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www.ildialogo.org 3a Domenica di Quaresima-A-27 marzo 2010,di Paolo Farinella, prete

3a Domenica di Quaresima-A-27 marzo 2010

di Paolo Farinella, prete

Nel cammino catecumenale dell’anno «A» verso la Pasqua, oggi incontriamo il segno importante dell’acqua sia nella 1a lettura che nel vangelo. E’ la 3a domenica che, seguendo il cammino programmato che rinnoviamo per comodità in nota[1], con le due seguenti domeniche forma il nucleo centrale della formazione conclusiva dei catecumeni alle soglie della Pasqua. I segni di queste domeniche sono: l’acqua, il binomio luce-tenebra/cecità, il sepolcro e la vita.
Il tema dell’acqua è decisivo non solo per la vita, ma anche per la storia della salvezza perché essa è un protagonista nella Bibbia, fin dalle prime parole della Genesi, quando si dice che lo «Spirito di Dio covava le acque» primordiali (Gen 1,2). L’acqua è la vita e per questo non dipende dalle scelte dell’uomo, ma da Dio che «fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). L’uomo antico considera l’acqua un dono di Dio e quindi un bene universale, di cui nessuno può appropriarsi perché tutti ne hanno diritto: coloro che vivono oggi, ma specialmente coloro che vivranno domani. Chi costruisce un pozzo sa di progettare il futuro e per questo lo pensa e lo realizza come un bene generazionale di cui nessuno può dire «è mio».
La vita dei patriarchi e dei popoli nomadi è costellata di pozzi che segnano il cammino della civiltà perché sono l’appuntamento obbligato di ogni carovana per la sopravvivenza stessa e attorno ad essi si svolge la loro vita: il pozzo del vangelo dove Gesù incontra la Samaritana, dopo due mila anni circa è ancora conosciuto come «pozzo di Giacobbe». Chi scopre un pozzo o una sorgente di acqua, specialmente in territori aridi e asciutti, lo deve rendere disponibile per chi viene dopo perché nel deserto il pozzo è prezioso quanto la vita e ha l’obbligo di segnalarlo agli eventuali futuri passanti.
Il pozzo è la meta di ogni viaggio[2]: nessuno si avventura su una strada dove non è sicuro di trovare un pozzo che è la vita stessa per il beduino del deserto. Il pozzo è luogo d’incontro e di appuntamento: qui i ragazzi trovano moglie (perché uno dei compiti della donna era quello di andare ad attingere acqua. Il pozzo però è il punto debole del nemico: se si vuole uccidere il nemico basta inquinare il pozzo con sterco di animali ed equivale ad una condanna a morte (cf Gen 25,15; 26,18).
Il più grande padre della Chiesa dei primi secoli, Origene[3]paragona il pozzo alla Scrittura perché non si esaurisce mai ed è al tempo stesso profondità (tocca il mistero di Dio) e sorgente (trabocca e disseta i popoli). Il pozzo per Origine è anche simbolo del Verbo di Dio che offre l’acqua della vita come fece con la Samaritana (cf Gv 4,14); ma è anche lo Spirito Santo che porta la verità (cf Gv 14,16.17)[4]. Egli porta l’esempio di Rebecca che va al pozzo e si disseta per prima perché abbia la forza di portare la brocca piena di acqua agli altri rimasti in casa[5]  (v. testo più avanti, Omelia).
            La tradizione giudaica sviluppa lo stesso concetto da diversa angolatura e insegna che la Parola di Dio porta nel suo grembo ben «settanta» significati, uno cioè per ogni popolo che si pensava abitasse la terra[6]: Giudaismo e Cristianesimo concordano sul fatto che la Parola di Dio è inesauribile e nessuna generazione può presumere di esaurirla. Deve essere sempre mangiata (Ez 3,1-3) e ruminata per gustarne anche le sfumature, apparentemente insignificanti, affinché nulla vada perduto, nemmeno le briciole (Mc 7,28; Mt 15,27)[7].
Le due figure che dominano la liturgia di oggi sono la roccia della prima lettura (cf Es 17,3-7) e il pozzo del vangelo (cf Gv 4,1-42). Nella tradizione rabbinica, la Roccia è personificata perché seguiva gli israeliti lungo la peregrinazione nel deserto per dissetarli. Essa è la prefigurazione del Messia che verrà alla fine dei tempi. Anche San Paolo conosce questa esegesi e va ancora oltre perché identifica Cristo stesso con la Roccia: non è più la Roccia, ma il Messia la vera guida del popolo d’Israele durante la peregrinazione nel deserto (cf 1Cor 10,4).
Sediamoci al banchetto preparato per noi dalla Sapienza (cf Pr 9,5) e cominciamo con l’antifona d’ingresso (Sal 25/24,15-16): «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, è lui che fa uscire dalla rete il mio piede. Vòlgiti a me e abbi pietà, Signore, perché sono povero e solo».
 
Spirito Santo, tu sei l’aiuto invocato da Mosè per dissetare il popolo pellegrino,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il bastone di Dio che fa scaturire l’acqua della Parola,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la sorgente d’acqua viva che da vita al popolo di Dio,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti la lode del cuore perché acclamiamo al Signore,                              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci educhi all’ascolto della voce del Signore che chiama,                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu trapianti in noi il cuore di pietra in cuore di carne,                                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la giustificazione che il Padre ci accorda nel Figlio Gesù,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Speranza che non delude riversata nei nostri cuori,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’Amore che il Padre ci ha dimostrato nel Signore Gesù,                       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu si il pozzo di Giacobbe la cui acqua disseta la Samaritana,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispirasti al Samaritana a soccorrere Gesù stanco e affaticato,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il monte dell’adorazione in spirito e verità dell’unico Dio,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’acqua che nutre la nostra coscienza che cerca il Signore,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai trasformato la donna in apostola che annunzia il Messia,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidasti i passi dei Samaritani verso l’incontro con il Signore,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidi all’Eucaristia, il pozzo della Parola, dell’acqua e del Pane,    Veni, Sancte Spiritus!
 
Questa mattina abbiamo deciso di metterci in cammino per raggiungere questa assemblea e questo altare. Tutti veniamo da parti diverse della città. Siamo solo il «sacramento» della diaspora che si ricompone. Per il solo fatto di essere qui, questa mattina noi facciamo fare al mondo intero un passo avanti nella consapevolezza di sé, attraverso l’azione dello Spirito Santo che agisce attraverso di noi. Abbiamo risposto alla «con-vocazione» dello Spirito Santo che ci chiede di esercitare oggi il ministero della profezia perché noi siamo uno dei settanta significati della Parola. Siamo convocati all’Eucaristia che è il sacramento che fa della Storia intera il pane e la bevanda della vita per tutti gli uomini e le donne. Possa lo Spirito Santo darci la consapevolezza della nostra grande responsabilità di profeti. Oggi come assemblea di Dio noi annunciamo la sua Parola, cioè proclamiamo il Cristo di cui riconosciamo la signoria su di noi e sul mondo intero. Per questo invochiamo la Santa Trinità:
 

 (greco)[8]
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito
 
Il cammino di Quaresima è un pellegrinaggio alle sorgenti del nostro essere più profondo. Il tema di questa domenica è l’acqua, elemento essenziale della vita. Gli Ebrei nel deserto furono accompagnati dalla Roccia che diventò un serbatoio per la sopravvivenza. Quale è la roccia su cui noi possiamo contare per sopravvivere? Abbiamo un pozzo dove attingere l’acqua necessaria al senso della vita? Più esattamente: ci procuriamo gli strumenti adeguati per attingere acqua per noi e acqua da condividere con gli altri? Quando partiamo per una avventura di vita, portiamo sempre con noi la «roccia di riserva»? Oppure andiamo allo sbando? Esaminiamoci, scendendo nel pozzo profondo della nostra coscienza, là dove Dio è presente e accanto a noi e verifichiamo la qualità della acqua che contiene.
 
Signore, tu sei la roccia d’acqua viva che ci accompagna nel pellegrinaggio della vita,        Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei il pozzo d’acqua eterna che disseta con l’acqua della Parola e dello Spirito, Christe, elèison!
Signore, dal cui cuore scorrono fiumi d’acqua viva, rendici sorgenti di vita per tutti,           Pnèuma, elèison!
Signore che ci fai rinascere dall’acqua e dallo Spirito nella roccia dell’Eucaristia,    Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che al suo popolo pellegrino nel deserto ha dato la Roccia di acqua viva; che ha dato l’acqua della sua Parola attraverso i profeti, gli apostoli e gli evangelisti; che ha voluto sostare al pozzo di Giacobbe per ridare freschezza all’acqua della Samaritana arsa nella vita, per i meriti del santo profeta Mosè, del santo Patriarca Giacobbe che ha scavati il pozzo di Sìchem, per i meriti di Gesù che ci dona il suo costato da cui sgorgano sangue ed acqua, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, sorgente della vita, tu offri all’umanità riarsa dalla sete d’acqua viva della grazia che scaturisce dalla roccia, Cristo salvatore; concedi al tuo popolo il dono dello Spirito, perché sappia professare con forza la sua fede, e annunzi con gioia le meraviglie del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli.Amen.
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura Es 17,3-7 Il c. 17 di Es è databile X-IX sec. a. C. perché appartiene alla tradizione orale «yahvista[9]. I rabbini insegnavano che la roccia avrebbe seguito gli Israeliti nel deserto per dissetarli e San Paolo che conosceva questa tradizione l’applica a Cristo: «Tutti hanno bevuto la stessa bevanda spirituale (bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava: quella roccia era Cristo)» (1Cor 10,4). Il miracolo non avviene per iniziativa di Mosè, ma per mezzo del bastone di Dio con cui Mosè divise le acque del Mare Rosso. Ciò significa che Mosè non ha il potere di dissetare il suo popolo, perché questo potere è esclusivo di Dio. La nostra Roccia è la Parola di Gesù sulla quale vogliamo e possiamo costruire la nostra casa perché possa resistere ad ogni vento e tempesta. Noi siamo in grado di riconoscere la Roccia perché l’Eucaristia è il sacramento che apre la vista e ci disseta allo stupore di Dio che non ci lascia mai soli, nemmeno quando siamo noi a fuggire da noi stessi.
 
Dal libro dell’Esodo 17,3-7
In quei giorni, 3 il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatti salire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». 4 Allora Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». 5 Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani di Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! 6 Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale95/94, 1-2; 6-7; 8-9. Il Sal 95/94 è un salmo processionale, utilizzato nella liturgia durante un solenne ingresso nel tempio, con cui i leviti invitano il popolo ad adorare il «Gran Re» (v. 3). Dio è la «Roccia» della salvezza d’Israele (v. 1) e il creatore di tutte le cose che si rende visibile nel suo tempio, qui identificato come «luogo del mio riposo» (v. 11). Il popolo entra in questo riposo e si prostra davanti al creatore (v. 6). Il salmo è differente dagli altri salmi liturgici perché i questo non c’è solo l’invito ad entrare nel tempio con i requisiti necessari per la purità del cuore, ma qui è Dio stesso che risponde e invita a non ripetere gli stessi peccati di durezza e di presunzione che Israele commise nel deserto. La lettera gli Ebrei cita questo salmo e interpreta il «riposo» non più come il tempio, ma come un evento spirituale (Eb 3,1-19. Nella liturgia giudaica e in quella cattolica il salmo è utilizzato come «Salmo invitatorio», cioè il primo salmo che ogni mattina introduce la liturgia delle Ore. Venire all’Eucaristia è ascoltare la sua voce e assaporare la sua presenza.
 
Rit. Ascoltate oggi la voce del Signore: non indurite il vostro cuore.
1. 1 Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
2 Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Rit.
2. 6 Entrate: prostràti adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
7 E’ lui il nostro Dio /e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce. Rit.
3. 8Se ascoltaste oggi la sua voce!
9 dove mi tentarono i vostri padri: /mi misero alla prova,
«Non indurite il cuore, come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
pur avendo visto le mie opere». Rit.
 
Seconda letturaRm 5,1-2.5-8
Il capitolo 5 della lettera di Paolo ai Romani è stato alla base dello scisma d’occidente, con Lutero che diede origine alla Chiesa che va sotto la denominazione «protestante». La tesi di Lutero è che la giustificazione avviene per grazia di Dio e non per merito delle opere. Solo la fede è il fondamento della salvezza, mentre la dottrina tradizionale cattolica aggiungeva anche l’importanza delle opere compiute dal singolo credente. Oggi su questo tema le due Chiese hanno raggiunto un punto comune esposta nella «Dichiarazione congiunta» firmata ad Augusta il 31 ottobre 1999. Questo riavvicinamento è uno dei grandi frutti del concilio ecumenico Vaticano II. L’apostolo Paolo si trova a Corinto alla fine del suo terzo viaggio e ha in progetto di andare a Roma dove vi sono due fiorenti comunità: una giudeo-cristiana che coniuga la fede in Cristo con l’osservanza dei precetti codificati dalla tradizione[10] e l’altra proveniente dal mondo e dalla tradizione greca. Tra le due comunità vi è tensione. Nell’anno 54/55 (circa 25 anni dopo la morte di Gesù) Paolo scrive la sua lettera[11] per preannunciare il suo arrivo, preoccupato dell’accoglienza. Paolo espone la sua dottrina matura che aveva abbozzato nella lettera ai Gàlati. Il tema dominante è la salvezza ad opera di Cristo. La lettera è solenne, di grande respiro ed esprime bene anche la personalità di Paolo. Noi ne ascoltiamo un brano con riconoscenza e gratitudine: è la Parola dell’apostolo che annuncia il «vangelo della grazia».
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani 5,1-2.5-8
Fratelli, giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 2 Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. 5 La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato. 6 Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7 Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8 Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. - Parola di Dio.
 
Canto al VangeloCf. Gv 4,42.15
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Signore, tu sei veramente il salvatore del mondo; / dammi dell’acqua viva, perché io non abbia più sete. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! 
 
Vangelo Gv 4,5-42. [la liturgia omette i vv. 1-3 e 43]. Il c. 4 di Gv ha una serie di quattro temi intrecciati su due livelli: a) il pane: Gesù chiede pane ai discepoli (v. 8) e quando glielo portano, parla loro di un altro cibo (vv. 31-34); b) l’acqua: chiede acqua alla Samaritana (v. 7), ma contemporaneamente le rivela l’esistenza di un’altra acqua (vv.13-15); c) il culto: alla donna che le parla del culto materiale dei Samaritani e dei Giudei, Gesù annuncia un culto in spirito e verità (vv. 20-24); d) la missione: di fronte alle messi di orzo e grano ondeggiante li invita a guardare la messe spirituale (vv. 35-38). L’acqua e il pane svelano la personalità di Gesù, mentre il culto e le messi invitano a superare il particolarismo giudaico per aprirsi alla dimensione universale del Regno di Gesù. Tutto il capitolo è un capolavoro di teologia, il cui centro focale è nei vv. 19-26 che annunciano una nuova «ora» quella che si manifesterà sulla croce e nel sepolcro, con la morte e risurrezione. la Samaritana infatti è un’anticipazione della passione e morte del Signore (v. omelia). Noi oggi anticipiamo già l’ora del culto spirituale perché lo stiamo vivendo e celebrando nell’Eucaristia con gli stessi segni rivelati oggi dal vangelo: qui infatti troviamo il Pane, l’Acqua/Parola, il Culto nello Spirito e la Missione nel mondo. Accostiamoci anche noi al pozzo della samaritana e attingiamo l’acqua zampillante dello Spirito Santo.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 4,5-42. [la liturgia omette i vv. 1-3 e 43]
(A) [1Il Signore venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni», 2sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli. Gesù] 3lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria. 5Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
 
(B)   7Giunse una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Ma la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna – dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
 
(C)   [16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Risponde la donna: «Non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
 
(D) 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato Dio su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che sia quelli che l’adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Io-Sono, che parlo con te».
 
(C’) [27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».] 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Messia?».[30 Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
 
(B’) 31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme e chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».]
 
(A’) 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui [per la parole della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando [i Samaritani] giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola e 42alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
 
[43Dopo questi due giorni ripartì di là per la Galilea].Parola del Signore.
 
Spunti di Omelia
Il capitolo 4 di Gv ruota attorno a quattro temi: il pane, l’acqua, il culto, la missione. Su tutti prevale però il tema dell’acqua che diventa anche la chiave interpretativa dell’intero capitolo. Sgomberiamo subito il terreno da ogni equivoco: Gesù non ha mai pronunciato un discorso così complesso come quello riportato da Gv. L’intero capitolo fa parte del piano dell’autore che espone alla fine del sec. I in una teologia alta, condensata per temi in tutto il vangelo. Il capitolo espone, quindi, la teologia della comunità giovannea. Lo schema è semplice: si parte da un fatto storico, quasi banale nella sua ovvietà che è la sosta ad un pozzo per dissetarsi nell’afa del caldo orientale e da esso si sale per gradi e cerchi concentrici verso una teologia altissima, in cui il fatto storico perde qualsiasi importanza per cedere il passo alla riflessione di fede.
Lo stesso procedimento avviene al capitolo 6 che riporta un lunghissimo discorso sul «pane disceso dal cielo» oppure al capitolo 11 che ci riserva il «discorso sulla risurrezione» nel contesto della morte/risurrezione di Lazzaro, oppure nei capitoli 13-17 dove troviamo i «discorsi di addio» nel contesto della cena finale prima della tragedia. Gesù è stato in Samarìa diverse volte, perché per andare dalla Galilea a Gerusalemme, doveva attraversarla perché è la regione centrale della Palestina. La sosta al pozzo di Giacobbe o di Sìcar[12] è una sosta obbligata per qualsiasi viandante o pellegrino. Nulla impedisce di pensare che Gesù abbia incontrato Samaritani e Samaritane con cui ha parlato, nonostante l’opposizione atavica tra Giudei e Samaritani che si trattavano da nemici. L’incontro con la donna è nello stile tipico di Gesù che infrange spesso il costume sociale e religioso del suo tempo, suscitando stupore, reazioni e avversità. Qui i discepoli «si meravigliavano che parlasse con una donna» (v. 27), come scribi e farisei «mormorano» perché parla, accoglie e va in casa di pubblicani, prostitute e poco di buono (Lc 5,30; 15.2; 19,7).
Osserviamo però la struttura del capitolo per cogliere la profondità che l’autore vuole comunicarci. Tutto il capitolo ha un andamento circolare perché segue lo schema progressivo A, B, C, D, C’, B’, A’ detto anche schema a chiasma o ad incrocio di cui diamo lo schema di massima:[13]
 
A
vv. 1-6: Gesù parte verso la Galilea passando per la Samara.
 
B
vv. 7-15: Gesù chiede da bere alla Samaritana. Dialogo sulla duplice acqua.
 
C
vv. 16-18: Gesù fa una rivelazione alla Samaritana: le svela chi è.
 
 
«D»
vv. 19-26: Adorazione in Spirito e Verità.
 
C’
vv. 27-30: La Samaritana fa una rivelazione ai paesani su Gesù: svela chi è
B’
vv. 31-38: I discepoli chiedono a Gesù di mangiare. Dialogo sul duplice nutrimento.
A’
v. 43: Gesù riparte dalla Samarìa per la Galilea.
 
Questa struttura riguarda tutto il capitolo, considerato nella sua unità che però può essere suddiviso ancora in sotto unità che corrispondono, in linea di massima, ad ogni elemento dello schema precedente (A,B,C, ecc.). Si viene a creare così una catena di schemi concentrici che non è facile cogliere di primo acchito[14]. Questa struttura non semplice, applicata anche alle altre singole sotto unità ci dice tre cose:
a)      il capitolo possiede una unità globale;
b)      il vangelo non può essere letto superficialmente, specialmente Gv che in ogni parola nasconde sempre diversi significati;
c)      l’intento di Gv non è quello di raccontarci un fatterello della vita di Gesù per aiutarci ad addormentare, ma vuole guidarci a scoprire la personalità di Gesù di Nàzaret, accreditato non solo come Messia, ma anche come Figlio di Dio, a cui attribuire titoli e qualità del Dio d’Israele, Yhwh. Di tutto il capitolo è evidente che tra i quattro temi che lo compongono, quello dell’acqua è il più importante, anche per la sua simbologia (cf Gen 25,15; 26,18).
 
Un altro elemento importante e generale da sottolineare con evidenza è il vocabolario e i temi espressi che non si limitano a descrivere gli eventi e la teologia del capitolo 4, ma sono strettamente connessi con il racconto della Passione: in questo modo Gv nel racconto della Samaritana anticipa e ci proietta al cuore stesso del Vangelo che è «l’ora della glorificazione» che culmina nella morte in croce. E’ ancora un’altra prova dell’unitarietà del vangelo e della necessità di vederlo e studiarlo nella sua globalità e non a spizzichi e bocconi. Esaminiamo alcune di queste connessioni che ci aprono ad una prospettiva più ampia:
Il fatto stesso che in Gv 4,1 Gesù «lasciò» Gerusalemme per non entrare in conflitto con i farisei che erano preoccupati del suo successo di rabbi, è già un anticipo della passione quando Gesù «deve» lasciare la città santa «perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme» (Lc 13,33), condotto fuori da Gerusalemme da altri «verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero» (Gv 19,17). Altri temi però richiamano gli ultimi giorni di Gesù che, se letti, in filigrana, mettono in rilievo la stretta connessione che vi è tra la «rivelazione» che avviene al pozzo di Giacobbe con una straniera e per giunta donna e la «rivelazione» verso la quale Gesù cammina e per la quale è venuto: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). Se correlazione tra Gesù e i farisei che hanno già progetti di morti che si concretizzeranno alquanto presto, è giusta, come crediamo, allora a Gv 4,4 bisogna dare un significato forte e non solo geografico: «Doveva (gr. «èdei») perciò attraversare la Samarìa». Non si tratta di un senso stradale obbligato, ma di «una necessità» inerente il progetto teologico del disegno di Dio: Gesù non passa dalla Samarìa per caso o perché è una strada obbligata: egli «doveva» passare di là per incontrare la Samaritana e attraverso di lei annunciare l’anticipo della sua morte e risurrezione, preannunciando i temi che il resto del vangelo metterà a fuoco. Gli esegeti parlano di «una necessità divina», quella necessità che attraversa anche la nostra vita perché Dio non si incontro per caso, ma interseca il nostro cammino per farsi incontrare e conoscere. Ecco di seguito i testi per esteso delle corrispondenze tra Gv 4 e Gv 19 e 17:
 
1.      Il verbo «mi siedo – kathìzō»
 
Gv 4,6
Gv 19,13
Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo
Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale
 
2.      La «sete» di Gesù
Gv 4,7
Gv 19,28
Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”.
Affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”.
 
3.      Il compimento dell’opera di Dio
Gv 4,34
Gv 19,30
“Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere (teleiòō)la sua opera.
Questo infatti avvenne perché si compisse (telèō) la Scrittura. Gv 17,4: Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare
 
4.      «L’ora sesta»
Gv 4,6
Gv 19,14
Gesù … sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno.
Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno
 
5.      L’ora escatologica
Gv 4,21
Gv 17,1
“Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre … 23Ma viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità
“Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te.
 
6.      Il tema dello Spirito
Gv 4,23-24
Gv 19,30
I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”.
Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!” (telèō)
 
7.      Il tema dell’acqua
Gv 4, passim
Gv 19,30
pozzo, bere, acqua …
ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
 
            Sono sette temi che intersecano il capitolo e altrettanti richiamati nella passione: una pienezza sovrabbondante, considerata la simbologia del n. 7. Sulla stessa linea in Gv 4, troviamo ben sette titoli cristologici che sono un’altra chiave di lettura a conferma dell’impianto generale: non si tratta di un fatterello di cronaca banale, ma della teologia che riguarda il Cristo, cioè la cristologia che s’interroga sulla personalità dell’uomo Gesù: «Chi è Gesù?». E’ la domanda che interpella anche noi: chi è Gesù per me? I titoli cristologici sono i seguenti: Gv 4,11.15: Gv 1.2.6, ecc.: Gesù; Signore (gr.: Kyrios); Gv 4,19: Profeta; Gv 4,25.29: Messia/Cristo; Gv 4,29: Uomo; Gv 4,31: Rabbi; Gv 4,42: salvatore del mondo.
In oriente, andare a prendere l’acqua dai pozzi era compito riservato alle donne e per questo motivo i pozzi pullulavano di giovanotti in cerca di moglie. Attorno ai pozzi si facevano contratti e si stipulavano promesse, si combinavano matrimoni e si decidevano guerre o amicizie. Il pozzo, pur essendo spesso al di fuori dell’abitato, era il perno della vita sociale del Medio Oriente antico. L’affronto più grave che si possa fare in Oriente tra tribù nomadi è inquinare il pozzo con escrementi di animali o con pietre (cf Gen 25,15; 26,18). L’acqua è la vita. Chiunque trova o scava un pozzo deve porre dei segnali visibili perché tutti possono usufruirne. Tutta la storia dei patriarchi si svolge attorno ad un pozzo e nelle loro peregrinazioni di nomadi passavano da un pozzo all’altro. Essi scavarono pozzi per sé e i loro discendenti perché il pozzo garantisce il futuro: Abramo (Gen 26,12-22) Giacobbe (secondo Gv 4,6.12).
Nell’introduzione alla liturgia di oggi abbiamo già citato Orìgene che paragona la Scrittura ad un pozzo che non si esaurisce mai perché è contemporaneamente profondità e sorgente: la profondità perché tocca il mistero di Dio, ma anche sorgente perché trabocca e disseta i popoli, di cui bisogna prima dissetarsi e poi portarne agli altri in abbondanza. Per poterne portare agli altri, bisogna essersi dissetati per primi al pozzo della Parola, come fa Rebecca:
 
«Ogni giorno Rebecca veniva ai pozzi, ogni giorno attingeva acqua; e poiché ogni giorno andava ai pozzi, per questo poté essere trovata dal servo di Abrahamo ed essere unita in matrimonio ad Isacco. Pensi che siano favole, e che lo Spirito Santo nelle Scritture racconti storie? Questo è un ammaestramento per le anime e una dottrina spirituale, che ti insegna e ammaestra a venire ogni giorno ai pozzi delle Scritture, alle acque dello Spirito Santo e ad attingere sempre, e a portare a casa il recipiente pieno, come faceva la santa Rebecca. Essa non avrebbe potuto sposare Isacco, un patriarca tanto grande, nato dalla promessa (cf Gal 4,23), se non attingendo queste acque, e attingendone al punto da potere dare da bere non solo a quelli della casa, ma anche al servo di Abrahamo, e non solo al servo, ma da avere con tale abbondanza le acque che attingeva dai pozzi, da potere abbeverare i cammelli» (Omelie sulla Genesi, X,2).
 
Commentando Ct 4,15[15], lo stesso autore paragona la fanciulla innamorata ad un «pozzo di acque vive»[16].
Nel vangelo, Gesù si presenta alla Samaritana come un nuovo patriarca che scava un pozzo nuovo, non più materiale, ma un pozzo da cui scaturisce l’acqua viva dello Spirito di Dio. Forse Gesù pensa al profeta Amos per il quale la sorgente d’acqua è simbolo della parola di Dio (cf Am 4,4-8; 8,11) oppure a Isaia per il quale la sorgente d’acqua è la liberazione apportata da Dio (cf Is12,1-4) oppure a Geremia per il quale la sorgente d’acqua viva è il pozzo della sapienza e della Legge di Dio (cf Ger 17,6-8). Qualunque riferimento abbia in mente Gesù, un fatto è certo: egli si presente come donatore di un’acqua nuova che toglie la sete per sempre e trasforma in sorgente zampillate (cf Gv 4,14).
Il vangelo di Giovanni usa sempre un linguaggio ambiguo: ogni sua parola, affermazione o fatto descritto ha due livelli, quello materiale del significato immediato e quello nascosto del significato profondo. Giovanni punta sempre a questo secondo livello che non è immediatamente visibile nel senso primo o immediato. In Gv 4, per es., per dire «pozzo» si usano in greco due termini: pēgêche significa sorgente (cf Gv 4,6) e phréar che significa pozzo (cf Gv 4,11-12). Questi due termini sono usati dalla Bibbia greca della LXX e anche dalla tradizione giudaica e cristiana: col primo termine si sottolinea l’abbondanza delle acque, mentre il secondo termine è legato di più alla profondità. Ne troviamo una chiara traccia nello stesso Origene per il quale il pozzo è simbolo del Verbo di Dio che offre continuamente l’acqua della vita (cf Gv 4,14).
 
«Di là andarono a Beer. Questo è il pozzo di cui il Signore disse a Mosè: “Raduna il popolo e io gli darò l’acqua”…» e prosegue]: «Questo indica che ciascuno di noi ha in se stesso un pozzo…Leggiamo che anche i patriarchi ebbero dei pozzi: ne ebbe Abramo, ne ebbe Isacco (Gen 26,15); penso che ne avesse anche Giacobbe (Gv 4,6). Prendendo l’avvio da questi pozzi, percorri tutta la Scrittura, ricercando i pozzi, giungi fino ai Vangeli, e là troverai il pozzo sul bordo del quale stava seduto (Gv 4,13-14) il nostro Salvatore… Quando si fa menzione del pozzo e della fonte, è da intendere che si tratta del Verbo di Dio: pozzo, se tocca la profondità del mistero; fonte, se trabocca e si espande ai popoli»(Omelie sui Numeri [21,16], XII,1).
 
Da queste premesse, comprendiamo che Gv non intende raccontarci una cronaca della vita di Gesù, ma vuole guidarci a scoprirne la personalità. Il capitolo 4 è una ripresa del simbolismo che attraversa tutta la Scrittura, di cui diventa anche una parola chiave. L’acqua viva è simbolo della vita stessa di Gesù e dello Spirito che lui dona, come anche della rivelazione di Cristo. In Gv 3,5 Gesù dice a Nicodemo: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» e in Mc 1,8 Giovanni Battista avverte espressamente: «Io vi ho battezzati con acqua; ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (cf anche At 1,5;11,16). In 1Gv 5,8 si aggiunge un altro elemento, il sangue, che permette così di costruire una trilogia: «lo Spirito, l’ acqua e il sangue» come testimoni concordi sulla persona di Gesù.
Il testo dice che si tratta del pozzo che Giacobbe aveva donato a suo figlio Giuseppe (cf Gv 4,5) che così rientra nel ciclo dei pozzi su cui il Targum (cf Targum di Gen 28,10; 29,10.22) si attarda per sottolinearne l’importanza e anche i significati più vari con varie interpretazioni: il pozzo di Abramo (cf Gen 21,30), di Rebecca (cf Gen 24,16), di Isacco (cf Gen 26,18-22). Il midrash (Nm Rabbà 20,2-11) dice che l’abbondanza dei pozzi era segno della grande prosperità che i patriarchi avrebbero avuto.
Gesù è un uomo carico di pesantezza: è stanco (cf Gv 4,6) ed ha sete (cf Gv 4,7). Si ferma al pozzo, come avrebbe fatto qualsiasi viandante, ma dietro questo dato materiale, come abbiamo già visto, c’è «la necessità di Dio» di passare per la Samarìa e portare l’annuncio anche ai nemici dei Giudei. Il fatto decisivo è che sia ai Giudei che ai Samaritani è richiesta la stessa fede perché l’esperienza di Gesù ha una portata universale che supera i condizionamenti sociali e storici, ma libera ogni impedimento che può permettere di riconoscere negli altri la stessa identità di Dio: Giudei e Samaritani, nemici storici, sono qui accomunati nella stessa «necessità»: per credere devono incontrare l’uomo Gesù, il Cristo di Dio che porta loro non solo le esigenze di Dio, ma svela la condizione in cui vivono e con cui devono fare i conti.  
Arriva una donna samaritana che i Giudei considerano pagana e anzi nemica[17]. Abbiamo già visto che i pozzi erano luoghi molto frequentati dai giovani perché lì potevano incontrare le ragazze, quantomeno vederle e magari sognare un eventuale matrimonio. A rigore di inimicizia, Gesù e la Samaritana non avrebbero dovuto parlare tra loro perché era vietato dalle convenzioni sociali per due motivi: perché nemici storici e perché una donna non parla con un uomo straniero. Gesù come è suo solito rompe gli schemi e instaura con la donna un dialogo profondo.
L’evangelista ci tiene a descrivere la scena: è mezzogiorno (cf Gv 4,6), l’ora più afosa della giornata, ma anche l’ora centrale, quasi a sottolineare che anche il tempo ruota alla domanda decisiva sulla personalità di Gesù, come vedremo subito. Gli apostoli sono via a fare provviste (cf Gv 4,8) e dunque sono assenti: solo quando saranno presenti potranno sperimentare e ricevere lo Spirito del Risorto (cf Gv 20,22). Gesù è solo, solo con la donna. Un uomo e una donna, un Giudeo e una Samaritana, che dialogano tra loro al pozzo di Giacobbe, loro comune padre. Viene il sospetto che dietro questa scena vi possa essere nascosto il tema nuziale dell’alleanza, anche perché è detto esplicitamente quando Gesù invita la donna ad andare a chiamare il marito ed ella deve confessare che pur avendo avuto cinque uomini e attualmente stando con un sesto, «non ha marito» (Gv 4,16-19). L’accenno all’ora di mezzogiorno è una spia perché una indicazione così precisa, induce a pensare che l’autore ha in mente qualcosa che ci sfugge. Proviamo a cercare di capire.
Nel Cantico dei Cantici la sposa invoca lo sposo assente di farle conoscere l’ora di mezzogiorno, cioè l’ora del riposo del gregge perché lei possa cessare di vagabondare: «Dimmi, o amore dell’anima mia, dove vai a pascolare le greggi, dove le fai riposare al meriggio, perché io non debba vagare dietro le greggi dei tuoi compagni?» (Ct 1,7). Da tutto il contesto si rileva che l’ora del mezzogiorno è l’ora della salvezza, cioè l’ora dell’incontro con il Dio d’Israele, avendo cessato di vagabondare dietro gli idoli che hanno causato l’esilio. A conferma leggiamo nel profeta Isaia: «Se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58,10). Mezzogiorno è dunque l’opposto del «giorno di nubi e di tenebre» che nella Scrittura è sempre sinonimo del tempo della schiavitù, di cui parla Ezechiele (cf Ez 34,12), ed è anche il tempo della dispersione del gregge e del vagabondare nell’arsura, senz’acqua e senza Dio. Come abbiamo visto, mezzogiorno, secondo il computo ebraico è l’ora sesta, cioè l’ora della rivelazione ad Israele della regalità di Dio nell’uomo Gesù, è l’ora della epifania che precede l’ora della glorificazione definitiva: «Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”» (Gv 19,14).
E’ Dio stesso che si assume il compito di radunare il gregge disperso e di farlo riposare: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare» (Ez 34,15). Sapendo che è lo Sposo d’Israele a fare riposare le pecore, la sposa-Israele del Cantico conosce l’ora del riposo che è «mezzogiorno», ma non il luogo «dove» l’amato fa riposare le greggi e per questo chiede, cerca e supplica lo suo Sposo (cf Ct 1,7). La Sposa qui è la madre/sposa che cerca di radunare i suoi figli perché possa riprendere i legami dell’alleanza spezzata dall’esilio. In questo contesto biblico, l’annotazione di Gv acquista significato salvifico: «Era circa mezzogiorno» (Gv 4,6) non è una indicazione cronologica, ma è chiaramente una indicazione teologica: è l’ora della restaurazione messianica d’Israele.
Il pozzo di Giacobbe e l’ora di mezzogiorno ci dicono che siamo nel pieno della ripresa dell’alleanza patriarcale che nel segno dell’acqua, lasciata in eredità dal padre delle dodici tribù d’Israele, trova finalmente dopo una lunga peregrinazione, il riposo tanto atteso come canta il salmista: «Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce» (Sal 23/22,2). La Samaritana, considerata eretica dai Giudei, è il simbolo d’Israele che si è allontanato dal Dio dei Padri e ha vagato dietro gli idoli (v. sotto esegesi sul riferimento dei 5+1 mariti) e finalmente incontra l’eredità di Giacobbe, il Messia d’Israele.
Gesù, infatti, rivelare la personalità della donna, che rappresenta l’intera Samara, la cui religiosità era idolatria perché veneravano sette divinità straniere suddivise in cinque città (2Re 17,29-34), ma aggiunge il libro dei Re che «venerarono anche il Signore» (2Re 17,32) che era il sesto uomo-non marito. In altre parole in Samarìa regnava un grande sincretismo religioso che mescolava il «Signore» con gli «idoli». In ebraico marito si dice «ba’al» che è anche il nome con cui vengono indicati gli «idoli – ba‘alìm» che inducono ad una religiosità di prostituzione e in Gv 4 il termine «marito» ricorre cinque volte, come dire che aveva cinque «idoli».
I mariti/padroni della donna diventano così il simbolo dell’idolatria che è la dissoluzione del volto e del Nome de Dio «Uno». Il sottofondo a questo dialogo è il tema della nuzialità come espressione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Gesù si colloca sulla linea del profeta Osea: viene a recuperare la verità dell’alleanza nuziale offuscata e compromessa dall’idolatria: «E Avverrà in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: Marito mio (ebr.:’ish), e non mi chiamerai più: Mio padrone. (ebr.: ba‘al). Le toglierò dalla bocca i nomi dei Bàal (ebr.: ba‘alim), che non saranno più ricordati».
Alle nozze di Cana (cf Gv 2,1-11), l’evangelista ha esposto il tema dell’alleanza come nuzialità, nel segno dell’abbondanza del vino, come simbolo dei tempi messianici e subito dopo Giovanni Battista aveva definito Gesù come lo «sposo» (cf Gv 3,29). Ora con la Samaritana lo stesso tema viene ripreso e applicato anche oltre i confini d’Israele perché l’alleanza porta all’unità coloro che prima erano nemici, anticipando così anche il ministero di Gesù che sarà tutto proteso alla riconciliazione del mondo nel segno del suo sangue, cioè della sua vita donata. Dal libro degli Atti sappiamo che dopo la morte di Gesù anche la Samarìa accolse la Parola di Dio e il fatto stupì così tanto gli apostoli che inviarono una commissione d’inchiesta con Giovanni e Pietro (cf At 8,14).
L’acqua che Gesù dona alla donna di Samarìa è il simbolo dello Spirito Santo, quello stesso Spirito che darà la forza alla Chiesa di essere testimone non solo in Gerusalemme e Giudea, ma anche in «Samarìa e fino ai confini della terra» (At 1,8) facendo crescere nell’unità della fede e superando l’inimicizia e l’odio atavici che avevano segnato la storia della Giudea e della Samarìa: «La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito santo, cresceva di numero» (At 9,31). In questo contesto i Samaritani che corrono per conoscere Gesù danno volto e nome alle «i campi biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35), aprendo così il simbolismo dell’acqua-Spirito alla missione universale ed escatologica (mietitura).
Tutto il racconto è una indagine sulla personalità di Gesù che non è evidente, ma bisogna scoprirla dietro le apparenze. Dice la donna a Gesù: «Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe» (Gv 4,12) che richiama lo stesso interrogativo posto dai Giudei a Gesù, quasi negli stessi termini: «Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?» (Gv 8,35). Giudei e Samaritani, o se si vuole, credenti e non credenti, devono rispondere alla stessa domanda: «Chi è Gesù?». Questo interrogativo è così importante che l’autore del quarto vangelo lo dissemina in tutta la sua opera sotto altre forme, perché la risposta è decisiva e essa non si può eludere: «Da dove prendi dunque quest’acqua viva?» (Gv 4,11); «Disse [Pilato] qa Gesù: “Di dove sei?» (Gv 19,9); «Dove abiti?» (GV 1,38); «Signore, dove vai?» (GV 13,36); «Nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?” (Gv 16,5. Tutte questi interrogativi sono lo sfondo su cui si staglia la personalità di Gesù che l’evangelista vuole accompagnarci a scoprire.
E’ interessante notare che in Gen 27,36 del nome «Giacobbe» si dà la spiegazione etimologica come di «colui che soppianta/carpisce»[18]. Per Giovanni Gesù soppianta il patriarca Giacobbe perché porta un’acqua che non darà più sete. Inoltre secondo la letteratura sapienziale Giacobbe era un «saggio»[19]. Ora qui il nuovo scavatore di pozzi è più grande di Giacobbe, ma anche di salomone, il re della sapienza: «Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone» (Lc 11,31). Se il patriarca ricevette il dono della saggezza e della sapienza finalizzata al dono della Toràh perché la sua osservanza era la fonte della vita di Israele; ora è Gesù di Nàzaret, il Lògos preesistente (come la sapienza) «in principio» (Gv 1,1) che porta l’acqua della vita eterna (cf Gv 4,13). L’acqua del pozzo di Giacobbe non placa la sete, l’acqua di Gesù elimina la sete, anzi trasforma in sorgente di vita eterna:
 
«13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,13-14).
 
Il cuore del racconto della Samaritana è in Gv 4,19-26 dove si sviluppa il dialogo sul culto spirituale: «viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,21). Da dove nasce questo rapporto tra il luogo dell’adorazione e l’acqua viva che simboleggia lo Spirito e quindi il culto spirituale, il solo che Dio vuole (cf Gv 4,23)?
Il vangelo nasce in un conteso giudaico e fino alla distruzione del Tempio (anno 70 d.C.) circolavano tradizioni legate al culto che si sono mantenute anche dopo la distruzione, almeno come ricordi. Nella Genesi si legge che Noè dopo il diluvio costruì un altare sul quale offrì sacrifici a Dio che s’impegnò così a non distruggere più l’umanità (cf Gen 8,20-21). Questo altare edificato da Noè dalla tradizione giudaica è stato identificato con la «pietra di fondazione» (ebr.: èben shetyàh) del mondo che a sua volta veniva identificata con la pietra che si trovava nel Santo dei santi del tempio di Gerusalemme e sulla quale Abramo aveva tentato di offrire in sacrificio il figlio Isacco. Su questa pietra era posta l’arca dell’alleanza[20].
 
Il y avait une Pierre (Eben Shetyah ou Pierre de la Fondation) dans le Lieu Très Saint du Temple, au Mur Occidental. Sur cette Pierre, lʹArche de lʹAlliance était posée. En face de la Pierre, se trouvait une jarre emplie de la manne (pour témoigner aux futures générations du don de la manne que lʹÉternel faisait aux Juifs errant dans le désert du Sinaï : Exode 16 : 3234) ainsi que le bâton dʹAaron (bâton dʹamandier ayant produit en une nuit, fleurs et fruits, Nombres 17/ 2126).
 
Nella festa di Sukkôt o delle Tende sulla pietra/altare veniva versata una grande quantità di acqua in libagione che attraverso un canale speciale raggiungevano le acque dell’abisso, dove si ricongiungevano con quelle di Noè che Dio vi aveva confinato. Questo rituale era chiamato «Cerimonia dell’attingimento dell’acqua» che si ispira ad una parola del profeta Isaia: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3)[21]. La liturgia aveva sintetizzato nella festa di Sukkôt il «memoriale» di tutte le acque della storia della salvezza: da quelle della creazione, ai pozzi del deserto fino alle acque escatologiche, celebrate per tutta la durata della festa nella processione quotidiana dal Tempio alla piscina di Sìloe, che era situata in basso rispetto al Tempio. Qui si attingeva l’acqua di libagione che la tradizione collegato al dono dello Spirito Santo (Midrash Tannaim 94). In Gen 29,2 incontriamo Giacobbe che va a cercarsi moglie nella terra del fratello di sua madre: «Vide un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame». Il Midrash Genesi Rabbà a questo testo così commenta:
 
«Il pozzo è simbolo di Sion [= Gerusalemme, cioè il tempio e il suo altare], i tre greggi sono le tre feste [Pesàh – Pasqua; Sukkôt – Tendee Shavuôt – Settimane]. Come dal pozzo si abbeverano le greggi, così dal tempio si è impregnati di Spirito Santo» (Gen Rab 70,8-9).
 
In questi testi troviamo così connessi l’acqua, lo Spirito, il culto, il Tempio e il deserto (Sukkôt) che richiama l’alleanza. Gesù è seduto al pozzo di Giacobbe, come se esso fosse il trono che nella festa di Sukkôt era riservato al Messia: non solo, ma qui il pozzo prende il posto del Tempio e Gesù ne prende possesso come dominatore delle acque del diluvio e di quelle della pioggia (cf Sal 29/28,3; 89/88,10). Gesù si presenta alla samaritana come il nuovo Tempio da cui sgorgherà la sorgente viva dello Spirito santo. Al momento della morte, infatti, poco dopo che «consegnò lo Spirito» (Gv 19,30), noi riceviamo un’altra simbologia: «Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco e subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,34). Lo Spirito che Gesù consegna nella morte per Giovanni è la Pentecoste e nell’uscita dell’acqua dal suo costato è simboleggiato il nuovo Tempio da cui tutti gli uomini e tutte le donne attingeranno «acqua con gioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3).
C’è però ancora un altro collegamento che spiega questa prospettiva. Dopo la visione della scala santa che univa il cielo e la terra e da cui «salivano e scendevano gli angeli di Dio», Giacobbe esclama: «Il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo» (Gen 28,16). Il dialogo di Gesù con Natanaele si chiude con l’allusione al sogno di Giacobbe: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Gv 1,51). A questo riferimento segue immediatamente il racconto delle nozze di Cana con il tema della nuzialità che si conclude con il fatto drammatico della cacciata dei venditori dal tempio che lo stesso Gesù identifica con il suo corpo: «egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,21).
Dopo l’intervista di Nicodemo (Gv 3,1-14) in cui si esprime l’esigenza di «nascere da acqua e da Spirito» e non dal vento (cf Gv 3,5-8) e la testimonianza di Giovanni Battista che indica in Gesù lo sposo atteso (cf Gv 3,25-30), finalmente si arriva all’incontro con la donna samaritana dove tutti questi temi sono ripresi e riformulati attorno all’idea del nuovo culto spirituale. Il costante riferimento al patriarca Giacobbe, dalla visione della scala al pozzo di Sìchem porta solo ad una conclusione: come Giacobbe fu il padre di dodici figli che diedero vita alle dodici tribù d’Israele, cioè al popolo di Dio; così Gesù è il nuovo patriarca che dà l’acqua dello Spirito Santo a Israele, il suo popolo, ai Samaritani, i suoi nemici, e a tutti gli uomini e a tutte le donne, instaurando un nuovo culto che non ha più bisogno di luoghi e spazi sacri, ma si colloca nel profondo della coscienza di ciascuno per attingere da ognuno le acque dell’identità che lo Spirito Santo può identificare, riconoscere e versare in libagione.
Con questo dialogo tra Gesù e la Samaritana avviene un grande evento che si compie per mezzo di una donna: il passaggio dal regime della religione alla stato della fede. Se non si adorerà più Dio né sul monte dei Samaritani né nel tempio di Gerusalemme, significa che inizia una èra nuova che cambia le modalità e gli statuti religiosi perché Gesù non fa altro che proporre un culto «laico» che supera le religioni e gli ordinamenti di cui esse hanno bisogno, situandosi in quell’ambito invalicabile che è la coscienza di ciascuno, l’unico profondo, dove ognuno può e deve incontrare Dio. E’ la coscienza «il luogo» nuovo della Shekinàh – Dimora, il tempio dell’adorazione che Dio stesso vuole (cf Gv 4,23).
Nel pozzo profondo della propria personalità si può trovare la vera identità che si esprime con categorie spirituali che la religione non conosce. Inizia il tempo della fede che si fonda sulla Parola, sulla conoscenza, sull’incontro, sul dialogo, sul rapporto personale. La religione è altra cosa della fede. La prima ha bisogno di gesti e atti esteriori e non esige una adesione interiore, ma comporta l’esatta esecuzione dei riti esterni. La fede al contrario vive di Spirito e respira solo per adesione interiore perché tiene sempre vivo l’appello alla coscienza come perenne vigilanza e costante valutazione vocazionale. La religione ha adepti e funzionari, riti sontuosi e masse festanti; la fede invece ha convocati e celebranti, silenzio e comunità oranti.
Superato il livello idolatrico (i mariti-ba‘alìm) ed entrando nella logica del culto spirituale, la Samaritana è in grado di andare oltre la fragilità della umanità di Gesù (stanco e assetato) per scoprire la sua vera identità. Da parte sua Gesù anche nella fragilità umana non perde mai il contatto con la profondità di sé perché conosce sempre il suo «dove», cioè la sua consistenza e la prospettiva della sua vita. Giacobbe «non sapeva» di trovarsi in un luogo santo, la Samaritana non sa di adorare chi non conosce, Gesù, invece, sa perfettamente chi è: «Io-Sono che ti parlo» (Gv 4,26). Usando l’espressione greca «Egô-Eimì – Io-Sono»[22] che è la stessa della Bibbia greca della LXX, Gesù attribuisce a sé tutte le caratteristiche del Dio di Israele. In altre parole, con l’espressione «Io-Sono» Gesù rinnova la teofania di Yhwh a Mosè sul monte Sinai (cf Es 3). Là Dio si manifestava al grande condottiero e profeta, qui Gesù-Io-Sono rivela la sua personalità ad una donna, un modello di dubbia religiosità e per giunta nemica. Il pozzo di Giacobbe ai piedi del monte Garìzim[23] prende il posto del Sinai, dove il dono della Toràh diventa il culto spirituale, cioè il dono dello Spirito di Gesù. 
Gesù si rivela ad una donna, infrangendo tutte le regole sociali dell’epoca, che la relegava ad una non esistenza personale, perché la donna esiste di riflesso dell’uomo che la «possiede» come proprietà; essa non può testimoniare in tribunale perché la sua parola resta inefficace e invalida. Rivelandosi ad una donna e per giunta «straniera» Gesù compie un atto rivoluzionario con cui svuota la religione di ogni anacronismo: con Gesù si ristabilisce lo statuto della creazione dove Eva non è creata come suddita di Adam, ma di fronte a lui, pari nella dignità e nella umanità: a tutti gli animali l’uomo-Adam dà il nome, cioè afferma il suo potere di vita o di morte su di essi, ma alla donna-Eva non dà il nome, ma di fronte ad essa può solo esplodere in un grido di meraviglia estasiata (cf Gen 2,18-22). Un’altra volta Gesù affiderà l’annuncio della sua risurrezione ad una donna che riceve il mandato di «apostola degli apostoli» a cui porta il vangelo della risurrezione (cf Gv 20,17-18), ponendo così le basi che nella nuova alleanza e nel regno proclamato da Gesù «Non c’è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28), una lezione che valida in ogni tempo e che la Chiesa deve ancora imparare per realizzarla nella storia del suo tempo.
La conoscenza, frutto della rivelazione, provoca una conversione radicale, un cambiamento di vita: la donna lascia la sua anfora e corre verso il suo paese improvvisandosi missionaria e discepola. Il testo greco per dire «anfora» usa il termine «hydrìa» (cf Gv 4,28) che è lo stesso che si usa per le anfore (hydrìai) delle nozze di Cana che sono «di pietra - lìthnai » (cf Gv 2,6-7) come di pietra sono le tavole della Toràh. Lasciando la sua anfora al pozzo, la donna lascia la Toràh e tutta la precettistica ad essa connessa e corre libera verso il mondo della libertà e dell’amore perché dal comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, discende la Toràh rinnovata: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40). L’anfora era il suo legame con il pozzo da cui attingeva l’acqua della Legge, ma senza dissetarsi mai perché ogni giorno doveva bere per vivere. Lo Spirito dato da Gesù-Io-Sono invece è un’acqua che toglie la sete per sempre. Qui troviamo forse una polemica della comunità di Giovanni con il Giudaismo: lo Spirito messianico soppianta il regime della Legge, cioè il particolarismo chiuso in se stesso e apre all’universalità della fede, fondata sull’amore.
Agli apostoli di ritorno dal fare provviste per il viaggio e meravigliati che parlasse con una donna, e mentre insistono perché mangi qualcosa, Gesù parla di «un cibo che voi non conoscete» e Gesù stesso spiega che il suo «cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato» (Gv 4,32.34; cf Gv 5,30; 6,38). Nella tradizione sia biblica che giudaica «il cibo» è spesso associato alla Sapienza che imbandisce la tavola e invita a nutrirsi: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» (Pr 9,1-6). Per il Siràcide il «pane dell’intelligenza» è collegato all’«acqua [che la] Sapienza… darà da bere», per cui si può dire che se il cibo è legato all’acqua che è simbolo dello Spirito, fare la volontà di colui che lo ha mandato significa accogliere lo Spirito, simboleggiato sia dall’acqua che dal cibo.
A sua volta lo Spirito orienta verso le messi biondeggianti, cioè verso l’umanità in attesa, verso la missione: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39). Questo è il compito di Gesù trasmesso ai discepoli: rivelare la volontà del Padre agli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Qui vi possiamo trovare anche un’allusione al battesimo che da sempre associa l’acqua, lo Spirito e la missione (cf 1Cor 12,13).
L’acqua, il pane, il culto e le messi abbondanti ci rimandano a noi stessi. Non basta essere battezzati o credere o appartenere ad una chiesa o farsi una chiesa su misura: bisogna sostare al pozzo profondo della propria esistenza e non fermarsi ai bordi, non limitarsi ad attingere acqua, ma bisogna scendere in profondità perché soltanto nell’intimo più profondo del nostro pozzo interiore possiamo scoprire la nostra vera personalità e infine incontrare il Cristo, meravigliandoci che lui era già seduto lì ad aspettarci. Scopriremo i nostri «mariti ba‘al/ ba‘alìm» e chiederemo l’acqua viva della Parola di Dio e dello Spirito Santo e finalmente anche noi lasceremo la brocca per terra e correremo verso il mondo dove le messi attendono il nostro lavoro e la nostra testimonianza.
 
PROFESSIONE DI FEDE: rinnovo delle promesse battesimali
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra?                          Credo.
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque
da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre?     Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi,
la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna?                                   Credo.
Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede nella quale siamo stati battezzati. Questa è la nostra fede che scegliamo e viviamo. E noi ci gloriamo di professarla, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
Preghiamo (sulle offerte). Per questo sacrificio di riconciliazione perdona, o Padre, i nostri debiti, e donaci la forza di perdonare ai nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
MENSA EUCARISTICA
Scambio della pace e presentazione delle offerte.
Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, e come insegna il vangelo (Mt 5,24), deponiamo la nostra offerta e riconciliamoci tra noi e con quanti abbiamo conti in sospeso per essere degni di presentare «l’offerta pura e santa di Melchìsedech» che diventi il pane della vita e il calice della nostra salvezza» (cf Canone romano).
 
La pace del Signore sia con tutti voi e con quanti toccherete con la vostra vita.
E con il tuo spirito. Il Signore della Pace sia con noi.
 
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
Nel Nome di Cristo e con l’aiuto del suo Spirito, Pace su Gerusalemme, Pace sulla Chiesa e sul Mondo!
 
[tutti si scambiamo un segno di pace]
 
Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna.                  Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
PREGHIERA EUCARISTICA V/b
GESU’ NOSTRA VIA (Prefazio proprio della 3a domenica di Quaresima-A)
 
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        È cosa buona e giusta.
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dover e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te,
 
Signore Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro.
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto nel nome del Signore colui che viene. Kyrie, elèison! Christe, elèison!
 
Egli chiese alla samaritana l’acqua da bere, per farle il grande dono della fede, e di questa fede ebbe sete così ardente da accendere in lei la fiamma del tuo amore.
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli e pace in terra a gli uomini che egli ama.
 
E noi ti lodiamo e ti rendiamo grazie e uniti agli Angeli celebriamo la tua gloria.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna a Cristo Alfa e Omèga, Principio e Fine, Dio che salvi.
 
Ti glorifichiamo, Padre santo:  tu ci sostieni sempre nel nostro cammino, soprattutto in quest’ora in cui il Cristo, tuo Figlio, ci raduna per la santa cena. 
Tu, o Signore, stai davanti a noi sulla roccia della tua Parola e riversi su di noi il tuo santo Spirito (cf Es 17,6).
 
Egli, come ai discepoli di Emmaus,  ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi.
Fai stillare come pioggia il tuo insegnamento e fai scendere la tua Parola come rugiada perché tu sei la Roccia d’Israele, il sostegno della santa Chiesa (cf Dt 32,2.4).
 
Ti preghiamo, Padre onnipotente,  manda il tuo Spirito su questo pane e su questo vino,  perché il tuo Figlio sia presente in mezzo a noi  con il suo corpo e il suo sangue. 
Veniamo al tuo altare, Signore e acclamiamo a Cristo, Roccia della nostra salvezza (cf Sal 95/94,1).
 
La vigilia della sua passione,  mentre cenava con loro,  prese il pane e rese grazie,  lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse:Prendete, e mangiatene tutti:  questo è il mio Corpo  offerto in sacrificio per voi.
Siamo il tuo popolo, il gregge che tu conduci ai pascoli dove scorre l’acqua dello Spirito santo (cf Sal 95/94,7).
 
Allo stesso modo, prese il calice del vino  e rese grazie con la preghiera di benedizione,  lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI:  QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE  PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,  VERSATO PER VOI E PER TUTTI  IN REMISSIONE DEI PECCATI. 
 Il calice della benedizione che noi benediciamo è comunione con il tuo sangue o Cristo risorto (1Cor 10,16).
 
Fate questo in memoria di me.
Dio santo, Dio forte, Padre onnipotente e misericordioso: noi crediamo, ma tu aumenta la nostra fede (cf Lc 17,6).
 
Mistero della fede.
Annunziamo la tua morte, Signore,  proclamiamo la tua risurrezione,  nell’attesa della tua venuta. Vieni, principe di Pace!
 
Celebrando il memoriale della nostra riconciliazione,  annunziamo, o Padre, l’opera del tuo amore. Con la passione e la croce  hai fatto entrare nella gloria della risurrezione  il Cristo, tuo Figlio,e lo hai chiamato alla tua destra,  re immortale dei secoli e Signore dell’universo. 
Ci giustifichi per la fede: per questo siamo in pace con te per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo (cf Rm 5,1).
 
Guarda, Padre santo, questa offerta:  è Cristo che si dona con il suo corpo e il suo sangue,  e con il suo sacrificio apre a noi il cammino verso di te. Dio, Padre di misericordia,  donaci lo Spirito dell’amore, lo Spirito del tuo Figlio.
Donaci da bere, Signore, la tua Parola perché abbiamo sete di giustizia e di Spirito Santo (cf Gv 4,7; Mt 5,6).
 
Fortifica il tuo popolo con il sangue del tuo figlio,e rinnovaci a sua immagine.Benedici il papa ..,  il vescovo … e tutto il nostro popolo, il tuo popolo sacerdotale. 
Noi conosciamo il dono di Dio e chi è colui che dice: «Io-Sono che vi parlo» (cf Gv 4,10.26).
 
Tutti i membri della chiesa  sappiano riconoscere i segni dei tempi  e si impegnino con coerenza al servizio del vangelo. 
Signore, donaci l’acqua dello Spirito Santo perché non abbiamo più sete (cf Gv 4,15).
 
Rendici aperti e disponibili  verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino,perché possiamo condividere i dolori e le angosce,le gioie e le speranze  e progredire insieme sulla via della salvezza.
Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di noi tuoi discepoli, o Cristo risorto (Gaudium et Spes 1).
 
Ricordati anche dei nostri fratelli  che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede: ammettili a godere la luce del tuo volto  e la pienezza di vita nella risurrezione.  Concedi anche a noi,  al termine di questo pellegrinaggio, di giungere alla dimora eterna, dove tu ci attendi. 
Noi siamo la santa Chiesa che, lasciati gli idoli della religione, cammina nella storia pellegrina di speranza verso la Gerusalemme celeste che attendiamo dal cielo, da Dio (cf Lumen Gentium, cap. VII; Ap 3,12; 21,2.10).
 
In comunione con la beata Vergine Maria,  con gli Apostoli e i martiri, e tutti i santi,  innalziamo a te la nostra lode  nel Cristo, tuo Figlio e nostro Signore. [Pausa].
 
[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)
Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:
 
Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthètō hē basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genēthêtō to thelēmàsu,
come in cielo così in terra
hōs en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.
 
Antifona alla comunione Gv 4,13-14
«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna»
 
Dopo la Comunione
Da Jon Sobrino, El Principio misericordia [fonte: tratto da «Giorno per giorno» del 14.02.08 della Comunità di base del Bairro, Goiás. Brasile]
Non solo da punto di vista cristiano, ma anche semplicemente umano , trasformare il cuore di pietra in un cuore di carne (la conversione) è il problema fondamentale del Primo Mondo. E questo è ciò che Il Terzo Mondo gli rende possibile. Quest’ultimo, infatti, esprime nella sua stessa carne l’esistenza di un immesno peccato, quello che dà morte lenta o violenta a esseri umani innocenti. E, dato che lo manifesta in maniera plateale, ha forza di conversione. Detto in altri termini, se interi continenti crocifissi non hanno la forza di cambiare il cuore di pietra in cuore di carne, ci si può chiedere chi lo farà. E se nulla è in grando di farlo, ci si può chiedere che futuro attende un Primo Mondo costruito, consapevolmente o inconsapevolmente, su cadaveri della famiglia umana. Non può esserci senso della vita se si vive in questa maniera. E, cosa che il Primo Mondo suole dimenticare con frequenza, il Terzo Mondo è aperto al perdono dei suoi oppressori. Non vuole trionfare su di essi, ma condividere con essi e aprir loro un futuro. A chi gli si avvicina, i poveri del Terzo Mondo aprono il cuore e le braccia e - senza saperlo - concedono il loro perdono. Permettendo che gli si avvicinino, rendono possibile al mondo oppressore di riconoscersi peccatore, ma anche perdonato. E in questo modo introducono nel mondo oppressore una realtà umanizzante, ancora assente: la grazia, poiché il perdono non è un guadagno del carnefice, ma dono della vittima. (Jon Sobrino, El Principio misericordia).
 
Da Paolo Farinella:  Pozzo (Gerusalemme 2002)


Dacché sei donna
il pozzo è tuo sigillo e marchio:
cavar acqua dal ventre della terra
è la tua mèta
per dissetare l’uomo che
schiava ti elegge al suo bisogno.
 
Dalla tenda al pozzo tu vai e vieni,
rassegnata,
dalla brocca portata
che, come giocoliere sulla fune,
l’anima e il passo tuo
ondeggia eternamente.
 
Tu sei per non essere,
o donna di cinque e un uomo,
e sai che non sei e mai sarai donna,
ché serva nascesti per esser schiava
 
E venne il giorno
e venne l’Uomo
ad attender te alla tua mèta,
del tuo cuore a sciogliere
le acque stanche e stagne,
o donna di Samarìa!
 
Scendi nel pozzo profondo
dell’anima tua e l’acqua Sua bevi
ché l’attesa acquieta che in seno racchiudi,
bozzolo di farfalla…
 
Corri, donna,
corri a cogliere il tuo fiore
che libera ora sei da sete
e schiavitù,
da pozzi e da padroni!
 
Grida, donna di Samarìa,
grida ai tuoi padroni
che anche le pozzanghere
del cielo son riflesso,
senza insozzarlo pur possedendolo.
 
Resta del pozzo ai bordi,
la frantumata brocca,
a dire,
 muta,
che or sei donna
e lo sarai.
 
O donna di tutte le Samarìe!
Per sempre!


 
Preghiamo. O Dio, che ci nutri in questa vita con il pane del cielo, pegno della tua gloria, fa’ che manifestiamo nelle nostre opere la realtà presente nel sacramento che celebriamo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione finale
Il Signore benedica i vostri giorni e il vostro lavoro con l’acqua dello Spirito.                      Amen.
Possiate essere un segno della Roccia del suo Amore per l’umanità intera.               Amen!
Siamo sorgente d’acqua viva per chi c’incontra con l’aiuto dello Spirito di Dio.
Abbiate sempre la brocca pronta per gli assetati di giustizia che costruiscono la pace.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                    Amen!
 
La Messa è finita come rito. Attende di essere «compiuta» nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
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© Domenica 3a di Quaresima-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 27/03/2011 - San Torpete – Genova
 
AVVISI
1.      Sabato 26 marzo ore 17,30 chiesa di San Torpete in piazza San Giorgio Genova, per «I concerti di san Torpete» V edizione (2010-2011) concerto per solo organo di Calogero Farinella, organista ufficiale di San Torpete e Direttore artistico della stagione in calendario; guiderà un «Viaggio musicale in Germania» proponendo musiche di J. Pachelbel, M. Konigsperger, J. A. Hasse, J. G. Albrechtsberger.
 
2.      Martedì 29 marzo 2011 ore 21,00 a Pescate di Lecco, presso l’oratorio della Parrocchia, incontro di Paolo Farinella, prete sul tema: «Il padre che fu madre. Quale maternità della Chiesa?».
 
3.      Mercoledì 30 marzo 2011, ore 21,00 a Gallarate presso Sede Acli via Agnelli 33, incontro di Paolo Farinella, prete sul tema «Se Dio è anche madre, la Chiesa può essere matrigna?».
 
4.      Venerdì 1° aprile 2011, ore 17,30 Genova presso la Società Ligure di Storia Patria, Palazzo Ducale (ingresso da piazza De Ferrari, atrio primo loggiato, piano terra), organizzato da «L’Europa che vogliamo» e dal «Circolo Aldo Moro», incontro con lo studioso e parlamentare Franco Monaco su «I cattolici per la democrazia in Italia (ieri e oggi)».
 
5.      Martedì 5 aprile 2011 alle ore 17,30 a Genova presso la Libreria Feltrinelli, presentazione della rivista MicroMega sulla «Laicità».
 
6.      Giovedì 7 aprile 2011 ore 17,30, al Quadrivium (saletta al 1° piano) conferenza su «La Chiesa nel Centro Storico», organizzato dal MASCI di Genova.
 


[1]1a Dom. - Adam tentato e Cristo tentato; due ideali a confronto (il potere e il servizio): Adam e il Figlio.
2a Dom. -Vocazione di Abramo e trasfigurazione di Gesù; il Patriarca e l’Erede:               Abramo figlio del Figlio. 
3a Dom. - La roccia di Mosè che disseta e il pozzo di Giacobbe e della Samaritana:  Mosè/Giacobbe e Gesù.
4a Dom. - L’unzione di Davide e il cieco nato che rivede; la gratuità e la prova:                                Il re/l’olio e il Messia/la luce.
5a Dom. - I sepolcri aperti e la risurrezione di Lazzaro; il capovolgimento:                         La vita più forte della morte.
6a Dom. - Le palme; la folla prima osanna e poi crocifigge:                                                   La solitudine della verità.
7a Dom. - Pasqua; dall’isolamento della morte alla comunione della vita:                         La speranza escatologica.
[2] Nella Bibbia il pozzo è una figura reale e simbolica. Si potrebbe dire un pozzo è solo un pozzo. No! Nella Scrittura, come nella vita, nulla è casuale. Nulla è banale o superfluo. Tutto ha un senso, evidente o velato. Bisogna cercare, perdendovi tempo, studio e meditazione. Anche le cose che apparentemente sembrano ovvie o banali, se scrutate con gli occhi del cuore (cf Pr 23,26; Lc 24,31-32), rivelano profondità inaspettate e inesauribili: «finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto» (Mt 5,18). Questo atteggiamento impedisce anche di fare dire alla Scrittura cose inesatte o non pertinenti.
[3] Origene Adamantio, vissuto ad Alessandria di Egitto nel III (Alessandria d’Egitto ca. 185 - Tiro [Libano] 353/254), è un padre della Chiesa, forse il più grande esegeta di tutti i tempi.
[4] Origene, Omelie sui Numeri, XII, 1-4 («Il pozzo e il suo cantico»).
[5] Id., Omelie sulla Genesi, X,2.
[6] «E’ stato insegnato nella scuola di Rabbì Ishmael: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia?” (Ger 23,29). Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure ogni parola che usciva dalla bocca della Potenza si divideva in settanta lingue» (bShabbat 88b). «Un maestro della scuola di Rabbì Ishmael ha insegnato: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia?” (Ger 23,29) Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure un solo passo scritturistico dà luogo a dei sensi molteplici» (bSanhedrin 34a). I due testi del Talmud sono reperibili in A. C. Avril-P. Lenhardt, La lettura ebraica della Scrittura 86-87. Allo stesso modo si esprime Sant’Ambrogio: «Dio parlò una volta sola e furono udite molte [parole]»(In Psalmo LXI, n. 33-34 [PL, XIV, 1180 C]; cf Origene, In Romanis, VII,19 [PG XIV, 1153-1154]; Id., In Lucam, Hom. 34 [PG 199-200]; Agostino, In Psalmo LXI, n.18 [CCL 39, 786]). Per la tradizione secondo cui la terra era abitata da 70 popoli che parlavano 70 lingue (v. tabella dei popoli in Gen 10), cf l’apocrifo cristiano La Caverna del Tesoro, 24,18 (IV sec. d. C.), contenente materiale anche ebraico molto antico (in E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia 73).
[7] [Sottolineature nostre]. La ruminatio verbi è una modalità biblica di approccio alla parola di Dio, il quale, infatti, ordina a Giosuè (1,8): «Non si allontani dalla tua bocca il libro di questa legge, ma mòrmoralo/rimèttilo/rùminalo giorno e notte» (l’ebraico «hagàh – mormorare/ripetere» esprime l’idea della continuità insistente come di lamento, di cantilena: v. Ez 2,10). Nella tradizione patristica esprime sinteticamente il metodo della lectio divina e dei suoi quattro momenti (lectio, meditatio, oratio, contemplatio) in uso nel monachesimo d’oriente e d’occidente. A riguardo così si esprime Sant’Agostino (Sermones 149,3.4): «Chi ascolta e per negligenza non vi pensa più, quasi inghiotte ciò che ha ascoltato; seppellendo per dimenticanza proprio l’ascolto, da non averne più il sapore in bocca. Chi invece medita giorno e notte sulla legge del Signore, quasi rumina e, come col palato del cuore, gusta il sapore della parola». Per l’approfondimento, cf B. Baroffio, Lectio Divina e vita religiosa, Torino, 1980; D. Barsotti, La Parola e lo Spirito. Saggi sull'esegesi spirituale, Milano 1971; Bianchi E., Pregare la Parola, Torino 1976; L. Bouyer, Introduzione alla vita spirituale, Torino 1965; B. Calati, «Parola di Dio», in Nuovo Dizionario di Spiritualità, Roma 1979, 1134-1151; Id., «Spiritualità monastica: Historia Salutis», in Vita Monastica 12 (1959) 3-48; Id., «La Lectio Divina nella tradizione monastica benedettina», in Benedictina 28 (1981) 407-438; M. Magrassi, Preghiera, Liturgia, Lectio Divina, Faenza 1970).
[8] La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
[9] Il v. 1 che la liturgia di oggi non riporta è della tradizione sacerdotale che è l’ultima (VI-V sec. a.C. esilio). Questo intreccio di tradizioni che a volte riguarda solo un versetto o una parola, è il segno della complessa elaborazione a cui è giunta la definizione della Toràh-Pentateuco per opera del redattore finale (sec. V a.C.). Anche questo è uno stimolo a leggere la Bibbia «con i fianchi cinti, i sandali ai piedi e il bastone in mano» (Es 12,11), cioè in uno stato di perenne attenzione e rispetto.
[10] I rabbini avevano codificato tutta la Toràh in 613 precetti (cf Talmud bMakkôt 24a).
[11] L’intera lettera scritta in greco si compone di 7.100 parole seconda solo alla settima lettera di Platone. Per una visione panoramica di approfondimento cf R. Penna, «La questione della dispositio rhetorica nella lettera di Paolo ai Romani: confronto con la lettera 7 di Platone e la lettera 95 di Seneca», in Biblica 84 (2003) 61-88; per l’esegesi del brano della liturgia nel suo contesto, cf R. Penna, Lettera ai Romani, I. Rm 1-5. Introduzione, versione, commento, EDB, Bologna 2004, 39-43; 60-65
[12]                E’ il nome della città vicina al pozzo di Giacobbe (cf Gen 33,19; Gs 24,32). Alcuni la identificano con la città di Sìchem che fu il primo posto in cui Abramo si fermo, quando entrò per la prima volta in Palestina (cf Gen 12,6). In essa abitò Giacobbe che vi comprò un campo dove fu seppellito Giuseppe (cf Gen 33,18-19; Gs 24,32; At 7,16). Gli abitanti furono uccisi da Simeone e Levi, due figli di Giacobbe per punire il principe Sichem che aveva rapito e stuprato la loro sorella Dina (cf Gen 34). Nella distribuzione della terra, Sichem fu data alla tribù di Efraim. Qui Giosuè fece il suo ultimo discorso agli Israeliti (cf Gs 24,1-25; Gdt 5,16). Fu la prima capitale del regno del nord dopo la scissione di Israele in due regni (cf 1Re 12,25), ma in seguito perse importanza. Dopo l’esilio ridiventò la città più importante della Samaria. Nel 108 a.C. i Giudei la distrussero e nacque l’inimicizia acerrima tra Giudei e Samaritani, ancora vivissima al tempo di Gesù (cf Gv 4,9).
[13] In questo schema, molto comune nel vangelo perché aiuta la memoria, il primo elemento è sempre in rapporto all’ultimo (A e A’), il secondo al penultimo (B e B’), il terzo al terzultimo (C e C’) e tutti convergono verso un centro costituito o da una affermazione o da un fatto, qui l’adorazione in Spirito e Verità (D).
[14] Nello schema di una riflessione finalizzata alla liturgia è difficile riportare tutto; per una visione globale del capitolo e per l’analisi delle singole unità, rimandiamo a F. Manns, L’Evangile de Jean, 124-126. 
[15] Ct 4,15: La sposa è paragonata a «Fontana che irrora i giardini, pozzo d’acque vive e ruscelli sgorganti dal Libano».
[16] Sui diversi «sensi» o interpretazioni della Scrittura [come storia, allegoria, tropologia e anagogia] in Origine e altri Padri della Chiesa (ad es. Girolamo, Agostino, Ambrogio, Rufino, Cassiano, Rabano Mauro, Isidoro, Beda, Eucherio, Eterio, Scoto, ecc.) cf H. de Lubac, Esegesi medievale 1048-1062, specialmente le note 174-260).
[17] Al tempo di Gesù è ancora viva l’ostilità fra Giudei e Samaritani che risale all’occupazione assira del 721, quando per sostituire i deportati giudei in Assiria, la parte centrale della Palestina, oggi Samarìa, fu popolata da immigrati assiri, il cui scopo era anche quello di controllare la popolazione rimasta. Per questo motivo erano considerati pagani a tutti gli effetti. Con il passare del tempo, gli immigrati assiri e cittadini residenti convivono pacificamente e si uniscono anche tra di loro. I Giudei hanno sempre considerato i Samaritani come scismatici, se non proprio come pagani. Anche Gesù in un primo momento impone ai suoi discepoli non andare dai Samaritani, ma di dedicarsi ai Giudei (cf Mt 10,5). Nella logica del vangelo di Gesù però i motivi per cui i Giudei escludono i Samaritani, diventano quelli per cui li prende a modello da imitare: la parabola del buon samaritano dimostra che si può esser scismatici e pagani, anzi eretici (senza Dio) ed essere una testimonianza vivente dell’amore di Dio più degli stessi addetti alla religione ufficiale come sacerdoti e leviti (cf Lc 10,20-37). Di dieci lebbrosi guariti, solo un samaritano ha il senso della riconoscenza gratuita (cf Lc 17,11-19). Gesù stesso è accusato dai Giudei di essere un samaritano posseduto dal diavolo (cf Gv 8,48).
 
[18] «Riprese: “Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!”» (Gen 27,36).
[19] «Per diritti sentieri ella guidò il giusto [= Giacobbe] in fuga dall’ira del fratello, gli mostrò il regno di Dio e gli diede la conoscenza delle cose sante; lo fece prosperare nelle fatiche e rese fecondo il suo lavoro» (Sa 10,10); [Parla la Sapienza:] «Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele”» (Sir 24,8).
 
[20] «C’era una Pietra (Eben Shetyah o Pietra della Fondazione) nel Luogo Santisismo del Tempio, al Muro Occidentale. Su questa Pietra era posata l’arca dell’Alleanza. Di fronte alla Pietra, stava una giara piena della manna (per testimoniare alle future generazioni del dono della manna che l’Eterno fece agli Ebrei nel deserto del Sinai: Es 16,32-34) e anche il bastone di Aronne (bastone di mandorlo che in una notte produsse fiori e frutti» (Maïmonide, Mishneh Torah VIII [Livre du Service du Temple], 17).
[21] Il Talmud di Babilonia nel trattato di Sukkôt 48b narra che il re Alessandro Iannèo che era greco e sadducèo per disprezzo verso questa cerimonia, versò deliberatamente l’acqua ai suoi piedi. Il popolo reagì a questo insulto male augurante, bombardandolo con i cedri in uso nella festa.
[22] Purtroppo anche la terza edizione della Bibbia Cei (2008) in Gv 4,26 traduce con un banale «Sono io che ti parlo», svilendo così il senso profetico e di rivelazione del testo che l’autore mette in evidenza perché cita Es 3,14 dove Yhwh manifesta la sua identità a Mosè, ponendo così il suo Nome su Israele per sempre, quel Nome che nessuno pronuncerà mai più per «timore e tremore», ma solo una volta l’anno sarà detto dal Sommo Sacerdote nel giorno di Yòm Kippùr e dal capo famiglia al figlio maggiore in punto di morte, lasciato come eredità. Nel vangelo di Gv l’espressione «Io-Sono» (gr. Egō eimì), nelle sue varie accezioni è usata 26 volte che secondo la ghematrìa (scienza dei numeri) ebraica è il numero che corrisponde al nome Yhwh, per affermare la piena identità tra questi e Gesù di Nazaret. Di seguito i testi: «Io-Sono» (gr. egō eimì) (Gv 4,26; 6,20, 8,24.28.58; 9,9; 13,19; 18,5.6.8); «Io-Sono il pane» 4 volte (Gv 6,35.41.48.51); «Io-Sono il pane della vita» (Gv 6,35. 48); «Io-Sono la luce» (8,12); «Io-Sono il testimone» (8,18); «Io-Sono la porta delle pecore» (10,7.9); «Io-Sono il pastore bello» (10,11.14); «Io-Sono il pastore bello» (10,11.14); «Io-Sono la risurrezione»                (11,25); «Io-Sono la via, la verità e la vita» (14,6); «Io-Sono la vite (15,5); «Io-Sono la vite vera» (15,1).
[23] Il monte Garìzim, alto 881 metri, ancora oggi è il luogo dove i Samaritani celebrano la Pasqua con il sacrificio dell’agnello. Alla fine del mondi si raccoglieranno su questo monte per attendere il «Taheb – Restauratore» che per loro è il Messia. Nell’AT si parla di Iotam, figlio di Gedeone-IerubBaal, famoso «giudice» di Israele che sale sul Garizim da dove narra la parabola degli alberi che si contendono il potere di governare (Gdc 9,7-16), in contrasto con il fratellastro Abimelek che, dopo aver eliminato in un bagno di sangue i suoi 70 fratelli (Iotam era l’unico scampato), aveva tentato di imporsi come re di Sìchem.


Giovedì 24 Marzo,2011 Ore: 14:44
 
 
Commenti

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Autore Città Giorno Ora
milvia fracassi campli 25/3/2011 12.55
Titolo:ringraziamento
A marzo l' ho conosciuta ad Assisi con Padre Lorenzo Massacesi. le sono grata perchè i suoi commenti mi preparano alla liturgia domenicale e,soprattutto,mi aiutano nella conoscenza della Parola.
milvia fracassi

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