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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 3a di Avvento –A– 12 dicembre 2010 –,di Paolo farinella, prete

Domenica 3a di Avvento –A– 12 dicembre 2010 –

di Paolo farinella, prete

Come abbiamo anticipato nella prima, la domenica 3a di Avvento-A, che celebriamo oggi, prende il nome dalla prima parola dell’antifona d’ingresso. Si chiama, infatti, domenica «Gaudete». L’invito alla «gioia» è tratto dalla lettera di Paolo ai Filippesi: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti… Il Signore è vicino» (Fil 4,4.5). Ripetuto due volte l’invito sottolinea una gioia piena, una gioia completa e senza il minimo offuscamento perché ormai ci avviciniamo sempre più velocemente al Natale.. Anticamente, oggi si sospendeva il digiuno di Avvento perché se «il Signore che è vicino» bisogna fare festa, come Gesù stesso ha insegnato: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto intanto che lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora digiuneranno» (Mt 9,15). Tutta la liturgia odierna riflette questa atmosfera di esultanza.
La 1a lettura è l’annuncio che l’esilio sta per finire e l’autore immagina il ritorno da Babilonia come una riedizione dell’esodo dall’Egitto. Tutto si ripete, ma con maggiore intensità e grandezza. Nell’esodo Dio divise le acque del Mare Rosso per fare passare i suoi figli inseguiti dal Faraone, nel ritorno dall’esilio è tutta la steppa, il deserto che viene inondato di acqua per diventare un giardino, un’oasi senza confini. La caratteristica di questo nuovo esodo è l’abbondanza e il capovolgimento delle situazioni e condizioni: i poveri sono rinfrancati, gli storpi saltellano, i ciechi vedono, l’oppressione diventa un ricordo. Il passato è chiuso e si guarda all’avvenire perché una vita nuova, una nuova èra sono già cominciate. L’avvenire che contempla il profeta è la visione del giardino di Eden che Adam ed Eva non seppero custodire perdendolo. Ora tutto si ricompone e il nuovo esodo non conduce più ad una terra promessa materiale, ma va oltre per approdare a quel giardino perduto da dove ogni maledizione e sofferenza e dolore sono stati banditi. Ritorno al principio attraverso un cammino di purificazione e di austerità che ci ha liberato dalla tristezza e dall’angoscia perché ora non siamo più soli, ma abbiamo ristabilito anche da parte nostra le relazioni con Dio che lui non aveva mai interrotto.
La 2a lettura è tratta dalla lettera dell’apostolo Giacomo, o meglio a lui attribuita, ma forse scritta da un giudeo-cristiano che riflette gli ideali della sapienza ebraica riprendendone l’insegnamento. E’ una lettera enigmatica che non cita mai il nome di Cristo, se si eccettua il saluto iniziale (Gc 1,1). Il brano proposto dalla liturgia si trova nell’ultima parte della lettera che non ha una struttura ben delineata. Il cristiano è paragonato al contadino che vive due sentimenti opposti: egli sa che deve perdere la semente, anzi consapevolmente deve buttarla, e nello stesso tempo sa che la stessa semente gli verrà restituita in abbondanza a garanzia della vita sua e della sua famiglia. L’invito alla pazienza non è invito alla rassegnazione, ma la proposta di un progetto attivo e calcolato. Bisogna perdere per trovare: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25) 
Il vangelo ci parla ancora della figura di Giovanni Battista che oggi riceve un elogio straordinario da parte di Gesù. I tre vangeli sinottici (Mt, Mc, Lc) iniziano con un trittico comune almeno nel canovaccio di schema: la predicazione di Giovanni il Battista (Mt 3,1-12; Mc 1,2-8; Lc 3,1-18), il battesimo di Gesù (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; cf anche Gv 1,31-34) e le tentazioni di Gesù (Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13). Dopo questa introduzione, entra in scena Gesù con l’annuncio programmatico del Regno imminente e del conseguente invito alla conversione (cf Mc 1,14-15). Giovanni è quindi colui che inaugura il tempo del vangelo e si colloca a cerniera tra il Primo e il Secondo Testamento. Appartiene alla tradizione profetica d’Israele perché porta a conclusione le attese messianiche (AT) e nello stesso tempo, apre un tempo nuovo (NT) perché egli è l’amico che introduce lo sposo nella sala nuziale (cf Is 5,1; Gv 3,29).
Continua lo scempio del Natale in cui tutto diventa finto per dovere, anche le cose e i gesti che in se stessi sono autentici e simbolici. Un regalo è segno di una relazione di vita, un segnale che diamo all’altro e una memoria per chi lo fa: nel momento in cui ricordiamo ciò che abbiamo vissuto, sperimentiamo di essere ancora pronti ad andare avanti. Spesso però accade il contrario perché il regalo ha assunto la forma di una circostanza dovuta perché indotta da una società basata sul consumo e sulle apparenze. Oggi si fanno regali anche persone che si sbranerebbero, se solo potessero.
Anche noi cristiani abbiamo smarrito il senso del Natale che è la profonda comunione e condivisione di Dio con la nostra piccolezza: si è fatto bambino per non spaventare gli adulti, è divenuto emigrante per provare lo sradicamento, è diventato forestiero per insegnarci che esiste una sola patria, si è fatto ultimo perché noi diventassimo primi. Come testimoniamo questa realtà nella nostra vita? Qual è il senso vero del Natale che ci apprestiamo a celebrare? Forse è giunta l’ora di abolire il Natale in quanto cristiani per non essere complici di uno scempio che compiamo ancora una volta in nome di Cristo. L’Avvento ci dice che o siamo veri o siamo falsi, non c’è una via di mezzo. Invochiamo lo Spirito Santo perché introducendoci alla santa Eucaristia ci converta alla condivisione della gioia, del pane e della vita con il Resto d’Israele, con i poveri che attendono da noi la rivoluzione del vangelo, la rivoluzione dell’amore. Iniziamo con l’antifona d’ingresso (Fil 4,4.5): «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino».
 
Spirito Santo, tu porti l’allegria dell’acqua nel deserto e l’esultanza nella steppa,             Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la gloria del Libano che guida all’incontro con il Signore,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il coraggio di chi teme il Signore che viene a salvarci,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la «Via Santa» percorsa dai pellegrini che cercano il Signore,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’orientamento e la prospettiva di chi vive secondo lo Spirito,             Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il sigillo della fedeltà del Signore che ama gli oppressi,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la giustizia che nutre gli affamati col pane della vita,             Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il sostegno di chi cade e la forza di chi si rialza,                                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci formi alla paziente attesa del Signore che viene e viene per noi,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’agricoltore che nel campo «perde» il seme per guadagnarlo,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la vicinanza di Dio che rende accessibile la Shekinàh-Dimora,        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’opera del Cristo che conferma la verità della sua venuta,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la speranza dei poveri a cui è annunciato il vangelo della gioia,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il vero precursore che svela alle genti il volto del Dio di Gesù,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu chiami i piccoli ad essere grandi nel regno di Dio che è vicino,               Veni, Sancte Spiritus.
 
Giunti ai piedi dell’altare, il nostro monte Sion, illuminato dalla gloria di Dio, accendiamo la 3a candela della corona di Avvento davanti alla Gloria della Santa Trinità e invochiamo il suo Nome. Alla luce della 1a candela 2a si aggiunge quella della 3a e il chiarore aumenta: è il segno visibile che noi possiamo cambiare il mondo se mettiamo insieme le nostre porzioni di luce. Inneggiamo a Cristo «Sole di giustizia», simboleggiatola questa candela con l’inno della liturgia delle Ore[1]:
 

1. O sole di giustizia, Verbo del Dio vivente,
irradia sulla Chiesa la tua luce immortale.
3. Lieto trascorra il giorno in umiltà e fervore;
la luce della fede non conosca tramonto.
2. Per te veniamo al Padre, fonte del primo amore,
Padre d’immensa grazia  e di perenne gloria.
4. Sia Cristo il nostro cibo, sia Cristo l’acqua viva:
in lui gustiamo sobri l’ebbrezza dello Spirito.

 
Preghiamo. Signore, accendiamo la 3a candela, simbolo della Parola che illumina il nostro cammino (cf Sal 119/118,105). Essa arde e si consuma lentamente, in silenzio fino all’ultimo bagliore. Fa’ che nella nostra giornata anche noi possiamo ardere e consumarci nell’amore. Il tuo Spirito alimenti la nostra fiammella perché possiamo essere sorgente di calore e di luce per quanti incontriamo sul nostro cammino. Giungeremo alla santa Eucaristia, anticipo del Regno, non da soli, ma con una moltitudine di fiammelle che nessuno potrà contare di ogni lingua, popolo e nazione perché il mondo intero sarà un solo fuoco d’amore. Venga lo Spirito, luce beatissima del tuo amore nei nostri cuori. Amen.
 
Nulla avviene per caso. Spesso non sappiamo dare spiegazioni immediate, ma nella logica della conoscenza profonda, noi capiamo sempre dopo il senso di ciò che viviamo. Anche se abbiamo coscienza di essere di stare in un deserto, proviamo ad immaginare con il profeta la trasformazione dell’aridità in sorgente zampillante di vita. La nostra oasi è la Trinità che dimora in noi e dalla quale traiamo energia, forza e luce. Per questo in comunione con tutti i cristiani e le cristiane sparsi nel mondo lasciamo sedurre dalla tenerezza del Padre, del Figlio e dello Spirito che bussano alla nostra porta (cf Ap 3,20) per lasciare in noi il sigillo dell’amore che ci fa vivere:
 

(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
Amen.
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.

 
Nella 3a domenica di Avvento, la liturgia è festosa perché il tempo scorre veloce verso il Signore che viene. Se il Signore viene, noi dove andiamo? Seguiamo l’onda del paganesimo che ha trasformato il Natale, complici i cristiani, in un rituale orgiastico di superficialità e di consumo, mentre tanti Gesù nascono e muoiono nella povertà assoluta, nella miseria, nelle guerre esportate e nell’egoismo di una economia capitalistica senz’anima? E’ necessario fermarsi, fermare il pensiero e domandarsi se è questo quello che vogliamo veramente oppure se vogliamo «ri-nascere». Dentro la nostra coscienza c’è la risposta e nella risposta c’è la Shekinàh accogliente. Lasciamoci purificare il cuore da colui che ci genera suoi figli nel Figlio.
 
Signore, spesso dubitiamo che tu possa trasformarci, converti la nostra aridità,                Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei la «Via» per giungere al Regno, facci ritornare e ritorneremo,                     Christe elèison!
Signore, tu sei la Luce, alimenta la nostra lampada per essere sale e lievito,                    Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente che raduna i dispersi d’Israele, che prepara la via nel deserto e trasforma la steppa in un oasi di vita; che resta fedele anche se siamo infedeli, che c’invita a guardare oltre il fallimento e la morte; per i meriti dei santi profeti, per i meriti di Giovanni il Battezzante che ci chiama alle acqua purificatrici del Giordano, per i meriti di tutti gli uomini e le donne che nella storia si sono lasciati incontrare da Dio, per i meriti della santa Chiesa peccatrice da cui siamo generati e dalla quale siamo nutriti, per i meriti degli Apostoli e dei Martiri e di coloro che attendono la redenzione, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
[Antifona]. O Lògos, Sapienza di Dio, che eri col Padre, prima che iniziasse l’opera creatrice, sii accanto a noi con il tuo Spirito, nel tempo propizio di Avvento: riempi i nostri cuori dei santi doni dello Spirito perché riconosciamo il Signore che passa nel tempo opportuno. Vieni, Santo Spirito, Padre dei poveri.
 
Preghiamo (colletta).Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore il nostro cammino incontro a colui che viene e fa’ che, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Is 35,1-6.8.10. Anche il brano della 1a lettura di oggi, inserito nel libro del profeta Isaia storico del sec. VIII a. C., è opera di un discepolo, forse l’autore del 2° libro, il Deutero-Isaia da cui riprende immagini e contenuti. L’arrivo del Messia è celebrato come un ritorno al paradiso, descritto con l’immagine suggestiva dell’allegria del deserto, dell’esultanza della steppa e della guarigione degli impuri come lo zoppo e il muto (vv. 1-2; 6-7; cf Is 41,17-20; 43,20; 48,21). L’arrivo del Messia, eliminerà le maledizioni conseguenti la ribellione di Adam: il dolore e la sofferenza (Gen 3,16); l’aridità della terra che produce rovi e spine (Gen 3,18) e la pesantezza del lavoro (Gen 3,19). E’ ristabilita la giustizia che è la familiarità con Dio, quella che noi sperimentiamo nell’Eucaristia, il sacramento da cui scorrono fiumi di Spirito Santo che alimentano la trasformazione del mondo in un Paradiso di pace e di giustizia.
 
Dal libro del profeta Isaia 35,1 - 6.8.10.
1 Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. 2Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. 3Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. 4Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”. 5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. 6Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto. 8Ci sarà una strada appianata e la chiameranno “Via santa”; 10su di essa ritorneranno i riscattati dai Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 146/145[2] «Terzo Hallèl – Terzo Inno» e recitato nella preghiera del mattino«si è fatto Parola» di carne (Gv 1,14) che nutre per la liberazione da ogni forma di schiavitù. Noi partecipiamo alla mensa della Parola e riceviamo il ministero del vangelo annunciato ai poveri (Lc 4, 18; 7,22) che sono la vera «passione» di Dio. Facciamo nostra la litania degli oppressi, degli afflitti e degli indifesi di tutto il mondo che ripongono senza stancarsi la loro fiducia in Dio., 7; 8-9a; 9b-10. Gli ultimi cinque salmi del Salterio (146/145-150) formano quello che viene chiamato il[3]. In esso si elencano 10 azioni di Dio in difesa dei poveri. Con 10 Parole Dio ha creato il mondo (Gen 1), con 10 Parole ha fatto alleanza con Israele (Es 20,1-17), con 10 gesti ora salva gli esclusi da ogni sopruso. L’Eucaristia è per noi il Monte Sinai da cui scende «la Parola» per eccellenza che è il Lògos: non abbiamo più bisogno di tante parole, perché ora Dio stesso
 
Rit. Vieni, Signore, a salvarci.

1. 7 Il Signore è fedele per sempre,
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. Rit.
il Signore ama i giusti,
9 il Signore protegge lo straniero. Rit.
3. Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie degli empi.
2. 8 Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
10 Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione. Rit.

 
Seconda lettura Gc 5,7-10. Giacomo ha appena detto parole di fuoco contro i ricchi che non fanno della ricchezza uno strumento di giustizia e di condivisione. Nel brano di oggi si rivolge ai poveri ai quali chiede il «ministero della pazienza» come forza che interpreta gli eventi e li governa. Il paziente è colui che non perde mai la ragione, ma entra nel cuore delle dinamiche per viverle attivamente. Forse l’apostolo preannuncia la caduta di Gerusalemme, per cui lo scritto sarebbe anteriore al 68 a. C. San Giacomo non incita i poveri alla rivolta perché il sistema della ricchezza ha già dentro di sé il virus della morte Oggi diremmo che il sistema capitalistico è marcio dentro perché disumano. Bisogna guardare avanti e imparare dal contadino che in inverno sembra perdere il seme, ma se lo sa aspettare, rispettando i tempi di crescita, saprà goderne anche l’abbondanza. La fretta e la velocità spesso sono sintomi di superficialità che possiamo superare curando uno stile di ascolto dei nostri tempi di crescita che lo Spirito sintonizza con il tempo di Dio. L’Eucaristia è un momento forte di apprendimento e di sperimentazione.
Dalla lettera di Giacomo apostolo Gc 5,7-10
Fratelli, 7siate pazienti fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera. 8Siate pazienti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. 9Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. 10 Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore. - Parola di Dio.
 
Vangelo Mt 11,2–11. Il brano del vangelo odierno è chiaramente diviso in due parti. La 1a riporta l’intervista che i discepoli del Battista fanno a Gesù (vv. 2-6) e la 2a riporta l’elogio che Gesù fa di Giovanni, finita l’intervista (vv. 7-10). Giovanni s’informa se Gesù è «colui che deve venire» (v. 3). Il profeta Isaia aveva annunciato che il Messia sarebbe venuto con «potenza e braccio teso» cioè con forza e violenza (Es 6,6; Is 40,10,ecc.), prospettiva delusa da Gesù che viene guarendo e consolando i poveri. Gesù resta un «mistero» anche per il suo precursore. La 2a parte riporta un elogio grandioso di un uomo austero che Gesù mette in contrasto con il mondo del lusso e dell’opportunismo. Giovanni non è solo un profeta che chiude l’AT, egli è la profezia stessa perché ha il privilegio di indicare il Lògos all’umanità. Nello stesso tempo è «il più piccolo nel regno dei cieli» (v. 11) perché non sa accettare la logica di un Dio che viene nella misericordia e nel perdono. Tutta l’Eucaristia è il sacramento della misericordia e del perdono perché qui incontriamo Dio che è amore (cf 1Gv 4,8).
 
Canto al Vangelo Is 61,1 (Lc 4,18)
Alleluia. Lo spirito del Signore è su di me, / mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri.Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Matteo 11,2 - 11
In quel tempo, 2 Giovanni, che era in prigione, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli 3 mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: ««“Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!».
 
7 Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! 9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10 Egli è colui, del quale sta scritto: Ecco, prima di te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via. 11 In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Nella prospettiva di Giovanni Battista il Messia atteso deve essere un individuo violento, come abbiamo letto nel vangelo di domenica scorsa:
 
«Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di potere sfuggire all’ira imminente? … Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco[4]» (Mt 3,7.11-12).. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile
 
Giovanni riflette il sentire comune perché il Messia era atteso nel contesto del «giorno del Signore» che nella logica dell’AT e dell’escatologia era un «giorno di vendetta» (Dt 32,35; Is 34,8; 61,2; 63,4; Ger 46,10). Gesù invece deluse tutte le attese perché si presenta «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), un Messia «seduto su un puledro di asina» (Gv 12,15; cf Zc 9,9) e non su un cavallo, simbolo di onnipotenza e strumento di guerra. Non porta il giudizio del fuoco, ma consola con l’olio della misericordia; non condanna, ma guarisce chi è condannato alla non vita. C’è qualcosa di scandaloso in lui: va a cercare i perduti e i peccatori, mangia con loro, annuncia loro il volto divino di Dio che si fa carico delle pecore stanche e deboli. Un Dio così è inaudito: è uno scandalo! Eppure anche nell’AT il Messia consolatore era stato annunciato da Isaia (Is 35,5-8; 61,1), ma è evidente che un Dio di vendetta è più consono alla natura umana. Al tempo di Gesù vi erano queste due tendenze riguardo al Messia: una corrente attendeva un Messia «terribile» giudice, l’altra attendeva un Messia liberatore anche se proprio non eccessivamente misericordioso.
Il brano del vangelo di oggi mette in luce questa difficoltà anche nella cerchia dei discepoli: per il semplice fatto che Giovanni gli manda una ambasceria per domandare se sia «tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?» (Mt 11,3) è segno che non è convinto dell’identità di Gesù perché il suo modo di parlare e di agire lasciano aperti molti dubbi. Gesù rifiuta questa logica punitiva e s’inserisce nella dinamica della Scrittura che aveva preannunciato la sua venuta l’inizio di un «anno di grazia del Signore» (Lc 4,19; cf Is 61,1-2). Di più, in questa citazione di Isaia che Gesù fa nella sinagoga di Nàzaret, volutamente omette l’espressione che segue e cioè« giorno di vendetta per il nostro Dio», rivelando un Dio veramente «inatteso», fuori da ogni schema e immaginazione, un Dio non corrisponde a nessun canone prestabilito.
Spesso noi crediamo di potere ingabbiare Dio nei nostri parametri di valutazione e proiettiamo su di lui le nostre idee, i nostri pensieri, la nostra visione del mondo e ci aspettiamo che Dio si comporti come ci comportiamo noi. Del Dio di Gesù Cristo, abbiamo fatto un fantoccio prevedibile! Nessuno può imprigionare Dio e nessuno schema lo può contenere perché egli è sempre «oltre», sempre nuovo.
            «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo» (Mt 11,6)[5] dice Gesù ai discepoli, svelando così che noi dobbiamo purificare il concetto che abbiamo di Dio, perché non corrisponde al volto svelato in Gesù. A questo si riferisce il comandamento «Non pronuncerai invano (nel vuoto) il Nome del Signore, tuo Dio» (Es 20,7) che è il comando che ci impone di non impoverire il Nome di Dio usandolo come un clava contro qualcuno o peggio ancora riducendolo a ideologia per imporre prospettive di vita e leggi civili. Il concilio Vaticano II ci ha messo in guardia perché se ancora oggi gli uomini fanno fatica a vedere il «genuino volto di Dio», ciò è dovuto alla responsabilità dei cristiani che manifestano un «dio» a loro immagine e somiglianza piuttosto che vivere ed essere «ad immagine e somiglianza di Dio» (cf Gen 1,27):
 
«Nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio» (GS, 19).
 
            Il «Dio scandaloso» fa fatica a farsi riconoscere dai suoi contemporanei che pretendono di vedere un Dio appariscente che gioca ai miracoli (cf Mt 4,4.5; 27,40) o che abbia voglia di fare numeri da circo per divertire i curiosi (cf Lc 23,8). Solo sulla croce si manifesterà il volto autentico del Dio di Gesù, quando l’onnipotenza si inchioda all’impossibilità dell’impotenza e resta muto nell’urlo dell’abbandono che si annulla nella volontà del Padre nell’unico atto possibile: perdonare coloro che lo deridono, lo violentano, lo uccidono (cf Lc 23,34). Per tutta la vita Gesù ha annunciato il perdono e la misericordia e nell’atto supremo della vita che è la morte, egli è fedele al suo vangelo: perdona ancora, perdona fino in fondo.
            Giovanni che è il precursore, pur indicando in Gesù l’«agnello di Dio» (Gv 1,29), non sa riconoscerne la personalità e non sa cogliere la portata del suo messaggio. Non basta incontrare qualcuno per conoscerlo, bisogna diventare partecipi della sua personalità e del suo pensiero: in una parola bisogna diventare intimi. Ciò esige tempo, ascolto, disponibilità, attenzione, comunicazione. Una conoscenza non s’inventa in una sera al bar o in una discoteca, una conoscenza è frutto di una consuetudine costante. E’ questo il senso della preghiera: avvicinarsi ogni giorno di più all’«Altro» e lasciarsi avvicinare. Pregare è «lasciarsi addomesticare» da Dio e «addomesticare» Dio. Questo vocabolario è preso dal «Piccolo Principe» dove c’è una insuperabile pagine sull’amicizia che può essere una delle più belle definizioni della preghiera. Ne leggiamo un brano: 
 
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
«Per favore… addomesticami», disse.
«Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose».
«Non si conoscono le cose che si addomesticano», disse la volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!».
«Che bisogna fare?» domandò il piccolo principe.
«Bisogna essere molto pazienti» rispose la volpe. «In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…».
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose… e ritornò dalla volpe… [che gli disse]: «E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante»[6]
 
Pregare è perdere tempo con Dio e permettere a Dio di perdere la sua eternità per noi! Così ci si addomestica e ci si conosce nell’anima. Perdere tempo nel senso di dedicarlo, donarlo, impegnarlo. La prova migliore è l’Eucaristia: se la sua frequentazione non è anche un avvicinamento tra di noi, se non produce una conoscenza e una consuetudine reciproca fino a diventare amicizia e fraternità, la nostra Eucaristia resta un rito muto. Quando noi incontriamo Dio, inevitabilmente ci apriamo agli altri che consideriamo la parte migliore di noi stessi. E’ facile dire di amare Dio, ma è più difficile dire di conoscerlo frequentando le persone in carne e ossa.
            Anche se Giovanni non riesce a riconoscere la personalità profonda di Cristo, resta sempre un profeta, che ne indica la presenza. Di lui Gesù tesse un grande elogio usando immagini contrapposte: Giovanni si veste di peli di cammello come Elia e non è un uomo molle della società vanitosa (Mt 3,4; 2Re 1,8); egli nella sua austerità è forte e resistente come Geremia (Ger 1,17-18) e non è una canna sbattuta dal vento (Mt 11,7), ma per Gesù è il massimo della profezia perché in lui si sintetizza tutta la Toràh e tutti i Profeti. Gesù infatti cita l’Esodo e il profeta Malachia[7] per descrivere al funzione di guida del popolo che Giovanni deve svolgere. Egli somiglia a Mosè che guidò Israele nel deserto fino ai confini della terra promessa ed è l’erede ultimo dei profeti che furono la coscienza del popolo dopo l’ingresso nella terra promessa.
Gesù nello stesso tempo fa un’affermazione forte che è essenziale per comprendere il senso del suo messaggio globale: «il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,11). Questa frase è importante perché ci dice che Giovanni si muove ancora dentro la logica dell’AT e quindi in una prospettiva troppo umana, condizionata dall’esclusività giudaica che cerca di chiudere Dio entro i confini del nazionalismo. E’ «il più piccolo nel Regno dei cieli» perché questi sono l’esplosione di ogni nazionalismo e l’affermazione dell’universalità del messaggio evangelico. Chiuso negli schemi dell’AT Giovanni non può capire lo stile di vita e di parola del Messia che annuncia la misericordia e la tenerezza come nuovi nomi della giustizia di Dio. Per questo è apparso scandaloso ai suoi contemporanei e anche agli amanti della religione come strumento di dominio.
In questa 3a domenica di Avvento-A, impariamo un criterio essenziale per capire la volontà di Dio su di noi: non è sufficiente conoscere le Scritture o essere eredi dei profeti per incontrare e riconoscere il Cristo perché le Scritture non esauriscono il nostro impegno. Accanto alle Scritture che ci offrono le coordinate degli interventi di Dio, è necessario acquisire il discernimento degli avvenimenti che si traduce praticamente nel dovere di aprirsi alle novità della storia e all’imprevedibilità di ogni incontro.
Noi prendiamo atto che la religione per sua natura è «conservatrice» perché si fonda sulla ripetitività di gesti e parole che costituiscono il rituale che è uno strumento di sicurezza e spesso di acquieta coscienza: capita spesso infatti che quello che la religione condanna in un tempo, in un altro tempo lo ammette e lo propugna. Lo stesso avviene per le persone: quelli che la religione ieri condannava, oltraggiava, emarginava, uccideva, oggi sono esaltati, innalzati e portati a modello. Decisamente c’è qualcosa che non quadra.
Aprirsi alla novità non significa rincorrere le mode, ma essere attenti agli eventi che portano in sé un significato nuovo, diverso da ieri e nuovo per oggi. Dio non ci ha affidato la custodia di un museo, ma una Parola che deve essere significativa in ogni epoca e generazione, in ogni cultura e latitudine, altrimenti rischiamo non di annunciare Gesù Cristo, ma la caricatura che noi abbiamo di lui. Lo stile di misericordia e di tenerezza che porta Gesù è il nuovo modo di essere Dio che noi apprendiamo nell’Eucaristia, il sacramento che c’introduce nella Storia di Dio perché diventi la nostra storia di uomini e donne del nostro tempo che è anche il tempo di Dio.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.                 [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.     [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [Intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna.                    Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva dalle tue mani il nostro sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). Sempre si rinnovi, Signore, l’offerta di questo sacrificio, che attua il santo mistero da te istituito, e con la sua divina potenza renda efficace in noi l’opera della salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III[8]
Prefazio di Avvento I/A: Cristo, Signore e Giudice della Storia
 
Il Signore sia con voi.    E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.      Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.             E’ cosa buona e giusta.

E’veramente giusto renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Padre onnipotente, principio e fine di tutte le cose.
Benedetto nel nome del Signore colui che era, che è e che viene, il tre volte «Santo» (Ap 1,4.8; 4,8; Is 6,3).
Tu ci hai nascosto il giorno e l’ora, in cui il Cristo tuo Figlio, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e splendore.
Santo Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison, Christe, elèison, Kyrie, elèison.
 
In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria della tua santità. Osanna nell’alto dei cieli al Signore che viene.
 
Ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno.
«A colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore gloria e potenza nei secoli dei secoli» (Ap 5,13).
 
Nell’attesa del suo ultimo avvento, insieme agli angeli, ai santi e alle sante del cielo e della terra proclamiamo unanimi l’inno della tua gloria:
Osanna nell’alto dei cieli. Christe, elèison, Kyrie, elèison Christe, elèison, Sapienza eterna che pianti la tenda in Giacobbe
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Noi vediamo la gloria del Signore e la magnificenza del nostro Dio che ci raduna dall’esilio (cf Is 35,2).
 
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Il tuo Spirito, o Signore, consola il nostro smarrimento e dice: “Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio… Egli viene a salvarvi”.(Is 35,4).
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Con i cristiani di Filippi siamo sempre lieti nel Signore, perché è vicino (cf Fil 4,4.5).
 
Nella notte in cui fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Tu, o Signore sei fedele per sempre, rendi giustizia agli oppressi, e dai il pane agli affamati (cf Sal 146/ 145,7).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Tu ami i giusti, proteggi lo straniero, sostieni l’orfano e la vedova. Tu, nostro Dio regni per sempre su Sion per ogni generazione (cf Sal 146/145,9-10).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore». Maràna thà – Il Signore viene! (cf Mc 12,29; 1Cor 16,22)
 
Mistero della fede.
Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice annunziamo la tua morte, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno: Maràn, athà – Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Il Signore è vicino! Attendiamo con pazienza la sua venuta come fa il contadino che attende in inverno attende la primavera (cf Gc 5, 7).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
Rafforza la nostra pazienza attiva che sa rispettare i tempi di crescita e rinfranca i nostri cuori perché restino vigilanti e pronti ad accoglierti (cf Gc 5,8).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi e le sante, nostri intercessori presso di te.
«Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri» (Is 61,1; cf Lc 4,18).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare…N.N.… e il popolo che tu hai redento.
Osserviamo i segni del nuovo Regno: ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella(cd Mt 11,5).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Rendici la beatitudine del Regno, o Signore, perché noi non ci scandalizziamo di te e del vangelo (cf Mt 11,6). 
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti… N.N. … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Abbiamo incontrato Giovanni il tuo precursore: egli è il più grande tra i nati da donna, ma il più piccolo nel regno dei cieli è ancora più grande di lui. (cf Mt 11,11).
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Is 35,4: Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco, il nostro Dio. Egliviene a salvarci”.
 
Dopo la Comunione
Credo di padre Giulio Bevilacqua prete dell’Oratorio di San Filippo[9]
Credo in Dio e credo nell’uomo quale immagine di Dio. / Credo negli uomini, nel loro pensiero, nella loro sterminata fatica, / che ha fatto quello che sono. / Credo nella vita come gioia e come durata: / non prestito effimero dominato dalla morte, ma dono definitivo. / Credo nella vita come possibilità illimitata di elevazione e di sublimazione. / Credo nella gioia: la gioia di ogni stagione, di ogni tappa, / di ogni aurora e di ogni tramonto, di ogni volto, / di ogni raggio di luce che parta dal cervello, dai sensi, dal cuore. / Credo nella famiglia del sangue, / nella famiglia prescelta per la mia attività e responsabilità. / Credo nella patria: la famiglia del mondo della tradizione, / della dolce parlata, della libertà. / Credo nella possibilità di una grande famiglia umana, quale Cristo la volle: / scambio di tutti i beni dello spirito e delle mani nella pace. / Credo nella gioia dell’amicizia, nella fedeltà e nella parola degli uomini. / Credo in me stesso, nella capacità che Dio mi ha conferito, perché possa sperimentare / la più grande fra le gioie, che è quella del donare e del donarsi. / In questa fede voglio vivere, / per questa fede voglio lottare / e con questa fede voglio addormentarmi / in attesa del grande, gioioso risveglio.
 
Preghiamo dopo la comunione
O Dio, nostro Padre, la forza di questo sacramento ci liberi dal peccato e ci prepari alle feste ormai vicine. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore è con voi       E con il tuo spirito.
Il Signore che trasforma il deserto in mare, ci trasformi con la sua benedizione,                                     
Il Signore che consola gli smarriti di cuore, ci consoli con la gioia del suo Spirito.
Il Signore che si affretta a venirci incontro, ci colmi della sua tenerezza.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                            Amen.
 
La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Nota: Domenica 3a Avvento Anno-A – Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte: Paolo Farinella, prete 12/12/2010.
 
 
APPUNTAMENTI
Oggi, Domenica 12 dicembre 2010 ore 17,30 in San Torpete, Piazza San Giorgio, Genova per il ciclo «I Concerti di San Torpete» V edizione (2010-2011)  Concerto particolare: LesTambourins provençauxcon François Dujardin, percussioni provenzali e Silvano Rodi, organo.
 
Venerdì           24 dicembre 2010,     Natale:                        ore 21,00: Veglia di Natale
Sabato                         25 dicembre 2010,     Giorno di Natale         ore 10,00: Messa
Domenica       26 dicembre 2010,     Santo Stefano             ore 10,00: Messa
Sabato            01 gennaio 2011,        Maria Madre di Dio, ore 10,00: Messa
Giovedì           06 gennaio 2011,        Epifania                      ore 10,00: Messa
Sabato                         08 gennaio 2011,        «Concerto per organo» ore 17,30: Chiesa di S. Torpete –
(Alessio Colasurdo – organo) Musiche di Zipoli, Mozart, Cimarosa, Walond, Lucchesi, Schiavon, Colasurdo,  Beethoven, Gamberale, Provesi
Domenica 9 gennaio 2011,    Battesimo di Gesù     ore 10,00: Messa.
 
Inizia il tempo ordinario che si protrarrà fino alla Quaresima.
 


[1] Liturgia delle Ore, Quarta Settimana, lunedì, Lodi mattutine, Inno (vol. IV, 1009-1010)
[2] Il Sal 146/145 insieme al 147/146 nella Bibbia greca sono due parti del salmo ebraico 147.
[3] Sugli altri due «Hallèl» cf Domenica 25a Tempo Ordinario-C, nota 4.
[4] «Gesù disse: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco, e chi è lontano da me è lontano dal regno”» (Vangelo apocrifo di Tommaso, n. 82).
[5] Cf anche Mt 13,54-57; 16,20-23; 26,31-33 e in particolare 1Cor 1,17; 2,5.
[6] A. de Saint-Exupéry, Il piccolo principe, Bompiani, Milano 198511, 93-94.98.
[7] Es 23:20: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato»; Ml 3,1: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me».
[8] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.
[9] P. Giulio Bevilacqua (1881- 1965) si forma nella Verona di fine ‘800 in pieno fermento di rinnovamento e di impegno civile. terminati gli studi liceali, si reca a Lovanio dove si laurea in scienze sociali nel 1905 con la tesi sui sindacati in Italia: «Saggio sulla legislazione operaia in Italia». Ordinato prete nella congregazione dei Filippini (Oratoriali) nel 1908, ha tra gli allievi il futuro Paolo VI di cui sarà sempre confidente e maestro. Del fascimo mette in evidenza l’incompatibilità con il cristianesimo, mentre del comunismo rileva la debolezza interna allo stesso sistema. Nel 1922 organizza a Brescia il primo Congresso Nazionale liturgico nella Chiesa della Pace, che può considerarsi l’inizio ufficiale di tutto il movimento liturgico pastorale in Italia. Perseguitato dai fascisti, nel 1928, il giorno dell'Epifania è costretto a lasciare Brescia per Roma dove trova asilo presso l’amico don Giovanni Battista Montini. A Roma partecipa alle iniziative dei due movimenti F.U.C.I. e dei Laureati Cattolici collaborando alla rivista “Azione fucina” e più tardi alla rivista “Studium”. Nel 1946, con altri studiosi, fonda una delle più impegnate riviste culturali del tempo: “Humanitas”. A 68 anni è parroco di una nascente parrocchia della periferia di Brescia, S. Antonio. Nel 1960 è nominato membro della Commissione preparatoria liturgica del Concilio, dove collabora ai lavori della commissione e partecipa alla elaborazione, con un contributo determinante, alla Costituzione “De Sacra Liturgia” approvata il 4 dicembre del 1963. Nel 1964 viene nominato membro del «Consiglio per l’attuazione della Costituzione liturgica», presieduta dal Card. Giacomo Lercaro, genovese vescovo di Bologna. Nel febbraio del 1965 Paolo VI tiene il suo primo concistoro per la creazione dei nuovi cardinali e costringe Padre Bevilacqua ad accettare la porpora. Egli alla fine per obbedienza accetta ad una condizione che possa restare a fare il parroco. E’ il primo e unico cardinale-parroco. Pochi mesi dopo nel maggio dello stesso anno muore ed è sepolto nella sua Chiesa della Pace.


Venerdμ 10 Dicembre,2010 Ore: 19:25
 
 
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