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www.ildialogo.org Domenica 4a di Avvento – A – 19 dicembre 2010,di don Paolo Farinella, prete

Domenica 4a di Avvento – A – 19 dicembre 2010

di don Paolo Farinella, prete

Con la domenica odierna che è la 4a di Avvento-A concludiamo questo tempo di riflessione sulla duplice venuta del Signore. Un mese è passato e Natale è alle porte, introdotto dalla liturgia di oggi che ha una dimensione natalizia e ci assaporare una dimensione straordinaria di unità tra passato e presente. La 1a lettura e il vangelo sono intimamente legati perché quest’ultimo è una rilettura attualizzante del profeta Isaia che aveva parlato otto secoli prima, in forza della legge che il «dopo» illumina il «prima».

Nel sec. VIII, Isaia non aveva pensato alla nascita verginale di Gesù, ma aveva parlato al re Acaz con un linguaggio semplice e comprensibile. I profeti parlano in primo luogo per essere compresi dai loro contemporanei. Il re Acaz, che governa la Giudea (regno del sud con capitale Gerusalemme) si preoccupa perché il re di d’Israele (regno del nord con capitale Samaria) si è alleato con il re di Damasco (Siria)1 per muovergli guerra. Per correre ai ripari, egli cerca di allearsi con Tiglatpileser, re dell’Assiria, promettendogli una parte del tesoro del tempio (cf 2Re 16,7-8). Prevedendo una sconfitta, Isaia invita il re a non cercare alleati, ma di confidare nel Signore che ha sempre promesso di essere garante della discendenza di Davide. Isaia chiede espressamente al re di chiedere lui stesso un segno a garanzia della promessa di Dio, ma il re che non è un modello di credente, fa finta e cerca di nascondere i suoi disegni dietro un paravento religioso di facciata: «Non lo chiederò [il segno], non voglio tentare il Signore» (Is 7,12).

Di fronte a tanta sfacciataggine, il profeta che fino a questo momento si era rivolto al re come incarnazione del popolo, cambia tono e diagnosi: nella sua risposta mettendo da parte il re, si rivolge all’intera nazione che il re rappresenta. Il profeta, infatti, nel suo oracolo, passa dal singolare, riferito al re, al plurale riferito alla nazione, cioè alla «casa di Davide» (Is 7,13), sempre più distante da Dio. Il profeta che aveva parlato ad Acaz invitandolo a chiedere un segno al Signore «tuo Dio», ora nell’oracolo, parla di «mio Dio» perché il Dio che lo ha inviato non è più il Dio del re e del suo popolo, ma solo il Dio del profeta: «Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio?» (Is 7,13).

Terribile e grandioso l’«incipit» dell’oracolo: «Ascoltate, casa di Davide!». L’appello è rivolto non solo ai presenti, ma a tutta la «casa di Davide», cioè anche alla discendenza delle generazioni future. Il profeta pronuncia una parola che travalica il tempo del presente oltre la comprensione dello stesso profeta e dei suoi contemporanei e si proietta nel futuro aprendo una finestra sul futuro, lasciando quindi aperte altri sensi ora nascosti. Rifiutando la finta religiosità del re Acaz, ora è Dio stesso per bocca di Isaia a porre un segno come garanzia della sua parola: «La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi» (Is 7,14).

Questo il contesto storico delle parole del profeta Isaia che parla per i suoi contemporanei perché comprendano la Parola di Dio e si lascino addomesticare da Dio2. Circa trent’anni dopo, il profeta Michea allargherà la prospettiva e parlerà di un futuro misterioso sotto il segno di un parto: «fino a quando partorirà colei che deve partorire» (Mic 5,2). La Bibbia greca della Lxx3 ha tradotto l’ebraico «‘almàh – giovane sposa» con «parthènos – vergine», offrendo così a Mt otto secoli la chiave per una nuova rilettura di fronte ad eventi inattesi. Alla luce della nascita di Gesù il testo di Isaia svela tutto la pregnanza del senso che ora è compiuto e attualizzato. Mt applicando le regole del midrash ebraico spiega la Scrittura con la Scrittura: il presente alla luce del passato.

Noi sappiamo che Gesù è «nato da donna» e fu sottomesso alla Toràh (Gal 4,4) di cui svelerà il senso implicito4 oltre i confini della lettura tradizionale che spesso aveva la pretesa di esaurire Dio. Gesù è un pericolo perché destabilizza l’esistente religioso e civile, non perché pone interrogativi nuovi che bisognava prendere in considerazione come una possibilità di fedeltà al Dio dei profeti. E’ questo il senso della figura di Giuseppe così dimessa eppure e così decisiva (cf omelia). Egli in principio si tira indietro per non ostacolare il piano di Dio: è «giusto», cioè non è in competizione con Dio, ma richiesto di farne parte, non esita ad entrarvi da uomo libero e aperto alla novità di Dio. In ebraico Giuseppe deriva da yasaf che significa «egli aggiunge/aumenta»: il suo progetto di vita ordinario si aggiunge al progetto di Dio e con esso si fonde in una sola prospettiva che spalanca una nuova dimensione della storia in cui c’introduciamo con l’antifona d’ingresso (Is 45,8): «Stillate, cieli, dall’alto, e le nubi facciano piovere la vostra la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza».

Spirito Santo, tu sei il segno di Dio che Isaia il profeta chiese al re Acaz, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei il segno che il re Acaz ha rifiutato per fare alleanze di morte, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ispirasti il profeta Isaia a dare il segno dell’Emmanuele, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu dài vita alla terra e a quanto contiene, all’universo e ai suoi abitanti, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci purifichi perché possiamo salire il monte santo del Signore, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la porta del cuore da cui entra il Signore, il re della gloria, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai costituito l’apostolo Paolo servo e apostolo per vocazione, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai costituito Paolo annunciatore del vangelo di Cristo, nato da donna, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu parli a noi del Figlio di Dio nato dalla stirpe di Davide, nato per noi, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ispirasti Giuseppe a prendersi cura della Madre del Signore Gesù, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai condotto Maria a Giuseppe perché ne custodisse la maternità, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu hai scelto il Nome santo di Gesù/Ioshuà – Dio è salvezza, Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu ci dài gli occhi del cuore per vedere l’«Emmanuele – Dio-con-noi», Veni, Sancte Spiritus.

Spirito Santo, tu sei la sorgente della nostra ri-nascita e la ragione della speranza, Veni, Sancte Spiritus.

Oggi a distanza di due secoli dall’annuncio a Giuseppe e di undici secoli da Isaia, noi siamo chiamati a confrontarci ancora con quell’evento nuovo della risurrezione che segna di continuo la nostra vita. Anche noi viviamo una storia che si coniuga nella trilogia temporale «ieri, oggi, domani». Qual è il passaggio, se c’è, tra queste tre dimensioni? Chi ero ieri? chi sono oggi? chi sarò domani? Non possiamo separare questi momenti perché siamo parte di un vissuto che fu, che è e che sarà la nostra esperienza e la grazia di Dio che ci chiama. Con questi sentimenti accendiamo la 4a candela che insieme alle altre tre si consuma lentamente e nel consumarsi trova la sua identità. Vogliamo trovare la nostra identità illuminati dallo Spirito di Cristo «luce del mondo» che acclamiamo con un inno della Liturgia delle Ore5: 

1. Fiorì il germoglio di Iesse,

l’albero della vita

ha donato il suo frutto.

3. Nell'ombra del presepe,
giace povero ed umile
il creatore del mondo.

5. Sorge una nuova luce
nella notte del mondo:
adoriamo il Signore!

2. Maria, figlia di Sion,
feconda e sempre vergine,
partorisce il Signore.

4. Il Dio che dal Sinai
promulgò i suoi decreti,
obbedisce alla legge.

6. A te sia gloria, Cristo,
con il Padre e lo Spirito
nei secoli dei secoli.
Amen.

Preghiamo. Signore, accendiamo la 4a candela, simbolo della Parola che illumina il nostro cammino (cf Sal 119/118,105). Essa arde e si consuma lentamente, in silenzio fino all’ultimo bagliore. Fa’ che nella nostra giornata anche noi possiamo ardere e consumarci nell’amore. Il tuo Spirito alimenti la nostra fiammella perché possiamo essere sorgente di calore e di luce per quanti incontriamo sul nostro cammino. Giungeremo alla santa Eucaristia, anticipo del Regno, non da soli, ma con una moltitudine di fiammelle che nessuno potrà contare di ogni lingua, popolo e nazione perché il mondo intero sarà un solo fuoco d’amore. Vengano lo Spirito e la sposa e dicano: Vieni, Signore Gesù, Maràn athà (cf Ap 22,17). Amen.

Entriamo nell’imprevedibilità di un Dio che sceglie una storia oscura di una oscura famiglia ebrea per farsi incontrare e conoscere da noi. Il Dio di Gesù Cristo è un Dio che entra nella nostra vita senza scarpe, delicato e rispettoso, senza nulla imporre, ma offrendosi nella forma di un bambino, cioè la persona più indifesa e accattivante che possiamo sperimentare. Fra poco veglieremo e faremo memoria della sua nascita. Oggi ne pregustiamo l’anticipo come purificazione dell’anima, aprendoci alla novità che sperimentiamo nell’Eucaristia posta sotto il sigillo della santa Trinità:

(italiano)

Nel Nome

del Padre

e del Figlio

e dello Spirito

Santo.

Amen.

(ebraico)

Beshèm

ha’av

vehaBèn

veRuàch

haKodèsh.

Esaminiamo la nostra coscienza e lasciamoci interpellare perché le novità di Dio possano spalancarci ancora di più il senso di comprensione degli eventi. Siamo nel mondo, ma non vogliamo assumere il costume del mondo che insegna a dilapidare come superfluo ciò che è necessario per la sopravvivenza della maggioranza dell’umanità. Il bimbo che nasce ci rimanda alle nostre responsabilità che interrogano la nostra coscienza.

Signore, quando viviamo come se tu non ci fossi, converti la nostra apatia e intolleranza, Kyrie, elèison!

Cristo, nato da donna e sotto la Legge, facci rinascere come creature nuove e libere, Christe elèison!

Signore, hai chiamato Giuseppe come custode del Lògos, convertici e noi ci convertiremo,Pnèuma, elèison!

Dio onnipotente che chiama Isaia il profeta a guadare al futuro con speranza e fiducia; che invia lo Spirito perché impariamo a conoscere il Verbo nato da donna; che convoca Giuseppe a guardare oltre le apparenze per farsi carico del progetto di Dio; per i meriti di Isaia e dei suoi discepoli, per i meriti di Paolo e della sue chiese, per i meriti del «giusto» Giuseppe, della santa Vergine Madre, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.

Antifona (insieme). O Lògos, Sapienza di Dio che eri accanto al Creatore, prima che iniziasse l’opera creatrice, sii accanto a noi giunti alla conclusione del tempo di Avvento. Signore, ecco, tu sei giunto e noi ti corriamo incontro! Riempi i nostri cuori dei santi doni dello Spirito perché possiamo riconoscere il Signore che passa nel tempo dell’attesa. Vieni, Santo Spirito, vieni Padre dei poveri, vieni Dio della gioia.

Preghiamo (colletta). Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della Vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della tua parola, nell’obbedienza della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Mensa della Parola

Prima lettura Is 7,10 – 14. Intorno al 735 a.C. il profeta Isaia va incontro al re di Giuda, Acaz ,contro cui si sono alleati il re d’Israele (regno del nord) e quello di Aram. Questi volevano intronizzare a Gerusalemme un re non discendente di Davide e loro complice. Il profeta prevedendo una sconfitta, invita Acaz ad avere fiducia nelle promesse di Yhwh (Is 7,9), garante della discendenza di Davide. Isaia si fa accompagnare da suo figlio che ha un nome simbolico: Seariashùb che significa «un resto tornerà» (cf Is 1,26). Anche nella sconfitta, Dio mantiene in vita un «resto» che saprà tramandare la fede nel Dio delle promesse. Questo racconto è importante per il dialogo che si svolge tra il re «ateo» che fa finta di credere e il profeta che sventa il suo vuoto religioso, ma anche perché contiene il celebre oracolo della «vergine che concepirà un figlio» (cf Is 7,14) e che Matteo applica a Maria e alla nascita di Gesù (vangelo di oggi: Mt 1,23). Oggi apprendiamo che la Parola di Dio non è chiusa nei confini del suo tempo, ma valica i secoli per giungere fino a noi e svelarci il volto umano di Dio.

 

Dal libro del profeta Isaia 7,10 – 14.

In quei giorni, 10il Signore parlò ad Acaz dicendo: 11«Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». 12Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? 14Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». - Parola di Dio.

Salmo responsoriale 24/23, 1-2; 3-4b; 5-6; 7-8. Salmo alfabetico si compone di 22 versetti, uno per ogni lettera dell’al-fabeto ebraico. I primi sei versetti sono forse posteriori e si richiamano al salmo 16/15: il creatore accoglie il giusto e lo redime. I vv. 7-10 di cui la liturgia di oggi riporta solo i primi due, sono stati composti in occasione del trasloco dell’arca fatta da Davide (cf 2 Sam 6,12-16; Sal 68/67,25-34; 132/131). La tradizione giudaica insegna che questo salmo nell’intenzione di Davide doveva essere cantato il giorno dell’inaugurazione del Tempio, immaginando il solenne ingresso di Dio tra il popolo in festa. Noi acclamiamo l’ingresso del Lògos nel mondo non tra gli splendori della solennità del tempio, ma nella fragilità e nella debolezza di un bambino che nasce ai margini della civiltà per essere sicuro di non perdere alcuno.

Rit. Ecco, viene il Signore, re della gloria.

1. 1 Del Signore è la terra e quanto contiene,
il mondo e i suoi abitanti.
2 E lui che l’ha fondato sui mari,
e sui fiumi l’ha stabilito.
Rit.

2. 3 salire il monte del Signore,
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
4 Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli.
Rit.

3. 5 Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
6 Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.
Rit.

Seconda lettura Rm 1,1-7. La lettera ai Romani è la più importante lettera dottrinale di Paolo, scritta a Corinto nell’in-verno del 57/58. Il brano odierno appartiene all’esordio (Rom 1,1-17) e comprende le credenziali dell’apostolo: il nome, il mandato ricevuto, una breve sintesi della storia della salvezza, i destinatari e infine i saluti. Paolo segue il genere letterario epistolare del suo tempo. Impressiona il fatto che egli debba presentarsi in forma quasi analitica e descrittiva a differenza delle prime lettere dove la sua presentazione è scarna e veloce (cf 1-2Tes). Con ogni probabilità, ciò è dovuto al fatto che la sua autorità apostolica fu spesso messa in dubbio dall’ala conservatrice dei giudeo-cristiani che non lo hanno mia digerito ben volentieri. La liturgia sceglie questo brano per il v. 3 «riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne».

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani 1,1-7

1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio,  – 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e 3riguardo al Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; 5per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome; 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo – , 7a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! - Parola di Dio.

Vangelo Mt 1,18-24. Il contenuto del vangelo, nella sostanza, è riportato sia da Mt che da Lc, ma con alcune significative differenze che ci inducono ad una non approssimativa, ma attenta lettura. Istintivamente siamo portati a prendere il racconto come una cronaca storica, quasi giornalistica di un evento eccezionale. Il racconto dell’annuncio a Giuseppe è fatto da Mt usando un «genere letterario» particolare che riguarda l’annuncio delle nascite importanti. Questo genere ha un canovaccio narrativo abbastanza fisso perché vi si trovano quasi sempre gli stessi elementi: l’apparizione di un angelo, un nome imposto dall’alto, la missione di chi è interpellato (qui Giuseppe), una difficoltà/opposizione da superare, un segno come garanzia e la spiegazione del nome del nascituro. La nascita normalissima di un bambino, riletta dopo la Pasqua alla luce della sua intera vita porta concludere che Gesù è il compimento delle parole di Isaia. Il brano è interessante per l’applicazione che Mt fa dell’oracolo di Isaia sulla «vergine che concepirà» (Is 7.14), dicendoci che che la nascita di Gesù è un «evento» dentro la storia della salvezza di cui costituisce la chiave d’interpretazione. Possiamo dire che Gesù è anche la chiave di lettura della nostra vita?

Canto al Vangelo Mt 1,23

Alleluia. Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele: “Dio con noi”. Alleluia.

Dal Vangelo secondo Matteo 1,18-24

18 Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20 Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21 ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23  «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. 24 Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con se la sua sposa. - Parola del Signore.

Spunti di omelia

Il nesso tra la 1a lettura e il vangelo è evidentemente voluto. Matteo applica al concepimento di Maria l’oracolo di Isaia: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Accanto a questa rilettura vi è la figura di Giuseppe troppo spesso declassato a personaggio di 2° piano. Vogliamo tentare di capire più profondamente ciò che gli autori hanno inteso dire, che cosa i loro contemporanei hanno capito e quale sviluppo ebbero quelle parole in tempi diversi e di fronte e nuove situazioni. E’ necessario fare due premesse fatte altre volte, ma che è sempre bene ricordare se vogliamo comprendere il pensiero di Matteo.

Prima premessa. Il racconto dell’annuncio della nascita di Gesù è narrato da Mt e anche da Lc (cf Lc 1,26-38) con notevoli differenze: In Mt l’annuncia della nascita è fatto a Giuseppe6, mentre Maria è sullo sfondo, ma non compare mai; in Lc invece l’annuncio è fatto solo a Maria e Giuseppe non nemmeno menzionato, completamente assente. Lo stesso fatto, due letture, lo stesso evento due interpretazioni e due racconti: la Parola di Dio non ha mai un solo significato e una sola prospettiva. Lo stesso evento letto in modi diversi per uditori e situazioni diversi ci obbliga ad accostarci alla Parola con una certa libertà perché non è uno scrigno di risposte prefabbricate, dove ognuno pesca la soluzione che gli serve, ma una Parola viva, efficace e tagliente (cf Eb 4,12) che mentre legge la storia ha bisogno della nostra vita per essere interpretata e proiettata ancora di più sul futuro, dopo di noi.

La seconda premessa riguarda il genere letterario7 sia dell’oracolo di Isaia che del brano del vangelo. Tra i tanti modi di narrare e comunicare nella Bibbia esiste un genere particolare che riguarda gli annunci di nascita. In essi troviamo quasi sempre gli stessi elementi perché sono costruiti attorno ad un canovaccio: c’è un angelo che appare, un destinatario dell’annuncio (qui Giuseppe: ebr.: Yasàf – egli aggiunge/aumenta) che ha un titolo che ne specifica il ruolo (qui «figlio di Davide») che esprime la sua funzione di garante legale della discendenza davidica di Gesù8; una difficoltà da superare (in genere la sterilità, qui «prendere con te Maria, tua sposa», non nonostante sia incinta, ma appunto perché incinta); un segno dato dall’angelo a garanzia delle sue parole (qui manca)9: e infine, una precisazione sul nome del nascituro (qui «Gesù» che in ebraico è Jeoshuà o Joshuà e significa «Dio salva/è salvezza»).

E’ probabile che Maria abbia detto a Giuseppe di essere incinta, anche se i testi non lo dicono10, spiegandogli le modalità ed egli non avendo motivo di dubitare dell’onestà della fidanzata, cerca un modo per tirarsi indietro di fronte ad un progetto che lo supera. Avere Maria come promessa sposa, in questo contesto era una difficoltà grande perché significava prendere una decisione: o denunciarla per adulterio o accettarla incinta. Nell’apparizione a Maria (cf Lc 1.26-38) l’angelo dice subito che il nascituro sarà «figlio di Davide» (cf Lc 1,32) e solo dopo le dà l’annuncio della concezione (Lc 1,34-35). Nell’apparizione a Giuseppe, invece, l’angelo non parla della concezione di Gesù che è ormai avvenuta, ma si limita ad assicurargli la discendenza davidica (Mt 1,20.23). Gesù deve nascere a Betlemme che è la città di nascita di Davide: per questo gli eventi s’incatenano in modo che tutto converga verso questo appuntamento con la storia11: «E tu, Betlemme, terra della tribù di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (cf Mt 2,6; cf Mi 5,1).

Il senso dell’annuncio a Giuseppe si può condensare in queste domande: qual è la funzione di Giuseppe nella nascita di Gesù? Quale sarà il suo compito nei confronti del bambino che non è suo, ma a cui egli deve garantire una appartenenza legale in quanto Giuseppe è del casato di Davide? Vediamo quale processo può essere avvenuto cronologicamente. Giuseppe è fidanzato con una ragazza di nome Miriam/Maria. Nell’anno di fidanzamento ufficiale12, Maria scopre di essere incinta e lei sa che il modo è inusuale, aperto al mistero di Dio. Giuseppe e Maria dovevano trovarsi nell’anno ufficiale del fidanzamento, se Giuseppe vuole rilasciarla in segreto, quando viene a sapere che Maria fa parte di un piano di Dio più grande di lui. Se Giuseppe avesse ripudiato la fidanzata incinta non di lui, lei sarebbe stata colpevole di adulterio e sottoposta alla lapidazione13. Nessuno avrebbe potuto fare obiezione perché Giuseppe avrebbe applicato solo la Legge e quindi sarebbe stato «giusto» alla maniera della religione, della società e in forza della sua coscienza. Al contrario, Giuseppe, cerca un’altra via: vuole rimandare la sua fidanzata in segreto, cioè senza accusarla di adulterio, salvandola dalla morte (Mt 1,19) perché egli sa che Maria non è adultera, ma in lei è avvenuto qualcosa di imponderabile che egli non sa valutare e non vuole impedire per cui si mette da parte.

Il testo però dice che Giuseppe «poiché era uomo giusto» (Mt 1,19), ma come può essere «giusto» se cerca di non osservare la giustizia che la legge impone, cioè l’accusa di adulterio e la conseguente condanna a morte per lapidazione? Evidentemente non si tratta di una «giustizia legale» che dà l’opportunità ad appellarsi alla legge per vedere soddisfatto un proprio diritto. Egli è «giusto» in quanto uomo timorato di Dio perché la sua giustizia è di ordine morale: se nella maternità di Maria c’è l’intervento di Dio, Riseppe non vuole appropriarsi di diritti sul nascituro che non gli appartengono. Giuseppe è «giusto» perché è uomo «vero»: non è lui il padre del figlio che deve nascere e non sarà lui a presentarsi al mondo come il padre che non è. Se Dio ha un suo progetto, Dio troverà il modo di realizzarlo con i suoi mezzi, non sarà certamente Giuseppe a contrastarlo o ad appropriarsene. Giuseppe è l’uomo descritto dal Salmo: «Beato l’uomo che teme il Signore… la sua giustizia rimane per sempre. Spunta nelle tenebre come luce per i giusti, buono, misericordioso e giusto… il giusto sarà sempre ricordato (cf Sal 112/111, 1.3-4.6). Egli della stessa stirpe di Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni battista, che sono «giusti davanti a Dio» (Lc 1,6). La giustizia di Giuseppe non risiede nel suo essere ligio alla legge materiale, rispettoso scrupoloso della norma giuridica, ma egli è giusto perché valuta gli eventi, ne comprende in parte il senso e sceglie il suo ruolo che è quello di non essere un ostacolo. La giustizia di Giuseppe è una partecipazione attiva agli eventi che vive.

Non siamo giusti quando siamo coerenti con la legge o abbiamo ragione o riconosciamo il dovuto, ma quando dimoriamo nella verità di noi stessi e nella verità della relazione con gli altri. Non la giustizia della legge, ma la giustizia come virtù, cioè come prospettiva di vita che guarda l’intimo degli eventi e delle persone, non il comportamento dell’apparire: è il motivo per cui è una delle quattro «virtù cardinali» con la prudenza, la fortezza e la temperanza (CCC 1805.1807). Essere giusti significa superare la legge e valutare le cose dal punto di vista della verità. L’angelo però interviene per dire a Giuseppe che proprio per questa sua attitudine alla giustizia è stato scelto per essere il «custode legale» del bambino che nascerà. E’ la prima adozione legale della storia o almeno la più famosa.


 

Nota. In questo contesto possiamo fare una applicazione estemporanea, ma di grande attualità. Oggi uomini e donne fanno figli in età sempre più adulta per molti motivi che esulano dalla nostra riflessione e ciò crea una maggiore difficoltà, generando come contrappeso l’ossessione del figlio a tutti i costi e con ogni mezzo. Il vangelo di oggi ci dice che non si è padri «giusti», cioè padri «veri» inseminando una donna o lasciandosi inseminare da un uomo: non si è padri e madri perché si genera un figlio della propria carne. Si è padri e madri quando si sceglie di essere «genitori adottivi» del proprio o altrui figlio che a questo punto non fanno differenza alcuna. La paternità e la maternità non nascono dalla natura, ma dalla «giustizia», cioè dalla «verità» di se stessi, quando si decide di offrire la propria vita, il proprio tempo, la propria esperienza a qualcuno che si elegge come figlio e lo si onora come tale. La paternità e la maternità adottive danno la vocazione di padre e madre che la natura non dà, perché genitori si diventa in cinque secondi, mentre per essere educatori genitoriali occorre tutta la vita. Questo è il motivo per cui bisogna recuperare l’immagine di Giuseppe e valorizzarla per la sua statura di uomo che va oltre le apparenze e si realizza in un evento che non aveva previsto, ma che inserisce nella sua vita scegliendolo e diventando il padre legale di quel Gesù che deve ancora nascere.

Il v. 14 della 1a lettura ripreso, come abbiamo visto alla lettera da Mt, nella versione greca della Lxx, ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro: la vergine che concepirà e partorirà un figlio (cf Is 7,14; Mt 1,23). Chi legge la Bibbia in modo fondamentalista corre subito alla conclusione: Isaia è un vero profeta perché ha predetto la nascita di Gesù otto secoli prima. E’ evidente che questo è un modo infantile ed errato di leggere la Scrittura. Tutti gli autori della Bibbia quando parlano o scrivono lo fanno in primo luogo per essere compresi dai propri contemporanei. In questo senso le parole di Isaia devono avere un significato comprensibile per i suoi concittadini di Gerusalemme. In ebraico il profeta usa questa espressione: « ‘ot hinnèh ha‘almah haràh weyoledet ben weqara’t shemò ‘immanu’el – Ecco, donna/regina [è] incinta e partorirà un figlio e chiamerà il suo nome Emmanuel».

Il testo ebraico per dire «segno» usa il termine «’ot» che la Bibbia greca della Lxx traduce con «semeîon - segno»14, nel significato di un evento che porta in sé un cambiamento della situazione: un segnale qualitativo che indica una svolta. Il segno posto da Isaia riguarda la nascita di un bambino e precisamente la nascita del figlio del re Acaz, di nome Ezechia (cf 2Cr 28,17-22) che sarà un re pio e religioso, artefice di una grande riforma sociale e cultuale. Il segno di cui parla il profeta è davanti algi occhi di tutti: la giovane moglie del re Acaz, la regina Abiia, è incinta e porta in grembo il discendente della «casa di Davide», cioè il futuro della dinastia. Il profeta usa la parola ebraica «‘almàh» che letteralmente significa «ragazza» da marito, giovane «sposa», intendendo dire che Dio non abbandonerà mai la casa di Davide a cui ha garantito una dinastia fino al Messia (cf 2Sa 7,11). Come si può dubitare del futuro, se sta per nascere un bambino che continuerà la dinastia di Davide? Dio è fedele e chiede fedeltà.

L’altra parola ebraica decisiva, usata dal profeta è «‘almah» che significa «ragazza da marito» o «giovane sposa». E’ possibile che nel sec. VIII avesse acquisito un significato di corte, indicando la regina. Certamente nell’oracolo, Isaia si rivolge al suo re, Acaz la cui moglie, la regina Abia (cf 2Re 18,2; 2Cr 29,1), era incinta dell’erede al trono, Ezechia15. Questo è il segno di fronte alla paura di Acaz che si sente accerchiato dal nord e dall’est: sta nascendo un figlio che il tuo erede, Ezechia, come puoi temere che Dio ti abbandoni? Egli ha promesso di garantire il casato di Davide. E’ un invito a guardare al futuro con serenità e senza angoscia. Tagòre direbbe: Quando un bimbo nasce sulla terra, è segno che Dio non si è stancato ancora dell’umanità.

Il profeta Michea contemporaneo di Isaia fa un passo avanti e dopo la citazione dell’oracolo su «Betlemme» come patria del Messia, riprendendo l’oracolo di Isaia di circa trent’anni prima, apre una finestra sul futuro con una prospettiva più marcata: «Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà» (Mic 5,2). Il testo è oscuro e lascia adito a molte interpretazioni. Nei secc. III-I a.C. la Bibbia greca detta dei Lxx, traduce il termine ebraico «‘almah» che significa «ragazza da marito» o «giovane sposa» con il termine «parthènos» che significa «vergine», cioè ragazza che ancora non ha avuto rapporti sessuali: in Grecia il termine era riservato alle «vestali» cioè alle donne consacrate alle diverse divinità, di cui erano le custodi immacolate.

Matteo scrive per cristiani provenienti dal giudaismo e la Lxx è la Bibbia ufficiale per i giudei di lingua greca. Egli rilegge questi testi al modo di midrash e li porta alla loro estrema conseguenza, svelando un significando nascosto che i testi in sé materialmente non hanno. Isaia pensa alla regina Abiia che è incinta, Michea allarga l’orizzonte al futuro di una donna partoriente, la Lxx parla di «vergine», Matteo identifica questa vergine in Maria sposa di Giuseppe e madre di Gesù. La Parola di Dio è inesauribile e nessuno può rinchiuderla dentro un significato esclusivo perché Dio sfugge a qualsiasi catalogazione. E’ compito nostro interrogare la Scrittura e lasciarci interrogare per giungere a quel «senso pieno» che spesso ci sfugge per superficialità e presunzione.

L’Emmanuele è un segno che riguarda la fede e noi sappiamo che egli si è compiuto in Gesù nato a Betlemme dalla stirpe di Davide e nato da Maria, la prescelta dallo Spirito per essere la nuova tenda dell’alleanza per custodire la carne il cuore di Dio stesso. L’Emmanuele per noi oggi è questa Eucaristia che diventa il «segno» per eccellenza del nostro compiersi e del nostro accadere perché siamo noi la carne e il cuore di Dio che essa nutre per svelare il senso e il significato nascosto della storia che srotola avvenimenti spesso incompresi perché nessuno li interpreta in profondità. In questo contesto Natale non è altro che l’annuncio della fedeltà di Dio all’umanità e l’abbandono in lui di coloro che hanno incontrato il Bambino che nasce. Natale è l’Amen di Dio sull’umanità che aspetta e cerca la salvezza.Un Amen che esprime una fedeltà per sempre che assume il volto e il sapore del pane e del vino che andiamo a deporre su questo altare. Con fiducia e passione.

Professione di fede

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 

[breve pausa 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [breve pausa 1-2-3]

Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]

Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

Preghiera universale [Intenzioni libere]

MENSA EUCARISTICA

Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:

«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).

Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.

Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.

[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]

Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.

Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.

Il Signore riceva dalle tue mani il nostro sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.

Preghiamo (sulle offerte.) Accogli, o Dio, i doni che presentiamo all’altare, e consacrali con la potenza del tuo Spirito, che santificò il grembo della Vergine Maria. Per Cristo nostro Signore. Amen.

PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)

Prefazio dell’Avvento II/A: Maria nuova Eva

Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.

Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.

E’ veramente giusto rendere grazie a te, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo, per il mistero della Vergine Madre.

Dall’antico avversario venne la rovina, dal grembo verginale della figlia di Sion è germinato colui che ci nutre con il pane degli angeli ed è scaturita per tutto il genere umano la salvezza e la pace.

Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison! Christe, elèison!

La grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria. In lei, madre di tutti gli uomini, la maternità, redenta dal peccato e dalla morte, si apre al dono della vita nuova.

Profetizzò Isaia dicendo: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi» (cf Is 7,14; Mt 1,23).

Dove abbondò la colpa, sovrabbonda la tua misericordia in Cristo nostro Salvatore.

Tu, o Signore, ci dai l’Eucaristia, il principe dei segni, che dà a noi l’abbondanza la tua misericordia che è Cristo Gesù.

E noi, nell’attesa della sua venuta, uniti agli angeli, ai santi e alle sante del cielo e della terra, proclamiamo l’inno della tua lode:

Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Tutta la terra è piena della sua gloria (cf Is 6,3).

Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

Si alzano le porte antiche e noi apriamo le porte del cuore per fare entrare il re della gloria (Cf Sal 24/23,7).

Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Sei tu, Signore, il nostro re fedele che ci manifesti la tua gloria (cf Sal 24/23,8).

Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Nel dono della tua vita, noi rinnoviamo la nuova ed eterna alleanza, la Toràh perenne che scritto nel nostro cuore e nella nostra mente (cf Ger 31,31-34).

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Noi t’invochiamo, non tardare a risponderci e vieni, Signore! Maràn athà – Signore nostro, vieni! (cf Sal 102/101,3).

MISTERO DELLA FEDE

Contempliamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione e attendiamo il tuo ritorno. Ecco lo sposo, andiamogli incontro (cf Mt 25,6).

Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.

Tu ha chiamato Paolo tuo servo e apostolo per vocazione per annunziare il vangelo della pace (cf Rom 1,1).

Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.

Noi siamo il corpo del Cristoi Signore, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne e costituito «Signore» secondo lo Spirito (cf Rom 1,3-4).

Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell'amore in unione con il Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.

Convertici, Signore e noi ci convertiremo, facci ritornare e noi ritorneremo (cf Lam 5,21).

Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.

Anche noi come Gesù siamo generati dallo Spirito Santo per essere santi come Dio è santo (cf Mt 1,20; Lv 11,44-45).

Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.

«Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che significa “Dio con noi» (cf Mt 1,23).

Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]

Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià

sia santificato il tuo nome

itkaddàsh shemàch

venga il tuo regno

tettè malkuttàch

sia fatta la tua volontà

tit?abed re?utach

come in cielo così in terra

kedì bishmaià ken bear?a.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano

Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh

e rimetti a noi i nostri debiti

ushevùk làna chobaienà

come noi li rimettiamo ai nostri debitori

kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà

e non abbandonarci alla tentazione

veal ta?alìna lenisiòn

ma liberaci dal male.

ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione Is 7,14: Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un Figlio: sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi.

Dopo la comunione

Da Anthològhion I-IV, Breviario della liturgia bizantina16

Il primo degli angeli fu inviato dal cielo a dire:

Gioisci, tu per cui risplenderà la gioia; gioisci, tu per cui cesserà la ma lezione.

Gioisci, tu che richiami dall’esilio il caduto Adamo; gioisci, riscatto delle lacrime di Eva.

Gioisci, altezza inaccessibile ai pensieri umani; gioisci, profondità imperscrutabile anche agli occhi degli angeli.

Gioisci, tu che sei il trono del Re; gioisci, perché porti colui che tutto porta.

Gioisci, stella che manifesti il solo; gioisci, grembo della divina incarnazione.

Gioisci, tu per cui si rinnova la creazione; gioisci, tu per cui si fa bambino il Creatore.

Gioisci, sposa senza nozze!

Preghiamo. O Dio, che ci hai dato il pegno della vita eterna, ascolta la nostra preghiera: quanto più si avvicina il gran giorno della nostra salvezza, tanto più cresca il nostro fervore, per celebrare degnamente il Natale del tuo Figlio. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Benedizione e saluto finale

Il Signore è con voi E con il tuo spirito.

Il Signore che con la parola dei profeti ha annunciato il Messia, ci doni la sua benedizione, Amen.

Il Signore che invia gli apostoli a predicare il vangelo della vita, ci consoli e ci rafforzi.

Il Signore che chiama Giuseppe a farsi carico della salvezza, ci colmi della sua tenerezza.

Il Signore che ci manda nel mondo come testimoni rinati e risorti, ci protegga e ci sorregga.

Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.

Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.

Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.

E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio

e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.

___________________

© Nota: Domenica 4a Avvento Anno-A – Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova

L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte: Paolo Farinella, prete 19/12/2010.

APPUNTAMENTI

Venerdì 24 dicembre 2010, Natale: ore 21,00: Veglia di Natale

Sabato 25 dicembre 2010, Giorno di Natale ore 10,00: Messa

Domenica 26 dicembre 2010, Santo Stefano ore 10,00: Messa

Sabato 1 gennaio 2011, Maria Madre di Dio, ore 10,00: Messa

Giovedì 6 gennaio 2011, Epifania ore 10,00: Messa

Sabato 8 gennaio 2011, «Concerto per organo» ore 17,30: Chiesa di S. Torpete - (Alessio Colasurdo –

organo) Musiche di Zipoli, Mozart, Cimarosa, Walond, Lucchesi, Schiavon, Colasurdo,

Beethoven, Gamberale, Provesi

Domenica 9 gennaio 2011, Battesimo di Gesù ore 10,00: Messa.

1 La zone della Sira e dell’Assiria, prima che sorgessero queste nazioni si chiamavano con un termine unico «Aram» da cui «arameo».

2 cf Dom. 3a Avvento-A, Omelia

3 (Quasi) tutte le citazioni dell’AT riportate nel NT sono tratte dalla Bibbia greca della Lxx che fu la Bibbia della prima comunità cristiana e degli ebrei di lingua greca: in modo letterale, in modo sintetico o a senso.

4 Cf la serie «Avete inteso che fu detto dagli antichi…Ma io vi dico» (Mt 5,21.27.33.38.43).

5 Liturgia delle Ore, Tempo di Natale, Fino alla solennità dell’Epifania, Ufficio delle letture, Inno, vol. I, 380.

6 X. Léon-Dufour, «L’annonce à Joseph», in Mélange Robert, 1958, 309-397 ; Id., «Le juste Joseph», in N. Rev. Th., 1954, 225-231 ; cf C. Spicq, «Joseph son mari, ètant juste», in Re. Bibl, 1964, 206-214.

7 I generi letterari sono forme stilistiche con cui un autore comunica un contenuto. Esempi pratici di generi letterari: l’arringa di un politico che tende a convincere l’uditorio delle sue bugie non è lo scarno e freddo comunicato di borsa; la recita di una poesia non è l’annuncio funebre del giornale; una favola è cosa diversa dal «genere letterario» del romanzo. Lo stesso fatto può essere comunicato con generi letterari diversi: un’opera letteraria può essere rappresentata in teatro, in un film, in mostra fotografica; in un’opera musicale, ecc. In una biblioteca moderna, i libri sono classificati secondo il «genere letterario»: romanzi, novelle, poesia, storia, biografie, opere di teatro, ecc. La Bibbia è una piccola biblioteca e contiene un’infinità di forme o generi letterari, tra loro spesso mescolati anche all’interno di uno stesso libro. Avere coscienza della peculiarità dei generi è molto importante per il nostro accostarci alla Bibbia, proprio perché siamo tentati di livellare i suoi diversi modi di esprimersi. Questo vale soprattutto per le narrazioni, che si tende sempre a leggere come fossero cronache dei fatti, senza sapere poi come affrontare gli inevitabili problemi di storicità di testi che non sono resoconti storici o lo sono in modo assai diverso dal nostro scrivere storia (cf Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1993; L. ALONSO SCHÖKEL, (e collaboratori), La Bibbia nel suo contesto, Paideia Brescia 1994; R.E. BROWN, Introduzione al Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2001).

8 Questo titolo non verrà più usato dall’angelo nelle altre due apparizioni a Giuseppe (Mt 2,13.19-20) perché è sono nell’annuncio della nascita che si esprime la funzione del suo compito.

9 Il segno è presente in Lc 1,36 e cioè la gravidanza di Elisabetta che tutti ritenevano impossibile perché sterile.

10 lo scopo dei vangeli non è agiografico o storico, ma «kerigmatico» cioè catechetico: è un annuncio di Dio non una storia di Dio per soddisfare le nostre curiosità.

11 L’imperatore Augusto indice un censimento per tutto il suo impero, in forza del quale ogni cittadino sottomesso a Roma deve recarsi nella sua città natale per iscriversi: lo scopo è in funzione della tassazione. A fronte di un imperatore che si crede potente perché conta i suoi sudditi mettendo in movimento un impero, c’è una famiglia oscura della Galilea che conserva il segreto di un annuncio di nascita e si mette in movimento dalla Galilea alla Giudea. Tutto sembra che accada per caso, ma nulla è casuale. Gli uomini si affannano a gestire la loro piccola storia, credendosi «grandi»: sono solo occasione di processi che sfuggono alla loro considerazione perché la nuova storia deve ripartire dalla «città di Davide»

12 Il fidanzamento al tempo di Giuseppe era diverso da quello dei nostri giorni. Il matrimonio era prerogativa dei genitori che sceglievano la sposa o lo sposo secondo la convenienza generale della famiglia o del clan (cf Gen 21,21; 24,2-4.50.51.67; 34,1-7). Raramente un giovane si sposava contro la volontà dei genitori (cf Gen 26,34-35). A volte il fidanzamento era contrattato da mediatori che restavano a digiuno fino alla conclusione degli accordi (cf Gen 24,33; 2Cor 5,20). Il fidanzamento si divideva in due tempi: la promessa di fidanzamento, che poteva avvenire anche molti anni prima dal fidanzamento vero e proprio e il momento della ufficializzazione che diventava vincolante e aveva quasi gli stessi diritti e obblighi del matrimonio: era infatti accompagnato da un documento-contratto scritto o verbale (cf Gen 29,18). I fidanzati venivano riconosciuti come marito e moglie e avevano l’obbligo della fedeltà (cf Mt 1,18-20) come è evidente dal vangelo di oggi nel tentativo di Giuseppe di non accusare Maria di adulterio, condannandola alla lapidazione. I due promessi restavano nelle rispettive case e non avevano rapporti sessuali (cf Gen 29,21). L’età del fidanzamento era intorno ai 13-14 anni per lei e 18-24 per lui e durava circa un anno, durante il quale il fidanzato preparava la casa e la sposa l’abito nuziale e le celebrazioni nuziale a carica della famiglia della sposa. Non era consentito il matrimonio con donne cananee, moabite ed ammonite (Es 34,11-12,16; Dt 23,3-4), ma era lecito quello con una schiava straniera o con una prigioniera di guerra (cf Dt 21,1-11). Il fidanzamento al tempo di Giuseppe era diverso da quello dei nostri giorni (se esiste ancora). Il matrimonio era prerogativa dei genitori che sceglievano la sposa o lo sposo secondo la convenienza generale della famiglia o del clan (cf Gen 21,21; 24,2-4.50.51.67; 34,1-7). Raramente un giovane si sposava contro la volontà dei genitori (cf Gen 26,34-35). Il fidanzamento, che a volte era contrattato da mediatori che restavano a digiuno fino alla conclusione degli accordi (cf Gen 24,33; 2Cor 5,20), si divideva in due tempi: la promessa di fidanzamento, che poteva avvenire anche molti anni prima dal fidanzamento vero e proprio e il momento della ufficializzazione che diventava vincolante e aveva quasi gli stessi diritti e obblighi del matrimonio: era infatti accompagnato da un documento-contratto scritto o verbale (cf Gen 29,18). I fidanzati venivano riconosciuti come marito e moglie e avevano l’obbligo della fedeltà (cf Mt 1,18-20) come è evidente dal vangelo di oggi nel tentativo di Giuseppe di non accusare Maria di adulterio, condannandola alla lapidazione. I due promessi restavano nelle rispettive case e non avevano rapporti sessuali (cf Gen 29,21). L’età del fidanzamento avveniva intorno ai 13-14 anni per lei e 18-24 per lui e durava circa un anno, durante il quale il fidanzato preparava la casa e la sposa l’abito nuziale e le celebrazioni nuziale a carica della famiglia della sposa. Non era consentito il matrimonio con donne cananee, moabite ed ammonite (cf Es 34,11-12,16; Dt 23,3-4), ma era lecito quello con una schiava straniera o con una prigioniera di guerra (cf Dt 21,1-11).

13 Spesso si arriccia il naso sulla gravità della sanzione, cioè la pena di morte, poiché nella mentalità odierna l’adulterio è un dato «scontato» molto più diffuso di quanto non si possa immaginare ed è quindi considerato con benevolenza. Nella mentalità biblica, il matrimonio trasforma le due individualità in una nuova personalità collettiva: l’io e il tu diventano il «noi» che viene così a costituire un organismo nuovo e unico che contiene l’immagine di Dio «incarnata» nella coppia e non nel maschio o nella femmina (cf Gen 1,27). La coppia è «una carne sola», cioè un essere vivente in sé: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen2,24). L’adulterio è un attentato all’integrità della «persona-coppia» perché uccide il «noi» squartandolo in due pezzi e cercando di sostituirne uno con una metà estranea che non potrà mai restituire la vita alla persona- coppia già uccisa. Per questo la legge punisce l’adulterio con l’omicidio (Lv 20,10), applicando la legge del taglione (Es 21,12.24).

14 La terminologia è precisa, perché allo steso modo la troviamo nei vangeli: i Sinottici quando parlano di miracoli usano il termine proprio che è «tèras – prodigio/miracolo» (Es 4,17.12; ecc; Mt 7,22; 11,21; Gv 4,48, ecc.), mentre Gv usa sempre il termine «semeîon - segno». Il primo impressiona perché ha un contenuto di stupore, il secondo invece è appena un indizio che rimanda ad una realtà più profonda. Il «segno» ha bisogno della fede per essere letto, il miracolo, invece, no. Acaz che è un re senza fede non può leggere il «semeîon - segno» anche se esso è sotto i suoi occhi. Lo stesso avviene per i «segni» descritti nel vangelo di Gv.

15 Ezechia regnerà su Giuda (Sud) dal 715 al 686 a.C. Egli fu giusto davanti a Dio e il Signore non lo abbandonò (2Re 16,20; 18,1-8; 1Cr 3,13; 2Cr 28,27-29,2; 32,33; Sir 48,17-25; 49,4; Mt 1,9-10). Egli riaprì il tempio dopo una grande riforma religiosa che purificò dall’idolatri, ristabilì il culto di Yhwh e ripristinò la celebrazione della Pasqua (2Cr 29,3-31,21). La storia lo ricorda come un re buono e pio, timorato di Dio, non come suo padre Acaz che era solo un potente che si serviva della religione a fine politici. Di Ezechia lo stesso profeta Isaia tesse il ritratto in 11,1-8 (cf Domenica 2a di Avvento, 1a lettura-A).

16 A cura di Maria Benedetta Artioli, Lipa, Roma 1999-2000, 2,1416, testo in Id., Cantare la gloria del Signore. Preghiere della liturgia bizantina, Edizioni Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2007, 217. Il tropario riportato è la 1a strofa dell’inno Akàtistos (In piedi) alla Madre di Dio che si canta nei venerdì della grande Quaresima e rappresenta anche la preghiera alla Vergine Madre più popolare della chiesa orientale.



Giovedμ 16 Dicembre,2010 Ore: 14:35
 
 
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