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www.ildialogo.org Domenica 9a del tempo ordinario -A– 6 marzo 2011,di Paolo Farinella, prete

Domenica 9a del tempo ordinario -A– 6 marzo 2011

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 9a del tempo ordinario riprendiamo la lettura continua del vangelo di Mt che avevamo interrotto con la Quaresima. Il tema sia della 1a lettura come del vangelo è lo stesso e può essere sintetizzato così: la fede non è un teorema di astrazioni, ma un progetto di vita che deve realizzarsi in scelte operative come fondamento di testimonianza. L’opposizione tra «dire-fare» e «ascoltare-mettere in pratica» ci richiama alla caratteristica fondamentale della fede che è l’incarnazione nella realtà storica. Noi crediamo nel Lògos che si fa carne (cf Gv 1,14) e pertanto la coerenza esige che anche noi non viviamo una fede disincarnata, che si astrae nei riti, ma esula dalla vita.
La 1a lettura, tratta dal Deuteronomio, riprende il tema delle «due vie» (cf Sal 1,1-6) fondata sull’osservanza della Toràh che diventa così discriminante tra la benedizione/felicità e la maledizione/infelicità. Il testo è un’eco parziale dello Shemà Israel (Dt 6,8) che invita l’Israelita a fare della sua fede nell’unico Dio una cosa sola con il suo corpo e la sua vita: «Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore…te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt 4,6.8-9). Il testo di oggi riprende l’esigenza di legare i comandamenti del Signore alla mano e di porli in mezzo agli occhi.
Al tempo di Gesù, e ancora oggi, presso i gruppi ortodossi, quando l’Ebreo prega, osserva un rituale minuzioso: si mette il «tallìt» o «mantello di preghiera che copre il capo. La sua forma è quadrata e ha, ai quattro angoli, quattro fiocchi detti «tzitzìt»(cf Lv 15,37-41)1, composti da quattro fili bianchi e da uno blu/violetto (oggi tre fili sono più corti e uno più lungo). In origine questo mantello veniva indossato come veste, ma col tempo si è ridotto ad un simbolo ed è diventato un «Tallìt qatàn – mantello piccolo» che s’indossa sotto la giacca. Gli «tzitzìt», camminando, dondolano e toccandoli, l’ebreo si deve ricordare di «mettere in pratica» lo Shemà’ e i comandamenti. Inoltre alcuni versetti della Bibbia venivano scritti in piccoli rotoli e messi in due scatolette di cuoio detti «tefillìn», di cui una veniva legata sulla fronte in mezzo agli occhi e l’altra al braccio sinistro sopra il gomito per essere vicina al cuore2. Infine, un’altra scatoletta, detta «mezuzàh – stipite [della porta]» è posta sulla porta d’ingresso di casa perché chiunque entra ed esce possa toccarla e ricordarsi dell’osservanza della Parola di Dio e dell’obbligo di recitare lo Shemà’ Israel3. In questo modo, l’Ebreo aveva la certezza di essere sempre in ogni momento sotto l’obbedienza della Toràh.
Il Vangelo, riprende l’insegnamento della tradizione ebraica, ma lo spiritualizza, portandolo non più a livello di osservanza esteriore, ma a quello profondo della coscienza. Gesù non ha rinnegato la Toràh ebraica, ma l’ha riportata al suo «principio», restituendole il compito di esprimere il legame di alleanza con Dio. Gesù indossava il tallit con gli tzitzit, portava i tefillìn e ogni volta che entrava e usciva di casa toccava e baciava la mezuzàh, ma questa fedeltà esteriore non gli ha impedito la libertà interiore di proporre una nuova interpretazione della Toràh, liberandola dalle incrostazioni che i secoli le avevano lasciato addosso. Se oggi venisse Gesù farebbe piazza pulita del 90% delle sovrastrutture che incrostano il volto e l’insegnamento della Chiesa, operando una rivoluzione copernicana di 180°. Butterebbe a mare berretti e vestiti che vescovi, cardinali e papi portano come simboli di forme e mentalità superate, facendoli apparire oggi come sorpassati «satrapi persiani»; abolirebbe titoli e onorificenze, imporrebbe un’austerità totale e ripeterebbe la parabola della roccia e della sabbia, obbligandoci a passare attraverso la testimonianza autentica della vita reale e non della vita finta nascosta dietro frange, vestiti e titoli anacronistici e forse motivo di scandalo.
Il criterio unificante della domenica di oggi che accorda 1a lettura e vangelo è il brano della lettera ai Romani di Paolo, in cui si mette in contrapposizione la Legge materiale e la giustizia di Dio. La prima diventa l’ossessione degli uomini che vogliono conquistare Dio a forza di formalismi e di opere religiose che alimentano soltanto la loro vanagloria, mentre la seconda, la giustizia «indipendentemente dalle opere della Legge» (v. 28) è l’azione di Dio che esercita il suo potere di salvatore e di amico. Egli guarda al cuore e ci chiama per nome perché esige per sé e per noi un rapporto autentico e una relazione vitale: una vita non un rito. Andiamo incontro al Signore che ci convoca, invocando lo Spirito che ci educa ad una fede adulta, facendo nostre le parole stesse del salmista che la liturgia riporta nell’antifona d’ingresso (Sal 25/24,16.18): Volgiti a me, Signore, e abbi misericordia, perché sono triste e angosciato; vedi la mia miseria e la mia pena e perdona tutti i miei peccati.
 
Spirito Santo, tu deponi nel cuore e nell’anima della Chiesa le parole di Signore, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci doni il discernimento per scegliere la benedizione del Signore, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci insegni a non confondere gli idoli con il volto del Signore Dio, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la roccia e il baluardo su cui hai posto le fondamenta della fede, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei lo splendore del volto del Padre che riflette sul volto della Chiesa, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, sei tu la fortezza e il coraggio di coloro che sperano nel Signore Dio, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la giustizia di Dio testimoniata nella Legge e dai Profeti, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu con la tua grazia giustifichi gratuitamente chi accoglie Cristo, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’opera di Cristo risorto dato a noi e che il Padre accoglie sempre, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la porta del Regno che accoglie chi fa la volontà del Padre, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu con la tua presenza c’impedisci di invocare il Signore a vuoto, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Roccia sulla quale è fondata la fede della santa Assemblea, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Roccia che sostiene saldamente le fondamenta della Chiesa, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il Maestro che ci educa nell’ascolto fedele della parola del Signore, Veni, Sancte Spiritus.
 
Anche la sapienza popolare della nostra cultura esprime il contenuto della liturgia di oggi con il noto aforisma: «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare», asserendo così che una persona credibile deve fare coincidere «dire» e «fare». E’ questo il principio etico dell’ecumenismo che comincia dall’unità di noi stessi. Nessuna persona frantumata può presentarsi agli altri e fare proposte per l’unità delle Chiese. Partendo dalla nostra fragilità entriamo nel progetto di Dio che l’Eucaristia ci propone, restando saldi sulla roccia trinitaria della nostra fede:
 
(greco)4
Èis to ònoma
toû Patròs
kài Hiuiû
kài toû Hagìu Pnèumatos
Amèn.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e del Santo Spirito
 
[Esame di coscienza: alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]
 
Signore, abbiamo preferito le sabbie dell’egoismo alla roccia della solidarietà, Kyrie, elèison!
Cristo, abbiamo scelto la via facile del compromesso con il male alla dignità, Christe, elèison!
Signore, ci siamo lasciati guidare dalla furbizia piuttosto che dalla giustizia, Pnèuma, elèison!
Signore, tu solo puoi convertirci all’ascolto e alla pratica della tua Parola, Kyrie, elèison!
 
Il Dio di Mosè che nella Toràh ha esposto la via della benedizione che conduce a Cristo, la roccia su cui poggia la fede della Chiesa di ogni tempo, lingua, cultura e nazione, per i meriti di tutti coloro che hanno dato la vita per obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, per la coerenza di tutti i testimoni, uomini e donne, di ogni tempo, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente[breve pausa 1-2-3].
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, che edifichi la nostra vita sulla roccia della tua parola, fa’ che essa diventi il fondamento dei nostri giudizi e delle nostre scelte, perché non siamo travolti dai venti delle opinioni umane, ma resistiamo saldi nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Dt 11,18.26-28.32. Il Deuteronomio5 e il quinto libro della Bibbia ebraica e cristiana e si compone di tre discorsi fatti da Mosè davanti ad Israele, prima dell’ingresso nella terra promessa6. Il brano di oggi si trova nel secondo discorso e forma la conclusione della seconda parte del primo discorso e introduce il «codice legislativo» (cc. 12-26), detto appunto «codice deuteronomico». Si richiama l’impegno a ricordare la Toràh rivelata, mutuata dalla famosa professione di fede conosciuta come lo «Shemà’ Israèl – Ascolta, Israele» (Dt 6,4-9) e qui riproposta nella forma etica delle «due vie». La via del bene/felicità che corrisponde alla benedizione e la via del male/caos che corrisponde alla maledizione. In mezzo sta la scelta sia dell’individuo che del popolo. In sostanza Dio propone al suo popolo un referendum collettivo: o l’obbedienza alla sua Parola come fonte di felicità/benedizione o il caos fuori da ogni progetto di salvezza sottomesso a Dio. E’ interessante notare come in un contesto giuridico che di norma è imperativo, il Dio d’Israele mette al centro la libertà di scelta e quindi la responsabilità delle proprie decisioni. La Parola di Dio è sempre fonte di libertà e di autonomia della coscienza.
 
Dal libro del Deuteronomio 11,18.26-28.32
Mosè parlò al popolo dicendo: 18 «Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi. 26 Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: 27 la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; 28 la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto. Avrete cura di mettere in pratica tutte le leggi e le norme che oggi io pongo dinanzi a voi». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 31/30, 2-3a; 3b-4; 17.25. Il salmo di compone di 25 versetti, ma la liturgia odierna ne riporta quattro completi e due mezzi versetti. Il genere è una preghiera di fiducia, attribuita a Davide dopo essere scampato ad una trappola del re Sàul che lo ricercava per ucciderlo. Il salmista si abbandona con fiducia perché sperimenta nella vita che Dio è «roccia» che protegge; «rupe» che difende», «splendore» che illumina. Per noi oggi questa parola del salmista s’incarna qui e ora nella santa Eucaristia che fa splendere la misericordia di Dio nel volto di Gesù che assume la forma di Pane, di Vino e di Parola, il nutrimento del cielo che sfama il senso di giustizia di questa santa Assemblea.
 
Rit. Sei tu, Signore, per me una roccia di rifugio.
 
1. 2 In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.
3a Tendi a me il tuo orecchio
Vieni presto a liberarmi. Rit.
4 Perché mia rupe e mia fortezza tu sei,
per il tuo nome guidami e conducimi.
Rit.
3. 17 Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.
2. 3b Sii per me una roccia di rifugio,
un luogo fortificato che mi salva.
25 Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore.
Rit.
 
Seconda lettura Rm 3,21-25a.28. La lettera ai Romani è certamente la più importante dell’epistolario paolino, la cui bozza può essere considerata la lettera ai Gàlati. Paolo si trova a Corinto. E’ l’anno 58 d. C. e si prepara ad andare a Gerusalemme per portare sia la colletta che aveva organizzato per i poveri tra le chiese greche sia perché spera di partire alla volta della Spagna (cf Rm 15,24-28; cf At 19,21) per cui sceglie Roma come base intermedia. Paolo non ha fondato la comunità di Roma, ma sa che è formata da cristiani provenienti dall’ebraismo e da greci che sono in forte tensione. Egli invia la lettera attraverso la diaconessa Febe (Rm 16,1) nella quale spiega come deve essere risolto il rapporto tra giudaismo e cristianesimo, alla luce della sua esperienza e delle decisioni del «concilio» di Gerusalemme. Dottrinalmente, Paolo espone il primato di Cristo, l’inutilità della Legge e la giustificazione per grazia, basata sulla fede. Il brano di oggi si colloca nella parte dogmatica7 che tratta appunto della giustizia di Dio che si ottiene solo attraverso la fede ed è un «kèrigma» cioè un annuncio solenne del vangelo. La giustizia di Dio non è giudizio per separare buoni e cattivi, ma la fedeltà di Dio all’alleanza (v. 21) e si manifesta compiutamente nell’uomo Gesù e in coloro che credono in lui (v. 24). La prova? E’ la redenzione della croce: pur di salvare l’umanità perduta in Adam, Dio consuma e sacrifica se stesso. La giustizia di Dio è l’altro nome dell’Amore di Dio.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 3,21-25a.28
Fratelli, 21 ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: 22 giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, 23 perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24 ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. 25 E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue. 28 Noi riteniamo infatti che l’uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge - Parola di Dio.
 
Vangelo Mt 7,21-27. Il brano del vangelo di oggi è tratto dal 1° discorso di Gesù, il discorso fondativo del regno, conosciuto come discorso della montagna, introdotto da 7 (+ 1) beatitudini. Il brano riporta la parabola della casa ripetuta due volte: in positivo e in negativo per illustrare il comando del v. 21: «chi fa la volontà del Padre mio». l verbi, «fare» e «mettere in pratica», (vv. 24.26) danno all’insegnamento una unità anche letteraria, ad eccezione dei vv. 22-23 che appartengono ad un altro contesto e infatti appesantiscono l’omogeneità della parabola. L’autore contrappone «dire» e «fare» e così richiama l’altra parabola, quella dei due figli: uno dice sì e non fa, mentre l’altro dice no e fa ((Mt 21,28-30). Nella parabola della casa l’opposizione verte tra «ascoltare» e «fare», aprendoci così ad un ascolto operoso e non sterile. La Parola è come il seme che deve essere gettato nella terra per portare frutto. L’insegnamento che emerge è contro ogni religiosità formalistica che si limita al rito, ma lascia il cuore distante dalle esigenze della Parola che «pretende» d’incarnarsi nelle pieghe della vita di ciascuno. Per questo partecipiamo all’Eucaristia, per imparare ad «ascoltare» e «mettere in pratica/fare» la volontà del Padre.
 
Canto al Vangelo Gv 15,5
Alleluia. Io-Sono la vite, voi i tralci, dice il Signore; / chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Matteo 7,21-27
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 21 «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? 23 Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Nella 3a e 4a domenica del Tempo Ordinario, abbiamo introdotto il vangelo di Matteo, il primo in ordine di canone, ma secondo in ordine cronologico, dopo quello di Marco. Osservammo brevemente la sua formazione e facemmo anche uno schema di suddivisione del contenuto che, secondo gli studiosi, si presenta come parallelo alla Toràh che Mosè ricevette sul monte Sinai. L’evangelista mette a confronto Mosè con Gesù per dimostrare che questi porta a compimento l’insegnamento del primo. Per sottolineare la coerenza tra l’antica alleanza, rappresentata da Mosè e la nuova, proclamata da Gesù, l’autore divide il vangelo in cinque grandi discorsi8 che richiamano i cinque libri della Toràh, in greco Pentatèuco. Se a questi cinque discorsi, si aggiunge all’inizio l’introduzione che comprende la narrazione detta dei «vangeli dell’infanzia» che narrano di Gesù bambino e alla fine la conclusione racchiusa nel racconto della passione, morte e risurrezione, ci troviamo di fronte ad uno schema settenario che richiama il senso di totalità e completezza.
Il vangelo di Mt ruota attorno al concetto di «Regno dei cieli», espressione rispettosa usata al posto di «Regno di Dio», secondo l’uso ebraico di non nominare mai il nome di «Dio». Essa ricorre almeno 24 volte e solo in Mt, mentre l’espressione corrispondente «Regno di Dio» in Mt ricorre solo 5 volte su 68 occorrenze nel NT9. Questa idea la troviamo nella prima «beatitudine» che apre il 1° discorso programmatico, detto appunto «discorso del Regno» (cc. 5-7), quasi la carta costituente della nuova alleanza: «Beati i poveri nello spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3), e lo troviamo alla fine nel paragone con le dieci vergini: «Il regno dei cieli è simili a dieci vergini…» (25,1), formando così una specie di inclusione al principio e alla fine.
Il brano del vangelo riportato nella liturgia di oggi, è tratto dal capitolo 7 di Mt, cioè dal 1° discorso, il discorso del Monte o delle «Beatitudini». Questo capitolo, ancora nello stadio orale e comunque prima della redazione finale come oggi la possediamo, era composto da tre ammonimenti severi, ognuna delle quali era seguita da una illustrazione esplicativa, da cui rileviamo la finalità strettamente catechetica per cui i vangeli furono redatti. Di seguito riportiamo per esteso sia gli ammonimenti che le illustrazioni per venire incontro a chi non conoscendo i vangeli possa farsene un’idea e cominciare a leggere con occhio attento e critico10. Di seguito lo schema completo:
 
 
Ammonimenti severi Mt 7
Illustrazioni: Mt 7
1.
vv. 1-2
1 Non giudicate, per non essere giudicati;2 perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
vv. 3-5
3 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?4 O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave?5 Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
2.
v. 15
Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci!
vv. 16-20
16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi?17 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.19 Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.20 Dai loro frutti dunque li riconoscerete.
3.
v. 21
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
vv. 24-27
24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande»
 
La parabola delle «due case», l’una costruita sulla roccia della Parola e l’altra sulla sabbia dell’indifferenza, è dunque la spiegazione del tema «fare la volontà del Padre» cioè del mettere in pratica. In termini moderni si può parlare di rapporto essenziale e vitale tra ortodossia e ortoprassi: deve esistere e vedersi una corrispondenza diretta tra le scelte pratiche della vita (ortoprassi) e le motivazioni ideali, il principio di fondo (ortodossia) che ispira quelle scelte. Senza un rapporto dinamico e vitale tra l’ideale la vita, tra le scelte e la fede, si cade nell’ideologia che spesso serve a coprire nefandezze frutto dello scollamento tra «dire e fare» e che il popolo nella sua saggezza a codificato nel detto: «predica bene, ma razzola male». L’ideologo, in genere, cammina rapito con la testa sopra le nuvole da non vedere come le sue scelte di vita sono in flagrante contraddizione con i gli stessi principi asseriti.
Mt 7,22-23 che prolungano l’ammonimento del v. 21 probabilmente sono stati aggiunti successivamente perché caricano inutilmente la linearità del v. 21: « Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» e qui si trovano anche fuori contesto. Ne è prova che in Lc questi due versetti mancano (cf Lc 6,46-49).
L’ammonimento del v. 21 «Non chiunque mi dice… ma colui che fa la volontà» ruota attorno al binomio «fare –non fare», mentre la parabola delle due case riportata dal vangelo di oggi è imperniata sul binomio «ascoltare – fare» di cui si evidenzia la contrapposizione:
 
  • Mt 7,21: colui che fa la volontà del Padre
  • Mt 7,24: chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica (versione positiva)
  • Mt 7,26: Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica11 (versione negativa).
 
Questi tre richiami al «fare/non fare la volontà del Padre» e «ascoltare – non mettere in pratica» sono un evidente anticipo della parabola dei due figli che il padre manda nella vigna (Mt 21,28-31)12:
  • il primo dice di non andare, ma poi va (dire/fare),
  • il secondo dice di andare, ma poi nonva (dire/non fare),
e che lo stesso Gesù legge come discriminante della valutazione finale tra coloro che materialmente appartengono al mondo della religione rituale e che presumono di essere in diritto di primogenitura e coloro che la religione delle apparenze espelle in nome in nome di una purità formale e che invece, in forza delle loro scelte di vita, si trovano ad essere molto più vicini al cuore di Dio di quanto essi stessi non ne hanno coscienza:
 
31b E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.32 Infatti è venuto a voi Giovanni, che viveva nella via giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così per credergli (Mt 21,31b-32).
 
Il vangelo ripropone il problema del rapporto «religione – fede»: si può essere religiosi, anzi religiosissimi e vivere di opere rituali, con celebrazioni perfette, processioni e riti a sazietà, vivere cioè la religiosità del «dire» e nello stesso tempo essere distanti dalla fede che si nutre di Parola e si abbandona alla volontà del Padre. Credere è vivere le esigenze etiche degli imperativi del vangelo nella logica di una vita di giustizia e di condivisione che assume in sé la storia e le sue contraddizioni, caricandosi come cireneo supplementare di Cristo il peso e il peccato del mondo affinché tutti si salvino, secondo la prospettiva della volontà del Padre (1Tm 2,4; Gv 6,39). Si può vivere dalla mattina alla sera in chiesa e vivere una vita pagana; si può stare tutta una vita fuori della chiesa e vivere secondo lo Spirito, perché nessuno può imbrigliare Dio nelle categorie anguste della propria visione di vita. La categoria teologica del «fuori della Chiesa non c’è salvezza» (formalmente esatta) può e deve essere tradotta più coerentemente con «fuori dello Spirito non c’è salvezza» che infine si riduce al principio di sintesi di tutto il vangelo: «fuori dell’Amore, non c’è salvezza». Nessuno può ardire di misurare le potenzialità o stabilire i confini dello Spirito in forza del perimetro della propria sacrestia.
Mt è preoccupato da un punto di vista catechetico, specialmente se si considera che il suo vangelo è indirizzato in prevalenza a cristiani provenienti dal giudaismo e quindi ossessionati dall’osservanza «materiale» delle prescrizioni religiose, specialmente quelle concernenti la purità rituale. Lo stesso tema è ripreso e con parola forti affrontato anche da Giacomo (cf Gc 1,22-25) e da Paolo in termini veementi, di cui abbiamo un esempio nella 2a lettura della liturgia di oggi. Mt scrive verso la fine del sec. I d. C. e già teme che il formalismo di appartenenza prenda il sopravvento sulla genuinità dell’adesione all’idea del regno. In questo contesto di formalismo religioso eccessivo si spiega l’inserzione qui dovuta alla mano del redattore finale di Mt 7,22-23, dove si fa esplicito riferimento alla vacuità e inutilità di una religione ossessivamente chiusa in se stessa e avvitata nei suoi riti senza vita che Gesù stesso bolla come «opere d’iniquità»:
 
«22 In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? 23 Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuto. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”».
 
Gli atti religiosi possono diventare, anche senza accorgersene, atteggiamenti iniqui. Molti di noi hanno forse fatto l’esperienza di parrocchie dove attorno al parroco ruota un certo numero di laici che, all’inizio erano presi da forti ideali di adesione al vangelo e alla fine si sono trasformati in una siepe impenetrabile che ha finito per impedire agli esterni di avvicinarsi e al parroco di andare fuori. Molte parrocchie sono chiuse in piccole sètte di laici clericali che impongono uno stile senza vita e senza senso. I parroci non hanno la forza di rompere questo cerchio mortale e si atrofizzano, svilendo la rivoluzione del vangelo in camomilla tranquillante.
Forse nella comunità a cui si rivolge Matteo, vi erano persone ben identificabili, magari molto impegnate nell’organizzazione, forse anche dotati di carismi eclatanti, ma che conducevano una vita «a prescindere» dalle esigenze etiche della fede, come anche Paolo ha dovuto sperimentare a Corinto (cf 1Cor 12-13): a costoro Mt ricorda che la fede è un appello alla coscienza che impone anche un impegno visibile perché non si può essere medico obiettore di coscienza nell’ambito del servizio pubblico per apparire all’esterno come cristiani coerenti e poi nel tempo libero, impegnato nelle cliniche privati operare aborti clandestini a pagamento. Allo stesso tempo, non si può andare sulle piazze e nelle campagne elettorali o in parlamento a gridare contro la sfacelo e la deriva della famiglia e propugnare un modello di famiglia unita e indissolubile e poi nella vita privata essere divorziati e conviventi. Tutto ciò grida vendetta al cospetto di Dio ed è bollato da Mt come religione d’iniquità: forse salva la faccia, ma sicuramente perde la coscienza e la dignità.
Se guardiamo attorno a noi, non possiamo non constatare che nelle chiese si legge e proclama il vangelo da due mila anni, eppure nelle zone dove più si è espresso un cristianesimo e una religiosità di appartenenza, è saltato il tappo e vengono fuori le aberrazioni più esasperate, i razzismi più feroci, gli antisemitismi viscerali e sentimenti xenofobi da lager nazisti da parte di coloro che si fanno vanto di essere cristiani e fanno ogni giorno i gargarismi con «i valori cattolici» da difendere e da porre come baluardo di una fantomatica «civiltà cristiana»13.
Non è il problema del vangelo che esisteva due mila anni fa, mille anni fa, 500 anni fa, durante le crociate e l’Inquisizione, al tempo dei papi immorali e guerrafondai, no! non il problema del vangelo che espone la realtà umana come si dovrebbe vedere dal punto di vista di Dio, cioè dell’interesse integrale di ciascuna persona vivente sul pianeta terra. Il problema è che chi legge il vangelo si ferma alla lettura e non cerca strumenti e metodi adeguati per fare analisi d’intervento. Ci provò la Chiesa dell’America Latina con la Teologia della Liberazione e con la scusa (perché solo di scusa si trattò) che utilizzava «metodi di analisi marxista», fu perseguitata, decapitata e annientata con il risultato che oggi il continente latinoamericano è una palestra di sètte e gruppuscoli che tutto cercano tranne il bene del popolo, in funzione del potere dominante e delle oligarchie economiche.
Il rapporto tra «dire» e «fare/mettere in pratica» è tutto qui: il credente deve scegliere e adottare un metodo di analisi e di lettura della storia che possa quadrare con la prospettiva del vangelo e poi andare fino in fondo, impegnandosi a servizio del popolo di Dio dentro e fuori i confini della Chiese, a servizio definitivo non di questa o quella religione, ma del Regno di Dio che viene dal futuro, ma cammina in avanti con le gambe delle persone e nelle scelte dei singoli e dei gruppi.
Quando i vescovi parlano di politica o di problemi inerenti la vita civile, fanno grandi analisi, ma non arrivano mai al «dunque» della sintesi e alla domanda: «Allora, cosa si può fare?», si sente inesorabilmente questa risposta: «Non è compito della Chiesa dare soluzioni tecniche, perché la Chiesa si limita a formare le coscienze». Questa risposta è comoda, molto comoda, perché esime chi la dà da ogni responsabilità di sporcarsi le mani e d’impegnarsi in scelte che possono andare bene o male e quindi essere soggetti di valutazione e di critica. Non si può stare sempre in cattedra senza mai scendere sulle strade della vita concreta delle persone. Gesù oggi ci dice che dobbiamo valutare le fondamenta delle nostre scelte per verificare se sotto c’è la roccia o c’è la sabbia e questo impone un coinvolgimento diretto, un impegno nella città dell’uomo, sapendo che essa e solo essa è la premessa della città di Dio.
La risposta è anche ingiusta e scorretta perché identifica la «Chiesa» con la «gerarchia» o con chi esercita in qualche modo l’autorità o il coordinamento, facendo una equazione che il vangelo non permette né tollera. La gerarchia nella Chiesa non può mai essere sopra la Chiesa o sotto di essa o accanto ad essa: la gerarchia è semplicemente «nella» Chiesa nell’atteggiamento di colui che serve (Mc 10,40-45). L’identificazione, purtroppo oggi corrente, tra «gerarchia» e «Chiesa» è semplicemente una eresia che bisogna denunciare con forza, stando in ginocchio a schiena dritta. Solo la Parola di Dio nella Chiesa è insindacabile, tutto il resto, comprese le scelte e le proposte dell’autorità, deve essere valutato in base al criterio del discernimento di Paolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21). Alla fine della storia non saremo giudicati sull’obbedienza, ma se avremo messo in pratica la Paola che ci genera «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
 
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
Preghiamo (sulle offerte). Fiduciosi nella tua misericordia, Signore, ci accostiamo con doni al tuo santo altare, perché il mistero che ci unisce al tuo Figlio sia per noi principio di vita nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen
 
PREGHIERA EUCARISTICA V/b – «Gesù Nostra Via»
Prefazio proprio invariabile
 
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente giusto renderti grazie, Dio grande e misericordioso, che hai creato il mondo e lo custodisci con immenso amore.
Tu, o Signore, hai deposto le tue parole nel nostro cuore e nella nostra anima perché siano fisse nella nostra vita (cf Dt 11,18).
 
Tu vegli come Padre su tutte le creature e riunisci in una sola famiglia gli uomini creati per la gloria del tuo nome, redenti dalla croce del tuo Figlio, segnati dal sigillo dello Spirito. 
Tu ci hai messo davanti alla benedizione e alla maledizione, ma ci hai donato lo Spirito perché scegliessimo la via della benedizione (cf Dt 11,26).

Il Cristo, tua Parola vivente, è la via che ci guida a te, la verità che ci fa liberi, la vita che ci riempie di gioia. 
E’ lui il comandamento che tu ci hai dato, o Padre, e vuoi che a lui aderiamo e obbediamo (cf Dt 11,27).
 
Per mezzo di lui innalziamo a te l'inno di grazie per questi doni della tua benevolenza e con l'assemblea degli angeli e dei santi proclamiamo la tua lode: 
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Il Signore è risorto, è veramente risorto: risorgiamo insieme a lui per la vita del mondo.
 
Ti glorifichiamo, Padre santo:  tu ci sostieni sempre nel nostro cammino  soprattutto in quest’ora in cui il Cristo, tuo Figlio, ci raduna per la santa cena.  Egli, come ai discepoli di Èmmaus,  ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi.
Non ci allontaniamo dalla tua benedizione che è il Cristo Signore perché in lui abbiamo la vita eterna (cf Dt 11,28; Gv 10,28; 12,50).
 
Ti preghiamo, Padre onnipotente, manda il tuo Spirito su questo pane e su questo vino,  perché il tuo Figlio sia presente in mezzo a noi  con il suo corpo e il suo sangue. 
Tu sei per noi roccia di rifugio, luogo fortificato che ci salva (cf Sal 31/30,3b).
 
La vigilia della sua passione, mentre cenava con loro, prese il pane e rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete, e Mangiatene Tutti: Questo è il Mio Corpo Offerto in Sacrificio per Voi.
Sui tuoi figli fa’ risplendere, Signore, il tuo volto e salvaci per la tua misericordia (cf Sal 31/30,17)
 
Allo stesso modo, prese il calice del vino  e rese grazie con la preghiera di benedizione,  lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete, e Bevetene Tutti:  Questo è il Calice del mio Sangue  per la Nuova ed Eterna Alleanza,  Versato per Voi e per Tutti  in Remissione dei Peccati.
Tu, o Signore, rendi forte e saldo il nostro cuore che spera nella tua Parola (cf Sal 31/30,25).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Hai manifestato a noi la tua giustizia che hai testimoniato nella Toràh e nei Profeti (cf Rom 3,21).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Tu che sei, che eri e che vieni! Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno. Venga il tuo Regno sull’umanità che tu ami.
 
Celebrando il memoriale della nostra riconciliazione,  annunziamo, o Padre, l’opera del tuo amore. 
L’opera del tuo amore è il Signore Gesù che è Giustizia per coloro che credono (Rom 3,22).
 
Con la passione e la croce  hai fatto entrare nella gloria della risurrezione  il Cristo, tuo Figlio,e lo hai chiamato alla tua destra,  re immortale dei secoli e Signore dell’universo.
Siamo stati giustificati gratuitamente per la sua grazia e la sua redenzione (cf Rom 3,24).
 
Guarda, Padre santo, questa offerta:  è Cristo che si dona con il suo corpo e il suo sangue,  e con il suo sacrificio apre a noi il cammino verso di te. 
Per i suoi meriti, indipendentemente dalle opere della Toràh, noi siamo stati giustificati (cf 1Pt 2,6).
 
Dio, Padre di misericordia,  donaci lo Spirito dell’amore, lo Spirito del tuo Figlio.
Mentre invochiamo il tuo Nome, Signore, nella forza dello Spirito Santo, noi adempiamo alla volontà del Padre che è nei cieli: credere in te(cf Mt 7,21).
 
Fortifica il tuo popolo con il sangue del tuo figlio, e rinnovaci a sua immagine. Benedici il Papa …,  il Vescovo … e tutto il nostro popolo. 
Ascoltiamo la tua Parola e la mettiamo in pratica perché sei tu la roccia della nostra fede (cf Mt 7,24).
 
La tua chiesa  sappia riconoscere i segni dei tempi  e si impegni con coerenza al servizio del vangelo. 
Noi t’incontriamo, Signore, ogni volta che ti riconosciamo nei segni dei tempi e serviamo il vangelo.
 
Rendici aperti e disponibili  verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino, perché possiamo condividere i dolori e le angosce, le gioie e le speranze  e progredire insieme sulla via della salvezza.
La pioggia, i fiumi e i venti che si abbattono sulla casa non c’impauriscono perché salda è la fede in Gesù Risorto (cf Gv 14,6).
 
Ricordati anche dei nostri fratelli  che sono morti nella pace del tuo Cristo,  e di tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede: ammettili a godere la luce del tuo volto  e la pienezza di vita nella risurrezione. 
Alla fine del nostro esodo veniamo a te e ci ricongiungi a coloro che abbiamo amato e ci hanno preceduto.
 
Concedi anche a noi,  al termine di questo pellegrinaggio,  di giungere alla dimora eterna, dove tu ci attendi. In comunione con la beata Vergine Maria,  con gli Apostoli e i martiri, e tutti i santi,  innalziamo a te la nostra lode  nel Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in greco (Mt 6,9-13)
Idealmente riuniti con gli Apostoli della Chiesa delle origini, preghiamo, dicendo:
 
Padre nostro, che sei nei cieli,
Pàter hēmôn, ho en tôis uranôis,
sia santificato il tuo nome,
haghiasthêto to onomàsu,
venga il tuo regno,
elthètō hē basilèiasu,
sia fatta la tua volontà,
genēthêtō to thelēmàsu,
come in cielo così in terra
hōs en uranô kài epì ghês.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
Ton àrton hēmôn tòn epiùsion dòs hēmîn sêmeron,
e rimetti a noi i nostri debiti,
kài àfes hēmîn tà ofeilêmata hēmôn,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
hōs kài hēmêis afêkamen tôis ofeilètais hēmôn
e non abbandonarci alla tentazione,
kài mê eisenènkēis hēmâs eis peirasmòn,
ma liberaci dal male.
allà hriûsai hēmâs apò tû ponērû. Amên.
 
Antifona alla comunione (Mt 7,21) «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli».
 
Dopo la Comunione
Da Jon Sobrino, Gesù Cristo liberatore:
Non bisogna vedere la croce come disegno arbitrario di Dio né come castigo crudele nei confronti di Gesù, bensì come conseguenza di quella che è libera decisione primordiale di Dio: l’incarnazione, l’avvicinamento radicale per amore e con amore, ovunque esso lo conduca, senza evadere dalla storia, senza manipolarla dal di fuori. Questo significa anche, detto in parole umane, l’accettazione della sofferenza da parte di Dio. Non c’è da vedere in questo né sublimazione né giustificazione della sofferenza. Ciò che Dio incoraggia è l’incarnazione reale nella storia; solo così infatti la storia sarà salvata, anche se questo può portare alla croce. Il Dio crocifisso non è allora altro che una espressione diversa, provocatoria e urtante, equivalente a quella del Dio solidale. Resta di nuovo la domanda perché la solidarietà debba manifestarsi in questa maniera, perché lo stesso Dio per essere solidale debba esserlo alla maniera crocifissa. Ma come esseri umani intendiamo benissimo, pur senza trovarvi spiegazione logica, che nella storia non esiste amore senza solidarietà e non esiste solidarietà senza incarnazione. Una solidarietà che non sia disposta a partecipare alla sorte di quelli con cui si solidarizza sarebbe paternalismo, per dirla con un eufemismo, oppure condurrebbe al dispotismo. In un mondo di vittime una solidarietà che non fosse disposta ad arrivare a essere anch’essa vittima finirebbe per non essere più solidarietà. La sofferenza di Dio è dunque ben “verosimile” se Dio ha voluto davvero rivelare la sua solidarietà con le vittime di questo mondo. Se dall’inizio del Vangelo Dio appare in Gesù come un Dio con noi, se lungo il Vangelo egli si manifesta man mano come un Dio per noi, nella croce egli appare come un Dio in nostro potere e soprattutto un Dio come noi.
 
Preghiamo (dopo la comunione). O Padre, che ci hai nutriti con il corpo e il sangue del tuo Figlio, guidaci con il tuo Spirito perché non solo con le parole, ma con le opere e la vita possiamo renderti testimonianza e così entrare nel regno dei cieli. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione
Il Signore risorto che è la roccia della nostra fede, ci benedica ora e sempre.
Il Signore risorto che ci lascia lo Spirito come Maestro, ci nutra del suo amore per il mondo.
Il Signore risorto che è la nostra eredità di giustizia, ci disseti con il suo Spirito.
Il Signore risorto che è presente nella santa Assemblea, ci sveli il suo cuore.
Il Signore risorto che è riparo di coloro che credono, aumenti in noi la fede in lui.
Il Signore risorto che giustifica per la fede, sia davanti a voi per guidarvi.
Il Signore risorto che santifica con lo Spirito, sia dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore risorto che ci ha convocati alla santa Eucaristia, primizia di vita eterna.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo discenda su di voi, sui vostri cari e vi rimanga sempre. Amen.
 
Termina l’Eucaristia celebrata come sacramento e memoriale del Signore risorto,
comincia ora la Pasqua della nostra vita come sacramento della testimonianza nella vita.
Andiamo nel mondo con la fortezza dello Spirito di Gesù.
Ti rendiamo grazie, Signore Risorto, perché resti con noi ogni giorno.
_________________________
© Domenica 9a del tempo ordinario-A – Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova
[L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica]
Paolo Farinella, prete – 06/03/2011 - San Torpete - Genova
 
AVVISI E APPUNTAMENTI
  1. Sito dell’Associazione Ludovica Robotti – San Torpete: ludovicarobottisantorpete.jimdo.com
  2. Domani, lunedì 7 marzo 2011 alle ore 17,30 in san Torpete: Messa di trigesima per Nanni, marito di Maria Pia.
1 Leggiamo nel vangelo: «E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno la frangia del suo mantello [cioè gli tzitzìt]; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,56). «Ed ecco una donna, che soffriva di emorragia da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò le frange del suo mantello [sono gli tzitzìt]. Pensava infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata» (Mt 9,20).
2 I «tefillìn» (singolare tefillàh) contengono pergamene su cui sono scritti i seguenti passi biblici: Es 13, 1-10; 11-16; Dt 6, 4-9.11; 13-21. La «tefillàh» della fronte si chiama «tefillàh shel rosh – scatoletta della testa» e quella vicina al cuore «tefillàh shel yad – scatoletta della mano» (perché posta sul braccio sinistro, il più vicino al cuore). Essi sono indossati per la preghiera del mattino, nei giorni feriali.
3 Dentro la mezuzàh sono contenuti due paragrafi dello Shemà’ Israel (Dt 6,4-9; 11,13-21).
4 La traslitterazione in italiano non è scientifica, ma pratica: come si pronuncia.
5 In ebraico i primi cinque libri che compongono la Toràh (in greco = Pentateuco, cioè cinque teche/contenitori) sono indicati con le prime parole dell’inizio e cioè: Bereshìt – In principio (= Genesi); Shemòt – I nomi (Esodo); Wayqrà – E chiamò (=Levitico); Bamidbàr – Nel deserto (= Numeri) e Devarìm – Parole (= Deuteronomio). La Bibbia greca della Lxx, invece, dà ai libri il nome del contenuto, per cui Genesi perché narra le «origini», Esodo perché tratta della «fuga/uscita» dall’Egitto, Levitico perché riporta le leggi di purità rituali; Numeri perché contiene il censimento d’Israele e Deuteronomio in riferimento al codice legislativo in esso contenuto. Il nome Deuteronomio (abbr. Dt) forse è dovuto ad una errata interpretazione di Dt 17 18 che in ebraico parla di «mishnèh ha-toràh hazòt –copia/ripetizione/seconda Legge» che la Lxx traduce in greco con «to deuteronòmion toûto – questa seconda legge», finendo per dare il nome a tutto il libro..
6 Primo discorso: Dt 1,1-4,43; secondo discorso: Dt 4,44-28,68; terzo discorso; Dt 28,69-30,20. Nel secondo discorso si trova il blocco 12-26, il cosiddetto «codice deuteronomico», che mette insieme senza ordine raccolte di leggi di varia provenienza e organizzate nella riforma di Giosia del 632 a.C. e identificata con la Legge ritrovata nel Tempio in questa circostanza (cf 2Re 22,1-30).
7 La lettera ai Romani schematicamente si può così suddividere: Esordio (1,1-17); parte dogmatica (1,18-11,36); parte morale (12,1-15,13); conclusione/epilogo (15,14-16,27) che riporta notizie personali, saluti conclusivi, firma.
8 Cf più estesamente Domenica 4a del tempo ordinario-A; qui brevemente: 1° discorso (del Monte – Beatitudini): Mt 5-7 ; 2° discorso (della Missione): Mt 10; 3° discorso (del: Mt 13 (del Regno); 4° discorso (dell’escatologia): Mt 24-25.
9 In modo particolare la teologia del «regno» si trova nel capitolo 13 del vangelo che raggruppa ben «7» parabole tutte a tema «regno dei cieli», che esamineremo a suo tempo, dalla domenica 15a del Tempo Ordinario-A in poi.
10 Rinaldo Fabris, Matteo, Borla, Roma [s.d., forse 1982], 180-187, propone un’altra divisione, presentando il brano odierno come quarta suddivisione della sezione 7,13-29, alla luce delle tematiche «binarie»: a) le due porte e le due vie: salvezza e rovina (7,13-14); b) i falsi profeti, pecore e lupi: criterio di discernimento (7,15-20); c) veri e falsi discepoli: coerenza tra dire e fare (7,21-23); d) le due case: unità tra ascoltare e fare (7,24-27).
11 La ricorrente espressione «Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21; 10,32.33; 12,50; 16,17; 18,10.19) è di mano del redattore finale.
12 Mt 21, 28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Rivòltosi al primo disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. 29 Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi, pentitosi, vi andò. 30 Rivòltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Sì, signore. Ma non vi andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «Il primo».
13Dopo due secoli di missioni cattoliche in Rwanda nel 1994, in meno di tre mesi gli Hutu massacrarono oltre un milione di persone di un'altra etnia (?!), i Tutsi. I genocidi più orrende avvennero dentro le chiese e in alcuni casi con l’appoggio si preti e suore. Sull’essere cristiani e figli dello stesso Padre prevalse l’appartenenza tribale. Ciò che colpì l’opinione pubblica non fu il genocidio in sé che era inscritto nelle premesse immorali del colonialismo belga-tedesco, ma il fatto che nei cattolici e nei cristiani in genere sul criterio di fratellanza di fede prevalse quella tribale, portando preti e suore ad organizzare essi stessi il genocidio degli appartenenti alla tribù diversa dalla propria. Il mondo è pieno di queste contraddizioni tra il «dire religione» e il «fare religione»: in India e Bangladesh, guerra tra musulmani e induisti; in Kòsovo, tra musulmani e ortodossi; in Israele tra ebrei e musulmani; in Italia tra cattolici e altre religioni, in Europa tra «occidentali» ed «extracomunitari» (neologismo orribile che rivela l’inciviltà di chi lo usa). In tutto il mondo sembra che aumenti la richiesta di «religione» che però viene usata come arma contundente per uccidere o quanto meno colpire gli altri che si ritengono «diversi» da noi che, naturalmente, ci collochiamo dalla parte dei giusti come anche della civiltà e del diritto.


Giovedě 03 Marzo,2011 Ore: 12:53
 
 
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