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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 1a di Avvento –A– 28 novembre 2010,di Paolo Farinella, prete

Domenica 1a di Avvento –A– 28 novembre 2010

di Paolo Farinella, prete

Oggi inizia il nuovo anno liturgico con il «tempo forte» dell’Avvento che ci invita a riflettere sulla venuta di Gesù Cristo. Propriamente l’Avvento non è una preparazione al Natale, ma una contemplazione della 2a venuta di Gesù alla fine del mondo come compimento della 1a avvenuta con l’incarnazione. L’Avvento, infatti, fluttua tra questi due appuntamenti con il Cristo: uno già sperimentato, l’altro atteso: il termine stesso, filologicamente, deriva dal latino ad venio/vengo, da cui «Adventus Domini/la venuta del Signore». Nella 1a venuta il Dabàr/Lògos si è fatto fragilità, assumendo la pienezza dell’umanità nel grembo di Maria: Dio ha relativizzato la divinità condizionandosi al passo degli uomini e delle donne. Nella 2a venuta alla fine del mondo, Cristo ritornerà di nuovo visibilmente sulla terra, non più per incarnarsi, ma per liberare l’umanità intera da ogni condizionamento e raccogliere l’eredità della sua 1a venuta, l’incarnazione: ricapitolare in sé tutto il creato, terrestre e celeste (Ef 1,10). Noi viviamo nei penultimi tempi che precedono questo appuntamento verso il quale camminiamo.
L’Avvento si estende per quattro settimane in cui prevale il colore liturgico viola, riservato ai tempi di attesa (Avvento e Quaresima) e di dolore (morte), tranne la 3a domenica, detta Domenica Gaudete/Rallegratevi dalla prima parola dell’antifona d’ingresso, in cui anticamente si interrompeva il digiuno di Avvento, simile a quello di Quaresima, per l’imminente Dies natalis Domini/il Natale del Signore e si indossavano i paramenti liturgici di colore rosa. si fa festa a metà percorso e l’attesa ormai rotola verso la fine. Durante il periodo di Avvento non si canta né si recita il Gloria a Dio nell’alto dei cieli, che ha una struttura innica e gioiosa, mentre si mantiene il canto dell’Alleluia, come speranza aperta al futuro.
Nota storica. Nel 490 il vescovo Perpetuus di Tours stabilì che il periodo pre-Natale fosse un tempo penitenziale nella Chiesa Franca dell’Europa Occidentale. A tale scopo egli stabilì un digiuno di tre giorni ogni settimana a partire dall’11 novembre, festa di S. Martino di Tours protettore della sua città. Tra la festa di San Martino e il Natale intercorrono esattamente 40 giorni. Questo periodo richiamò immediatamente il corrispondente tempo dei 40 giorni della Quaresima, che a loro volta richiamavano i 40 giorni e le 40 notti di Mosè sul monte Sinai (Es 24,18; 34,28), i 40 anni del popolo d’Israele nel deserto (Nm 14,33-24), i 40 giorni che impiegarono gli esploratori della terra di Canaan, mandati da Mosè prima di entravi e prenderne possesso (Nm 13,25) e i 40 giorni e le 40 notti di Gesù nel deserto (Mt 4,2).
Fu quindi naturale che il tempo di Avvento fosse anche chiamato Quadragesima Sancti Martini/Quaresi-ma/Digiuno  di 40 giorni di San Martino.Come la Pasqua era preceduta dalla Quaresima di penitenza, così anche il Natale era preceduto dalla Quaresima di San Martino. Non stupisce che anche le letture fossero prese in prestito dal tempo quaresimale. Si venne così a creare una situazione abbastanza paradossale: si celebra la gioia dell’arrivo del Messia nella sua duplice venuta, ma il clima che la liturgia crea è un clima di penitenza.
Un secolo dopo (sec. VI) anche a Roma viene introdotto il Tempo di Avvento, ma qui assume carattere gioioso e non penitenziale perché sviluppa di più l’aspetto di preparazione al Natale. Si ebbe una strana situazione: in Gallia prima di Natale vi era un tempo penitenziale più lungo perché composto di 40 giorni per assimilarlo alla Quaresima, mentre a Roma, si celebrava un Avvento più festoso, ma anche più corto perché composto di appena 30 giorni. Ciò ci induce a pensare che nella Chiesa non è mai esistita una uniformità di pensiero e di liturgia, ma un sano pluralismo che si basa sull’autonomia delle singole Chiese locali.
Nel sec. XIII, al culmine del Medio Evo, si raggiunse un compromesso che combinò i due aspetti: dalla liturgia gallicana si prese in prestito il carattere penitenziale e i testi della Messa, mentre dalla tradizione romana si assunsero il ciclo più breve (quattro settimane) e il suo andamento festoso. Questo compromesso continua anche oggi perché Paolo VI nella riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II, per rispetto alla tradizione volle mantenere la struttura dell’Avvento e della Quaresima precedenti,. Pertanto la liturgia, specialmente quella del ciclo A che iniziamo oggi, è rimasta la stessa della riforma di Pio V del sec. XVI. Paolo VI però volle che anche i tempi di Avvento e di Quaresima fossero inseriti nel ritmo ciclico triennale che vede una più ricca disponibilità di letture e qualche piccolo cambiamento per sottolineare gli aspetti propri dell’Avvento. Con la 1a domenica di Avvento di oggi inizia il Ciclo A delle letture che avrà come filo conduttore il Vangelo di Matteo. Nei due tempi forti di Avvento e Quaresima, quindi, avremo letture «ballerine», che non seguiranno cioè una lettura quasi continua di Mt, ma avremo brani sparsi in funzione del tema particolare che si tratta in quel giorno[1].
Invochiamo come maestro delle nostre anime lo Spirito Santo che veglia sull’Avvento di Cristo affinché ci dia la sapienza dell’ascolto e il ministero della veglia per entrare nel sacramento dell’Eucaristia che ci fa conoscere il volto di Dio nel volto dei fratelli e delle sorelle. Abbiamo concluso l’anno liturgico-C con l’invito alla vigilanza, apriamo il nuovo anno con lo stesso invito perché l’Eucaristia è il sacramento dell’attesa che nutre l’Avvento prima del Natale e ci apre all’incontro con il Cristo giudice, quando ritornerà nell’Avvento finale della fine dei tempi per prendere possesso del suo Regno preparato fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34). Entriamo in questo tempo di grazia acclamando con l’antifona d’ingresso (Sal 24,1-3): A te, Signore, elèvo l’anima mia, Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Spirito Santo, tu sei il monte del tempio del Signore, elevato sulla cima dei monti,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu convochi i popoli di ogni lingua e nazione al tempio del Signore, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu susciti pensieri e pace e fai deporre le falci e le spade, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu tramuti le spade in vomeri e le lance in aratri per sfamare i tuoi figli, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu insegni a chi ti ascolta a non esercitarsi più nell’arte della guerra,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la gioia dei pellegrini che giungono alla porte di Gerusalemme, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu guidi le tribù d’Israele e la santa Chiesa, al monte della tua Parola, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Pace che scende sulla santa città di Sion, madre di tutti i popoli, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il baluardo che custodisce il cammino dei popoli verso di te, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ci svegli dal sonno della superficialità per vegliare l’attesa d’Avvento,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la luce che illumina il giorno dei credenti che attendono il Signore,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu rivesti il nostro cuore dell’attesa del Signore, il Messia d’Israele, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il discernimento di verità della fine dei tempi che ci guida, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu vegli con noi perché non ci addormentiamo e non siamo sorpresi, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu vegli la nostra anima che vigila e vive l’Avvento del Signore, Veni, Sancte Spiritus.
Cristo è «Luce del mondo», simboleggiato dalla 1a candela che accendiamo nella 1a domenica di Avvento, mentre insieme acclamiamo:
1. L’aurora inonda il cielo / di una festa di luce,
e riveste la terra / di meraviglia nuova.
3. Così nel giorno ultimo / l’umanità in attesa
alzi il capo e contempli / l’avvento del Signore.
2. Fugge l’ansia dai cuori, / s’accende la speranza:
emerge sopra il caos / un’iride di pace.
4. Sia gloria al Padre altissimo / e a Cristo l’unigenito,
sia lode al Santo Spirito / nel secoli dei secoli. Amen
[3].

Preghiamo. Signore, accendiamo la 1a candela, simbolo della Parola che illumina il nostro cammino (cf Sal 119/118,105). Essa arde e si consuma lentamente, in silenzio fino all’ultimo bagliore. Fa’ che nella nostra giornata anche noi possiamo ardere e consumarci nell’amore. Il tuo Spirito alimenti la nostra fiammella perché possiamo essere sorgente di calore e di luce per quanti incontriamo sul nostro cammino. Giungeremo alla santa Eucaristia, anticipo del Regno, non da soli, ma con una moltitudine di fiammelle che nessuno potrà contare di ogni lingua, popolo e nazione perché il mondo intero sarà un solo fuoco d’amore. Venga lo Spirito, luce beatissima del tuo amore nei nostri cuori. Amen.
Tutto, anche le piccole azioni quotidiane, è sempre sotto il segno della Trinità nella quale siamo immersi anche se non sempre ne abbiamo coscienza. Poniamo anche questo piccolo segno di Avvento sotto il suo sguardo, segnandoci con il segno trinitario:
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
Amen.
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Iniziare un nuovo anno liturgico significa domandarsi anche quante volte nella nostra vita abbiamo cominciato lo stesso anno. A che punto siamo della nostra storia della salvezza personale? Dove ci troviamo all’inizio del nuovo anno? Nel NT oppure siamo ancora nell’AT? Siamo con Adam o con i profeti? Siamo in esilio o tra i reduci che rientrano da Babilonia? Che cosa vuol dire «vigilanza» per ciascuno di noi? Sappiamo cogliere i comandamenti di Dio negli avvenimenti che viviamo oppure navighiamo in superficie nella banalità dell’ovvio? Esaminiamo la nostra coscienza e lasciamoci modellare dallo Spirito Santo come la creta nelle mani del vasaio (Ger 18,6; Sir 33,13): egli sa prepararci all’incontro con il Signore che viene, per noi, per me.
[Antifona]. O Lògos, Sapienza di Dio, che eri col Padre, prima che iniziasse l’opera creatrice, sii accanto a noi  con il tuo Spirito, nel tempo propizio di Avvento: riempi i nostri cuori dei santi doni dello Spirito perché riconosciamo il Signore che passa nel tempo opportuno. Vieni, Santo Spirito, Padre dei poveri.
All’inizio di un nuovo anno non si fanno propositi, ma si accetta l’avventura non di un nuovo inizio, ma di un «principio nuovo», cioè di un fondamento che si regge sulla novità di Dio che torna ancora una volta a prendersi cura di noi, dandoci un anno supplementare, «un anno di grazia» (Lc 4,19) perché possiamo decidersi ad incontrarlo nella fede degli apostoli per essere anche noi testimoni nella vita. Apriamo le porte del nostro cuore e lasciamo che lo Spirito ci prepari al banchetto nuziale restituendoci la libertà che nasce dal perdono. Riconosciamoci gioiosamente bisognosi della misericordia del Padre.
[Esame di coscienza non simbolico, ma reale: in tempo congruo]
Signore, noi attendiamo il tuo Avvento: insegnaci ad aspettarti e ad accoglierti,   Kyrie, elèison!
Cristo, sei il Lògos che convoca i popoli, perdona le nostre disunioni, Christe elèison!
Signore, tu sei la Luce, perdonaci quando oscuriamo la tua immagine in noi, Pnèuma, elèison!
Dio onnipotente che chiama i popoli al raduno della Pace nella santa città di Gerusalemme perché depongano le armi e prendano gli aratri per costruire una civiltà universale di fraternità e di giustizia; che ci convoca per celebrare l’Avvento del Signore che viene; per i meriti di tutti coloro che costruiscono la pace, che lottano contro la fame e la povertà nel mondo; per i meriti dei Patriarchi d’Israele, degli Apostoli e dei Martiri, per meriti di tutti coloro che attendono la redenzione, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
Preghiamo (colletta). O Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo regno hai inviato il tuo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell’eterna gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima lettura Is 2,1-5. Il brano di Isaia di oggi è un piccolo poema composto da un titolo (v. 1), aggiunto in epoca posteriore, dall’oracolo propriamente detto (vv. 2-4)[4] e da un versetto (v. 5) che fa da cerniera con il brano successivo (vv. 6-21). L’oracolo contiene molti temi: il tempio elevato sulla cima dei monti che contrasta e annulla l’innalzamento della torre di Babele (cf Gen 11,1-9) e le «alture dei monti» consacrati all’idolatria (Os 4,13). Il 2° tema è la convocazione universale dei popoli per una comune liturgia all’unico Signore. Ogni ebreo deve compiere ogni tre pellegrinaggi a Gerusalemme, ma l’ultimo sarà quello di tutta l’umanità che formerà un solo popolo, una sola lingua, una sola lode, un solo Dio e Padre. Il 3° tema è la pace universale come frutto dell’ascolto e della comunione con la conseguenza che scomparirà non solo la guerra, ma anche la mentalità (l’arte) di guerra.Tutto è centrato sull’ascolto della Parola come fondamento della conoscenza e dell’unità[5].
Dal libro del profeta Isaia 2,1-5
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. 3 Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusa-lemme la parola del Signore. 4 Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. 5 Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.- Parola di Dio.
Salmo responsoriale 122/121, 1-2; 4-5; 6-7; 8-9. Salmo di pellegrinaggio, il Sal 122/121 è cantato dai pellegrini al loro ingresso in Gerusalemme che salutano come trono della gloria di Dio. Essi augurano «shalòm – pace» alla «città della pace - Jerushallàim» e a quanti l’amano. (cf Sal 74/733). L’amore per la santa città di Dio è proprio del popolo d’Israele che, ovunque sia disperso, porta nel cuore il Nome e il ricordo della santa Gerusalemme (cf Sal 137/136,5). La tradizione giudaica insegna che questo salmo sarà cantato per la costruzione del terzo tempio, inaugurato dal Messia. La scelta di questo salmo per oggi è evidente per la simbologia di Gerusalemme nei riguardi di quella celeste, la città illuminata da Dio (cf Ap 21,23).
Rit. Andiamo con gioia incontro al Signore.
1. 1 Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
2 Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme! Rit.
2. 4 E’ là che salgono le tribù,
i troni della casa di Davide. Rit.
3. 6 Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri coloro che ti amano;
7sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi. Rit.
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
5 Là sono troni i seggi del giudizio,
4. 8 Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
9Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene. Rit.

Seconda lettura Rm 13,11-14. Tra il 57 e il 58 da Corinto Paolo scrive la lettera ai Romani che è la più dottrinale e la più importante tra tutti i suoi scritti. Il tema di fondo è il rifiuto dei mezzi di salvezza offerti dalla Toràh, basati sullo sforzo umano (opere) a favore della promessa dello Spirito di Dio come unico mezzo efficace di salvezza. Abolito il culto del tempio, ormai superato, non resta che il culto spirituale dell’etica come testimonianza di risurrezione (Rom 12,1-2). L’impegno etico, la qualità morale della vita è il vero culto spirituale che si deve innalzare a Dio. Nel brano di oggi, Paolo fa una sintesi della sua dottrina: tutta la vita è un costante passaggio dalla notte al giorno. Il tempo della Storia è un cammino verso la pienezza inaugurata dalla venuta del Signore. Le immagini usate da Paolo sono tutte tratte dal mondo biblico. L’Eucaristia è l’abito nuziale che ci introduce nel tempo di Dio che è l’eternità.

Dalla lettera di Paolo apostolo ai Romani 13,11-14
Fratelli, 11 questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12 La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13 Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14 Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo. - Parola di Dio.
Vangelo Mt 24,37-44. Il brano del vangelo di oggi raccoglie materiale sparso e vario sulla caduta di Gerusalemme o sulla, fine del mondo e qui riunito fuori da ogni contesto: sono frasi a sé messe insieme attorno al tema della «catastrofe». La domanda è: quali saranno i segni che anticipano la fine del mondo? Mt risponde con la parabola del fico che annuncia laprimavera (24,32-35); con la parabola del diluvio di Noè che annuncia ladistruzione dell’umanità (24,36-41) e infine con quella del padrone di casa e del ladro che annuncia l’imprevedibilità (24,42-44). Il brano di oggi riporta solo le ultime due parabole sull’imminente fine di Gerusalemme come premessa della fine del mondo. Come il diluvio salvò alcuni e condannò molti, così il giorno del Signore farà una cernita tra l’uno e l’altro a seconda delle proprie disposizioni. Come il padrone è preso alla sprovvista dal ladro così il giorno arriverà senza preavviso. Da qui la vigilanza come categoria di chi attende il Signore che viene. L’Eucaristia è la nostra attesa e il segno per eccellenza che anticipa il nostro incontro finale sul monte del Signore.
Canto al Vangelo
Alleluia. Mostraci, Signore, la tua misericordia / e donaci la tua salvezza. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Matteo 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 37«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. 42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». - Parola del Signore.
Spunti di omelia
Inizia il nuovo anno liturgico e si riprende il ciclo domenicale A delle letture bibliche che per il NT privilegia il vangelo di Matteo. Le letture di questa domenica, infatti, sono segnate da un afflato descrittivo carico di entusiasmo (I e II lettura) e di trepidazione perché ogni inizio, ma specialmente ogni fine (Vangelo) è sempre un trauma e una svolta che impongono alcune scelte definitive.
Sappiamo, e lo abbiamo detto molte volte, che il libro del profeta Isaia si divide in tre parti: la 1a comprende i primi 39 capitoli ed è opera del profeta vissuto nel sec. VIII a. C. a Gerusalemme, l’Isaia storico a cui ci riferiamo ogni volta che pronunciamo il suo nome. La 2a comprende i capitoli 40-55 e si chiama «Deutero/Se-condo Isaia» scritto da una scuola del sec. VII a. C. che riferendosi al suo insegnamento, sviluppa  l’insegnamento del «Primo Isaia» storico. Questo 2° autore riprende le tematiche del profeta vissuto un secolo prima e le applica al proprio tempo. La 3a parte, infine, detta «Trito/Terzo Isaia» comprende i capitoli 56-66, scritti da un altro discepolo o da una scuola di epoca esilica e post-esilica, nei sec. V-IV a.C. In un tempo di crisi e di smarrimento, questo terzo discepolo o scuola di discepoli, porta ad ulteriore sviluppo le idee di universalità e di unicità di Dio e di messianismo, propri del movimento isaiano perché il messaggio grandioso, universale e messianico è estremamente adatto a rincuorare gli esiliati e a farli sognare con la prospettiva del ritorno sulla falsa riga di un nuovo esodo superiore al primo.
Da questo succinto riferimento storico-letterario comprendiamo ancora una volta che la Parola di Dio non può essere improvvisata, ma deve essere studiata. Nello stesso tempo non è da conservare intoccabile come un pezzo da museo, quasi fosse un reperto archeologico che serve a farci capire il passato, ma al contrario è Parola viva, efficace (cf Eb 4,12) che interessa la vita del presente e del futuro e abbiamo l’obbligo di sperimentarla nel nostro vissuto e anche di svilupparla, proiettandola verso il futuro.
I primi cinque capitoli di Isaia contengono dieci poemetti da cui, per la  1a lettura odierna, la liturgia riporta il 1° poema. Tutti e dieci i poemetti appartengono al profeta storicamente vissuto nel sec. VIII a.C. Il poemetto odierno si compone di un introduzione (cf Is 2,1), di un versetto finale di passaggio (cf Is 2,5) e, in mezzo, del poemetto vero e proprio (cf Is 2,2-4) che descrive la pace perpetua sulla terra. Il brano è molto importante perché è uno dei vertici dell’AT: esso contiene l’utopia dell’unità pacifica del genere umano come un pellegrinaggio al «monte del Signore». L’unità e la pace non nascono dall’immobilismo, ma esigono il movimento, cioè una prospettiva e quindi un progetto: gli operatori di pace sono obbligati a mettersi perennemente in stato di esodo. Il pellegrinaggio della Pace esige l’uscita da un mondo di violenza perché con la fatica del procedere ci si incammini verso una mèta da costruire giorno dopo giorno.
Nota storico-politica. I versetti della liturgia di oggi furono trasformati da Giorgio La Pira in progetto politico-mondiale, che lui amava chiamare «il sentiero di Isaia». Dovunque andasse e con chiunque parlasse proponeva il programma di Isaia come programma politico ineluttabile per la sopravvivenza dell’umanità. Nikita Kruscev (1894 – 1971) e Ho Chi Min  (1890 – 1969) furono molto interessati a questo discorso e lo ascoltavano con attenzione e rispetto. Purtroppo l’occidente non seppe o non volle cogliere la profezia del sindaco disarmato che avrebbe chiuso le fabbriche degli armamenti nucleari[6].
Questo poemetto è identico, quasi letteralmente, a quello del profeta Michea (4,13) che esercita il suo ministero alcuni anni dopo Isaia (720-701ca. a. C.) e ciò è segno di autenticità del testo e anche la spia che fu Isaia ad ispirare riflessioni per almeno tre secoli dopo di lui in quanto il suo entusiasmo sul futuro universale ed ecumenico di Gerusalemme ha contagiato le generazioni successive fino ai giorni nostri. Il poema isaiano descrive tre temi: a) l’innalzamento del Monte Sion (v. 2; cf Sal 48/47); b) una liturgia aperta alla convocazione universale di tutti i popoli e c) e la Parola come fonte di conoscenza del disegno di Dio e della sua volontà.
L’innalzamento del monte Sion a cui «con-vergono» tutti i popoli contrasta con la torre di Babele che gli uomini innalzano fino al cielo per sfidare Dio con la conseguenza che si disperdono su tutta la terra (Gen 11,1-9); nello stesso tempo si oppone ai «luoghi alti/alture», dove gli Israeliti sacrificano agli idoli, prostituendosi (2Cr 21,11; 28,4; Sal 78/77,58; Is 36,7). Ora invece i popoli si incitano a vicenda per salire il monte del Signore, da cui ricevono la Legge/Parola, rinnovando così il dono della Toràh a Mosè sul monte Sinai. Non più Babele e la superbia umana, ma il monte Sinai e la coscienza della Legge come dimensione della propria identità (cf Is 2,12-17). Superbia e arroganza sono abbattute e solo Dio può dare compimento alla liturgia universale degli uomini. Il monte di Sion, cioè il tempio di Gerusalemme non è sacro in sé, ma è solo il segno della Presenza di Dio: solo lui sarà esaltato (cf Is 2,11.17) perché sarà il vero tempio per i popoli che ascoltano la sua voce[7]. Non più un tempio di pietra di cui gloriarsi, ma un tempio costruito sulla fedeltà del Messia che viene a radunare gli uomini attorno alla paternità di Dio (cf Is 28,16-17). Quando Gesù scaccia i profanatori del tempio si riferisce al proprio corpo come tempio di Dio (cf Gv 2,19-21) perché l’umanità diventa il «luogo» principe dove Dio si manifesta e parla.
Gesù non farà fatica ad inserirsi nella tradizione profetica, in specie isaiana, quando annuncia il suo vangelo universale che chiama tutti i popoli al monte delle beatitudini per dare loro l’identità di una nuova legge per una nuova umanità. E’ interessante notare che l’ideale della Pace, progetto totalmente umano e profondamente laico trova nella fede e anche nelle religione una propulsione forte che va alla radice del cuore umano. La Pace non è un ideale, ma una costruzione lenta che impegna fatica, dolore e passione. La sesta beatitudine di Gesù dice infatti nel testo originario greco: «Beati gli «eirenopoiòi» (Mt 5,9) che alla lettera si traduce con «i poeti della pace» cioè «gli inventori/costruttori/fabbricatori di pace».
Purtroppo dobbiamo constatare che le religioni nel corso dei secoli sono venute meno al loro ruolo di propulsori di pace per diventare fucine di guerre, di odio razziale, di distruzione dell’altro in quanto «altro/diverso». Esse invece di educare i loro popoli sono andate dietro alle pulsioni delle masse fino a smarrire la dimensione della loro funzione. L’odio tra Israele e Palestinesi, tra una parte di cristiani e musulmani, tra bianchi e neri, le guerre di odio e di morte tra musulmani e cristiani ortodossi in Kósovo (1998-2005); l’odio e l’eccidio in Rwanda (1994) di cristiani (Tutsi) da parte di altri cristiani (Hutu) perché di etnìa diversa, sono indici e fatti che obbligano  le religioni a riprendere la loro dimensione di propellenti di unità oltre ogni diversità o sono un ostacolo alla maturità del genere umano che «inesorabilmente» cammina sul sentiero di Isaia verso il monte del Signore. L’insipienza umana può rallentare la storia, ma non può abolirne il processo necessario che nasce dalla presenza dello Spirito del risorto, disseminato in ogni creatura. Il profeta, infatti, annuncia che lo Spirito di Dio è effuso «Bekòl basàr – su ogni carne [cioè essere che respira] e con la sua azione vitalizzante spinge il creato e in esso l’umanità a partorire sempre un desiderio di unità universale (Gl 3,1).
Il vangelo di oggi è un «centone», raccoglie cioè idee e parole che Gesù ha pronunciato in circostanze diverse e che Mt mette insieme per descrivere in termini tragicamente apocalittici la fine di Gerusalemme come premessa della fine del mondo, usando le categorie mentali del suo tempo. La domanda a cui Mt vuole rispondere è: Come può la comunità cristiana riconoscere i segni che annunciano gli avvenimenti degli ultimi giorni? A questa domanda Mt risponde in modo articolato con tre piccole parabole:
a)  il fico che annuncia la primavera (cf Mt 24,32-35), assente nella liturgia di oggi;
b) il diluvio di Noè (cf Mt 24,36-41)
c)  il proprietario e il ladro (cf Mt 24,42-44).
La liturgia di oggi riporta solo le ultime due parabole: il diluvio e il proprietario e il ladro. La caduta di Gerusalemme è inevitabile perché il Figlio dell’uomo con la sua persona ha sostituito il tempio, cioè il centro della vita stessa della santa città (cf Mt 23,38-39; 26,61-64). In questo modo pare che la caduta della città santa coincida con «il giorno» del Signore che si presenta improvvisamente come avvenne per il diluvio che piombò sull’umanità senza preavviso, creando inevitabilmente una discriminazione: alcuni furono risparmiati, altri caddero vittime (cf Mt 24,40-41 con Mt 24,19-22; cf Gen 7,23). Allo stesso modo, i sopravvissuti alla caduta di Gerusalemme formeranno un «piccolo resto» (cf Ger 44,12.28), premessa e sorgente di un nuovo popolo rinnovato quasi una riedizione della famiglia di Noè che ripopola la terra dopo la distruzione delle acque.
Questo ricordo del diluvio è un modo per dire che gli stessi discepoli, o la prima comunità cristiana era incerta sulla data della fine del mondo e allora cercava nella Bibbia esempi che potessero richiamare la vigilanza e anche la consolazione: se, a differenza di quanto fecero i contemporanei di Noè, ci prepariamo a questo giorno e stiamo pronti, noi possiamo essere il «resto» che ha la missione di ricominciare la nuova umanità. La caduta di Gerusalemme è quindi la fine di una religione «chiusa» particolaristica, mentre il «resto» si apre ad una prospettiva di universalità senza limiti.
La breve parabola del proprietario e del ladro (Mt 24,43-44) è probabilmente la ripresa di un fatto di cronaca recente che impressionò l’opinione pubblica. Gesù se ne serve per illustrare il suo pensiero. Gerusalemme sarà sorpresa come il ladro ha sorpreso il proprietario e lo ha derubato: chi è negligente ne paga le conseguenze (cf 1Ts 5,2-4; 2Pt 3,10; Ap 3,3) perché sarà sorpreso senza preavviso. Coloro che invece vivono la vita consapevolmente, aspetteranno e sperimenteranno la venuta del Signore senza angoscia e senza traumi: sarà un incontro vitale. La caduta di Gerusalemme per la Chiesa primitiva ha avuto lo stesso valore di un parto: si è staccata dal giudaismo e ha cominciato a camminare autonomamente per le strade del mondo con un sentire senza confini e aprendosi ad ogni cultura e popolo. Per uscire dall’isolamento che può diventare isolazionismo anche religioso, è necessario vivere la vigilanza che è l’attenzione che si presta agli avvenimenti che accadono e la capacità di coglierne la portata e il significato alla luce della risurrezione del Signore.
Essere vigilanti non significa quindi essere preoccupati di ciò che può succedere di strano, ma unicamente essere capaci di vivere in profondità la vita che accade comunque, anche a nostra insaputa. In linguaggio moderno possiamo dire che la vigilanza è il discernimento attento e partecipato di ciò che viviamo sia come singoli che come popolo. La vigilanza ha in sé anche una componente psicologica che si chiama desiderio di andare oltre, di raggiungere uno scopo per cui vigilanza e desiderio di futuro sono le due molle che spingono la nostra anima ad essere sempre presente in ciò che siamo e che viviamo.
Ci domandiamo: per essere libero o libera devo assistere alla caduta della «mia» Gerusalemme; so darle un nome? Quando e se vedo cadere la «mia» Gerusalemme» come reagisco? Fuggo da me stesso, nascondendomi, oppure so stare «lì» in attesa di prendere coscienza di ciò che sta accadendo per mettere in moto gli strumenti e i sentimenti necessari per fare fronte alle difficoltà? Come mi preparo di fronte alle imprevedibilità che la vita porta sempre con sé? Mi lascio travolgere dagli avvenimenti oppure vivo equipaggiandomi giorno dopo giorno, prestando attenzione agli accadimenti ordinari e straordinari della vita? Vivo rassegnato o cerco di cogliere in ogni cosa e persona che incontro ciò che c’è oltre la superficialità di apparenza? L’Eucaristia che celebro come dimensione della domenica, fulcro della settimana, quale posto e senso occupa nella formazione della mia vigilanza? Ho/abbiamo coscienza che l’assemblea eucaristica è il sacramento che anticipa e prepara alla fine come ad un incontro con una Persona viva, anticipata nell’incontro che qui ed ora sperimentiamo? 
Se abbiamo coscienza di essere una assemblea sacramento che rappresenta e vive la totalità dell’umanità, qui presente attraverso di noi, allora possiamo intraprendere il cammino di Avvento e andare incontro al Signore che viene con fiducia e gioia, pellegrini verso la convergenza finale insieme ai popoli della terra sul monte del Signore, oggi rappresentato dall’altare che è il monte della conoscenza di Dio, il monte della fraternità tra di noi.
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [breve pausa 1-2-3]
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
Preghiera universale [Intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutti della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; li presentiamo a te, perché diventino per noi cibo e bevanda di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva dalle tue mani il nostro sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, il pane e il vino, dono della tua benevolenza, e fa’ che l’umile espressione della nostra fede sia per noi pegno di salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III[8]Prefazio d’Avvento/13: La duplice venuta di Cristo
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito. In alto i nostri cuori. Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio. E’ cosa buona e giusta.
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro.
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!Tutta la terra è piena della sua gloria (cf Is 6,3).
Al suo primo avvento nell’umiltà della nostra natura umana egli portò a compimento la promessa antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza.
Alla fine dei giorni tu, o Signore eleverai il Tempio del tuo Spirito sulla cima dei monti dove convocherai tutta l’umanità redenta (cf Is 2,2).
Verrà di nuovo nello splendore della gloria, e ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa.
Per questo noi t’invochiamo: manda il tuo Spirito e rinnova la faccia la terra. Maran-athà, tu sei l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, o Signore onnipotente (cf Sal 104/103,30; Ap 1,8).
E noi, uniti agli Angeli e alla moltitudine dei Cori celesti, proclamiamo con gioia l’inno della tua lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison! Christe, elèison!
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, patriarca d’Israele (cf Is 2,3).
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all'altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Tu, o Signore, ci indichi la via perché possiamo camminare sui tuoi sentieri (cf Isa 2,3).
 Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Da Sion, o Signore, viene il tuo Spirito e da Gerusalemme la tua Parola, il Cristo Signore (cf Isa 2,3).
 
Nella notte in cui, tradito, fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Tu, o Signore ci nutri con fiore di frumento e ci sazi con miele dalla roccia (cf Sal 81/80,17).
Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Alziamo il calice della salvezza e invochiamo il Nome del Signore che viene Giudice e Salvatore (cf Sal 116/114-115, 13).
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Tu sei degno, o Signore e Dio nostro, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché tu hai creato tutte le cose » in vista del tuo regno di giustizia e di pace (cf Ap 4,11).
Mistero della fede.
La tua morte annunziamo, Signore, la tua risurrezione noi celebriamo, la tua venuta noi attendiamo pellegrini nel mondo che tu ami. Maràn athà! Signore nostro, vieni.
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
E’ ormai tempo di svegliarci dal sonno, perché tu, o Signore, nostra salvezza, sei vicino (cf Rom 13,11).
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
La notte è avanzata, il giorno è vicino, gettiamo le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce per correre incontro al Signore che viene (cf Rom 13,12).
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
Ascoltiamo la tua Parola per rivestirci di te, Signore Gesù Cristo, nostro redentore (cf Rom 13,14).
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell'amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
Vegliamo e preghiamo, stiamo pronti perché non sappiamo in quale giorno, tu, o Signore verrai (cf Mt 24,42).
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Tu sei sempre con noi, Signore, e cammini con noi: per questo ti aspettiamo nella gioia del cuore (cf Dt 31,23; Gs 1,5; Sal 73/72,23; Sir 50,23).
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo [ricordiamo i nostri defunti…] concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Con l’aiuto del tuo Spirito noi staremo pronti per accogliere te, Figlio dell’uomo, quando verrai alla fine dei giorni (cf Mt 24,44).
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Padre nostro in aramaico: idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit?abed re?utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear?a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta?alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!
Antifona alla comunione(Mt 24,42) «Vegliate, perché non sapete in quale giorno verrà il Signore».
Dopo la comunione
Da «Segni di accelerazione storica» di Giorgio La Pira (1904-1977), Sindaco di Firenze (1951-1965)
(Discorso al Congresso del Consiglio Mondiale della pace, Budapest, 1971)[9]
La tesi storica e politica… sostenuta… era… “la tesi di Isaia”. La tesi cioè che sostiene che la storia è entrata - in questa età atomica, spaziale, ecologica, demografica - nella sua fase in certo senso finale: la fase, cioè, radicalmente nuova della storia nella quale il genere umano è posto ogni giorno più davanti alla scelta apocalittica finale: o la pace millenaria, con la conseguenza del disarmo generale e completo e della liberazione dei popoli da ogni tipo di oppressione e di alienazione che essa inevitabilmente comporta, o la distruzione non solo del genere umano, ma dello stesso pianeta.
Cioè: o la scelta di Isaia (2,1-4) della convergenza dei popoli verso il monte di Dio, della loro unità, della eliminazione della guerra e del mutamento delle armi in aratri e delle spade in falci (è la scelta di Nazareth, Lc 4; è la scelta del “millennio” dell’Apocalisse 20,1 sgg.), o la distruzione apocalittica della terra ed in certo senso del cosmo. La storia ha un senso… essa ha una direzione; essa va, come un fiume, verso una foce, va, come una nave, verso una terra promessa; c’è una stella polare - un punto omega - che orienta in certo senso in modo irresistibile ed irreversibile, nonostante venti e maree, nonostante le anse del fiume, la navigazione storica dei popoli: questa foce, questo porto, questo traguardo, questa frontiera, questa stella orientatrice, questo punto omega, sono costituiti appunto dalla nostra età storica finale (della pace universale, dell’unità e della promozione dei popoli) verso la quale inevitabilmente (in certo senso) sono in movimento, convergono i popoli di tutta la terra…
I popoli sono in movimento, convergono, verso il “monte di Isaia” ove si unificano, si pacificano, si elevano: verso l’edificazione di un’Ara Pacis nuova destinata a definire, a specificare, questa età finale della storia del mondo… Convergere verso il “Monte Sion”; non fare più la guerra e “trasformare le armi in aratri e le spade in falci”: questa è coesistenza pacifica! … Far convergere gli Stati - le città, i popoli - di tutti i continenti per raggiungere rapidamente la coesistenza pacifica e per trasformare, perciò, in modo qualitativo, la civiltà del mondo! Spes contra spem!
Da Kahlil Gibran, Il profeta, Giunti edizioni, Bellaria (Rimini), 2004
[...] E un astronomo disse: Maestro, che sai dirci del Tempo?
Ed egli rispose:
Voi vorreste misurare il tempo, che è smisurato e immisurabile.
Vorreste conformare la vostra condotta, 
e perfino guidare il corso dello spirito,
secondo le ore e le stagioni.
Vorreste fare del tempo una corrente
sulle cui rive sedervi a guardarla fluire.
Eppure ciò che in voi è senza tempo,
sa che la vita è senza tempo.
E sa che ieri e domani non sono che il ricordo ed il sogno dell’oggi.
E che quello che in voi medita
e canta vive tuttora nei confini di quel primo momento
che seminò le stelle nello spazio.
Chi di voi non avverte che il suo potere d’amare è senza limiti?
Eppure chi non sente che questo stesso amore, sebbene illimitato,
è racchiuso nel centro del suo essere,
e che non muove da pensiero d’amore verso pensiero d’amore, 
né da fatti d’amore verso altri fatti d’amore?
E non è il tempo, come è anche l'amore, indiviso ed immoto?
Ma se dovete nella vostra mente scandire il tempo in stagioni,
lasciate che ogni stagione cinga tutte le altre,
E che l’oggi abbracci il passato col ricordo, ed il futuro col desiderio.
Preghiamo. La partecipazione a questo sacramento, che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso cristiano della vita, ci sostenga, Signore, nel nostro cammino e ci guidi ai beni eterni. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Benedizione e saluto finale
Il Signore è con voi E con il tuo spirito.
Il Signore che convoca dalla diaspora i popoli sul santo monte di Sion, ci doni la sua benedizione, Amen.
Il Signore che dona ai popoli la volontà di pace e il disprezzo della guerra, ci consoli e ci rafforzi.
Il Signore che annuncia viene alla fine a giudicare con misericordia, ci colmi della sua tenerezza.
Il Signore che ci convoca alla mensa della vigilanza in vista del Regno, ci protegga e ci sorregga.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen. Termina la messa come celebrazione: inizia la testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
___________________
© Nota: Domenica 1a Avvento Anno-A – Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte: Paolo Farinella, prete 28/11/2010.
APPUNTAMENTO
Per il ciclo «Il nostro ‘58» per il 50° del concilio ecumenico Vaticano II,
su iniziativa di diversi gruppi e associazioni in collaborazione con la Fondazione di Palazzo Ducale,
VENERDI' 10 DICEMBRE 2010, ORE 17.30 a Genova, Palazzo Ducale, Sala del Minor Consiglio
«RONCALLI LEGGE RONCALLI»
Recital con lettura di brani anche inediti di Papa Giovanni XXIII


[1] Nel periodo pasquale proclameremo il vangelo di Giovanni e la lettura quasi completa degli Atti degli Apostoli, mentre con il Tempo Ordinario, che inizia dopo Natale per interrompersi in Quaresima e riprendere dopo Pentecoste, inizieremo una lettura quasi continua del vangelo di Mt, il vangelo dei catechisti, di coloro cioè che dopo avere incontrato il Signore ed essersene innamorati (vangelo di Mc) ed avere deciso di seguirlo (vangelo di Lc), decidono di comunicarlo agli altri come punto di arrivo dell’intero percorso dell’AT e come punto di partenza della nuova alleanza verso la terra promessa del Regno di Dio (Mt 13).
[2] La tradizione della «corona d’avvento» nasce in Germania ad inizio del 1900. Negli anni 1939-40 arriva in Danimarca dove i fiorai l’hanno diffusa in tutto il paese. La coroncina è fatta di rami di abete in cui sono inserite 4 candele bianche o rosse. La coroncina è decorata con nastri di raso rossi. Spesso pende dal soffitto appesa con dei nastri. La prima domenica d'avvento si accende la prima candela, la seconda domenica la seconda candela e così via, in modo che a Natale sono accese tutte e quattro. Se si accende la corona durante la settimana, si accende solo il numero di candele che sono state già accese la domenica precedente. Nelle chiese luterane la «corona d’Avvento e l'albero costituiscono l'unico addobbo natalizio. Dalla Danimarca, dopo la guerra, lentamente, questa tradizione si è espansa in tutto il mondo e ogni paese l’ha adattata alla propria cultura: in molti posti non si usano più le corone fatte con i rami d'abete, ma si trovano corone di ceramica, di ferro battuto, di pasta al sale ecc. L’idea comunque di fondo comune a tutte le tradizioni è la luce sprigionata dalle quattro candele che illumina il cammina verso Natale, il giorno di Cristo «Luce della nazioni» che guida il nuovo esodo verso il secondo Avvento, verso la Gerusalemme celeste degli ultimi tempi.
[3] Liturgia delle Ore, Lodi mattutine, Inno (prima settimana, sabato, vol. IV, 716).
[4] L’oracolo esposto in Is 2,2-4 è molto simile a Mi 4,1-3: «1Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore resterà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli e affluiranno ad esso i popoli; 2 verranno molte genti e diranno: “Venite, saliamo al monte del Signore e al tempio del Dio di Giacobbe; egli ci indicherà le sue vie e noi cammineremo sui suoi sentieri”, poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 3 Egli sarà arbitro tra molti popoli e pronunzierà sentenza fra numerose nazioni; dalle loro spade forgeranno vomeri, dalle loro lame, falci. Nessuna nazione alzerà la spada contro un’altra nazione e non impareranno più l’arte della guerra».
[5] Questo testo era chiamato da Giorgio La Pira «il sentiero di Isaia» che egli portò a tutti i capi di Stato dell’oriente e dell’occidente (Kruscev, Ho Ci Min, Kennedy, Mao, U-Thant, ecc.) che restavano sempre impressionati da questo oracolo, ammettendo spesso che era l’unica soluzione politica per la sopravvivenza del pianeta.
[6] G. La Pira, Il sentiero di Isaia, Cultura Nuova Editrice, Firenze 1978 (19792); Id., Lettere alle claustrali, a cura di Giuseppe Lazzati, Vita e Pensiero, Milano 1978; Id., La casa comune. Una costituzione per l’uomo, a cura di Ugo De Siervo, Cultura Nuova Editrice, Firenze 1979 (19962). Gianni Giovannoni - Giorgio Giovannoni, a cura di, Il Sentiero di Isaia. Scritti e discorsi 1965-1977, Prefazione di M. Gorbaciov, Cultura Nuova Editrice, Firenze, 1996 (nuova edizione interamente riveduta con prefazione di Walter Veltroni, Edizioni Paoline, Milano 2004); V. Citterich, a cura di, Ciò che dice La Pira oggi, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1970; M. Castelli, «Carteggio di La Pira con Malenkov e Chruscev. Le armi atomiche. Religione e realismo», in Aggiornamenti Sociali, nn. 2-3 (febbraio-marzo 1965), Milano.
[7] La traduzione italiana di Is. 8,14 riporta: «Egli [il Signore] sarà insidia* e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case d’Israele, laccio** e trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme». Il testo ebraico, detto «testo masoeretico = TM) porta alcune differenze importanti: «Egli [il Signore] sarà un santuario* (ebr.: miqdàsh), e pietra di ostacolo e scoglio d’inciampo per le due case d’Israele, un laccio** (ebr.: moqèsh) e un trabocchetto per gli abitanti di Gerusalemme». L’ebraico gioca sulle assonanze tra «santuario*» e «laccio*» (miqdàsh/moqèsh sulla radice: «m_q_d_sh / m_q_sh): anche il santuario può essere un inciampo se i riti non corrispondono alla vita e alla verità di Dio. La Bibbia della Cei segue il Targum che non legge «santuario», ma ripete il concetto d’inciampo, per cui Is 8,14 è così reso dal Targum: «Egli sarà laccio e pietra d’inciampo e scoglio che fa cadere per le due case d’Israele, laccio e trabocchetto per chi abita in Gerusalemme».
[8] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.
[9] Giorgio La Pira, Il sentiero di Isaia. Scritti e discorsi, 1965 - 1977, Cultura nuova editrice, Firenze, 1996, 225-234.


Giovedě 25 Novembre,2010 Ore: 14:55
 
 
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