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www.ildialogo.org 2a Domenica di Quaresima-A - 20 marzo 2011,di Paolo Farinella, prete

2a Domenica di Quaresima-A - 20 marzo 2011

di Paolo Farinella, prete

 2a Domenica di Quaresima-A

20 marzo 2011
Nella prima domenica abbiamo visto il piano della liturgia di tutta la quaresima e lo sviluppo delle singole domeniche che riportiamo per comodità1. Oggi entriamo nella 2a tappa del cammino catecumenale che ci condurrà alla Pasqua: il rapporto tra Abramo e l’Erede. In altre parole si può parlare di esperienza mistica di Abramo nella notte delle stelle e di esperienza mistica di Gesù nella luce del Tabor: due rivelazioni, due manifestazioni; due prospettive; due missioni: Abramo deve concepire Israele, il popolo di Dio e Gesù deve compiere il Regno. Abramo deve dare inizio alla posterità attraverso la sterilità; Gesù deve iniziare il regno di Dio attraverso la sua morte. E’ la legge dell’impossibilità che percorre tutta la Scrittura. San Paolo codificherà per primo questo comportamento con una «legge teologica», che fa da discriminante della fede:
 
«27Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono» (1Coir 1,27-29)2.
 
Da una parte vi è la promessa fatta ad Abramo e dall’altra vi è una realtà nuova che apre a sua volta ad una nuova prospettiva. Abramo è l’inizio della storia d’Israele, Gesù trasfigurato è «il principio» che da un lato compie la storia e dall’altro l’apre al futuro definitivo che sarà un futuro trasfigurato, trasformato.
La liturgia ci propone un incontro con tre figure importanti della nostra storia: Abramo, Gesù e gli apostoli. Nell’album fotografico di famiglia che è la Bibbia, incontriamo il fondatore religioso della nostra dinastia: Abramo. Anche se l’archeologia non ha ancora trovato nulla riguardo ad Abramo, essendosi fermata alle testimonianze lasciate da Giacobbe, noi riconosciamo nel patriarca primordiale il primo passo di quel lungo processo, prima di Cristo, durato due mila anni che si chiama «incarnazione» di Dio nella storia. Tutte le religioni contemporanee di Abramo veneravano «dèi» estranei alla vita dell’uomo sulla terra perché erano «separati» e anzi il mondo degli dèi era contrapposto a quello degli uomini, sul quale però esercitavano un potere e un influsso dai quali gli uomini non potevano liberarsi. Un solo modo avevano gli umani per rapportarsi con gli dèi: riservare tempi e spazi sacri dedicati alle divinità con cui garantirsi in termini di sicurezza (purità cultuale e protezione dalla natura e nel destino) una qualche forma di contatto. Dio si può incontrare, ma solo nel «rito» di un sacrificio o nell’offerta delle primizie, fuggendo dal mondo umano ed entrando «nel recinto» religioso, delimitato dallo spazio (tempio) e dal tempo (liturgia/rituale). La benevolenza degli «dèi» deve essere comprata e contrattata a forza di scambi che si realizza con «le offerte cultuali», il cui apice è «il sacrificio cruento». La casta sacerdotale si pone in mezzo come intermediaria perché il popolo profano radicalmente è impossibilitato a raggiungere il «dio».
Con Abramo tutto questo scompare, di colpo. Nella storia umana irrompe una «voce» che parla non più in un recinto sacro, ma in una notte stellata, sullo scenario del cosmo, nel cuore stesso degli eventi della storia, nel cuore dell’uomo che è chiamato. Dio parla nella notte stellata, nel deserto, in terra straniera e la sua Presenza non è più un simbolo, ma è la Parola che è l’evento evocativo più fragile e più intimo: «Il Signore disse ad Abram» (Gen 12,1). Il primo intervento nella storia di Israele è «la Parola», cioè una relazione tra un «io» che parla e un «tu» sorpreso che è in ascolto che è la regola dominante della comunicazione: un parlante, un ascoltante e in mezzo una parola di collegamento. In questo momento esatto comincia l’incarnazione che si concluderà due millenni dopo, quando «il Lògos carne fu fatto» (Gv 1,14). La novità del Dio di Abram è originale perché per la prima volta un «dio» chiama per «nome» il suo interlocutore che ha scelto: «Il Signore disse ad Abram».
E’ un «dio» strano quello che interpella Abramo perché non sacrifici e offerte, ma offre, anzi affida una vocazione e consegna una prospettiva: successivamente i profeti diranno che il Dio di Abram non è un sanguinario che cerca sacrifici ed olocausti di animali, ma la tenerezza e la conoscenza (Os 6,6). Con Abram inizia un processo religioso in movimento, che, superando l’immobilismo proprio delle religioni che sono e restano «fisse» negli schemi, nei riti ripetitivi che ne costituiscono la forza, inizia un cammino di purificazione e di spiritualizzazione che non avrà più fine, passando per i profeti, i sapienti e per giungere a Gesù, gli apostoli e la Chiesa che si fa pellegrina con gli uomini e le donne di ogni tempo in cammino verso la Gerusalemme celeste3
Nella missione/vocazione che Dio consegna ad Abram, tranne il primo verbo che è un imperativo, gli altri dieci verbi sono tutti al futuro perché quando Dio parla genera la speranza che ancora deve accadere, ma che è già compiuta perché la Parola nel momento in cui enuncia compie ciò che annuncia:4
 
«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,1-3)5.
 
Con Gen 12 inizia la storia religiosa, la nostra storia, la nostra storia ebraica che ci condurrà passo dopo passo fino al monte Calvario, là dove insieme al centurione romano, scopriremo in «quella» morte che «davvero quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39). I capitoli precedenti al racconto della chiamata di Abram, e cioè Gen 1-11, sono una riflessione teologica sulla storia di un Dio che si rende accessibile, un Dio che cammina col passo di una persona lungo le strade della vita dove si vive l’esperienza umana. Questi capitolo sono la sintesi di tutto il cammino sapienziale e teologico di Israele che dopo avere sperimentato l’esodo, l’ingresso nella terra della promessa, l’esilio e il ritorno, di generazione in generazione riflette sulla propria storia, sulle proprie origini e risponde alle domande di senso che via via si pone.
Abram è la prova che nessuno di noi può estraniarsi dalla terra per scalare i cieli con lo scopo di andare ad incontrare Dio. Noi siamo uomini e donne e possiamo incontrare Dio solo nel contesto della nostra umanità e con le categorie dell’umanità. Non potendo salire in cielo, Dio è sceso nella storia, si è fatto un Dio terreno, cioè un Dio umanamente possibile. Abramo dunque dà inizio ad un processo inarrestabile e pieno di futuro: andare sempre in avanti alla scoperta di una mèta che ogni volta che si raggiunge propone un’altra mèta. Abram è veramente «nostro padre nella fede» (Canone romano I).
Nella 2a lettura, l’autore della lettera a Timoteo ci dice che il progetto di Abram è il «vangelo» per il quale vale la pena soffrire (2Tm 1,8) perché è la rivelazione del volto di Dio nel «salvatore nostro Gesù Cristo» (2Tm 1,10), verso il quale «Abramo partì» (Gen 12,1). Ora lo sappiamo bene, Abram, il patriarca capostipite di Israele non partì verso una terra sconosciuta o verso una terra promessa, ma fu mandato da Dio all’incontro con Gesù di Nàzaret, il suo unico discendente (cf Gal 3,6) che avrebbe compiuto la promessa e l’alleanza.
Nel vangelo, accanto a Gesù che sale sul monte della trasfigurazione, troviamo due personaggi straordinari: Mosè che rappresenta la Toràh ed Elia che rappresenta la Profezia, cioè la sotria della rivelazione di Dio ad Abram. Essi fungono da testimoni autorevoli che Gesù è il l’erede di Abramo, la Parola incarnata che rinnova l’esodo verso la terra promessa della risurrezione passando attraverso il deserto della morte e della sofferenza. Attoniti come i tre discepoli che non si rendono conto di quello che accade, ci adagiamo ai piedi del monte e contempliamo l’evento della Trasfigurazione, dicendo insieme l’antifona d’ingresso (Sal 27/26,8-9): «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”.Il tuo volto, Signore, io cerco. 9 Non nascondermi il tuo volto».
 
Spirito Santo, tu sei la voce che parlò ad Abram per chiamarlo all’incontro con Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai dato la forza a d Abram di lasciare il padre, la patri e il suo paese, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il paese indicato da Dio verso il quale Abram partì con fede, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la benedizione di Dio che in Abramo raggiunge tutte le nazioni, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il nostro aiuto e il nostro scudo nell’attesa del Signore che viene, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’occhio vigilante del Signore su chi lo teme e spera nel suo amore, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’amore del Signore che riempie la terra di giustizia e diritto, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il sostegno dell’apostolo che soffre per l’annuncio del vangelo, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu deponi nel cuore la vocazione santa per il progetto della grazia di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la grazia che ci è data in Cristo Gesù rivelata fin dalla eternità, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai condotto Mosè ed Elia sul santo monte della trasfigurazione, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la luce sfolgorante che trasfigurò il volto del Signore Gesù, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la voce del cielo che ha consacrato Gesù Messia d’Israele, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la tenda che Pietro voleva costruire per Gesù, Mosè ed Elia, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai anticipato nella trasfigurazione la santa risurrezione di Gesù, Veni, Sancte Spiritus!
 
Continua il pellegrinaggio verso la Pasqua in compagnia di Abram, nostro padre nella fede. Possa lo Spirito del Signore guidarci alle profondità del santo Patriarca che non chiede spiegazioni, ma si fida ciecamente di Dio e parte senza conoscere la mèta. Sappiamo dove andiamo perché la strada è tracciata e la nostra meta è la Pasqua del Signore che è il fondamento della nostra risurrezione. Partiamo anche noi con Abram con la protezione della Santa Trinità:
 
(greco)6
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito
 
Il vangelo comporta sofferenza, distacco, austerità, conoscenza e adesione al progetto di Dio. Qual è il progetto della nostra vita? Quale posto occupa la nostra fede in questo progetto? A che punto stiamo della nostra storia della salvezza? Ci siamo mai misurati con la figura di Abramo? In che senso è «padre della nostra fede»? Questa seconda domenica di Quaresima in che cosa differisce dalla prima? Siamo sempre allo stesso posto o siamo partiti come Abramo verso il futuro di Dio? Oppure siamo tornati indietro? Esaminiamo la nostra coscienza
[breve, ma reale esame di coscienza]
 
Padre Abramo, patriarca in cammino, insegnaci a non fermarci mai, Kyrie, elèison, Christe, elèison!
Mosè, patriarca della parola, insegnaci ad ascoltare il Cristo, il Lògos,Christe, elèison! Kyrie, elèison!
Elia, profeta atteso da Israele, insegnaci a riconoscere il Messia,Pnèuma, elèison, Christe, elèison!
Cristo Gesù, Parola e Sacramento del Vivente, abbi pietà noi,Christe, elèison! Pnèuma, elèison!
Cristo Gesù, trasfigurato dalla passione, accogli la nostra sofferenza,Kyrie, elèison, Christe, elèison!
Cristo Gesù, trasfigurato nella risurrezione, trasfigura la nostra vita, Christe, elèison! Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente che ha chiamato il politeista Abram per farne il padre di molti popoli, chiedendo al santo patriarca di fidarsi della sua Parola e di buttarsi nel futuro con fede; che chiede a Timoteo di non avere paura di soffrire per il vangelo; per i meriti dei santi Mosè ed Elia testimoni della santa trasfigurazione del Signore, per lo stupore degli apostoli smarriti davanti alla Maestà di Gesù; per i meriti di tutti i patriarchi, i profeti e gli apostoli di Gesù Cristo, nostro Signore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, che chiamasti alla fede i nostri padri e hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo, aprici all’ascolto del tuo Figlio, perché accettando nella nostra vita il mistero della croce, possiamo entrare nella gloria del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli.Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
Prima lettura Gen 12, 1-4a. Il padre di Abramo, Tèrah, ha lasciato Ur di Caldea (nell’attuale Iraq a km 320 a sud-sud-est di Bàghdad). Dopo un viaggio di km 1.500 circa verso nord si stabilì a Càrran o Hàrran, (vicino l’attuale Urfa [Emessa] a sud-sud-est in Turchia sulla linea di frontiera tra Turchia e Siria). Qui è ambientato l’inizio della storia patriarcale con la vocazione di Abramo. Ogni vocazione comporta un taglio col passato e una prospettiva verso l’incognita che è nelle mani di Dio il quale in appena tre versetti usa 11 verbi: un imperativo e dieci verbi al tempo futuro. La garanzia e la certezza di Dio non sono mai una sicurezza, ma una prospettiva che si trova più avanti. Abram deve lasciare tre «p»: «paese, patria e padre» (v. 1) se vuole realizzare la sua paternità senza confini. Il v. 4 è un capolavoro di fede e di spiritualità: «Abram partì». Si ha uno schema letterario straordinario: «Dio disse ad Abram … Abram partì». La risposta alla Parola di Dio non è un’altra parola, ma un fatto, una scelta, un cammino. Prima ancora di capire, il Patriarca d’Israele ubbidisce e sceglie. Per questo, forse pensando a lui, al momento di ricevere la Toràh, sul monte Sinai, gli Ebrei risponderanno: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7). Nell’Eucaristia abbiamo la Parola che si fatto, cioè Pane e vino, alimenti di vita, con la cui forza anche noi come gli Ebrei, come Abramo possiamo partire per essere profeti nel mondo che Dio ama.
 
Dal libro della Genesi12, 1-4a.
In quei giorni, 1il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria7 e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. 2Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. 3Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti maledirannomaledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». 4 Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.  - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale33/32, 4-5; 18-19; 20.22 – Un ritornello costante nella storia dei Patriarchi è l’assicurazione di Dio: «Io sarò con te»(ebr.: we’anokî ’ehièh ‘immàk – gr.: kài autòs èstai metà sû: Dt 31,23; Gd 6,16; Gen 26,3; 31,3; Es 3,12...). Il salmo ebraico si compone di ventidue versetti, uno per ogni consonante dell’alfabeto ebraico, quasi a dire che chi prega, loda il Signore sempre con un canto totalmente nuovo (v. 3, qui assente), senza riserve, «dalla A alla Zeta». Il salmista che immagina un coro e una orchestra (vv. 2-3, qui assenti) canta la certezza della vicinanza del Signore che diventa fedeltà in cammino. Celebrando l’Eucaristia non siamo più in attesa del Signore, perché ora egli ci convoca alla mensa della Parola che diventa anche mensa del Pane, i segni visibili del suo amore che veglia su di noi (v. 22).
 
Rit.Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
1. 4 Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
5 Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.
Rit.
19 per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
Rit.
3. 20 L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
2. 18 Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
22 Su sia di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. Rit.
 
Seconda lettura2Tm 1,8b-10Le due lettere a Timoteo sono incerte: sono di Paolo o sono di altri? I temi sono paolini, il linguaggio no. L’autore scrive dalla Macedonia in Grecia a Timoteo che si trova a Efeso in Turchia. La comunità cristiana vive un passaggio epocale: anche gli apostoli cominciano a morire e sono sostituiti da altri. Si pone il problema dell’autorità nella Chiesa che i versetti di oggi legano al servizio del Vangelo (vv.10-11). Esercita autorità sulla comunità chi si assume la responsabilità del mandato ricevuto della proclamazione della Vangelo e nello stesso tempo chi accetta la vocazione di prolungare nella propria vita l’umanità incarnata del Verbo di Dio.
 
Dalla seconda lettera di Paolo apostolo a Timoteo 1,8b-10
Figlio mio, 8con la forza di Dio, soffri con me per il vangelo. 9Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, 10ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del vangelo. - Parola di Dio.
 
VangeloMt 17,1-9La trasfigurazione ha un nucleo originario comune ai tre Sinottici (Marco, Matteo e Luca) che ogni evangelista poi rielabora per le finalità specifiche del proprio vangelo. In origine il racconto descriveva solo la scoperta da parte dei discepoli della personalità di Gesù come realizzazione della figura misteriosa del Figlio dell’Uomo descritta da Daniele (cf. Mt 17,2 e Dn 10,4-6; Mt 17,6 e Dn 10,9; Mt 17,7 e Dn 10,10; Mt 19,9 e Dn 12,4). Successivamente si collegò alla festa ebraica di Sukkôt o delle Capanne (in latino detta dei Tabernacoli) che celebrava l’alleanza del Sinai e la conseguente dimora nel deserto del popolo d’Israele (v. 4). Per otto giorni il popolo si trasferiva ai margini dell’abitato per vivere in capanne. In questo periodo, nel dopo esilio, cominciò a celebrarsi anche l’intronizzazione del Messia sofferente. La festa acquistò pertanto una duplice importanza: celebrare l’alleanza del Sinainon solo come «memoria» dell’esodo, ma anche e specialmente come attesa del Messia: il passato è premessa e promessa di futuro. Il racconto di Mt mette in evidenza Gesù come nuovo Mosè. Se il popolo non poteva guardare il volto di Mosè che aveva parlato con Dio (Es 34,25), i discepoli di Gesù cadono in ginocchio pieni di timore come si fa quando si sta davanti a Dio (v. 6; cf Sal 95/94,6; Es 3,6).
 
Canto al Vangelo cf Mc 9,7
Lode e onore a te, Signore Gesù. Dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». Lode e onore a te, Signore Gesù.
 
Dal Vangelo secondo Matteo 17,1-9
In quel tempo, 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. 9 Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». - Parola del Signore.
 
Spunti di Omelia
Nella nostra riflessione di oggi, distingueremo i testi e rifletteremo in modo distinto sulla prima lettura e poi sul vangelo, per rispetto verso la Parola di Dio che oggi ci prone due «eventi» impegnativi che non possono essere sbrigati come una lettura da passatempo. Ciascuno farà le applicazioni alla propria condizione e alla propria storia della salvezza, meditando nel suo cuore (cf Lc 2,19).
Prima lettura. Il capitolo 12 del libro della Genesi è il portale solenne della Storia perché per esso passa l’ingresso «fisico» di Dio che entra in relazione con un uomo. Inizia la «storia dei Patriarchi» di cui Abram è il capostipite, la prima pietra della storia d’Israele e della Chiesa. I primi 11 capitoli della Genesi non sono storici nel senso proprio del termine, ma esprimono la teologia della storia come l’ha sedimentata Israele lungo il suo cammino, durante e dopo l’esodo. Durante la formazione delle tradizioni letterarie, ma specialmente nel sec. V a.C. quando fu fatta la redazione finale scritta che oggi si rispecchia nell’attuale Pentateuco, i primi 11 capitoli furono messi «in principio», come cappello a tutta la storia patriarcale, seguendo la struttura «dal generale al particolare»: la creazione del mondo fa da sfondo alla creazione di Israele, così come la nascita di Adam fa da premessa alla chiamata di Abram8.
L’archeologia non ha ancora trovato una testimonianza del passaggio di Abramo, mentre si hanno prove del passaggio di Giacobbe, cioè il nipote di Abramo perché figlio di Isacco; Giacobbe ebbe dodici figli da cui ebbero origine le dodici tribù d’Israele. ma questo è un altro problema. Limitandosi all’essenziale, vediamo qualche spunto di riflessione, rimandando ad altri tempi l’approfondimento biblico dell’epoca dei Patriarchi.
La storia inizia con uno strappo: Abramo deve partire, cioè deve tagliare e lasciare. Non si parte mai verso una mèta senza doversi staccare da qualcuno o da qualcosa. Bisogna lasciare qualcuno o abbandonare qualcosa per cominciare una vita nuova o vivere una svolta decisiva. Il futuro di una persona e di un popolo è sempre dietro perché il passato genera il futuro, come il seme il fiore. Nello stesso tempo noi non siamo più nel passato, di cui non possiamo fare a meno, e non siamo ancora nel futuro, verso il quale andiamo inesorabilmente. Noi disponiamo solo del nostro presente che è la misura della nostra reale condizione: siamo sempre sradicati pur restando noi stessi. E’ questo il messaggio della Quaresima che ci invita alla conversione continua, cioè ad abituarci al cambiamento.
Per avere la Terra che ancora non possiede e un erede che non genera, Abramo deve abbandonare ogni sicurezza: il suo paese, la sua patria, suo padre (le tre «P»). Come è strano il Dio di Abramo! Per trovare la propria identità, Abramo deve abbandonare le sue identità provvisorie o circostanziali: per ritrovarsi deve perdersi. Forse pensava a lui Gesù quando diceva: «Chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita la salverà» (Mc 8,35). In un tempo in cui si bestemmia di identità cristiana, che solo gli atei possono identificare con la cultura occidentale, dimenticandosi troppo spesso che il crocifisso non è un «valore», ma scandalo di Dio, Abramo, il referente delle tre religioni monoteistiche (Cristianesimo, Ebraismo e Musulmanesimo), viene a dirci che la nostra identità è fuori di noi: fuori della patria, fuori del paese e fuori della famiglia di appartenenza.
Coerentemente con Abramo, Israele prese coscienza di sé come popolo non dentro i confini di una cultura o al riparo di una civiltà di comodo, ma nel cuore del «deserto», terra di nessuno dove nemmeno gli «dèi» si avventuravano perché il deserto era il luogo e il simbolo del «non-senso». Nel momento in cui è chiamato da Dio per l’avventura che segnerà la storia, Abram un politeista, un pagano religiosamente dipendente dalle divinità di riferimento della sua civiltà. Deve diventare «straniero» della religione se vuole incontrare il Dio della fede. I difensori del Cristianesimo e del Crocifisso come simboli della civiltà occidentale, sono coloro che vogliono fare del Cristianesimo una religione sociale e ridurre la fede ad una ideologia. Se fossero vissuti al tempo di Abramo lo avrebbero trattato come un «extracomunitario» pericoloso.
Il Dio che entra nella storia e che l’assume come luogo del suo bisogno di comunione con l’umanità non fa preferenze di persone (At 10,34; Ef 6,9): egli guarda al cuore dell’uomo e non alle apparenze (1 Sam 16,7). Chiamando Abram, Dio parla direttamente al suo cuore e al suo intimo, non chiede un accordo, non intavola una trattativa, non fa uno scambio. La vocazione non è una merce per sistemarsi per tutta la vita. Quando Dio chiama scardina ogni sicurezza e chiede l’abbandono totale, fondato sulla roccia della Parola e non sulle garanzie. La prima parola di Dio è un verbo imperativo: «Vattene da…». Le altre parole sono 10 verbi tutti al tempo futuro: indicherò, farò benedirò, renderò, diventerai, benedirò, benediranno, malediranno, maledirò, si diranno.
La garanzia di Dio è solo la sua «Parola», cioè la fragilità impalpabile e mai tangibile di Dio perché è Presente, ma appare Assente: è radicato nella nostra storia, ma noi non possiamo disporne, non possiamo barattarlo, non possiamo venderlo né comprarlo.. Fidarsi della parola di qualcuno significa credere intimamente nella solidità della sua persona. Ciò comporta che non avere garanzie scritte o verificabili significa affrontare il futuro con la forza dell’altro da cui ci si allontana e verso il quale si cammina.E’ la fede. E’ l’Amore.
E’ tragico che di fronte a questa prospettiva, non si capisca l’importanza della Parola nella vita liturgica della Chiesa, senza della quale ogni celebrazione rischia di essere un momento magico e banale. Il ritorno generalizzato e senza giusta causa al messale preconciliare di Pio V, che di fatto abolisce il 74% della Parola di Dio dall’ascolto del popolo di Dio, unicamente per venire incontro ad un malinteso senso di sacralità pagana, è il sintomo della disorientamento in cui vive la Chiesa intera per responsabilità della stessa autorità che dovrebbe invece nutrire il popolo non delle sue parole, ma unicamente della Parola di Dio.
La stessa Parola che chiede ad Abramo di «andarsene dai suoi riti, dai suoi dèi, dalle sue tradizioni, dalle sue sicurezze, chiede a noi oggi di andarcene dai tempi del concilio di Trento che non è più, di superare il Vaticano I e di ripartire dal Vaticano II verso un futuro che non ci appartiene, ma che nello stesso tempo determiniamo con le nostre scelte. Ancorarsi al passato con la patologia nevrotica che solo nel passato c’è la verità, significa negare ad Abramo di andare verso il popolo di Israele che ancora non ha partorito e rifiutare l’azione dello Spirito Santo che guida oggi come ieri la sua Chiesa verso l’orizzonte della risurrezione finale. Il «motu proprio» sul ripristino della liturgia tridentina è un segno evidente della poca fede in Dio Signore della storia e di tutti i tempi.
L’autore yahvista del racconto non dice che Abram rispose con una parola, ma che all’imperativo di Dio, egli rispose con un fatto che segnerà la sua vita: «Allora Abram partì» (Gen 12,4a). All’imperativo di Dio Abram corrisponde un verbo di compimento: «Vattene … Partì». C’è una sproporzione abissale: agli undici verbi di Dio Abramo contrappone un solo verbo, che, aben guardare non è nemmeno suo, perché è l’informazione che ci fornisce il cronista o il redattore. E’ l’autore del racconto che c’informa del gesto del patriarca perché quel gesto è diventato parte della storia non solo di Abram, ma anche dei suoi discendenti. E’ diventato la nostra storia, se a distanza di oltre 4.000 anni, ancora oggi noi leggiamo la notizia «storica» della vocazione-partenza di Abram.
Nello stesso versetto, l’autore aggiunge «come aveva ordinato il Signore». Quando Dio parla si ubbidisce, non si ragiona sulle difficoltà o sull’incertezza del futuro, bisogna solo indossare le scarpe e partire perché credere in Dio significa avere gambe buone per camminare. Questo atteggiamento di Abram è il fondamento della fede del popolo ai piedi del Sinai, quando il popolo d’Israele non discusse e non volle conoscere prima il contenuto della Torah, ma esclamò: «Tutto quanto il Signore ha detto, noi faremo e ubbidiremo» (Es 24,7). Prima faremo, cioè adempiremo, compiremo e solo dopo ascolteremo cioè cercheremo di capire. E’ la logica della fede. E’ la logica dell’Amore. E’ il senso della Quaresima e della nostra vita. Dio è al di là e oltre noi stessi, il nostro passato e il nostro futuro e quando saremo arrivati a coniugare tutti i verbi al futuro e giungeremo alla mèta della Terra Promessa che è l’umanità di Dio, Dio sarà già lì ad aspettarci e mentre ci accoglierà, ci accorgeremo che egli non ci aveva mia lasciato, anche quando noi ne eravamo convinti, perché cammina sempre con noi: «Sono stato con te dovunque sei andato»(2Sam 7,9).
 
Vangelo (Mt 17,1-9: Trasfigurazione). La prospettiva del vangelo è diversa da quella della prima lettura: là è Dio che chiama, qui è Dio che si manifesta e si rivela. Là è il deserto, qui è un monte, uno dei sette monti citati da Matteo. Là c’è solo Abram e una Voce, qui c’è Gesù con alcuni dei suoi apostoli e due figli di Abram, Mosè ed Elia. Là la Toràh deve ancora venire, qui la Toràh fa da testimone qualificato alla personalità di Gesù. Là c’è la Voce che ordina la separazione, qui c’è la Voice che invita all’ascolto. Là c’è Dio che parla al futuro, qui c’è Dio che parla al presente. Ci troviamo su un monte, dove avviene una teofania a cui assistono due testimoni d’eccezione che a loro volta hanno sperimentato la vicinanza di Dio: Mosè ed Elia (cf Es 19,3.14.18.20; 1Re 19,8-13). Essi sono l’attesa e la speranza d’Israele che garantiscono quanto sta avvenendo sul monte Tàbor: la Toràh e la profezia garantiscono che Gesù è il Messia promesso e finalmente giunto.
Mt nel suo vangelo cita 7 monti reali e due in parabola o come esempio9. Il monte della trasfigurazione è il 5° nell’ordine10. Se ci fermiamo solo al raccontino edificante che termina con lo stupore di Pietro, finiamo per concludere che Pietro non ci fa una bella figura perché dimostra di non avere capito nulla. Con lui anche noi rischiamo di non capire nulla. Se invece leggiamo il testo dal punto di vista di Mt, scopriamo che è un capolavoro di comunicazione, strutturato attraverso la cultura ebraica e le conoscenze degli ascoltatori: da una parte abbiamo l’intronizzazione di Gesù fatta davanti alla Toràh (Mosè) e alla Profezia (Elia) e dall’altra sappiamo, grazie alle parole stupite di Pietro, che questa intronizzazione messianica avviene nella festa della Capanne. Pietro non vuole stare comodo, ma vuole celebrare con Gesù, Mosè ed Elia la festa ebraica delle Capanne che si svolgeva in quei giorni11. Il racconto della Trasfigurazione è dunque il modo cristiano di dire con modalità ebraiche che Gesù è il Messia atteso da Israele e riconosciuto dai cristiani che hanno anche la testimonianza autorevole e decisiva di Mosè ed Elia.
 
  1. I personaggi. C’è Gesù e vi sono tre discepoli i quali hanno la funzione di testimoni perché secondo la Legge giudaica ogni fatto o situazione deve essere garantita da due o tre testimoni (cf Dt 17,6; 19,15; Mc 1,14-20 e parall.; Mt 18,16.20; 2Cor 13,1; 1 Ti 5,19; Eb 10,28) per avere valore legale. Accanto a Gesù troviamo Mosè ed Elia che nella tradizione giudaica rappresentano la Toràh e la Profezia. La Bibbia ebraica è divisa in tre parti: Toràh/Legge; Nebiìm/Profeti e Ketuvìm/Scritti. Al tempo di Gesù l’espressione «Legge e Profeti» aveva il significato sintetico per indicare tutta la Bibbia (cf Lc 24,27). La presenza di Mosè ed Elia ha quindi il significato che tutta la Scrittura è testimone di ciò che sta avvenendo. In Mt (qui vv. 3 e 4 e Lc 9, 30.33). Mosè è citato per primo, mentre in Mr 9,4 è citato prima Elia. Secondo la tradizione Elia, il profeta che non è morto, ma che è stato rapito in cielo da Dio su un carro di fuoco (cf 2Re 2,11), sarebbe ritornato immediatamente prima del Messia per preparargli la strada: «Egli camminerà innanzi a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto» (Lc 1,17). La tradizione sinottica ha individuato Elia nella persona di Giovanni il Battista (cf Mt 11,14). Ancora oggi, durante la pasqua ebraica, a tavola è lasciato vuoto un posto, il posto di Elia che può manifestarsi sotto le sembianze di chiunque, anche di un povero. Lc aggiunge un particolare: dice che Gesù, Mosè ed Elia «parlavano del suo esodo» (Lc 9,31). Mosè è il protagonista assoluto dell’esodo, Elia, inseguito dalla polizia della regina Gezabèle ripercorre all’indietro la stessa strada dell’esodo fino alla montagna di Dio e Gesù sta per intraprendere l’esodo della morte e della risurrezione. Tutti e tre sono specialisti dell’esodo, cioè dell’evento fondante dell’alleanza e della storia della salvezza.
 
  1. Lo sfondo che fa da cornice ideale alla trasfigurazione è dunque l’esodo, ma il rapporto tra i due eventi è ancora più profondo e diretto di quanto non appaia a prima vista. Esaminiamone da vicino il parallelismo.
    1. Il monte Tàbor12 richiama il monte Sinai che è testimone del momento decisivo della storia della salvezza: il monte Sinai è il monte della Toràh scritta e orale in cui è sigillata l’Alleanza ed è anche il monte dove si rifugia Elia perseguitato che viene consolato dalla manifestazione di Dio (cf 1Re 19,11-14). Il monte Tàbor è il monte della rivelazione della personalità di Dio stesso: non vi sono più intermediari, ma solo testimoni.
    2. Nel giudaismo contemporaneo di Gesù, durante la festa di Sukkôt, si celebrava la teofania del Sinai proietta nel futuro, in epoca escatologica (cf Is 40,3-5; Zac 14; Ap 7,9-11) e si faceva memoria dell’intronizzazione del Messia che Mt riprende in forma cristiana e per consolidare la fede dei Giudei che hanno riconosciuto in Gesù il Messia d’Israele.
    3. La trasfigurazione è descritta al capitolo 17 di Mt e quindi precede il capitolo 18 dove si svolge il discorso sulla comunità, cioè la futura assemblea messianica ed escatologica che è la Chiesa. Come ai piedi del Sinai il popolo attese la proclamazione della Parola, così oggi Cristo Messia chiama la Chiesa nascente ad essere il segno della novità: Dio viene direttamente nella Storia.
    4. Per Mt La trasfigurazione avviene «sei giorni dopo» (Mt 17,1), mentre sul Sinai la teofania si svolge «il terzo giorno» che corrisponde al «sesto giorno» secondo lo schema 3+3 (cf Es 19,1-17, specialmente 24,16-18).
    5. La nube avvolge sia il Tàbor che il Sinai.
    6. Il volto di Mosè è raggiante tanto che nessuno può guardarlo. Il volto di Gesù si trasfigura davanti ai suoi discepoli che restano attoniti e folgorati (cf Es 34,29-35; 2Cor 3,7-11).
    7. La voce celeste che parla dalla nube esprime un comando: «Ascoltatelo» (Mt 17,5) che richiama la descrizione di Dt 18,15: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto». Mosè accanto a Gesù vede realizzarsi la profezia che egli stesso ha pronunciato su Israele ed Elia che ha il compito di introdurre il Messia nel cuore d’Israele è sua volta garante di questo compimento.
La trasfigurazione è un anticipo della risurrezione, ma avviene poco prima della morte. In tutto ciò che riguarda Dio gli opposti si identificano: appena sceso dal monte della luce, Gesù parla di consegna alla morte agli apostoli che così passano dalla visione escatologica alla via obbligata della croce. La croce non è facoltativa: essa è la via che Dio accetta di percorrere per indicare a ciascuno di noi la mèta della propria trasfigurazione. Il dolore e la morte introducono alla luce e alla vita. All’udire «la voce» (cf Mt 17,5) gli apostoli cadono con la faccia a terra perché «sentono» la presenza di Dio e da giudei sanno che chi vede Dio muore (cf Es 3,6; Lv 9,24, ecc.), ma ancora non sanno che la visione di Gesù, volto del Padre, ha sconfitto la morte e Dio può essere guardato faccia a faccia perché inizia l’era del Dio incarnato.
Celebrare l’Eucaristia è vivere in anticipo la trasfigurazione in comunione col il Signore e con i fratelli e sorelle: la Parola si trasfigura in pane e in vino e questi in cibo che a sua volta si trasfigura nella nostra vita. In questo modo l’Eucaristia diventa un progetto di trasformazione che deve impegnarci nella nostra storia: abbiamo l’obbligo di trasformare il pane delle nostre possibilità in pane per tutti affinché non vi siano affamati nel mondo; abbiamo il compito di trasfigurare ciò che viviamo e facciamo e tocchiamo perché la pace possa chiamarsi giustizia. Gesù non resta sul monte della trasfigurazione, ma scende nel mondo della storia quotidiana per portare il vangelo della trasformazione agli uomini e alle donne che incontrerà sul suo cammino verso la città di Dio: la città della trasfigurazione definitiva che muta la morte in vita e la croce da strumento di tortura e di morte in simbolo di misericordia e di redenzione. Noi ne siamo testimoni. Noi lo annunciamo con la nostra vita.
 
Professione di fede [proclamato tutti insieme, rispettando le pause]
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
Preghiera (sulle offerta).Questa offerta, Signore misericordioso, ci ottenga il perdono dei nostri peccati e ci santifichi nel corpo e nello spirito, perché possiamo celebrare degnamente le feste pasquali. Per Cristo nostro Signore.Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA IIl
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito.In alto i nostri cuori.Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. È cosa buona e giusta.
 
È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. 
Il Signore «prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte su un alto monte»(Mt 17,1)
 
Egli, dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria  e chiamando a testimoni la legge e i profeti  indicò agli apostoli che solo attraverso la passione  possiamo giungere al trionfo della risurrezione.
«E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2).
 
E noi uniti agli angeli del cielo acclamiamo senza fine la tua santità, cantando l’inno di lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l'universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all'altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison.
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Accanto al Signore trasfigurato apparvero Mosè ed Elia, che conversavano con lui (cfMt 17,3).
 
Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Sii benedetto, o Signore, che hai benedetto il padre Abramo e lo hai consacrato benedizione per tutti i popoli (cf Gen 12,2).
 
Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Anche noi nella santa Eucaristia udiamo la voce dalla nube che dice: «Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!». (cf Mt 17,5).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Noi ti ascoltiamo, o Lògos del Padre, noi ti viviamo, o Cristo, Pane disceso dal cielo!(cf Mt 17,5; Gv 6,41).
 
Mistero della fede.
Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua passione. Salvaci, o Redentore del mondo!.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Nel nome dei nostri santi Patriarchi Abramo e Sara benedici tutte le famiglie della terra (cf Gen 12,3).
 
Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Del tuo amore, Signore, è piena la terra e l’anima nostra ti attende, nostro aiuto e nostro scudo (cf Sal 33/32,5.20).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
Donaci la tua forza, o Dio dell’alleanza, perché nell’ora della prova sappiamo soffrire per il vangelo in comunione con tutti i perseguitati nel mondo a causa del tuo Nome (cf 2Tm 1,8).

Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il nostro Vescovo …, il collegio episcopale, tutto il clero e il popolo che tu hai redento.
Tu, o Signore ci salvi e ci chiami con una vocazione santa non per le nostre opere, ma in virtù della tua grazia, lo Spirito che guida la tua Chiesa (cf 2Tm 1,9).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
A te offriremo sacrifici di lode e invocheremo il nome del Signore (cf Sal 116/115, 17).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
«Tu, o Signore Gesù, hai vinto la morte e hai fatto risplendere la vita per mezzo del vangelo» (2Tm 1,10).
[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI.AMEN.
 
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)
Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:
 
Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthètō hē basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genēthêtō to thelēmàsu,
come in cielo così in terra
hōs en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.
 
Antifona alla comunione Mt 17,5: «Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!».
 
Dopo la Comunione:da D. Gabrielli, «Fedele alle sue quattro identità», in Confronti(novembre 1993) 13
(Fonte: da Giorno per giorno [9.2.08] della Comunità del Bairro nel Goiás Brasile)
 
Sono nato ebreo, ma non avevo alcuna fede. Ho scoperto il Signore nel cristianesimo, e poi il Santo Benedetto mi ha condotto a riscoprire l’ebraismo. Non so perché l’Eterno abbia guidato così la mia vita. Alcuni amici ebrei mi domandarono perplessi perché mai io mi sia fatto cristiano. Io rispondo raccontando la mia storia. Possiamo contrastare i disegni dell’Altissimo? [...] Il mio cuore per tanto tempo è stato diviso, lacerato, da quattro diverse identità: quella ebraica, quella cristiana, quella israeliana e quella araba (pur non essendo arabo sono nato in Egitto dove ho vissuto per diciotto anni). Volevo essere fedele a ciascuna di queste identità, ma era arduo. Adesso il Santo e Benedetto mi ha fatto trovare la pace. Sono un ebreo, e sono un credente in Gesù, ma non sono qui per “convertire” gli ebrei. Sono contrario ad ogni missione tra gli ebrei. L’ecumenismo è incompatibile con la missione. I cristiani, dice Paolo (Rm11, 16) sono nati dall’innesto sulla radice santa di Israele.
 
Preghiamo. Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri ti rendiamo fervide grazie, Signore, perché a noi ancora pellegrini sulla terra fai pregustare i beni del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che ha chiamato Abramo nella notte stellata dell’alleanza sia con noi ora e sempre.Amen.
Il Signore che ha promesso ad Abramo una discendenza numerosa, vi renda eredi nel Figlio.
Il Signore che ci associa alla sua trasfigurazione, ci renda partecipi del mistero pasquale.
Il Signore che sul Tàbor, in Mosè ed Elia vi consegna la sua Parola, vi nutra della Scrittura.
Il Signore ci doni la sua Parola come lampada per i nostri passi e sale per la nostra vita.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.
Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.
Il Signore è sempre con noi e resta con noi fino alla fine del mondo.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.
La Messa come rito è finita. Attende di essere «compiuta» nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace, testimoni del Risorto.
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SHAPE SHAPE SHAPE © Domenica 2a di Quaresima-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 20/03/2011 - San Torpete – Genova
1 1a Dom.: Adam tentato e Cristo tentato: due ideali a confronto (il potere e il servizio): Adam e il Figlio.
2aDom.: Vocazione di Abramo e trasfigurazione di Gesù: il Patriarca e l’Erede: Abramo figlio del Figlio.
3a Dom.: La roccia di Mosè che disseta e il pozzo di Giacobbe e della Samaritana: Mosè/Giacobbe e Gesù.
4a Dom.: L’unzione di Davide e il cieco nato che rivede: la gratuità e la prova: Il re/l’olio e il Messia/la luce.
5a Dom.: I sepolcri aperti e la risurrezione di Lazzaro: il capovolgimento: La vita più forte della morte.
6a Dom.: Le palme: la folla prima osanna e poi crocifigge: La solitudine della verità.
7a Dom.: Pasqua: dall’isolamento della morte alla comunione della vita: La speranza escatologica.
2 Un esempio molto chiaro di questa legge si trova nell’asse ereditario dei fratelli, perché il maggiore che ne ha diritto, viene quasi sempre soppiantato dal minore: «Ci troviamo di fronte ad unoschema che è quasi un canovaccio permanete e costante nel racconto biblico: il fratello minore subentra sempre al fratello maggiore nella linea della discendenza o dell’eredità, o semplicemente nella linea della storia della salvezza. Il maggiore ha il diritto e la consuetudine dalla sua, di cui invece la Bibbia non tiene conto perché sceglie sempre come strumento di salvezza il minore che non ha alcun diritto che così viene sostituito dalla grazia. Dio sovverte l’ordine naturale per sottolineare un ordine soprannaturale che non dipende dalle qualità e dalle convenienze umane, ma unicamente dalla grazia data gratuitamente. Nessuno ha diritto a Dio per natura, perché non è un premio o un acquisto o una transazione: Dio non si può possedere o comprare «per principio», ma si può solo raggiungere perché si lascia raggiungere e si offre liberamente a chi è disposto a mettersi in gioco non per interesse e a percorre le vie di Dio segnate dalla gratuità e dall’abbandono sulla parola. Dio appartiene agli innamorati: … Gen 4,1-20: Caino ed Abele; Gen 25,19-34: Esaù e Giacobbe; Gen 38,30: Perez e Zerach; Gen 48,14.20c: Manasse e Efraim; 1Sam 16,1-13: Davide e i suoi fratelli» (P. Farinella, Il padre che fu madre. Una lettura moderna del parabola del Figliol Prodigo, Gabrielli Editore, San Pietro in Cariano (VR) 2010, 83,87-91). E’ la stessa logica di Maria di Nàzaret: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,51-53). « È la stessa logica che Lc illustra nelle beatitudini della pianura, quando il Figlio di Maria di Nàzaret darà agli altri lo stesso nutrimento che egli ha ricevuto da sua madre: «Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete» (Lc 6, 21-25). E’ il ribaltamento delle situazioni, il capovolgimento dei criteri di valutazione, lo stesso che Lc illustra con la parabola del «Padre che fu madre», proponendola come «midràsh» della nuova alleanza descritta da Geremia 31» (Ibid., 91).
3 Cf concilio ecumenico Vaticano II, «Lumen Gentium» c. VIII.
4 cf Gen 1,3.7.9.11.15.24.26-27.30.
5 «Benedirò: scelto da Dio per divenire padre del popolo eletto, Abramo è chiamato ad essere benedizione per tutti i popoli: la storia di Abramo raggiungerà il suo fine solo quando includerà tutte le genti. Il Nuovo Testamento proclama che in Cristo è stata compiuta questa promessa universale di Dio (cf Gal 3,15-18)» (Bibbia-Cei 2008 a.l.). Sul significato di «benedizione» come fecondità cf P. Farinella, Bibbia, Parole, Segreti, Misteri, Gabrielli Editore, San Pietro in Cariano (VR) 2008, 61-65.
6 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
7 Anche la Bibbia-Cei 2008 riporta: «Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre». A noi sembra che così si sminuisce l’assonanza delle tre dimensioni di vita che Abram deve abbandonare e che possono essere indicate come «tre p»: paese, patria, padre che rappresentano la storia (paese) perché ne comincia una nuova; la cultura (patria) perché nascerà un nuovo popolo; gli affetti (padre)perché all’orizzonte spunta una nuova discendenza.
8 Nella ghematrìa (scienza dei numeri) le consonanti ebraiche che compongono «Adam» hanno un valore di 45, cioè 9; il nome di «Abram» ha un valore numerico di 243, cioè 9. L’umanità intera rappresentata da Adam contiene Abram «padre di molti popoli», ma nello stesso tempo è contenuto da esso perché Israele, per mezzo del patriarca Abram, diventerà il rappresentante sacerdotale di tutta l’umanità davanti a Dio creatore e liberatore.
9 Cf Mt 4,8; 5,1; 17,1; 21,1; 24,3; 26,30; 28,16.
10 Ancora una volta troviamo i numeri 5 e 7 molto cari a Mt. Il numero cinque: se il numero 7 è il numero perfetto perché descrive la creazione fatta da Dio, uomo compreso (6+1), il numero 5 rappresenta l’imperfezione del mondo e dell’uomo (6-1). Simbolicamente è connesso ai 5 libri della Torà, ai 5 libri del Salterio e alle 5 Meghillot-Rotoli (Cantico, Rut, Lamentazioni, Qoelet, Ester): la Sacra Scrittura fa da pedagogo che guida verso la conoscenza di Dio. Anche Gesù fa 5 discorsi nel 1° vangelo (Mt 5,1-7,28; 10,5-11,1; 13,3-53; 18,1-19,1; 24,1-26,1); 5 sono le antitesi dottrinali: «Vi è stato detto, ma Io vi dico…» (Mt 5,21.27.33.38.43 ); sono registrate 5 controversie con il giudaismo ufficiale (cf Mt 21,12-17. 23-27. 28-46; 22,1-22. 23-46); 5 sono i pani moltiplicati per una folla di 5.000 persone (cf Mt 14,17-21); 5 sono le vergini stolte e 5 le prudenti (25,1-13); il padrone consegna 5 talenti al servo che ne restituisce 10, cioè 5x2 (cf Mt 25,14-30). Il numero sette è numero sacro per eccellenza perché indica «totalità/tutto»: i 5 discorsi di Gesù sono preceduti dal libretto del vangelo dell'infanzia e seguiti dal libretto finale, il protovangelo del racconto della passione e della risurrezione cosicché l’intera ossatura evangelica si compone di 7 parti. Ancora: 7x2x3 sono gli anelli della genealogia di Gesù, il doppio della pienezza al cubo (cf Mt 1,1-17); 7 volte è citato Mosè (cf Mt 8,4; 17.3.4; 19,7.8; 22,24; 23,2);7 sono i monti citati (cf Mt 4,8; 5,1; 17,1; 21,1; 24,3; 26,30; 28,16); 7 (+1) sono le beatitudini (cf Mt 5,2-10: l’ottava è aggiunta posteriore); 7 domande compongono il Padre nostro (cf Mt 6, 9-13); 7 sono le parabole del Regno (cf Mt 13, 3-52); 7 i pani moltiplicatie 7 le ceste avanzate(cf Mt 15,34-37);il perdono cristiano non ha misura: non fino a 7 volte ma fino a 70 volte 7 (cf Mt 18,21-22); 7 sono i mariti della vedova superstite (cf Mt 22,23-32); 7 sono i comportamenti ipocriti di scribi e farisei (cf Mt 23,2-7); 7 sono i «guai» contro gli scribi e i farisei (cf Mt 23,13-32); 7 sono le «parole» che Gesù dice nel Getsemani (cf Mt 26,36-46); 6 parole + 1 grido (= 7) Gesù dice nella passione dopo l’arresto e prima di morire (cf Mt 26,47-27,50), ecc. ecc.
11 Il mese di Tìshri è il 1° mese del calendario ebraico ed è chiamato anche il «mese dei giganti», perché in esso si celebrano le maggiori feste ebraiche: Rosh Ha-Shanàh (Capodanno), Yamìm Noraìm (Giorni di Paura) che sfociano nel digiuno di Yom Kippùr (Giorno dell’Espiazione). Il 15 di questo mese si celebra anche la festa di pellegrinaggio Sukkôt (Capanne/Tabernacoli/Tende) che si conclude con altre due festività e cioè «Sheminì Atzerèth» (Ottavo [giorno di] Conclusione» e «Simchàt Toràh» (Gioia della Toràh). La festa delle Capanne/Tabernacoli (cf Lv 23, 34; Dt 16,13.16; 31,10; Zc 14,16.18.19; Esd 3, 4; 2Cr 8,13) è anche la festa del raccolto (cf Es. 23,16; 34, 22), la festa (I Re 8, 2; Ez 45, 23; 2Cr 7,8), la festa del signore (Lv23,39; Gdc 21,19). Nel giudaismo dopo l’esilio è chiamata semplicemente: «Ha-Dhag – La Festa». Per otto giorni tutto il popolo si trasferisce ai margini dell’abitato e vive in capanne di paglia, per ricordarsi dei quaranta anni che gli antenati vissero nel deserto del Sinai. La trasfigurazione di Gesù avviene in questo contesto. Secondo la tradizione ebraica Abramo nacque in questo mese e una stella venne da oriente e si fermo su di lui.
12 Il Vangelo non dice dove Gesù fu trasfigurato, ma parla solo di «un alto monte» della Galilea (cf Mt 17,1; cf Mc 9,2). L’apostolo Pietro, che cita il fatto della trasfigurazione, parla di «monte santo» (cf 1Pt 1,18) dandogli così una connotazione teologica. La localizzazione sull’attuale monte «Tabor» si deve alla costante tradizione cristiana di Palestina. Nell’apocrifo «Transito della Beata Vergine Maria», uno dei tanti che parlano della morte e dell’assunzione della Madonna, databile nei sec. II-III d.C., si narra che al momento del transito della Vergine, Cristo in persona scese dal cielo con una moltitudine di angeli per accogliere l’anima di sua Madre: «E fu tanto lo splendore di luce e il soave profumo che tutti quelli che erano là presenti caddero sulla loro faccia come caddero gli Apostoli quando Cristo si trasfigurò alla loro presenza sul monte Tabor». Anche nell’Apocalisse apocrifa di S. Giovanni il Teologo leggiamo: «Asceso al cielo il Signore nostro Gesù Cristo, io Giovanni, mi recai solo sul monte Tabor, là dove già ci aveva mostrato la sua divinità immacolata». Questa tradizione si fissò definitivamente nel sec. IV e da questo momento entrò anche nella Liturgia. La Chiesa siriana celebra la festa della Trasfigurazione come la festa del monte Tabor, come anche la liturgia della Chiesa Bizantina nella quale la festa è conosciuta addirittura con il nome di «To Tabòrion». Nella liturgia romana, la festa della Trasfigurazione si celebra il 6 agosto ed è anche la festa del Monastero di Bose.
13Il brano è tratto da una intervista a Andrea/Bruno Hussar ebreo, cristiano, palestinese e israeliano. Andrea Hussar era nato a Il Cairo il 4 maggio 1911, da genitori ebrei non praticanti. Dopo gli studi al liceo italiano al Cairo, alla morte del padre, si trasferì con la madre in Francia, ottenne la cittadinanza francese e completò a Parigi gli studi di ingegneria. Cominciò un cammino spirituale che sfociò nella scoperta del cristianesimo e nella richiesta del battesimo che ricevette il 22.12.1935. Nel 1941 colpito da una tubercolosi rimase due anni completamente immobile. Nel 1945 entrò tra i domenicani con nome di Bruno. Ordinato sacerdote nel 1950 fu inviato nel 1953 in Israele per la creazione di un centro di studi ebraici, che vedrà la luce cinque anni più tardi, la Casa di sant’Isaia. Lì, Bruno approfondì la sua coscienza di appartenere al popolo ebraico e contribuì, con la sua attività di riflessione e di studio, negli anni che seguirono, a tessere le fila del dialogo ecumenico tra la Chiesa e il popolo ebreo. Negli anni ‘70, assieme ad Anne Le Meignen, diede avvio al progetto di Nevè Shalom/Waahat as-Salaam (Oasi di pace), un villaggio, situato tra Tel Aviv e Gerusalemme, in cui, convivendo insieme, ebrei, musulmani e cristiani delle diverse confessioni, apprendessero a conoscere, rispettare e amare le rispettive identità. Il frate volle che là sorgesse un luogo di preghiera, privo di qualsivoglia simbolo religioso, chiamato Dumia (Silenzio), dove chiunque potesse raccogliersi in contemplazione. Bruno Hussar morì nel suo villaggio, profezia di un futuro di pace, l’8-2-1996.


Giovedì 17 Marzo,2011 Ore: 10:19
 
 
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