gv 12: nel 1° si parla di Giudei, nel 2° di Greci perché sviluppa il senso il criterio di universalità che è insito nella morte di Gesù. Tutto il mondo vi è simboleggiato: i figli della promessa (Israele) e i Gentili che Gesù è venuto a riunire in un solo popolo. Ne diamo uno schema:
vv.
Gv 11
vv.
Gv 12
1-16
I personaggi
1-11
I personaggi 81-8)
 
 
1
Betania, Làzzaro, Marta e Maria
 
1ss
Betania, Làzzaro, Marta e Maria
 
2
Maria cosparge il Signore d’olio
3
Maria cosparge il Signore d’olio
 
14s
Gesù ritarda «perché voi crediate»
11
Molti Giudei «credettero» in lui
 
16
Incomprensione di Tommaso
4-8
Incomprensione di Giuda
 
17-32
Luogo: Gerusalemme
12-19
Luogo: Gerusalemme (12)
 
 
20
Marta sa che arriva Gesù: gli va incontro
 
12-13
La folla sa che viene Gesù: gli va incontro
 
27
Tu sei il Cristo
13
Gesù accolto come Re d’Israele dalla folla
 
27
Figlio di Dio che deve venire nel mondo
13
Colui che viene nel Nome del Signore
 
28
Gesù chiama Maria
17
Gesù chiama Làzzaro
 
31
Verso la tomba
17
Fuori dalla tomba
 
33-44
Presenza dei Giudei (31.33.36)
 
Presenza dei Greci (20)
 
 
31
Presenza dei Giudei
20
Presenza dei Greci
 
33
Turbamento di Gesù
27
Gesù ha l’anima turbata
 
40
«Vedrai la gloria di Dio»
28
Gesù glorifica il Padre e questi Gesù
 
42
La gente che mi sta attorno
29
La folla presente e ode
 
42
«Affinché credano»
36
«Credete nella luce»
 
45-53
Epilogo
37-43
Epilogo
 
 
45
Molti dei Giudei credettero
 
37
Non credevano in lui
 
46ss
Opposizione di farisei e sacerdoti
42
Paura dei capi a causa dei farisei
 
50ss
Càifa profetizza
39-41
Isaia profetizza di Gesù
 
L’evangelista all’inizio del capitolo per dire chi era maria, la sorella di Làzzaro, anticipa un fatto che deve ancora accadere, ma che la comunità che leggeva il vangelo conosceva dalla predicazione orale«Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli» (Gv 11,2). L’unzione si verifica in: «Maria prese una libbra (= trecento grammi) di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3). Questa unzione è un chiaro anticipo della morte e risurrezione di Gesù perché non vi sarà tempo per gli adempimenti della sepoltura prescritti. Questo anticipo insieme allo schema sopra riportato ci dice che c’è un legame stretto tra Gv 11 e Gv 12 per cui possiamo concludere che il racconto della morte e risurrezione di Lazzaro appartiene alla conclusione della prima parte del vangelo, il «libro dei segni» (cf Gv 1-12) in cui svolge il ruolo di «prolessi» cioè anticipazione della morte e risurrezione di Gesù come verrà descritta nella 2a parte, cioè il «libro dell’ora» (cf Gv 13-19). A ben guardare più intimamente, scopriamo che i capi religiosi, compreso il sommo sacerdote, decidono di «uccidere Gesù» senza sapere che stanno profetizzando l’uccisione dell’agnello pasquale: [10]:  
«47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: “Che cosa facciamo? Quest'uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. 49Ma uno di loro, Càifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,47-53).
All’interno di questa prospettiva della convenienza della morte di uno per la salvezza di tutti, vi sono nel capitolo ben quattro temi che la illustrano. Noi li esaminiamo uno per uno lasciandoci aiutare dalla tradizione giudaica[11].
1.      Gesù Messia riunifica i dispersi giudei e pagani
Alla profezia del sommo sacerdote che «è conveniente che un solo uomo muoia per il popolo» (Gv 11, 50), l’evangelista aggiunge un suo commento con cui estende la morte di Gesù oltre i confini d’Israele con l’obiettivo preciso di «riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52). Le parole del sommo sacerdote sono riprese alla lettera durante il processo ebraico a Gesù (cf Gv 18,14). La doppia ripetizione ci dice che dietro alle parole c’è un contenuto importante: la morte di Gesù è una morte che ha valore universale perché destinata a raccogliere Giudei e Greci che sono presenti e simmetrici nei due capitoli di Gv 11 e Gv 12 che come abbiamo visto (v. sopra) hanno la stessa struttura.
Noi sappiamo anche che in Gv l’espressione «figli di Dio» è applicata ai credenti (cf Gv 1,12; 1Gv 3,1-2.10; 5,2). In Gv 21,11, quindi dopo la risurrezione, leggiamo che Gesù assiste alla pesca miracolosa dopo una notte infruttuosa, invitando i suoi apostoli a gettare le reti sul lato destra della barca. L’evangelista annota che pescarono «153 grossi pesci», espressione che ci lascia alquanto perplessi per la precisione del numero così puntuale, se non fosse che in ebraico, applicando la ghematrìa (la scienza dei numeri) quel numero corrisponde all’espressione ebraica «Benê Ha’elohìm – figli di Dio» che qui ha il valore universale di umanità intera. Pesca (e rete per pescare) sono simboli dell’escatologia e si riferiscono a tutta l’umanità non solo in Gv, ma anche nei racconti della vocazione degli apostoli che Gesù farà «pescatori di uomini» (cf M4,19; 13,48; Mc 1,17; Lc 5,2)[12].
Con la stessa espressione in contesti e significati diversi, Gv dice che la morte di Gesù ha una portata universale che riguarda «i figli di Dio», cioè i Giudei e i Greci di cui parla in Gv 11 e Gv 12. Facendo profetizzare il sommo sacerdote, Gv colloca la morte di Gesù all’interno della storia della salvezza, dentro la quale dobbiamo cercare di capirne la portata teologica: che cosa significa « è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52)? Per capire il senso e dare una risposta bisogna interrogare la Scrittura secondo il metodo di esegesi ebraico: la Scrittura illumina e spiega la Scrittura stessa.
Il profeta Ezechiele (620-570?) durante l’esilio di Babilonia (597-538 a.C.), cioè nel pieno marasma della dispersione, aveva profetizzato che Dio stesso avrebbe suscitato un pastore dalla discendenza di Davide:
«23Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. 24Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato»  (Ez 34,23-24).
a)      Coloro che Dio «riunisce/raduna» sono chiamati con nomi differenti: «figli d’Israele» (Is 27,12; «dispersi di Giuda» (Is 11,12); «dispersi d’Israele» (Is 56,8); «resto d’Israele» (Mi 2,12; Ger 31,7). Il loro raduno manifesta la potenza di Dio (cf Is 12,5) che realizza per essi un nuovo esodo per un popolo ri-creato (cf Is 11,15-16; 41,18; 43,20; 50,2; Sal 102/101,19; Ger 31,10). Il raduno avverrà nel tempio che è il cuore di Sion/Gerusa-lemme (cf Is 2,1-5; Ger 31,6; Ez 22,17-22; Tb 13,12) e comprenderà sia Giudei che Pagani: il popolo d’Israele e i popoli delle nazioni (cf Is 2,1-5; Zc 2,15; Mc 13,27; Mt 25,32).
b)      Il compito di questo raduno è affidato al «Servo di Yhwh» descritto da Isaia nel 2° canto a lui dedicato: «Mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e e a lui riunire Israele» (Is 49,5)[13]. La missione affidata al servo è dunque il raduno del popolo dalla dispersione in cui si trova. Allo stesso tempo lo stesso Isaia ci dice che «il giusto mio Servo… è stato trafitto per le nostre colpe …per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada… perciò gli darò in premio le moltitudini» (Is 53,11.5.6.12). Il raduno di Israele e delle moltitudini è legato alla morte del Servo, anzi ne è il frutto e la conseguenza. La visione delle ossa aride di Ezechiele non è altro che la parabola dell’esilio come morte e del raduno come ripresa della vita (cf Ez 37,1-14).
c)      Dio stesso, secondo il profeta Zaccaria, parteciperà alla battaglia escatologica stando in piedi ritto sul monte degli ulivi a fianco di Gerusalemme invasa dalla genti: i sopravvissuti celebreranno la feste delle Capanne e in questa occasione da Gerusalemme sgorgherà acqua senza fine. In quel giorno, il Signore sarà unico in tutta la terra (cf Zc 14,1.21).
d)      Tutte queste reminiscenze sono presenti anche nella liturgia sinagogale, come si svolgeva al tempo di Gesù: nella preghiera giudaica detta «Shemòne esre/Diciotto [Benedizioni]» che si recitava in piedi due volte al giorno, la 10a benedizione invoca così: «Fai risuonare lo shoffàr della nostra liberazione e porta lo stendardo per la riunificazione dalle nostre diaspore. Benedetto sei tu, Yhwh, che “riunisce[14]». Il senso proprio è diretto: quando verrà il Messia le tombe si apriranno e i morti risorgeranno per ricomporre il santo Israele di Dio[15]. La risurrezione di Lazzaro con la scenografia efficace della tomba che si spalanca davanti alla folla, ha lo scopo di dire a tutti che è giunto il tempo del Messia e la prova è la tomba che si apre e il morto che risorge[16]. i dispersi del suo popolo Israele
2.      Il secondo/terzo giorno
Alla notizia che il suo amico è morto, Gesù «rimase per due giorni nel luogo dove si trovava» (Gv 11,6). Il vangelo di Giovanni usa molto il simbolismo dei numeri che, come ormai sappiamo, è un veicolo particolare d’insegnamento. L’espressione «per due giorni» è una variante dell’espressione «il terzo giorno». Qui è chiaro il riferimento alla risurrezione di Gesù. Nella chiesa delle origini l’espressione «terzo giorno» era diventata una formula tecnica per indicare la Pasqua. Si trova nel vangelo di Gv alle nozze di Cana (cf Gv 2,1.19) e, nella forma «due giorni» nel racconto della donna samaritana: «Trascorsi due giorni, partì di là per la Galilea» (Gv 4,43).
a)    Il profeta Osea aveva invitato alla conversione al Signore con queste parole: «Venite, ritorniamo al Signore… Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6,1-2). Questo testo nella sinagoga veniva tradotto così: «Egli ci farà rivivere nei giorni della consolazione futura, egli ci risusciterà e noi vivremo davanti a lui»[17]. Il Targum proietta le parole del profeta nella risurrezione escatologica e mette in stretta correlazione il raduno con la risurrezione. Lo stesso avviene per Os 14,8 («Ritorneranno a sedersi alla mia ombra = ritorneranno dall’esilio») che il Targum traduce esplicitandolo: «Essi saranno radunati dalla loro dispersione, abiteranno all’ombra del Messia e i morti vivranno e la bontà abbonderà nel paese». Qui troviamo altri temi: la dispersione e l’esilio sono collegati al raduno, al Messia, alla risurrezione dai morti e all’abbondanza della bontà[18].
b)   Perché la salvezza viene il «terzo giorno?». Insegna il Midrash Gen R 56: «…Dicono i rabbini “E’ per il merito del terzo giorno in cui fu donata la Torah. Rabbi Levi dice: Per il merito di ciò che Abramo fece il terzo giorno”»[19]. Applicando una delle regole dell’esegesi giudaica[20], i Rabbini associano il «terzo giorno» di Abramo che immola Isacco (cf Gen 22,4) al «terzo giorno» di cui parla Os 6,2, in modo che la liberazione di Isacco dalla morte viene interpretata come una risurrezione dai morti.
c)    Il Targum di Gerusalemme I a Gen 22,4 (terzo giorno relativo al sacrificio d’Isacco) aggiunge al «terzo giorno» anche il richiamo alla nube sulla montagna che è un modo delicato di richiamare la rivelazione del Sinai con il dono della Toràh (cf Es 19,1-3). Il sacrificio d’Isacco (l’aqedàh – legatura) già dal sec. II a. C. era associato alla Pasqua come troviamo testimoniato nell’apocrifo Libro dei Giubilei (18,1-17). Non fa quindi meraviglia se il tema del «terzo giorno» è ripreso nel NT nello stesso senso della tradizione giudaica, con la novità che ora non è più applicata a Isacco, ma a Gesù Cristo: «E’ risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (1Cor 15,4), formula che ricorre 13 volte nel NT.
d)   La risurrezione di Lazzaro al terzo giorno è dunque non solo una premessa, ma una descrizione anticipata (una prolessi: cf nota 5) della morte e risurrezione di Gesù che di lì a poco sarebbe stato ucciso e sepolto, ma la corruzione della morte non avrà il sopravvento su di lui (At 13,35; cf Sal 16/15,10) perché sarà svegliato dalla potenza di Dio per essere il «principio» dei risorti da morte (Col. 1,18).
e)    Il tema del «terzo giorno» sia dalla Bibbia che dalla tradizione giudaica è connesso con il tema dell’esodo: giunti al Sinai, gli Ebrei per ordine di Dio devono purificarsi «oggi e domani… e si tengano pronti per il terzo giorno, perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai, alla vista di tutto il popolo» (Es 19,10-11). Alcune testimonianze ci confermano che il viaggio dall’Egitto al Mare Rosso durò tre giorni[21]. Il libro dei Giubilei, detto anche Piccola Genesi, databile sec. I a. C., tramanda una curiosa tradizione e cioè che anche il giardino di Eden fosse stato creato «nel terzo giorno». L’espressione dunque di «terzo giorno» diventa quasi una formula sintetica per descrivere l’insieme della storia della salvezza: in esso abbiamo un legame tra creazione, esodo/pasqua, aqedàh/legatura di Isacco, risurrezione dai morti, in una parola: attraverso Gesù ritorna a noi tutta la storia di Dio e del suo popolo rinnovata e restituita al suo senso e significato originario.La risurrezione di Lazzaro prefigura la risurrezione di Cristo che è l’Inviato del Padre che porta a compimento l’alleanza.
3.      Il Messia di èfraim, nuovo Giosuè
Il vangelo di oggi si chiude con una nota geografica apparentemente senza particolare significato: «Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata èfraim, dove rimase con i suoi discepoli» (Gv 11,53-54) . I nomi geografici in Gv non sono mai superficiali perché hanno in sé sempre echi teologici[22]. Gesù va nel deserto, oltre frontiera e quindi esce dall’abitato e dai confini di Israele per ripetere simbolicamente l’ingresso nella terra promessa che fece Giosuè, attraversando il Giordano. Sembra che l’èfraim di cui si parla nel vangelo sia da identificare con Ofra (cf Gs 18,23; in Gs 15,9 è detta Efron). Dopo il rifiuto dell’autorità religiosa, Gesù va nel deserto per ricevere direttamente da Dio l’eredità della terra d’Israele di cui prende possesso entrando dal deserto. Con questa annotazione l’evangelista ci dice che Gesù è un nuovo Giosuè che porta a compimento l’esodo di Mosè[23]. Leggiamo infatti nel libro di Giosuè:
«49Quando gli Israeliti ebbero finito di distribuire in eredità la terra secondo i suoi confini, diedero a Giosuè, figlio di Nun, una proprietà in mezzo a loro. 50Secondo l'ordine del Signore, gli diedero la città che egli chiese: Timnat-Serach, sulle montagne di Èfraim. Egli costruì la città e vi stabilì la sua dimora. 51Tali sono le eredità che il sacerdote Eleàzaro, Giosuè, figlio di Nun, e i capifamiglia delle tribù degli Israeliti distribuirono a sorte a Silo, davanti al Signore, all'ingresso della tenda del convegno. Così portarono a termine la divisione della terra» (Gs 19,49-51).
Un altro elemento significativo potrebbe essere che la missione di riunire i dispersi in un solo popolo abbia come obiettivo di riportare l’unità tra il regno del nord con capitale Samarìa e il regno di Giuda con capitale Gerusalemme. Noi sappiamo (cf, per es., Gv 4, la Samaritana,) che Giovanni annette molta importanza alla missione ai Samaritani (cf At 8,14), per cui la citazione di èfraim potrebbe essere un’allusione alla ricostruzione del Regno nell’unità originaria che gli avevano dato Davide e Salomone. La menzione di èfraim, però, più di tutto, ci riporta alla personalità del Messia che la tradizione, anche antica del giudaismo conosce come «figlio di èfraim». Il Targum Gionata a Es 40,9-11 parla di ungere e consacrare
«la vasca [delle abluzioni] e le sua base a motivo di Giosuè, tuo servo, il capo del Sinedrio del tuo popolo, per le cui mani la terra d’Israele è destinata ad essere divisa, e del Re-Messia figlio di èfraim che uscirà da lui e per le cui mani Israele è destinato a riportare la vittoria su Gog e le sue schiere, alla fine dei giorni».
La conclusione dell’esodo e l’eredità della terra si fondono dunque con la lotta escatologica che la riunione dei due regni del nord e del sud devono anticipare. A Qumran si parla espressamente di due Messia, uno discendente di Aronne e quindi di stirpe sacerdotale e l’altro laico, preveniente di stirpe regale, della discendenza di Davide[24]. Anche il Targum al Cantico dei Cantici a Ct 4,5 riporta questa tradizione: «I tuoi due liberatori, che ti salveranno nel futuro, il Messia di Davide e il Messia di èfraim, riuniranno Mosè, e Aronne» (cf anche Targum a Ct 7,4). In questo contesto messianico, la risurrezione di Lazzaro è un anticipo diretto e immediato della morte di Gesù, Messia sofferente che entra nella terra promessa non per impossessarsene, ma per liberarla dalla schiavitù della religione del dovere, offrendo la sua vita di Messia-Servo di Yhwh.
4.      Il potere di Gesù
Gesù dice a Marta: «Io-Sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,24). Usando questa formula di auto-rivelazione che ha una importanza teologica primaria in Gv, Gesù si auto-rivela come la chiave che apre i sepolcri (cf Gv 11,33-34) per nutrire e dissetare con il dono della vita che è il suo Spirito. In Gv 11,44-42 Gesù prega e svela che la forza da cui attinge è il Padre, ma riprende anche la preghiera di Elia prima del sacrifico del monte Carmelo. Richiamandosi ad Elia Gesù annuncia se stesso come Messia perché tutta la tradizione vede in Elia il profeta che deve venire prima del Messia (cf Mc 9,11 …). Di seguito i due testi a confronto per comodità:
Gv 11,41-42
1Re 18,36-37
41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».
36Al momento dell’offerta del sacrificio si avvicinò il profeta Elia e disse: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e d’Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose sulla tua parola. 37Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio e che converti il loro cuore!»
Nell’introduzione abbiamo visto come il Targum Neofiti parla del potere delle quattro chiavi che Yhwh ha riservato gelosamente per sé. Risuscitando Lazzaro Gesù manifesta di avere ricevuto dal padre la chiave dei sepolcri e quindi della risurrezione, alludendo così alla sua risurrezione. In Gesù tutto ritorna alla sintesi originaria e definitiva. La tradizione giudaica, almeno in parte,[25] ricollega le quattro chiavi alle quattro grandi feste d’Israele che coincidono con i quattro giudizi che riceve la terra: a Pasqua il mondo è giudicato per i prodotti della terra (chiave del nutrimento); a Pentecoste è giudicato per i frutti (chiave della sterilità); a Sukkôt/Capanne il mondo è giudicato per la pioggia (chiave della pioggia); a Capo d’anno/Rosh Hashanàh, non il mondo, ma l’uomo è giudicato per l’espiazione che è collegato al giudizio della vita che risorge dopo la conversione e il perdono (chiave del sepolcro).
Che questa sia l’interpretazione giusta, ne abbiamo la prova nella stessa espressione «Io-Sono» che non è solo auto-rivelazione di Gesù, ma auto-rivelazione di Gesù in quanto Yhwh perché è il Nome santo di Dio, rivelato a Mosè sul Sinai (cf Es 3,14-16). In Gv diventa una formula tecnica per definire la divinità di Gesù di Nàzaret. In tutto il IV vangelo, infatti, ricorre 26x[26] che, secondo la scienza della ghematrìa, è il valore numerico del Nome di YHWH (= Io-Sono), affermando con questo che Gesù si presenta come la rivelazione dell’«Io-Sono» del Sinai. Anche con i numeri Giovanni ci dice che la personalità dell’uomo Gesù si manifesta nella sua divinità: Egli è sullo stesso piano di YHWH. Egli è YHWH.
Gesù si rivela a Betania e si ritira ad èfraim. Betania può avere il significato etimologico di «casa dei poveri», ma forse anche «casa dell’obbedienza», mentre èfraim è il nome del secondo figlio del patriarca Giuseppe avuto insieme a Manasse dalla moglie egiziana Asenèt (cf Gen 41,52; 46,20; Nm 26,28). Pur essendo secondogenito, ricevette la primogenitura da Giacobbe al posto del primogenito Manasse che ne aveva diritto per legge (cf Gen 48). Auto-rivelandosi nella «casa dei poveri», Gesù si presenta come il Primogenito di tutta la creazione (cf Col 1,15; e anche Col 1,18; Rom 8,29; Eb 1,6) che guida i poveri alla casa dell’obbedienza che è il Regno di Dio perché questa è la volontà del Padre: nulla vada perduto di ciò che il Padre ha dato al suo Figlio Unigenito (cf Gv 6,39).
5.      Conclusione
Ogni volta che proclamiamo il «credo» noi affermiamo convinti di «aspettare la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Che cosa vogliamo dire con queste parole? Ad esse spesso si associa l’altra espressione: «la risurrezione della carne». Con la morte il nostro corpo si distrugge totalmente, seguendo una legge che Dio stesso ha impresso nella natura. Non possiamo credere che con la risurrezione «materialmente» si ricostruiranno le ossa, i nervi, le vene, le arterie e tutti gli annessi e connessi. Se restiamo in questo ambito «materialista» non ne usciamo perché dovremmo spiegare tante cose, come per esempio la conciliazione tra spazio ed eternità, tra materia e spirito dopo morte, ecc. Noi ragioniamo della vita oltre la morte atemporale con categorie spazio-temporali, proiettando il nostro linguaggio e i nostri limiti concettuali su una dimensione di cui nulla sappiamo, se non per rivelazione. Non ci resta che tornare alla Scrittura che è la via più semplice e più dinamica di illustraci le cose. La visione materialista della risurrezione è anche visione «fondamentalista» del mondo e della rivelazione: si prendono alcuni testi di una cultura orientale diversa dalla nostra e alla quale noi diamo il «nostro significato», facendo una traduzione letterale delle singole parole, ma smarrendo il significato fondamentale o se si vuole il messaggio essenziale. In questo modo si fa «eis-esegesi» (mettere dentro), non «es-egesi» (tirare fuori).
Tutti i problemi si risolvono se leggiamo i testi biblici alla luce del concetto di «corporeità» che è un concetto moderno, ma sa esprimere un contenuto antico e si trova nella Scrittura. Per la quale Scrittura non esiste l’anima da una parte e il corpo dall’altra. Esiste l’individuo, la persona vivente che è un tutt’uno: un corpo spirituale e un’anima corporea. L’idea di unicità è data dal fatto che «Dio creò Àdam a sua immagine» (Gen 1,27). Tra gli essere viventi solo Àdam (maschio-femmina) può e sa rappresentare l’unicità di Dio.
Con la morte questa unicità, questa individualità, questa personalità non si perde, non si smarrisce, non va nel buco nero del nulla, ma rimane eterna. In termini moderni: resta la coscienza dell’io, l’identità stessa dell’essere persona. La risurrezione dei corpi vuol dire solo questo: nessuno di noi smarrirà o perderà per strada la propria identità personale che sussisterà specchiandosi in Dio di cui è immagine e da cui percepisce l’identità personale di tutti gli altri rapportandosi con essi nell’unicità di Dio. Immersi in Dio e attraverso di lui saremo in rapporto di pienezza e totalità con gli altri, dove sapremo riconoscere coloro con cui siamo stati in relazione nel tempo affettivamente e vivremo questa affettività con una pienezza e singolarità che potremmo definire «da dio», non avendo altri parametri di esemplificazione. Dire «risorgere dai morti» e dire che la morte non interromperà la nostra capacità di relazione con Dio e con gli altri esseri umani è la stessa cosa.
Questa è l’unica interpretazione possibile dell’articolo di fede «credo la risurrezione dei morti»: parlando di Gesù risorto, infatti, la teologia non parla di un corpo materiale, ma sente il bisogno di dire che Gesù ha assunto un «corpo glorioso» che è distinto dal corpo terreno (materiale) tanto che ha prerogative particolari come entrare in un luogo a porte chiuse (cf Gv 20,19.26). La domenica di Lazzaro ci consola perché la nostra vita non è un incidente del destino a cui la morte pone rimedio, al contrario la morte è «il segno» più grande che la nostra vita vale non solo il tempo della nostra esperienza, ma anche l’eternità di Dio.
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
Preghiera universale o dei fedeli      [Interventi liberi]
MENSA EUCARISTICA
Scambio della pace e presentazione delle offerte.
Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, e come insegna il vangelo (Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech» che diventi il pane della vita e il calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).
La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.
E con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
Nel Nome di Cristo e con l’aiuto del suo Spirito, Pace su Gerusalemme, Pace sulla Chiesa e sul Mondo!
[Tutti si scambiamo un segno di pace]
Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna.                  Benedetto nei secoli il Signore.
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiera sulle offerte. Esaudisci, Signore, le nostre preghiere: tu che ci hai illuminati con gli insegnamenti della fede, trasformaci con la potenza di questo sacrificio. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II-A (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Ringraziamo il Padre per la vita eterna che il Cristo ci ha promesso
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore.
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Tu sei la risurrezione è la vita. Noi crediamo in te, primogenito dei risorti (cf Col 1,18).
Vero uomo come noi, egli pianse l’amico Lazzaro; Dio e Signore della vita, lo richiamò dal sepolcro; oggi estende a tutta l’umanità la sua misericordia, e con i suoi sacramenti ci fa passare dalla morte alla vita.
Tu, o Signore, apri le tombe e risusciti dalle tombe noi il tuo popolo per ricondurci nella «Casa dell’ob-bedienza» perché si compie la volontà di salvezza del Padre tuo e nostro (cf Ez 37,12).
Per mezzo di lui ti adorano le schiere degli Angeli e dei santi e contemplano la gloria del tuo volto. Al loro canto concedi, Signore, che si uniscano le nostre voci nell’inno di lode: Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison. Christe, elèison! Kyrie, elèison!

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l'effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Noi riconosciamo che tu sei il Signore che detiene la chiave della tomba e ci farai risorgere dai morti per farci vivere nella vita del tuo santo Spirito.
Egli, offrendosi liberamente alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Tu sei il Santo di Dio che viene in mezzo a noi e noi ti attendiamo più che le sentinelle l’aurora (Sal 130/129,6).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Tu sei il Santo di Dio che viene in mezzo a noi per redimere Israele, la Chiesa e il mondo da tutte le colpe (Sal 130/129,8).
Mistero della fede.
Annunciamo la tua morte, Signore,  proclamiamo la tua risurrezione,  nell’attesa della tua venuta.
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
A te, gridiamo dal profondo, o Signore, sapendo che ascolti sempre la voce dei tuoi figli (cf Sal 130/129,1; Gv 11,42).
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Abbiamo ricevuto il tuo Spirito di risurrezione e per questo non siamo sotto il dominio della carne (cf Rom 8,9).
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il nostro Papa…, il Vescovo…, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Tu ci raduni, Signore dalla nostra dispersione, nella Chiesa pellegrina, nostra Madre e nostra figlia.
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Hai detto a Marta che suo fratello Lazzaro risusciterà perché tu, o Signore, sei la risurrezione e la vita. Noi crediamo in te e abbiamo la vita del Padre , del Figlio e dello Spirito (cf Gv 11,23-26). 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Sì, o Signore, noi crediamo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che viene nel mondo, .e per questo con i Santi e le Sante del cielo, con i Santi uomini e le Sante donne della terra che profetizzano il tuo Nome benedetto tra i popoli (cf Gv 11,27).
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13): Riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:
Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hemôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthèto he basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genethêto to thelemàsu,
come in cielo così in terra
hos en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hemôn tòn epiùsion dòs hemîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hemîn tà ofeilêmata hemôn,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hos kài hemêis afêkamen tôis ofeilètais hemôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkeis hemâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hemâs apò tû ponerû. Amên.
 
Antifona alla comunione (Gv 11,26): «Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno», dice il Signore.
Preghiamo. Dio onnipotente, concedi a noi tuoi fedeli di essere sempre inseriti come membra vive nel Cristo, poiché abbiamo comunicato al suo corpo e al suo sangue. Per Cristo nostro Signore. Amen.


 

 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che apre le tombe per chiamare alla vita dell’alleanza, sia con voi ora e sempre.
Il Signore che dona lo Spirito del risorto a quanti lo invocano, ci custodisca nella risurrezione.
Il Signore che risorge Lazzaro come anticipo della sua risurrezione, vi doni la sua benedizione.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen.
La messa come rito è finita. Attende di essere «compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Domenica 5a di Quaresima, Anno-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 10/04/2011 - San Torpete – Genova


[1] 1a Dom.: Adamo tentato e Cristo tentato ovvero il potere e il servizio per amore: il maligno e il Figlio.
2a Dom.: Vocazione di Abramo e Trasfigurazione di Gesù: il Patriarca e l’Erede: la persona.
3a Dom.: La roccia di Mosè che disseta e il pozzo di Giacobbe e della Samaritana: l’acqua, cibo, culto e messi.
4a Dom.: L’unzione di Davide e il cieco nato che rivede; la gratuità e la prova: l’olio e la luce.
5a Dom.: I sepolcri aperti e la risurrezione di Lazzaro: il capovolgimento: la vita.
6a Dom.: Le palme: la folla prima osanna e poi crocifigge: la solitudine.
7a Dom.: Pasqua: dalla solitudine della morte alla comunione della vita: la speranza.
[2] Secondo la cosmogonia ebraica, il cielo creato da Dio è una calotta convessa che serve a tenere sospese, come in un magazzino, le acque superiori cioè le riserve per la pioggia, a differenza di quelle inferiori che sono contenute nei mari, nei laghi e nei fiumi. Per fare piovere, Dio apre le feritoie sulla calotta e fa scendere la pioggia, mentre in caso di siccità, li chiude a chiave per il tempo necessario.
[3] Cf anche Targum frammentario  a Gen 30,22 e, in parte, Targum Gionata a Dt 28,12
[4]Tre sono le chiavi lettura con cui si interpretano le lettere e le parole dell’alfabeto ebraico, che sono state assunte dalla Qabbalàh ( = Tradizione): 1) la Ghematrìa che converte le consonanti in numeri, li somma ed ottiene una certa cifra; le parole che hanno lo stesso numero possono sostituirsi l’una con l'altra; 2) il Notàriqon che prende la prima e l’ultima lettera delle parole di una frase e compone un’altra parola; oppure considera le parole come se fossero acrostici, per cui cioè ogni lettera di una parola diventa l’iniziale di un’altra parola. Es. Si dice che il Sal 92/91 appartiene a Mosè (in ebr.: Moshèh) perché le iniziali del titolo del salmo (Mizmor Chir Hachabat) formano la parola M(o)ch(è)h – Mosè; 3) la Temuràh anagramma le parole o sostituisce una lettera con un'altra, dando luogo a infinite combinazioni: la parola «cielo/cieli» in ebraico si dice «shammàim» (plurale). Scomponendola si ottiene «([e]sh - Fuoco» e «Màim - Acqua», da cui si conclude che il cielo è fatto di acqua e fuoco.
[5] La chiave dell’acqua: «Disse al mare: “Taci, calmati!”» (Mc 4,39). La chiave del nutrimento: «Io sono il pane della vita» (Gv 6,35.48.51). La chiave dei sepolcri: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,25). La chiave della sterilità: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto» (Gv 15,5.2.4.8.16; cf Gv 12,24; Mt 13,23; Mc 4,20).
[6] La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
[7] «Appena vide Eva, Adam esclamò: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gen 2,23) che significa: essa è della mia stessa fragilità (carne) e della mia stessa forza (osso, la parte più intima e più resistente).
[8] Gv 11 è un capitolo molto complesso che negli ultimi trenta anni ha suscitato interesse e fatto scrivere una immensità di ipotesi sulla sua struttura e sulla sua collocazione. Non possiamo affrontare nemmeno di sfuggita il problema, ma rimandiamo a F. Manns, L’Evangile 235-242.
[9] In Gv 10, 40 Gesù si trova «al di là del Giordano»: il luogo in cui Gesù si ritira è forse «Betània, al di là del Giordano» (cf Gv 1,28), dove Giovanni aveva iniziato a battezzare. Da quella località Gesù parte per andare da Lazzaro, a Betània di Gerusalemme, in cui si svolge il racconto di Gv 11.
[10] «Prolessi», dal greco «prolambáno – aprendo prima» è una figura retorica della sintassi che consiste nell’anticipare una parte di proposizione o del periodo che nella costruzione normale andrebbe dopo per mettere in evidenza un concetto o una parola. Si applica però anche a idee e fatti, come in questo caso per mettere in evidenza un fatto a cui si dà molta importanza.
[11] In questa impostazione, seguiamo in parte F. Manns, L’Evangile 243-263.
[12] Cf Sant’Agostino, In Iohannem, Hom. 122, 7-8 (CCL, 36, 671); Id., Sermones, 270,7 (PL, XXXVIII, 1244); J.A. Romeo, «Ghematrìa and John 21:11 – The Children of God», in Journal of Biblical Literature 97 [1978] 263-264; per i testi estesi, cf P. Farinella, «Sulla corda ottava incontro al Messia. Simbolismo cristologico del numero «8» nella Bibbia e nella tradizione giudaico-cristiana», SapCc 21 (2004) 129-171, qui 149-151.
[13] E’ interessante notare che anche a Qumran si legge allo stesso modo l’oracolo: «Per ricondurre a lui Giacobbe e perché Israele sia a lui riunito» (1QIsa49,5).
[14] La preghiera ebraica ha questa particolarità: all’inizio si rivolge a Dio in 2a persona singolare (Benedetto sei tu, Yhwh…) e si conclude in 3a persona singolare (che riunisce i dispersi…): la familiarità con Dio (2a persona) non deve fare dimenticare che lui è Dio e non un compagnone da osteria: vicinanza e distanza insieme, familiarità e tremore (3a persona).
[15] V. più avanti il Targum a Os 6,1-2 nel contesto del «terzo giorno».
[16] Questi temi, in parte si ritrovano anche nell’apocrifo di Enoch Etiopico (tra il 150 e il 63 a. C.). Pur essendo recenti i Targumìm riportano tradizioni molto più antiche: per questo devono essere esaminati criticamente di volta in volta.
[17] In altre parole al tempo di Gesù il terzo giorno era identificato espressamente con la risurrezione escatologica (finale) dai morti. Il «Terzo giorno» è associato al sacrificio d’Isacco (cf Gen 22,4), a Giuseppe e suoi fratelli (cf Gen 42,18), alla rivelazione del Sinai (cf Es 19,16), alle spie di Giosuè (cf Gs 2,16), alla conversione dei Nìnive (cf Gn 2,1), al ritorno dall’esilio di Babilonia (cf Esd 8,36), alla regina Ester che salva il suo popolo dalla distruzione (cf Est 5,1). E’ una espressione sintetica della storia della salvezza.
[18] Il Targum a Zc 3,7-8 sostituisce il tema del raduno con quello del tempio che è il luogo del raduno, ma il significato è lo stesso: l’arrivo del Messia e la risurrezione dei morti sono collegati insieme. E’ interessante da questo punto di vista anche il Targum a Ez 37, troppo lungo per essere qui riportato; il testo in F. Manns, L’Evangile 246-247 che riporta altri Targum. Il tema del raduno dei dispersi, della risurrezione dai morti e del Messia si trova diffusamente nella letteratura giudaica (cf ad es. Targum Gionata Es 13,17; Targum Is 26,19; Targum a Ct 8,5, Midrash Peiqta Rabbatui 1,6 e poi ancora Targum Gen 49,1; Targum Mi 5,1-3; Targum Sal 18,29-32; 45,15; Targum Lm 2,2 e 4,22)
[19] Testo in F. Manns, L’Evangile 251 (paralleli in Yalqut Josué 12, Midrash di Sal 22,5 e Midrash di Ester 5,3).
[20] La regola è detta ghezeràha shawàh (stessa norma, stessa sentenza), più semplicemente conosciuta come legge dell’analogia: due testi che riportano una stessa parola, sono intercambiabili. La legge è la seconda nell’elenco di Rabbi Hillèl e di Rabbi Ismaèl e la settima in quello di Rabbì Elièzer ben Josè ha Galìl
[21] Filone, Vita di Mosè I, 163; Giuseppe Flavio, AG II, 315; cf anche Midrash a Es 3,8, ecc.
[22] Già Alfred Firmin Loisy lo aveva messo in evidenza all’inizio del ‘900: Id., Le quatrième Evangile, Paris 1903, 637. Anche J. Mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni, 496 sono sulla stessa linea e fanno un parallelo tra Gesù e Giosuè.
[23] In ebraico «Gesù» e «Giosuè» si dicono e si scrivono alla stesso modo: «Yoshuàh/Yeoshuàh» che la Bibbia greca della Lxx traduce sempre con «Iesoûs - Gesù».
[24] Cf IQS 9,11; CD 12,23; 19,10; 20,1. Il re Messia dal Targum Gerusalemme a Es 40,9 è identificato non con la casa di Giuda come ci si aspetterebbe, ma con la corona del regno, cioè con la promessa diretta a Davide, nella cui persona il Messia ricompone l’unità infranta di Israele. Vi si trova qui una identificazione tra Re Messia e Messia di Efràim.
[25] Cf testi e critica in F. Manns, L’Evangile 261-262.
[26] Ci dispiace che anche l’ultima edizione della Bibbia-Cei (2008) non sappia cogliere la portata giovannea dell’espressione di rivelazione «Io-Sono», traducendola banalmente con «Sono io» che finisce per degradare l’enorme pàthos teologico che la formula racchiude. Di seguito le occorrenze in Gv: «Io-Sono» (gr. ego eimì) (4,26; 6,20, 8,24.28.58; 9,9; 13,19; 18,5.6.8 = 10). «Io-Sono il pane» (6,35.41.48.51= 4). “Io-Sono il pane della vita” (6,35. 48.= 2). “Io-Sono la luce” (8,12 = 1). “Io-Sono il testimone” (8,18 = 1). “Io-Sono la porta” (10,7.9 = 2). “Io-Sono il pastore bello” (10,11.14 = 2). “Io-Sono la risurrezione” (11,25 = 1). “Io-Sono la via, la verità e la vita” (14,6 = 1). “Io-Sono la vite (15,5) vera” (15,1 = 2). Totale: 10+4+2+1+1+2+2+1+1+2 = 26.


Mercoledì 06 Aprile,2011 Ore: 11:36
 
 
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