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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 4a di Quaresima – A - 3 aprile 2011,di Paolo Farinella, prete

Domenica 4a di Quaresima – A - 3 aprile 2011

di Paolo Farinella, prete

Domenica 4a di Quaresima – A
3 aprile 2011
La liturgia della domenica 4a di Quaresima-A è centrata sul capitolo 9 del vangelo di Giovanni che illustra il tema della luce come chiave d’interpretazione per conoscere la personalità di Gesù come abbiamo evidenziato nello schema delle domeniche di Quaresima-A che riportiamo in nota per maggiore comprensione[1]. La nostra riflessione, oggi su Gv 9, avviene alla luce della tradizione giudaica per cogliere quelle sfumature e contenuti che l’autore ha voluto darci, senza addentrarci sulle questioni di ordine esegetico e di critica esegetica. Nello stesso tempo cercheremo di dare il meglio degli studi antichi e recenti[2]. Il IV vangelo è datato intorno agli anni 90-100, fine del sec. I[3]. Il clima che si respirava intorno agli anni 90 tra il Giudaismo e il Cristianesimo considerato una eresia giudaica, era un clima di strenua opposizioni[4]. Il vangelo di Giovanni nasce in questo clima e, secondo molti autori, sarebbe la risposta della comunità giovannea alle decisioni che i Giudei presero a Jabne.
Il capitolo 9, conosciuto come il «vangelo del cieco nato», è uno splendido esempio del clima che regnava alla fine del sec. I su cui apre più di uno spiraglio. A leggerlo in profondità, infatti, il IV vangelo è forse tra tutti il più polemico nei confronti «dei Giudei», espressione che spesso acquista un sapore di disprezzo (Gv 2,13; 3,1; 5,1; 6,4; 19,38; 20,19, ecc.). Non ci stanchiamo di ripetere che specialmente il vangelo di Giovanni deve sempre essere letto a due livelli: quello ovvio che rivela il significato naturale delle singole parole e quello più profondo, nascosto che svela un senso ulteriore delle stesse parole e situazioni. Il capitolo ha una struttura unitaria e lo testimonia il fatto che tre parole sono ripetute all’inizio del capitolo e alla fine, quasi a dare loro un ordito di tessitura: tecnicamente si chiama inclusione. Le tre parole sono: a) cieco (cf Gv 9,1-2. 39-41); b) peccato (cf Gv 9,2-3. 41); c) mondo (cf Gv 9,5.39)[5].
Vi troviamo inoltre un vocabolario uniforme che si ripete costantemente e che dà unità letteraria a tutto il capitolo[6]«Lasciateli stare! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno nel fosso!» (Mt 15,14). che ruota attorno al processo da parte dell’autorità ufficiale contro il cieco, la sua famiglia e Gesù. I capi religiosi, oggi diremmo l’autorità religiosa ufficiale, che avrebbero/dovrebbero aprire gli occhi della conoscenza per fare incontrare il popolo con Gesù, finiscono per diventare essi stessi ciechi perché schiavi della loro prevaricazione: identificano il loro pensiero con il pensiero di Dio. Per costoro Gesù ha una parola sprezzante:
La prima lettura svela i criteri con cui sceglie Davide e fa da sfondo al vangelo dove l’autorità che amministra il sacro non sa cogliere la portata profetica dell’evento Cristo che guarisce un cieco dalla nascita. Fa da sfondo di contrasto il profeta che per scegliere uno tra i sette figli di Iesse e invece deve imparare a cambiare criteri di valutazione e a modificare il suo pensiero perché Dio sceglie tra coloro che egli avrebbe scartato. Il prescelto è l’ottavo figlio di Iesse, il più piccolo, colui che nessuno ha preso in considerazione. Il profeta non contrasta i criteri di Dio, ma li realizza. San Paolo codificherà questo metodo, facendone un criterio generale: «Ciò che nel mondo è debole, Dio lo ha scelto per confondere i forti; ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato, e ciò che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre a nulla le cose che sono» (1Cor 1,27-28).
Nella storia biblica come nella storia della Chiesa i sacerdoti sono spesso d’impedimento alla realizzazione del regno di Dio perché lo confondo con la gestione del loro potere religioso finalizzato al dominio delle coscienze, a differenza dei profeti che sono guidati dalla logica della fede, fondata sulla conoscenza reciproca e sulla adesione del cuore, pagando spesso con la vita la loro fedeltà alla libertà di Dio. L’istituzione è nemica della profezia e infatti la combatte con ogni mezzo, salvo poi santificarla e istituzionalizzarla alla morte dei profeti, quando diventano innocui.
Il sacerdote Aronne, responsabile del culto, asseconda l’idolatria del popolo impaurito e fa costruire il vitello d’oro, diventando partecipe e complice dell’idolatria del popolo (Es 32,1-6). Il profeta Mosè accusa il sacerdote Aronne perché colpevole di avere gravato il popolo di un grande peccato, ritenendolo responsabile del ludibrio d’Israele. (Es 32,21.25) Mosè non esita a schierarsi contro tutto il popolo perché il profeta non ha carriere da difendere o posti da custodire o prebende da mendicare (Es 32,26). Il profeta difende il popolo stando saldo sulla Parola e difendendo la dignità di Dio e la verità del culto. Il sacerdote può fare deviare il popolo, il profeta invece può solo richiamare all’austerità della coscienza, anche se questo gli costa la solitudine. Andiamo anche noi come il cieco alla ricerca di Gesù, introducendoci con antifona d’ingresso (cf Is 66,10- 11): «Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. 11Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria».
 
Spirito Santo, tu sei l’olio che Samuele portò con sé per consacrare il figlio di Iesse,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu scavi nel profondo perché cerchi il cuore e non l’apparenza esteriore,       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu scegli i piccoli e i poveri per realizzare il Regno di Dio,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il pascolo erboso dove il Signore ci fa riposare e rinfrancare,    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’acqua tranquilla che disseta il gregge di Dio, la santa Chiesa, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il vincastro di Dio che ci guida anche nella valle tenebrosa,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu prepari la mensa per tutti i convitati al banchetto messianico,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’olio che ci rafforza nel cammino verso la casa del Signore,    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la luce che genera figli nella bontà, nella giustizia e nella verità,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il Maestro che ci insegna a cercare ciò che è gradito al Signore,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’acqua della piscina di Sìloe che guarì il cieco dalla sua cecità,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu hai guidato il cieco dalla non conoscenza all’incontro con il Signore,        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu in noi dài gloria a Dio svelando il volto del Signore Gesù, l’Inviato,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci rendi liberi dalla religione per restituirci alla Parola della profezia,         Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu apri gli occhi del cuore a quanti cercano con animo sincero la verità,        Veni, Sancte Spiritus.
 
La liturgia di oggi è un costante gioco a rimpiattino: vale ciò che non si vede. Davide è assente e non fa parte degli invitati, eppure è lui che Dio ha scelto. I figli della luce devono camminare in mezzo al buio della vita e senza discernimento rischiano di lasciarsi catturare dalle logiche mondane. Il cieco non conosce Gesù, ma testimonia di essere stato guarito da lui e resiste davanti alle torture dell’istituzione. Dio cammina in mezzo a noi, ma noi stentiamo a riconoscerlo: spesso non ne sappiamo cogliere le tracce, le impronte. Ci accontentiamo di Dio solo per sentito dire, ci basta quello che la religione ufficiale ci dice. Deleghiamo il nostro incontro agli esperti della religione che hanno come obiettivo nascondere Dio, piuttosto che farlo conoscere. Accompagniamoci al cieco e facciamo anche il nostro percorso catecumenale, con l’aiuto e sotto la protezione della santa Trinità:
 


 (greco)[7]
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito

 
Il vangelo di oggi si chiude con queste amare parole di Gesù ai Farisei: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (v. 41). Si può essere ciechi e non saperlo oppure si può essere ciechi e pretendere di vedere. In questo dilemma si colloca la coscienza che deve sempre valutare la realtà in cui ci troviamo e l’ideale a cui tendiamo. Lasciamoci esaminare dallo Spirito Santo per essere capaci di cogliere la novità della Parola che oggi è proclamata profeticamente per noi. Non abbiamo paura di lasciaci vedere e di vedere il Volto del Dio che cammina con noi per renderci capaci di vedere la nostra consistenza. L’esame di coscienza che siamo chiamati a fare è il collirio di cui parla l’Apocalisse: «Ti consiglio di comperare da me…collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista» (Ap 3,18). [Breve, ma congruo esame di coscienza]-
 
Signore, tu ci hai consacrato con l’olio del battesimo, perdona le nostre incongruenze,       Kyrie, elèison!
Cristo, tu scegli il cuore contrito e non appariscente, salvaci dall’ostentazione,                    Christe, elèison!
Signore, tu ci dài la luce dello Spirito, accompagnaci nel buio della valle oscura,     Pnèuma, elèison!
Signore, tu hai guarito il cieco perché vedesse il volto di Dio, liberaci dalla ogni cecità,      Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che ha inviato Samuele a cercare il suo consacrato, obbligandolo a scegliere con i criteri della verità e non dell’apparenza; che ha scelto Davide pur essendo l’ultimo di otto fratelli; che ha mandato l’apostolo Paolo ad indicare la via per cercare ciò che piace al Signore; che ha guarito l’uomo cieco fin dalla nascita; per i meriti dei santi profeti, per i meriti del santo re Davide antenato del Signore Gesù, per i meriti dell’apostolo Paolo e per i meriti di tutti i poveri, ciechi, storpi, zoppi che fanno l’assemblea del regno di Dio, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri occhi con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato a illuminare il mondo, e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Egli è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura 1Sam 16,1b.4.6-7.10-13a. Storicamente, per motivi di strategia politica, Davide ricevette due unzioni: una dalle tribù del nord (2Sam 5,3) e una dalla tribù di Giuda a sud (2Sam 2,4). L’unzione di Samuele proposta dalla liturgia odierna non sembra conosciuta nemmeno da coloro che dovrebbero, come Eliab fratello di Davide (1Sam 17,28). Probabilmente si tratta di un recupero posteriore per ristabilire la credibilità del profeta Samuele messa in discussione dalla consacrazione che aveva fatto di Saul il re rigettato da Dio. Facendogli consacrare Davide, i profeti riformisti posteriori riparavano l’errore di valutazione dell’uomo di Dio. La consacrazione di Davide è tutta politica: con essa infatti Davide può pretendere di governare sia le tribù secessioniste del nord che quelle del Sud, diventando così strumento di unità di tutto Israele. Il brano di oggi esprime con chiarezza i criteri di scelta di Dio: egli guarda il cuore e non le apparenze. Un altro elemento importante è la messianicità del brano, nascosta nelle pieghe del testo: Davide è l’ottavo figlio di Iesse ed è scelto dopo che gli altri sette sono stati scartati. Secondo la tradizione ebraica, il numero «8» è la cifra del Messia che sarà chiamato «virgulto di Iesse» (Is 11,1). Nel NT Gesù-Messia arriva dopo una serie di servi che vengono uccisi (Mt 21,33-44) perché egli che era il primo si fece ultimo (Mc 9,35). L’Eucaristia ci convoca alla mensa della verità perché impariamo dall’agire di Dio a valutare le persone non per le loro apparenze esteriori, ma per l’autenticità del loro cuore.
 
Dal primo libro di Samuele 16,1b.4.6-7.10-13a
In quei giorni, il Signore disse a Samuele: 1«Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da lesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». 4Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato. 6Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». 7Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». 10Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». 11Samuele chiese a lesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». 12Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: «àlzati e ungilo: è lui!». 13Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 23/22, 2-3; 4; 5-6. Il salmo 23 è unanimemente attribuito a Davide che, secondo la tradizione ebraica, lo compose mentre fuggiva da Saul che voleva ucciderlo. Dio irrigò la foresta con una rugiada che aveva il sapore del mondo futuro e così rese anche commestibile l’erba del prato e le foglie degli alberi. Ancora oggi il salmo è recitato dagli Ebrei prima della benedizione del pasto perché il salmo si compone in ebraico di 57 parole che è anche il numero della parola «nutrimento» in ebraico[8]. Il Salmo è centrato su due figure: il pastore come allegoria di Dio e l’ospite come allegoria del credente. Il viaggio del Pastore richiama l’esodo di Israele nel deserto, durante il quale fu nutrito da Dio con la carne, la manna e con l’acqua (Es 16,1-36; 17,1-7). L’Eucaristia è il pascolo erboso su cui il «Pastore bello» (Gv 10,11.14) ci fa riposare per nutrirci con la Parola, il Pane e la forza del Vino per attraversare la valle oscura che interseca la vita.
 
Rit. Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

1. 1Il Signore è il mio pastore: / non manco di nulla.
2Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
3Rinfranca l’anima mia. Rit.
Il tuo bastone e il tuo vincastro / mi danno sicurezza. Rit.
3. 5Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo; / il mio calice trabocca. Rit.
2. Mi guida per il giusto cammino,
a motivo del suo nome.
4Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
4. 6Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghi giorni. Rit.

 
Seconda lettura Ef 5,8-14. I primi cristiani chiamavano il battesimo con il nome di «illuminazione» che irrompe nella vita mettendo allo scoperto l’opposizione tra luce e buio. Paolo si trova prigioniero a Roma (anni 61-63) ed esorta gli Efesini a guardarsi dagli influssi del paganesimo che si presenta in modo allettante. Bisogna diventare chi si è attraverso un cammino lento di discernimento costante. Classica è nel cristianesimo delle origini la contrapposizione «luce-tenebra» (Rm 13,12; 2Cor 6,14; 1Ts 5,5; Gv 12,35; 1Gv 1,5. Nella comunità di Qumran questa opposizione si fa irriducibile e diventa il simbolo della battaglia finale escatologica: «i figli della luce» lottano contro «i figli delle tenebre». Paolo non si limita a chiedere agli Efesini di prendere le distanza dal paganesimo e dalle tenebre, ma chiede anche di condannarli apertamente (v. 11) e ciò significa che i cristiani non devono solo essere spettatori, ma devono affrontare il male e farlo emergere dal nascondimento che il male preferisce. Qui Paolo con ogni probabilità si riferisce all’uso sfrenato e sfacciato della sessualità anche a sfondo religioso (Dioniso e riti orgiastici). L’invito di Paolo è attualissimo e ci invita alla vigilanza nella coerenza della verità di Dio.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo agli Efesini 5,8-14
Fratelli e sorelle, 8un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; 9ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10Cercate ciò che è gradito al Signore. 11 Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. 12Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, 13mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. 14Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà». - Parola di Dio.
 
Vangelo Gv 9,1-41 (lett. breve 9,1.6-9.13-17.35-38). Il tema del vangelo di oggi è il tema della luce narrata attraverso la guarigione del cieco nato. Anche questo capitolo come quello della Samaritana non è un resoconto storico nel senso moderno del termine, ma una forte catechesi che ci conduce alla scoperta della vera personalità di Gesù. Il racconto del cieco nato è molto simile a quello del paralitico (Gv 5,1-9) perché ambedue costruiti attorno allo stesso canovaccio. E’ il segno che l’autore nutre uno scopo «teologico» non cronachistico. Il percorso del cieco è il cammino di un ipotetico catecumeno che si pone la domanda: «Chi è Gesù?». Egli parte dalla non conoscenza (v. 11), passa attraverso la mediazione della istituzione religiosa che ne ostacolando il percorso e infine arriva ad incontrare personalmente Gesù (vv. 35-38). Tutti gli altri che ruotano attorno rifiutano di conoscere Gesù: i genitori del cieco (vv. 18-23) e i teologi professionisti del sacro che vedono in lui una minaccia al loro status (vv 7.11.15). La conclusione è drammatica: l’uomo che era cieco finisce con il credere, quelli che credevano di vedere diventano ciechi, ribaltando così le posizioni e dando corpo alla profezia di Isaia: «Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete… Sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi e non ascoltino con gli orecchi» (Mt 13,14-15; Is 6,9-10). Partecipare e celebrare l’Eucaristia significa frequentare la scuola che insegna ad ascoltare e a vedere con gli occhi della fede che ci conduce oltre il pane, oltre il vino, oltre le parole fino ad incontrare la persona stessa del Signore Gesù.
 
Canto al Vangelo Cf. Gv 8,12. Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio! lo sono la luce del mondo, dice il Signore, Chi segue me avrà la luce della vita. Gloria a te, o Cristo, Verbo di Dio! 
 
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 9,1-41 (lett. breve 9,1.6-9.13-17.35-38)
1)        vv. 1-5: L’incontro col cieco. Dialogo con i discepoli.
1Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita [2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché Io-Sono nel mondo, sono la luce del mondo».
 
2)      vv. 6-12: Guarigione del cieco. Dialogo dei vicini:
6Detto questo] sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. 8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». [10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so»].
 
3)      vv. 13-17: Primo interrogatorio del cieco:
13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra di loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».  
 
4)      vv. 18-23: Interrogatorio dei genitori:
[18Ma i Giudei non credettero di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età, chiedetelo a lui!».   
 
5)      vv. 24-34: Secondo interrogatorio del cieco:
24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’ uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.]
 
6)      vv. 35-38: Dialogo tra Gesù e il cieco:
35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36 Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.
 
7)      vv. 39:41: Dialogo-discussione tra Gesù e i Farisei:
39Gesù allora disse: «E’ per un giudizio che Io-Sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Il racconto della guarigione del cieco nato va oltre il fatto meramente materiale perché ha uno scopo catechetico e catecumale. Vuole cioè educarci alla conoscenza di Gesù per predisporre un incontro personale. Che sia un racconto teologico si evidenzia anche dal fatto che è molto somigliante alla guarigione del paralitico, riportato in Gv 5 e con il quale ha in comune sette momenti (v. nota 10). Confrontare i due racconti ci aiuta a spiegare la Scrittura con la Scrittura e a leggere il vangelo al di là delle apparenze superficiali. In seguito esamineremo alcuni elementi tratti dalla tradizione giudaica che illuminano ulteriormente il racconto odierno. Di seguito in sinossi, i due racconti:
 

Paralitico Gv 5,1-18
Cieco nato: Gv 9,1-41
I due miracoli avvengono di sabato…:
5,9:
Quel giorno però era un sabato.
Era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.
9,14
 
… e vicino ad una piscina:
 
5,2
A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici
gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe” - che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
9,7
 
I beneficiari sono malati inguaribili…:
 
 
uno è paralitico da 38 anni
l’altro è cieco dalla nascita
 
5,5
5Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato.
19E li interrogarono: “È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?”. 20I genitori di lui risposero: “Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco
9,19-20
 
… e tutti e due non conoscono Gesù
 
5,12-13. 15
12Gli domandarono allora: “Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?”. 13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
11Egli rispose: “L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista”. 12Gli dissero: “Dov’è costui?”. Rispose: “Non lo so”.
9,11-12
 
… portano il problema davanti ai Farisei…:
 
5,10
10Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: “È sabato e non ti è lecito portare la tua barella”.
13 Condussero dai farisei quello che era stato cieco … 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”. 
9,13.15
 
… e tutti e due reagiscono allo stesso modo:
 
5,11
11Ma egli rispose loro: “Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina””.
15 Ed egli disse loro: “Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo”.
9,15
5,14
Gesù incontra di nuovo casualmente i due e li aiuta a riflettere su di lui
 
 
14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: “Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”.
35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”.
9,35
5,15
i due beneficiati «rivelano» Gesù ai Giudei/Farisei
 
 
Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.
17Allora dissero di nuovo al cieco: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. Egli rispose: “È un profeta!”.
27Rispose loro: “Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”.
32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”.
9,17.27.
32-33

 
Lo stesso schema ripetuto in due racconti è la prova che ci troviamo di fronte ad un impianto teologico che è centrato sulla conoscenza di Gesù che a sua volta è il tema centrale di tutto il IV vangelo. Il racconto del cieco nato è la descrizione di un cammino progressivo verso la consapevolezza della conoscenza in contrasto con la conoscenza superficiale ed esteriore degli ambienti circostanti: la famiglia, i vicini e la religione ufficiale. Gesù stesso mette in guardia sugli ostacoli del mondo esterno che contrasta ogni presa di coscienza. Sulla famiglia, Gesù non è tenero:
 
« 33Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? 34Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?…Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”» (Mc 3,33-35).
 
Sui Farisei è sprezzante:
 
«2Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,3-4)[9].
            Il capitolo 9 di Gv si divide in sette[10] unità tematiche:
1.      9,1-7: Racconto della guarigione del cieco e dialogo di Gesù con i suoi discepoli.
2.      9,8.12: Dialogo con i vicini e conoscenti. Inizio del processo al cieco.
3.      9,13-17: Primo interrogatorio dei Giudei: imputato il cieco guarito.
4.      9,18-23: Secondo interrogatorio dei Giudei: imputati i genitori del cieco.
5.      9,24-34: Terzo interrogatori dei Giudei: imputato di nuovo il cieco
6.      9,35-38: Dialogo tra Gesù e il cieco nell’incontro casuale.
7.      9,39-41: Discussione tra Gesù e i farisei sulla missione di Gesù e la cecità delle guide religiose.
Alla fine del capitolo le parti si invertono: giudicato dai Farisei, Gesù è riconosciuto Figlio dell’Uomo, cioè colui al quale è rimesso il giudizio, creando così una netta divisione tra coloro che pretendono di vedere, ma non vedono e il cieco che obbedisce e guarisce[11].
Tutto il capitolo ha una proiezione cristologica perché mette in evidenza sia la personalità di Gesù che la sua missione in rapporto al Padre che lo ha mandato: nella polemica con i Giudei è un argomento capitale: guarendo il cieco nato Gesù si presenta come il «rivelatore» del Padre, colui che «apre gli occhi» a quell’Israele che è talmente preso dall’osservanza materiale della Toràh scritta e orale da avere perso di vista la volontà del Padre. Gesù si presenta così come l’inviato dal padre cioè da Yhwh, per cui si fa carico di tutta la storia d’Israele per riportarla nel cuore della volontà di Dio, cioè il progetto originario per cui Israele è stato scelto: essere luce per le nazioni: «Io ti renderò luce della nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6).
I titoli dati dall’autore a Gesù sono sette (v. nota 10): i primi sei appartengono all’esperienza umana e riguardano quindi l’uomo Gesù di Nàzaret, l’ultimo proviene dall’esperienza pasquale e riguarda la divinità dell’Inviato[12]Alcuni titoli hanno attinenza con la tradizione giudaica che cerchiamo di mettere in risalto per cogliere la profondità del vangelo letto nel suo ambiente proprio[13]. .
Il primo titolo dato a Gesù dagli apostoli è «Rabbì» (Gv 9,2). Questo termine in tutto il NT ricorre 12 volte, di cui 8 nel vangelo di Giovanni e 4 in quello di Mt[14]«Mio grande/mio signore/mio padrone». In italiano si traduce anche correttamente con «Maestro mio», oggi diventato anche un titolo: «Rabbino». . Esso quindi si trova solo nei due vangeli indirizzati a comunità con forte presenza giudaica. Nel IV vangelo poi si trova solo nella prima parte, nel «libro dei segni» perché è un titolo che rappresenta una condizione temporanea: verrà un giorno in cui l’insegnamento finisce per lasciare spazio alla contemplazione e alla visione dell’«ora» della morte. Nella seconda parte del vangelo «il libro dell’ora», infatti, Gesù si manifesta come «Signore» morto e risorto. In ebraico «Rabbì» significa:
Il Rabbì è la massima autorità nel campo dell’insegnamento della Toràh, ma anche il modello della sottomissione ad essa. Il discepolo guarda al Rabbì come a colui a cui ispirarsi per lo stile di vita. In genere i Rabbì facevano vita comune con i propri discepoli. Di solito erano i discepoli che sceglievano il Rabbì e lo raggiungevano nella sua abitazione. Gesù capovolge questo costume ed è lui che va in cerca dei suoi discepoli, con i quali convive. La formazione non avviene nel chiuso di una scuola o «Casa dell’insegnamento» (Bet hammidrash), ma avviene sulle strade del mondo, andando incontro agli uomini e alle donne del loro tempo.
Il secondo titolo è «Inviato». Per capire questo titolo è necessario approfondire. In Gv 9,4 Gesù dice che è necessario «compiere le opere di colui che mi ha mandato». Il concetto di Gesù inviato dal Padre in tutto il vangelo ricorre 23 volte, di cui 7 volte nella forma genitiva «di colui che mi ha inviato» (Gv. 4,34; 5.30; 6,38.39:7,16; 9,4; 14,24). Di fronte al cieco Gesù compie un gesto particolare: «sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» (v. 6). La saliva era considerata dagli antichi come l’alito consolidato, lo spirito vitale solidificato e per questo si riteneva che avesse un potere taumaturgico di guarigione: trasmetteva l’energia vitale della persona[15]. Gesù impasta la saliva con la polvere per farne «fango», compiendo così lo stesso gesto creatore di Yhwh quando «plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Gesù spalma sugli occhi il suo alito vivente, la sua forza vitale di «primogenito del Padre» perché egli lo sta ricreando nuovamente alla vita: un cieco fin dalla nascita vede per la prima volta. In questo gesto c’è anche c’è anche un senso nascosto: se Gesù si presenta come il Creatore, egli è anche colui che dà la vita, qui simboleggiata dalla luce degli occhi: «In lui era la vita [= saliva] e la vita era la luce degli uomini…Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,4.9).
Dopo averlo «impastato» di saliva e fango, Gesù manda il cieco a lavarsi nella piscina di Sìloe e l’evangelista annota: «Sìloe[16]» (Gv 9,7)[17]«mittente/inviante» acqua, nome che poi è passato al piscina propriamente detta. L’interpretazione simbolica che fa Giovanni di Sìloe è ben fondata perché otto secoli prima, il profeta Isaia aveva parlato delle acque di Sìloe come di acque tranquille opposte alla irruenza distruttiva del fiume, simbolo dell’invasione assira. Sìloe è il simbolo della comunione con Dio e il fiume simbolo della ferocia assira: . La piscina di Siloe riceve l’acqua dalla sorgente del Gihon attraverso un canale scavato nella roccia[18], per cui è facile interpretare che il canale sia chiamato (che significa Inviato)
 
«Poiché questo popolo ha rigettato le acque di Sìloe, che scorrono piano, e trema per Rezìn e per il figlio di Roimelia, per questo, ecco, il Signore gonfierà contro di loro le acque del fiume, impetuose e abbondanti; cioè il re assiro con tutto il suo splendore, irromperà con tutti i suoi canali e strariperà da tutte le sue sponde» (Is 8,6-7).
 
Il Targum a Isaia (che potrebbe essere del sec. I a. C.) così legge lo stesso brano:
 
«Poiché questo popolo ha rigettato il regno della casa di David che lo governava con dolcezza come le acque di Sìloe che scorrono pacificamente e ha preferito Rezìn e il figlio di Romelia, il Signore farà venire e farà salire contro di essi le schiere dei popoli che sono grandi, forti e numerosi come le acque del Fiume, il re d’Assiria e il suo esercito».
 
Nel Targum c’è il riferimento esplicito al «regno della casa di Davide» per il fatto che le acque della sorgente di Gihon e di Sìloe hanno avuto un ruolo importante nella consacrazione di Salomone come re successore del padre Davide per mano del profeta Natan e del sacerdote Zadoc come testimonia il libro dei Re (1Re 33-45). Non fa quindi meraviglia se il Targum a 1Re 33.38.45 identifica Gihon con Sìloe come se fossero un solo luogo. L’autore del IV vangelo si situa in questa prospettiva davidica e, applicando l’esegesi giudaica[19], legge l’ebraico «Siloàh» come se fosse «Shaluàh» che significa «Inviato»[20]. In questa prospettiva si avrebbero diversi temi collegati insieme nel nome di «Sìloe»: il tema del regno e della discendenza davidica, il tema dell’Inviato/Messaggero di Dio, il tema dell’acqua e il tema dell’umanità cieca che cerca la luce. Tutti questi temi descrivono la missione per cui Cristo è venuto.
In Gen 49,10 che riporta le benedizioni di Giacobbe ai suoi dodici figli, la 3a benedizione riguarda Giuda: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene (in ebraico: Shilò oppure Shilòh) e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli».
Il Targum Onqelos traduce dando una interpretazione messianica: «finché venga il Messia a cui appartiene il Regno»[21]. Molti altri testi vi sono nella tradizione giudaica su questo aspetto, ma nell’economia del presente lavoro è sufficiente metterne in evidenza l’importanza perché dimostra che Giovanni conosce le tradizioni giudaiche su Sìloe e inviando il cieco a lavarsi a nella piscina compie un gesto simbolico che riguarda l’umanità tutta, inviata a lavarsi nell’acqua e nel sangue che sgorgherà dal costato del Messia crocifisso, dopo avere consegnato l’acqua dello Spirito Santo (Gv 19,34.30).
Il terzo titolo con cui Gesù si presenta al cieco è «Figlio dell’uomo» (Gv 9,35), titolo che non farebbe problema se non fosse inserito in una professione di fede, dove ci si aspetta termini come «Signore» (Gv 9,39; cf Fil 2,11), «Figlio di Dio» (cf At 8,37) o anche «Messia» (Gv 9,22), ma non «Figlio dell’uomo»[22]. Nel IV vangelo su questa formula vi è una progressione quasi voluta: fino al capitolo 6,62 se ne parla in terza persona, nel capitolo 8,28 e 9,35 (vangelo odierno) è Gesù stesso che s’identifica con questo personaggio[23], mentre nei restanti testi (cf nota 22) il riferimento al capitolo 7 di Daniele è implicito per chiarire il ministero terreno di Gesù.
L’apocrifo Libro Etiopico di Enoc (= 1Enoc) il «Figlio dell’uomo» è identificato con il «Servo di Yhwh» che viene definito «mio Eletto» (ebraico: bechyrý) di cui parla Is 42,1, ma anche con il Messia (in greco: Christòs) che definisce la natura davidica della discendenza messianica:
 
«Tutto quello che hai visto serve alla dimostrazione della sovranità del suo unto [Cristo], affinché sia forte e potente sulla terra…Voi re e potenti, che dimorate sulla terra ferma, vedrete il mio Eletto quando siederà sul trono della mia gloria e giudicherà Azazel»…Poiché il Figlio dell’uomo prima era nascosto e l’Altissimo lo ha conservato dinnanzi alla sua potenza e lo ha rivelato ai suoi eletti… Tutti i re, i potenti, figli elevati e coloro che dominano sulla terra ferma, di fronte a lui cadranno sulla propria faccia e pregheranno, riporranno la loro speranza in quel Figlio dell’uomo» (1Enoch, 52,4; 55,4; 62, 7.9)[24].
 
Il testo di questo apocrifo testimonia che già un secolo e mezzo prima di Cristo le idee riportate da Gv erano consuete e patrimonio comune: il Figlio dell’uomo è l’eletto di Isaia e il giudice di Daniele. Il NT s’inserisce tranquillamente in queste teologie e le fa proprie. Non meraviglia più quindi che il cieco è richiesto di fare la sua professione di fede al «Figlio dell’uomo» perché esso al tempo di Gesù era sinonimo equivalente di «Messia» ed «Eletto» nel senso isaiano di «Servo di Yhwh»[25]. Il cerchio si chiude con il Targum di Is 42,6-7 che rilegge la figura del «servo di Yhwh» in chiave espressamente messianica: «Io ti ho posto come luce delle nazioni per aprire gli occhi della casa d’Israele che era cieca davanti alla Toràh». E’ evidente che nel racconto del cieco nato ci troviamo immersi nella teologia cristologica della Chiesa del sec. I che a sua volta si basa su tradizioni ebraiche per approfondire la conoscenza di Cristo, creduto Messia discendente di Davide e Figlio dell’uomo. Per il Targum il cieco è la casa di Israele che non riesce più a vedere la Parola di Dio, per Gv il cieco è l’umanità che non riesce più a riconoscere il volto di Dio.
Ciò accade quando si relega Dio nei cieli e si chiude l’uomo nel ghetto dell’umano separando in modo innaturale Dio dal suo popolo e il popolo dal suo Dio. La Mishnàh nel trattato Pirqè ‘Avot – Massime/Detti dei Padri prescrive agli Ebrei in difesa anche contro i cristiani: «Siate cauti nel giudicare, educate molti discepoli e fate una siepe intorno alla Toràh» (Mishnàh, Pirqè ‘Avòt I,1). La siepe che doveva servire come protezione è diventata talmente alta da impedire la visione della Parola, lasciando solo in vista il commento della tradizione[26].
L’ultimo titolo che esaminiamo, ma solo per accenni, è il titolo pasquale di «Signore» che ha due livelli: sul piano umano indica rispetto e devozione verso qualcuno, sul piano della fede della comunità credente (livello in profondità), acquista il significato messianico attribuito a Gesù risorto. In aramaico si dice «marì o maràn» che mai il giudaismo ha attribuito al Messia, essendo un titolo riservato a Yhwh. In ambiente ellenistico, invece, il termine «Kyrios» veniva usato per indicare i governatori o le loro divinità. E’ quindi il cristianesimo ellenistico che usa il titolo di «Signore» applicato a Cristo, cioè al Messia. In epoca recente, intorno al sec. I a. C., vi sono testi che attribuiscono il titolo al Dio d’Israele per cui l’origine non è solo ellenistica, ma anche palestinese: l’ellenismo di certo contribuì molto a diffonderlo tra i suoi membri, più di quanto potesse fare il giudaismo palestinese, chiuso in se stesso e dentro limitati confini.
A Qumran, il Targum di Giobbe usa il termine «marà’» per tradurre l’ebraico «Shaddày – Onnipotente»[27], ma solo i manoscritti cristiani della Bibbia greca detta Lxx traduce «Yhwh» con «Kyrios – Signore», mentre molti manoscritti giudaici della stessa Lxx traducono in greco tutta la Bibbia ebraica, ma lasciano lo spazio vuoto dove ricorre il santo tetragramma «Yhwh» che successivamente copiano in ebraico, così che si hanno Bibbie in greco con il nome di Dio (Yhwh) in ebraico e si contano per difetto una trentina di manoscritti.
Il Targum 2Sam 22,29-32 usa il titolo «marì – mio signore» nella preghiera indirizzata a Dio: «Perché tu sei, mio Signore (marì), la luce d’Israele e il Signore (Yhwh) mi ha fatto uscire dalle tenebre alla luce» (cf Targum Sal 18,29). Il Midrash Genesi Rabbà 13,2 allo stesso modo attribuisce il titolo di «marì» a Dio: «Tutte le preghiere dell’umanità hanno come oggetto la terra; Mio Signore (marì) che la terra sia feconda. Tutte le preghiere di Israele hanno per oggetto il tempio: Mio Signore (marì) che il Tempio sia ricostruito»[28].
 
Questo il contesto in cui l’autore pensa e scrive il racconto del cieco nato esprime anche la posizione dei cristiani della seconda metà del sec. I di fronte ai Giudei. Il cieco infatti è «cacciato fuori» dalla sinagoga (Gv 9,34b), mettendo così in atto la parola dello Signore che lo aveva preventivato: «2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. » (Gv 16,2-3). Conoscere Gesù significa correre il rischio e la certezza di essere espulso da quella istituzione, nata appositamente per facilitare la conoscenza, ma ripiegata così tanto su sé da non essere in grado di vedere altro che se stessa: l’istituzione porta le persone al culto di sé non all’incontro con Dio. Quando non può gestire le coscienze, «scaccia via», scomunica[29]. La comunicazione che fa Gv non è solo una notizia di cronaca, ma la descrizione della tensione che si è creata tra la Chiesa nascente e la Sinagoga, tra Ebrei e Cristiani e che costerà così caro agli Ebrei fino alla Shoàh e alla Chiesa perché ha perso la sua identità originaria di figlia d’Israele.
 
Gesù ha appena chiesto al cieco se crede nel Figlio dell’uomo e il cieco chiede di conoscerlo. Gesù si rivela a lui e il cieco risponde con una formula di fede pasquale: «Credo, Signore!» nel momento stesso in cui compie il gesto di adorazione (cf Gv 9,35-38; Es 3,6), come Abramo davanti al Signore dell’alleanza (cf Gen 17,3), come Mosè davanti alla gloria di Dio (cf Es 34,8), come Mosè e Aronne davanti alla Tenda del convengo (cf Nm 20,6), come «un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei» davanti a Gesù nel giardino di Getsèmani (cf Gv 18,6).
Il verbo di adorazione «proskynèo – mi prostro» per cui «rendo culto/adoro» si trova qui e nel racconto della Samaritana (cf Gv 9,38; 4,20-24 [10x]. A conclusione del capitolo che coincide con la conclusione del cammino catecumenale, accade ciò che accadeva nel Primo Testamento. Quando Dio si rivela, gli uomini cadono con la faccia a terra. Ora è Gesù si rivelarsi e il cieco/umanità cade con la faccia a terra. Il lungo e drammatico cammino, pieno di contraddizioni, di contrasti, di opposizioni e di conflitti ha portato comunque alla conoscenza della personalità di Gesù. Se alla Samaritana Gesù ha anticipato l’abolizione del culto istituzionale, al cieco manifesta che il Tempio del Dio della alleanza nuova vaticinata da Geremia (31,31) è la sua natura umana dove il vero volto del Padre si manifesta con dolcezza e attenzione per gli esclusi dalle sinagoghe e dalle religioni ufficiali (Gv 2,19-21; 12,45; 14,9). La Samaritana, lo storpio e il cieco sono i rappresentanti dell’umanità discendente di Adam che la religione ufficiali codifica come nemici di Dio. A questi esclusi Gesù si presenta e apre le porte del Tempio di Dio che non è quello del monopolio delle istituzioni religiose, ma quello esclusivo dell’umanità stessa di Dio. Dio non sta più in un edificio, ma nell’accoglienza dell’amore leale (Gv 4,23a).
E’ interessante notare che il cieco non incontra «Dio», ma l’uomo Gesù e solo dopo, Gesù si manifesta come «colui che ti parla» (Gv 9,37), cioè il Rivelatore. Il cristianesimo è fondato sull’incarnazione di Dio e solo l’esperienza dell’umanità piena e totale di Gesù, «Figlio dell’Uomo» può condurre al volto del «Figlio di Dio». Senza l’incontro umano e la conoscenza reciproca, non reggere nessuna costruzione pseudo-spirituale o divina. Questa è la pedagogia che Gesù stesso ci insegna attraverso il cieco nato e la donna samaritana. Questo è il cammino della fede, il percorso di ogni catecumeno.
 
Abbiamo già detto che il tema della conoscenza è centrale nel IV vangelo e che nel cap. 9 assistiamo ad un percorso di conoscenza che si contrappone ad altri sistemi conoscitivi e a false spiritualità. Il cieco progressivamente passa di conoscenza in conoscenza fino alla fede in contrasto con quella dell’ambiente che lo circonda e che dovrebbe aiutarlo, mentre invece lo ostacola: parenti, vicini e farisei. Spesso l’ambiente religioso autoreferenziale, chiuso in sé è un vero ostacolo all’incontro con il Dio di Gesù Cristo. E’ un chiaro cammino catecumenale che rileviamo nei suoi elementi essenziali, attraverso il cammino del cieco:
a)      Conversione interessata: il cieco si accontenta di motivazioni insufficienti: non sa chi è Gesù (cf Gv 9,11). Egli lo ammira perché ne ha ricevuto un beneficio (molti oggi accettano la Chiesa come erogatrice di servizi religiosi e/o sociali e nulla più).
b)      Conversione alla prova: il cieco urta con la conoscenza teorica (libresca, teologica e morale) delle alte sfere dell’autorità religiosa (l’autorità può essere, come spesso è, un ostacolo alla fede). La fragilità della fede e l’entusiasmo del povero cieco è messa a rischio dallo scandalo di una struttura di potere che non si accorge né della persona di Gesù né della persona del povero, ma guarda solo alla sua sopravvivenza perché quando capisce che Gesù opera fuori dagli schemi ufficiali lo scomunicano: «Quest’uomo non viene da Dio» (Gv 9,16).
c)      La solitudine della fede: nel momento in cui è scomunicato (lett. cacciato fuori), e quindi è solo, il cieco incontra Gesù quasi per caso e Gesù si lascia incontrare: non bisogna avere sicurezze per incontrare la novità di Dio (cf Gv 9,35-38). Qui il cieco sperimenta la religione della persona, la fede dell’incontro, non la religiosità delle teorie e delle parole o del sacro vacuo e idolatrico.
d)      La fede contrastata dalla religiosità dell’ambiente: chi avrebbe dovuto aiutarlo nella ricerca di Dio, mettendo a suo servizio sia la propria autorità morale (genitori) sia la propria scienza (farisei) si dichiarano fuori e si collocano ai margini sia dell’incontro che della persona. Sono dentro lo schema religioso, ne sono i rappresentanti, ne esercitano il potere, ma stanno fuori del disegno di Dio e dalla fede nel «Figlio dell’Uomo-Messia-Signore». mentre colui che è stato cacciato fuori, il cieco, ora è dentro l’esperienza della fede. La tipologia dei protagonisti assume una portata pedagogica in questo processo-cammino di fede:
1)       I genitori (cf Gv 9, 18-23): hanno un’appartenenza puramente sociologica al popolo di Dio; non si pongono domande perché hanno paura di scegliere e quindi di essere espulsi. Essere religiosi per loro è una sicurezza ambientale: è la loro identità sociale e civile, esattamente come coloro che difendono il cristianesimo come «civiltà occidentale». Per usare una espressione in voga, sono i custodi «dei valori cristiani». In sostanza stanno bene nella massa, pecore tra pecore e la loro obbedienza è solo un’adesione esteriore all’autorità, ma al prezzo che impediscono a se stessi di potere credere. Scaricano ogni responsabilità sul figlio, di cui non vogliono nemmeno sapere ciò che hanno vissuto: il dramma della cecità dalla nascita. Essi si tirano fuori anche dalla loro storia che di fatto rinnegano.
2)       I vicini (lett. i conterranei: ghèitones) come sempre sono solo curiosi, pronti a dare giudizi e a identificare chiunque: «Alcuni dicevano: “È lui”; altri dicevano: “No, ma è uno che gli assomiglia”. Ed egli diceva: “Sono io!”. (cf Gv 9,9). I vicini sanno sempre tutto, ma non sanno coinvolgersi perché non vivono di vita propria, ma solo di occasionalità superficiale, di pettegolezzi, tanto quanto basta per potere sparlare di qualcuno. S’interessano di Gesù, ma solo per soddisfare la loro curiosità morbosa, senza scomodarsi per cercarlo. E’ la folla.
3)       I Farisei, i teologi esperti, coloro che tutto sanno: «noi sappiamo» (cf Gv 9,24 e 29): essi si perdono in discussioni teologiche e interrogatori senza fine, si perdono dietro al «sesso degli angeli» e smarriscono le strade della storia, con l’aggravante che la fanno perdere anche agli altri: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l'avete impedito» (Lc 11,52). Pensano di pensare come Dio e si arrabbiano se gli altri non pensano come loro. E’ il dramma del clericalismo e del fondamentalismo religioso che presume di rappresentare Dio senza alcuna mediazione. Al cieco basta il fatto, che ripete per tre volte: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo» (Gv 9,15; cf vv. 6.11.), ma essi chiusi nel loro dogmatismo e attorcigliati nelle loro speculazioni riescono a mettersi contro i gli stessi fatti, perché è impossibile per loro sbagliare: essi hanno Dio in tasca che gli risolve sempre tutti i problemi della vita per cui non hanno nemmeno bisogno della vita. In compenso sanno benissimo cadere nel ridicolo e quando sono messi con le spalle al muro, di fronte alla possibilità di riconoscere che Gesù è «l’Inviato» di Dio (cf Gv 9,28), non rimane loro che l’ultima arma spuntata, l’arma dei potenti-deboli contro i deboli-forti: la scomunica (cf Gv 9,34).
e)      Si giunge così al rovesciamento delle situazioni: il ribaltamento della realtà (cf Gv 9,39): quelli che credono di vedere non vedono e sono chiusi nella loro cecità, mentre il cieco (nato cieco) accede alla luce che per Gv è la conoscenza della persona di Gesù che si svela come una realtà. In questo percorso i sette titoli attribuiti a Gesù diventano sette porte per entrare e scoprire la multiforme personalità del Signore Gesù: Rabbi (v. 2), Inviato (cf Gv 9,7), Uomo (cf Gv 9,11.16), Profeta (cf Gv 9,17), Messia (cf Gv 9,22), Figlio dell’Uomo (cf Gv 9,35), Signore (cf Gv 9,36)[30].
 
Conclusione aperta per noi 
Gesù non pone condizioni per poterlo incontrare: egli accetta la nostra condizione umana, qualunque essa sia, in tutta la sua incompletezza e ambiguità. Egli sa che ogni comunicazione interpersonale è fragile e ambigua perché è tessuta da interessi differenti e a volte contrastanti. Difficilmente e raramente una persona può accedere al mistero di un’altra persona per comunicare a livello di anima. Fanno eccezioni due esperienze umane, l’amicizia e l’amore sponsale, quando sono vissute in gratuità e nella più totale purezza da interessi. La maggior parte delle esperienze della gente parte e si consuma in una conoscenza esteriore: si possono condividere idee, culture, modi di vedere, visioni, prospettive, valutazioni, politiche, ma non l’anima che esige tempo, ascolto, silenzio, frequentazione, spogliazione di sé per fare spazio all’altro perché percepito come la parte migliore di sé. Si possono avere conoscenze esteriori attraverso un libro, un articolo, internet. Oggi si parla molto e si scrive molto (questi appunti ne sono una prova), non è detto che si comunichi. Più aumentano i mezzi di comunicazione e diventano sofisticati, più aumenta la solitudine e l’incomunicabilità. Si vedono spesso per strada uomini e donne camminare insieme in coppia, uno accanto all’altra, ma ciascuno parla con persone diverse attraverso il telefonino: sono insieme, ma isolati.
Lo stesso avviene con Cristo. La stragrande maggioranza anche dei credenti lo conoscono esteriormente: o attraverso un libro, fosse anche la Bibbia (Nicodemo, i Farisei, gli Scribi) per cui di lui si sa tutto, anche il luogo di nascita, il paese di provenienza, ma non lo si incontra mai. Altri hanno una conoscenza popolare o sociologica come la Samaritana o i suoi “fratelli” o i Giudei (cf Gv 8,39) che si accontentano di vivere di rendita: siamo figli di Abramo… quando verrà il Messia… i fratelli che lo cercano perché lo ritengono «pazzo» (cf Mc 3,21). Altri lo prendono per un guaritore, un profeta, anche il Messia o Figlio dell’uomo, ma si fermano senza lasciarsi coinvolgere dalla domanda di senso: «Chi cercate?» (Gv 18,4.7), per cui non daranno mai una risposta, ma cercheranno sempre di barcamenarsi tra un rito e una pratica, senza operare la svolta decisiva della vita.
Altri infine, partendo da una posizione di sconfitta, non avendo assolutamente nulla da difendere o da perdere, si arrischiano e stabiliscono con lui una relazione personale perché hanno sperimentato sempre le relazioni come sfruttamento o come compassione. Sono assetati di una relazione d’amore vero e lo cercano finché qualcuno non risponde al loro anelito: è il cieco nato, la peccatrice, l’adultera, i pubblicani, gli sconfitti e gli esclusi. Essi percepiscono il mistero di Gesù-Dio e ne restano afferrati, affascinati. Per questo, secondo Mt 25,31-46 alla fine avremo qualche sorpresa: molti di quelli che non hanno conosciuto il Signore, saranno stupiti di essere riconosciuti da lui e introdotti nel suo Regno purché avranno avuto la consapevolezza di non trasformare in assoluto le loro deboli e piccole verità, ma si sono lasciati interpellare dalla storia e dall’incontro con il Dio che si manifesta nei poveri e negli esclusi.
Giovanni narra la guarigione di un cieco nato come una parabola della storia della salvezza che si compie nella persona di Gesù, la vera piscina di Sìloe che lava l’umanità per restituirla al suo stato originario, dandogli la vista perché veda l’opera di Dio (cf Gv 9,3; 6,28; Ap 3,18): «che crediate in colui che egli ha mandato/inviato» cioè in Gesù/Sìloe (Gv 6,29). Alla luce di questi testi scopriamo come il Vangelo esige di essere assaporato parola per parola e ogni parola non si esaurisce al primo significato. Siamo partiti dalla non conoscenza di Gesù per giungere, seguendo il cieco, ad incontrarlo e a riconoscerlo come la Piscina che ci ridona la vista per vedere.
Al contrario i Giudei che credevano di credere, sono rimasti chiusi nella loro incredulità, prigionieri della loro religione che li educa all’osservanza delle regole cultuali, ma non li libera per andare incontro a Dio. Ogni religione è strumento di schiavitù se non fornisce i mezzi di ricerca personale del volto di Dio. In fondo, il cieco ci insegna e ci sprona a scegliere: o la religione del dovere o la fede nel Dio imprevedibile che obbliga ad andare in profondità fino al midollo dell’anima, là dove la coscienza è sola con se stessa e con Dio. Da qui il passo alla comunità è breve perché questa non è altro che il luogo dove risuona e l’una e l’altro.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale o dei fedeli      [Interventi liberi]
 
MENSA EUCARISTICA
Scambio della pace e presentazione delle offerte.
Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, e come insegna il vangelo (Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech» che diventi il pane della vita e il calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).
 
La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.
E con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.
 
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
Nel Nome di Cristo e con l’aiuto del suo Spirito, Pace su Gerusalemme, Pace sulla Chiesa e sul Mondo!
 
[tutti si scambiamo un segno di pace]
 
Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna.                  Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo  (sulle offerte). Ti offriamo con gioia, Signore, questi doni per il sacrificio: aiutaci a celebrarlo con fede sincera e a offrirlo degnamente per la salvezza del mondo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA III[31]
Prefazio Proprio:Rendiamo grazie al Padre per la salvezza che ci procura il battesimo.
 
Il Signore sia con voi.                         E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.               Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                    É cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore.
«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (cf Is 42,1).
 
Nel mistero della sua incarnazione egli si è fatto guida dell’uomo che camminava nelle tenebre, per condurlo alla grande luce della fede.
I cieli e la terra sono pieni della tua santità. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison! Christe, elèison!
 
Con il sacramento della rinascita ha liberato gli schiavi dell’antico peccato per elevarli alla dignità di figli.
Hai scelto il tuo consacrato tra i figli di Iesse, ma non hai guardato al loro aspetto esteriore, ma solo alle inclinazioni del cuore (1Sam 16,1.7).
 
Per questo mistero il cielo e la terra intonano un canto nuovo, e noi, uniti agli Angeli, proclamiamo con voce incessante la tua lode:
Benedetto nel nome del Signore colui che viene, o Dio tre volte «Santo». Tu hai scelto Davide come pastore d’Israele perché preparasse la via al Messia tuoi Figlio e nostro redentore. Osanna nell’alto dei cieli.(1Sam 16,12-13)
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Santo, Santo, Santo, sei tu, Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison ! Christe, elèison! Pnèuma, elèison ! Il tuo Spirito scenda su di noi come scese sul santo Re Davide (cf 1Sam 16,13).
 
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Il Signore è il Pastore che ci conduce alle acque tranquille dell’Eucaristia per farci riposare (cf Sal 23/22,2).
 
Ora ti preghiamo umilmente:manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Con te a nostro fianco non temiamo alcun male perché il tuo Spirito è bastone e vincastro che ci dà sicurezza (cf Sal 23/22,4).
 
Nella notte in cui fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione,  lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Davanti a noi sei tu, o Signore, che prepari la mensa del pane di vita. Tu sei il Signore! (cf Sal 23/22,5; Gv 21,7).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Sii benedetto, Signore della vita, perché il tuo calice trabocca felicità e grazia per tutti i giorni della vita (cf Sal 23/22,5-6).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Ascolta, Israele! Il Signore Dio nostro è l’unico Signore». Egli è il Lògos, l’opera di Dio che sé è manifestata (cf Gv 9,3)
 
Mistero della fede.
Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Tu, o Signore susciti in noi ciò che ti è gradito e che è il frutto della luce: bontà, giustizia e verità (cf Ef 5,10.9).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
Vogliamo compiere le opere di colui che ti ha mandato, o Signore Gesù e cioè credere nella tua Parola (cf Gv 9,4).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.
«In principio Dio disse: “Sia la luce. E la luce fu». «Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedev(cf Gen 1,3; Gv 9,7).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa…, il Vescovo…, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare… e il popolo che tu hai redento.
Vogliamo diventare anche noi tuoi discepoli, Signore Gesù, che sei la luce che illumina il mondo (cf Gv 9,27).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale.
Noi crediamo nel Figlio dell’uomo perché ascoltiamo la sua Parola e beviamo al calice della sua vita (Cf Gv 9,35-36). 
 
Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Noi crediamo, Signore, ma tu aumenta la nostra fede perché possiamo adorarti Giudice e Redentore (cf Gv 9,38;Lc 17,5).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti… N.N. … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Gloria a te, Santa Trinità, unico Dio, che nel battessimo del Signore ci hai illuminato con la luce dello Spirito nel segno dell’acqua
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13): Riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hemôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthèto he basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genethêto to thelemàsu,
come in cielo così in terra
hos en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hemôn tòn epiùsion dòs hemîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hemîn tà ofeilêmata hemôn,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hos kài hemêis afêkamen tôis ofeilètais hemôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkeis hemâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hemâs apò tû ponerû. Amên.

 
Antifona alla comunione Cf. Gv 9,11
«Il Signore ha spalmato un po’ di fango sui miei occhi: sono andato, mi sono lavato, ho acquistato la vista, ho creduto in Dio».
 
Preghiamo. O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo, fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto, perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza e possiamo amarti con cuore sincero. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Il Signore è con voi oggi e sempre      E con il tuo spirito!
Il Signore che non guarda alle esteriorità e alle apparenze, vi dia la dimensione interiore.   
Il Signore che ha scelto Davide come re perché ultimo, ci dia la consistenza dell’essere.
Il Signore che ha aperto gli occhi al cieco, simbolo dell’umanità senza mèta, sia la vostra luce.     
Il Signore che si manifesta a chi è espulso dalle religioni, ci dia la gioia dell’accoglienza.
Il Signore che conduce il cieco alla scoperta della sua persona, vi doni la gioia di trovarlo.            
Il Signore che guida ai pascoli erbosi dell’Eucaristia, sia sempre davanti a noi per guidarvi.
Il Signore che protegge gli esclusi, gli scomunicati e gli impuri, sia il vostro scudo di difesa.          
Il Signore che annuncia il vangelo della liberazione, sia sempre accanto noi per confortarci.
 
E su tutti voi, che avete partecipato a questa liturgia nel segno di Cristo Figlio dell’Uomo, Inviato come progetto di misericordia, discenda dal cielo la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.             Amen!
 
L’Eucaristia termina come rito, l’Eucaristia inizia ora come vita: andiamo nel mondo e portiamo frutti di pace e di rinascita! Rendiamo grazie a Cristo, il Figlio diletto del compiacimento del Padre.
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© Domenica 4a di Quaresima, Anno-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 03/04/2011 - San Torpete – Genova
Avvisi
 
1.      Martedì 5 aprile 2011 alle ore 17,30 a Genova presso la Libreria Feltrinelli, presentazione della rivista MicroMega sulla «Laicità».
 
2.      Giovedì 7 aprile 2011 ore 17,30,al Quadrivium (saletta al 1° piano) conferenza su «La Chiesa nel Centro Storico», organizzato dal MASCI di Genova.
 
3.      Sabato 9 aprile ore 17,30 chiesa di San Torpete in piazza San Giorgio Genova, per «I concerti di san Torpete» V edizione (2010-2011) concerto del «Cerchio Ornato» per Katharina Aberer,  flauto dolce e Stefano Peruzzotti, clavicembalo.
 
4.      Domenica 10 aprile, ore 10,00 celebriamo a Messa il 2° compleanno incompiuto di Ludovica Robotti, titolare della nostra associazione di promozione sociale «Ludovica Robotti – San Torpete» di cui presentiamo l’attività e il logo.
 
5.      Venerdì 15 – Domenica 17 aprile 2011 a Reggio Emilia «Giornate sulla laicità»; Venerdì 15 aprile ore 21, Università di Modena e Reggio Emilia, Aula 2, Dibattito su «Cattolici o clericali?» tra Valerio Onida, Gabriella Caramore e don Paolo Farinella.
 
 


[1] 1a Dom.: Adamo tentato e Cristo tentato ovvero il potere e il servizio per amore: il maligno e il Figlio.
2a Dom.: Vocazione di Abramo e Trasfigurazione di Gesù: il Patriarca e l’Erede: la persona.
3a Dom.: La roccia di Mosè che disseta e il pozzo di Giacobbe e della Samaritana: l’acqua, cibo, culto e messi.
4a Dom.: L’unzione di Davide e il cieco nato che rivede; la gratuità e la prova: l’olio e la luce.
5a Dom.: I sepolcri aperti e la risurrezione di Lazzaro: il capovolgimento: la vita.
6a Dom.: Le palme: la folla prima osanna e poi crocifigge: la solitudine.
7a Dom.: Pasqua: dalla solitudine della morte alla comunione della vita: la speranza.
[2] Per una impostazione della problematica introduttiva, cf F. Manns, L’Evangile, 155-216 , specialmente 185-194).
[3] In quegli stessi anni il Giudaismo si riorganizza, dopo la distruzione del tempio che pose fine ai sacrifici e di fatto alla stessa identità d’Israele. Tra le varie correnti di pensiero vince quella dei Farisei che è la madre del Giudaismo di oggi. Questa corrente a differenza delle altre (dei Sacerdoti e degli Scribi), per diversi motivi, ma anche perché predilige il metodo di trasmissione orale. Nel sec. II d. C. la tradizione orale è messa per iscritto per tutelare un patrimonio culturale enorme che rischiava di andare perduto: nasce la Mishanàh. Più tardi nel sec. VI è messo per iscritto anche il Talmud nelle due versioni di Gerusalemme e di Babilonia che contiene il materiale della tradizione orale che non fu compresa nella Mishnàh. Questi testi pur essendo tardivi, cioè post cristiani, riportano tradizioni molto più antiche da valutare di volta in volta e una per una.
[4] I primi cristiani erano ebrei e frequentavano il Tempio di Gerusalemme e le sinagoghe. Per loro essere cristiani non era contraddittorio con l’essere ebrei. Essi, infatti, ritengono che nella persona di Gesù si compiono tutte le promesse e le attese d’Israele: Gesù per loro è il Messia. All’inizio, quindi, il cristianesimo fu una corrente all’interno del giudaismo, una corrente tra le tante. Con il passare del tempo però, i rapporti tra i Giudei fedeli a Mosè e i Giudei cristiani si fecero sempre più tesi e la diffusione che il cristianesimo aveva anche nel mondo greco, specialmente per opera di Paolo, fariseo di stretta osservanza, cominciò a preoccupare i responsabili della sinagoga. Nel 70 d. C., circa 40 anni dopo la morte di Gesù, il Tempio fu distrutto a seguito della prima rivolta giudaica. Vespasiano prima e suo figlio Tito dopo assediano Gerusalemme, l’espugnano e la distruggono. Agli ebrei è vietato abitare in città e in tutta la Giudea. Inizia la diaspora, cioè la dispersione del popolo ebreo e ha inizio anche la leggenda dell’ebreo errante. Una seconda rivolta avviene 60 anni dopo, nel 132-135, guidata dal mitico Bar Kochba (lett.: Figlio della Stella) sotto l’imperatore romano Adriano. Da questo momento gli Ebrei sono espulsi definitivamente dalla Palestina e vi ritorneranno solo alla fine del 1800 che sfocerà nello Stato d’Israele del 1947. Dopo la distruzione del Tempio nell’anno 70 d. C., di tutte le correnti giudaiche presenti nella vita d’Israele (Sadducei, Scribi, Zeloti, Esseni e Farisei) si salva solo la corrente dei Farisei che tenta di riorganizzarsi nella piccola cittadina di Jabne (o Yavnèh o Jamnia), che si trova vicino Tel Aviv. Nel 68 d. C., Rabbi Jonhatan la richiese al generale romano Vespasiano per potervisi ritirare con i suoi discepoli e aprirvi una scuola biblica (Beth Hammidrash). Qui intorno 90 d. C., contemporaneamente all’uscita del vangelo di Giovanni, inizia la ricostruzione e la riorganizzazione del giudaismo della diaspora con la definisce del canone delle Scritture ebraiche per preservarla dalla contaminazione cristiana che le leggeva in chiave messianica. A Jabne il Giudaismo rompe definitivamente con la nuova corrente, cioè il cristianesimo, contro cui viene formulata una scomunica addirittura introdotta nella più importante preghiera giudaica detta “Amidah” o “Shemone Esre” (Diciotto Benedizioni): la 12a benedizione, detta Birkat ha-minim (Benedizione contro gli eretici). In essa si chiede a Dio di confondere i peccatori superbi e di distruggere i progetti di coloro che vogliono nuocere al popolo d’Israele. La recita di questa benedizione serviva per stanare i cristiani che frequentavano la sinagoga: se un cristiano la pronunciava, invocava una maledizione su se stesso. Da questo momento, la rottura tra Giudei e Cristiani è totale fino a diventare ostilità e avversione. L’esponente di primo piano fu Rabbi Johanan ben Zakkai per la parte legale e Rabban Gamlièl II per la parte liturgica. San Paolo fu discepolo del secondo. Gli Ebrei misero una siepe intorno alla Bibbia per difenderla dalle interpretazioni cristiane in chiave messianica a favore di Gesù di Nàzaret (cf Mishnàh, Pirqè Avot/Massime dei Padri, I,1). Da parte loro i cristiani si staccarono da Gerusalemme e dall’ebraismo, prendendo la strada di Roma e dell’occidente. Fu un danno irreparabile per gli uni e per gli altri. Sulla complessa questione del concilio di Jabne e la formazione del canone ebraico cf E. Earle Ellis L’Antico Testamento nel primo cristianesimo, Brescia 1999, 58-68 e l’Appendice I «Gesù e la sua Bibbia», 163-180. Sulla complessa questione della maledizione dei cristiani da parte della sinagoga e anche sulle testimonianza cristiane cf W. Horbury, The Benediction of the Minim and Early Jewish-Christian Controversy, in «Journal of Theological Studies» XXXIII (1982), pp. 19-61; L. Vana, «La birkat ha-minim è una preghiera contro i giudeocristiani?», in G. Filoramo - C. Gianotto (a cura di), Verus Israel, Brescia 2001, 147-189. In breve, S. Mimouni, Les Chrétiens d’origine juive dans l'antiquité, Paris 2004, 71-92.
[5] Gv 9,1-2:  1Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita [2e i suoi discepoli lo interrogarono: “Rabbì, chi ha                        peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”.
Gv 9,39-41: 39Gesù allora disse: «E’ per un giudizio che Io-Sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Gv 9,2-3:     2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.
Gv 9,41:          41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
Gv 9,5:             5».Finché Io-Sono nel mondo, sono la luce del mondo
Gv 9,39:          39Gesù allora disse: «E’ per un giudizio che Io-Sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi».
[6]Alcune parole: cieco (cf Gv 9,1.2.13.17.18.19.24.25.32.39.40.41: in totale 12 volte); occhi (cf Gv 9,6.10.11.14. 15.17.21. 26.30.32: in totale 10 volte); vedere (cf Gv 9,7.15.19.21.25.39.41: in totale 7 volte); aprire (vv. 10.14.17.21. 26.30.32: in totale 7 volte); sapere (cf Gv 9,24.25.29.31.36: totale 5 volte); lavarsi (cf Gv 9,7 (2x).11(2x).30.35: in totale 5 volte); uomo (cf Gv 9,1.11.16 (2x).24 (2x). 30.35: in totale 9 volte).
[7] La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
[8] Shlomo Bekhor rav, a cura di, Tehillìm Ierushallaim, Salmi di Davide, Mamash Edizioni Ebraiche, Milano 1996, 62.
[9] Oggi c’è nella Chiesa un assordante chiacchiericcio sui «valori» cristiani che dovrebbero costituire il fulcro dell’azione pastorale e il collante politico di quanti si ispirano alla visione cristiana della vita da affermare con le leggi dello Stato. Una chiesa che perde il sapore del vangelo, ricorre con ogni mezzo lecito o immorale ad affermare le sue convinzioni con la forza delle leggi di uno Stato che non le appartiene. In questo marasma c’è la convergenza di ecclesiastici e uomini politici senza scrupoli che come i farisei e gli scribi del tempo di Gesù si chiudono nel loro dogmatismo e forse non si accorgono che la loro presunzione d’interpretare il mondo, riducono il vangelo da sale della terra a zuccherino di consolazione, da lievito a mero condimento a seconda dei gusti. Il connubio tra potere politico e potere religioso è la negazione della missione della Chiesa che è ridotta a strumento di coercizione delle coscienze a sostegno di un mondo disumano. E’ la religione civile messa a servizio del potere di turno: un cristianesimo senza Cristo, una chiesa senza «ekklesìa».
[10] Tutto il capitolo ruota attorno al numero «sette»: 7 sono le scene che abbiamo appena elencate; all’interno di queste 7 scene vi sono 7 dialoghi; per 7 volte si ripete l’espressione «aprire gli occhi» (Gv 9,10.14.17.21.26.30.32); i titoli cristologici dati a Gesù e che ne definiscono la missione in tutto il capitolo sono 7: Rabbi (v. 2), inviato (v. 7), uomo (vv. 11.16), profeta (v. 17), Messia (v. 22), Figlio dell’Uomo (v. 35) e Signore (v. 36).
[11] La guarigione di un cieco non è una novità: si trova anche nei vangeli sinottici, ma l’autore del IV vangelo vi dà un’impronta tutta personale. Non è escluso che l’origine del capitolo 9 sia aramaico: vi troviamo alcune reminiscenze che il greco non ha potuto eliminare. Un esempio: l’espressione del v. 24 «Dà gloria a Dio» significa «Riconoscilo davanti a Dio».
[12] La fede è un cammino che nasce sempre da una esperienza per arrivare ad una conoscenza che nasce dalla carne, ma la supera. Da un incontro ad una adorazione. Gv intende anche in questo capitolo rivelarci la vera personalità di Gesù: egli è Dio (San Tommaso sulla scia di Aristotele dirà che anche il nostro processo conoscitivo parte dall’esperienza per formare l’idea nell’intelletto)
[13] Noi abbiamo un filtro nella lettura del vangelo, il filtro della cultura «latina» che risale alla Bibbia vulgata di San Girolamo Sofronio Eusebio(347-420), che nel 382 , su ordine di papa Dàmaso I mise mano alla traduzione in latino dei vangeli dal greco e dell’AT dall’ebraico, terminata dopo 23 anni di lavoro. Ancora oggi il testo ufficiale della Bibbia per la Chiesa non è il testo ebraico o greco, ma la vulgata di San Girolamo. Fino al sec. XX tutte le traduzioni della Bibbia venivano fatte sul testo latino e solo recentemente si cominciarono ad usare i testi originali. Tutto ciò ha comportato un impoverimento perché si è messo da parte il contesto giudaico in cui la Bibbia è nata. Quasi tutti gli scritti del NT possono essere considerati scritti giudaici in lingua greca. Riscoprire l’ambiente originario dei testi significa riportarli alla luce e diventare contemporanei di ciò che leggiamo.
[14] Cf Gv 1,38.49; 3,2.26; 4,31, 6,25; 9,2; 11,8; Mt 23,7.8; 26,25.49.
[15] «Era dottrina tradizionale che la saliva del primogenito di un padre guarisse l’infermità degli occhi (non la saliva del primogenito della madre)» (J. Mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e commento esegetico, Cittadella Editrice, Assisi 1982, 41’ nota 6).
[16] La piscina di Sìloe (in arabo: Birkat al-Hamra) è situata sotto il Tempio di Gerusalemme, a sud nella valle del Tyropeon in cui sfocia un tunnel scavato nella roccia da Ezechia (VIII sec. a C; cf 2Re 20,20 e 2Cr 32,30) che porta l’acqua dalla sorgente di Gihon (arabo: Ain Umm al-Daraj, Ain Sitti Mariam). Il tunnel è un vero capolavoro d’ingegneria manuale.
[17] In un apocrifo del sec. I d. C., «Ascensione di Isaia», in parte forse derivante da un testo ebraico più antico, si interpreta Sìloe come «Inviato» esattamente come fa Gv che probabilmente conosceva questa tradizione.
[18] Cf C.C. Torrey, The Lives of the Prophets, Society of Biblical Literature and Exegesis, Philadelphia 1946, 34.
[19] Rabbi Eliezer ben Josè ha-Galìli (sec. I d. C.) stabilì 32 «Middòt» [da middàhmisura, da cui regola) d’interpretazione della Scrittura. Una di queste va sotto il nome di «’al tiqrà» (in ebr. «non dire» [ma dici]). Poiché in ebraico non esistono le vocali che vengono aggiunte oralmente alle consonanti, secondo questa regola, modificando una o più vocali la stessa parola può esser eletta in modi e con significati diversi. Il fenomeno è frequente in una cultura orale perché dà più facilmente adito alle assonanze.
[20] E’ interessante notare che in arabo «Shilòh» corrisponde a «Rasùl» che è il nome del profeta Maometto, l’«Inviato di Allah» per eccellenza. Nella preghiera detta cinque volte al giorno si ripete «Allah è grande e Maometto è il suo Rasùl/Inviato che l’equivalente dell’ebraico «Shaluàh Elohìm/Yhwh – Inviato del Signore».
[21] Cf la questione dell’interpretazione e delle varianti in E. Testa, Genesi, Introduzione, Storia dei Patriarchi, vol. II, Marietti, Torino 1974, 600, nota a Gen 49,10a; cf anche Midrash Genesi Rabbà 98,8 a Gen 49,10 che dà la stessa interpretazione messianica, identificando Shìlo con il Messia come fa anche Talmud, Sanedrin 98b: «Il suo nome [del Messia] sarà Shìlo»; cf ancora la stessa interpretazione a Qumran dove si parla dell’arrivo del «Messia di giustizia» (4QBP 2,4).
[22] Comprendendo la difficoltà di questo titolo in una professione di fede, alcuni codici antichi modificano il testo e cambiano «Figlio dell’uomo» con «Figlio di Dio». L’espressione «Figlio dell’uomo» è attestato dai codici più antichi ed è anche la «lezione più difficile» e per questo bisogna mantenerla. In Gv l’espressione ricorre 12 volte e dimostra che egli è attento alla cristologia del «Figlio dell’uomo» (Gv 1,51; 3,13.14; 5,27; 6,27.53.62; 8,28; 9,35; 12,23.34; 13,31) che costituisce un altro motivo per ritenere la formula nel testo.
[23] In Gv 8,28 Gesù addirittura equipara «Figlio dell’uomo» e «Io-Sono» che è l’identificazione massima con Yhwh.
[24] Cf E. Weindinger, a cura di, L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio. Antico Testanmento, Piemme, 2001, Casale Monferrato, 370.372.377-78). Il Libro di Enoc è pervenuto solo in lingua etiopica e risale probabilmente al 150 a. C.. Tutto il V libro (Libro del Messia) è dedicato al giudizio del Figlio dell’uomo cioè dell’Eletto che preesiste alla creazione (idea tramandata anche nella Mishnàh, Pirqè ‘Abot, V,6 e da Gv 17,5), salvatore dei giusti, luce dei popoli.
[25] La stessa identificazione si trova nell’apocrifo 4 Esdra 13 molto posteriore (dopo il 70 d. C.) e anche nella letteratura targumica, come ad es. nel Targum di Sal 80[/79], 16-18: «Proteggila [la vigna] che la tua destra ha piantato e il re Messia [testo biblico: germoglio] che tu hai reso forte… Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, il Figlio dell’uomo che tu hai reso forte» (cf anche Targum di 1Cr 3,24 e Talmud, Sanedrin 38b). Per tutta la questione cf F. Manns, L’Evangile, 207-211).
[26] Nel cristianesimo e in modo particolare nella Chiesa cattolica, la Parola di Dio è sempre stata relegata in secondo piano perché si è dato importanza alla Teologia e specialmente al Diritto, cioè alle strutture di governo che per natura tendono a soffocare ogni anelito profetico in nome dell’ordine e dell’istituzione. Oggi nella Chiesa domina l’involuzione che nel ritorno non all’antico, ma al vecchio perché lascia spazio alla paura del nuovo per rifugiarsi nelle sicurezze del passato. Per essere fedeli alla tradizione degli uomini si arriva perfino a tradire la Parola di Dio (Mc 7,13) e quando questo accade per impulso dell’autorità che dovrebbe camminare avanti per indicare la strada del futuro, è segno che la Chiesa rischia di vivere in un tempo di siccità e di cecità di cui chiederà conto ai pastori infedeli che si sono dimostrai pastori di se stessi, delle loro idee e anche delle loro manie che hanno imposto all’intera Chiesa di Dio (Ez 34,2).
[27] Cf Targum Giobbe, 11Qtg Jb 24,6-7 (cf anche 1Qap Gen 20,12.14.15; 22,30). Altri testi usano «mar /marì» dove in greco si utilizza «Ho Kyrios/Il Signore» (4Qen 1,IV,5; 4Qen 1,III,14)..
[28] Il testo riporta un ipotetico dialogo tra Rabbì Yoshuà e il Messia: «Rabbì Yoshuà incontrò Elia che se ne stava all’ingresso della grotta dove era stato sepolto Rabbì Simon bar Yochai. E gli domandò: «Quando verrà il Messia?». «Vai a domandarglielo di persona», rispose Simon bar Yochai. «Dove sta?», proseguì R. Yoshuà. «All’ingresso della città» rispose l’altro. «Qual è il segnale con cui posso riconoscerlo» riprese. «Egli sta seduto in mezzo agli infelici affetti da ogni sorta di piaghe». Egli andò, lo trovò e gli disse: «Pace a te, mio Maestro e Signore». «Pace a te, figlio di Levi» rispose il Messia. «Quando verrà Mar [= Signore]?». Qui il titolo è applicato al Messia. Il testo è tardivo (non è anteriore al sec. III d. C.), ma è interessante notare che l’espressione «Maestro e Signore» è la stessa che si trova in Gv 13,14: «Voi mi chiamate Maestro e Signore [Rabàn we Mar]» (Anche il Talmud, Sanedrin 98a è sulla stessa linea). Per tutti questi riferimenti e per un maggiore approfondimento cf F. Manns, L’Evangile, 211-214, con altra bibliografia.
[29] E’ il rischio nella Chiesa di chi esercita autorità perché rischia di identificare il volere di Dio con quello proprio e quindi esige di imporre la propria visione, il proprio gusto, il proprio stile di vita contrabbandati come «volere di Dio». L’autorità nella Chiesa non esiste per comandare, ma per «discernere» lo Spirito di Dio presente in ciascuno dalla spirito del mondo; la logica delle beatitudini dalla logica del potere; la politica del «Padre nostro» dall’egoismo individualista.
[30]Altri temi secondari sono inseriti nel cap. 9: la nuova nascita, sul dato che il cieco era tale fin dalla nascita (cf. 3,3-7); tema dell’invio (vv. 4 e 7) e quindi della missione di Cristo e dei discepoli a servizio delle opere della salvezza (vv. 3.17). Tra le opere vi è il tema della luce: Cristo luce del mondo (v. 5) compie le Scritture (Is 9,1-6; 42, 6-9; 55,1-9). Oltre questo aspetto messianico, Gv dice che l’opera per eccellenza è la “luce” stessa, perché Cristo è luce in quanto Figlio di Dio e solo a questo titolo esige la fede sia del cieco che dei discepoli (vv. 35-36): la fede è vedere la luce (Gv 9; 12,56-47; Lc 18, 39-43; At 13,46-47; 26,22-23; 2 Cor 4,4-6) e parteciparla agli altri (Ef 5,8-14; Mt 5,15-16; Rom 13,11-14).
[31] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.


Marted́ 29 Marzo,2011 Ore: 11:16
 
 
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