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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 32a Tempo Ordinario -C- 7 novembre 2010,di Paolo Farinella, prete

Domenica 32a Tempo Ordinario -C- 7 novembre 2010

di Paolo Farinella, prete

La domenica 32a del tempo ordinario-C è la terzultima dell’anno liturgico che si concluderà fra due settimane con la solennità di Cristo re dell’universo. Poi si ripartirà di nuovo ricominciando il ciclo triennale con l’anno-A con le letture di tre anni fa. Il tema di oggi è la risurrezione come prospettiva per la fine della storia, quando la lotta tra il bene e il male, descritta nell’apocalittica giudaica, finirà e s’instaurerà definitivamente il Regno di Dio descritto dall’escatologia[1].
Nella 1a lettura il tema della risurrezione è appena accennato ed è una novità nell’AT. Il secondo libro dei Maccabei, datato 2a metà del 2° sec. a. C. è il libro che parla per la prima volta di resurrezione individuale. E’ interessante notare che questo accade, quasi a ridosso della nascita di Gesù: circa 50 anni prima. Ciò spiega perché al tempo di Gesù vi erano correnti contrapposte: coloro che accettavano come libri ispirati solo la Toràh, propriamente detta, cioè i primi cinque libri che noi, nella tradizione cristiana, conosciamo come «Pentateuco», erano restii ad ammettere una vita oltre la morte perché la Toràh mosaica non parla affatto della risurrezione. A questa corrente appartenevano i Sadducei che incontriamo nel vangelo di oggi e che prospettano un caso surreale a Gesù.
La corrente contrapposta era formata dai farisei e dagli scribi che mettevano sullo stesso piano sia la Toràh scritta, rivelata a Mosè sul Sinai, sia quella orale, comunicata da Dio a Mosè oralmente e messa per iscritto nella Mishnàh e nel Talmud solo dal sec II d. C. I libri dei Maccabei nascono in ambiente farisaico. Essi pertanto ammettevano la risurrezione e anche l’esistenza degli angeli (cf At 23,6-8).
Una madre che ìncita i «sette» figli a morire piuttosto che trasgredire la Toràh (scritta e orale) è paragonabile ad Abramo che accetta di sacrificare il figlio Isacco alla logica incomprensibile di Dio (cf Gen 22,1-19). L’insegnamento del racconto è: Dio è il senso della vita e della morte e vivere rinnegandolo sarebbe come vivere senza alito di vita. Il racconto è certamente un midrash di Ger 15,9 che descrive una madre di sette figli piena di vergogna e confusione per il tradimento dell’alleanza e il castigo conseguente: «È abbattuta la madre di sette figli, esala il suo respiro; il sole tramonta per lei quando è ancora giorno, è coperta di vergogna e confusa» (Ger 15,9). I figli nei due casi sono «sette» e indicano la totalità del popolo che nel caso di Geremia viene meno alla fedeltà, mentre nel caso dei Maccabei resta fedele. La madre è simbolo di Gerusalemme nella duplice veste di donna adultera e donna fedele.
Nella 2a lettura l’apostolo Paolo ringrazia Dio per la vita e la testimonianza dei suoi Tessalonicesi che invita alla preghiera per il suo ministero affinché la Parola sia diffusa senza ostacoli, nonostante le difficoltà che provengono dall’interno della chiesa, da coloro che possiamo definire «i tradizionalisti ad oltranza» o i fondamentalisti della religione. Essi non vedono di buon occhio Paolo perché allarga gli orizzonti della Toràh ebraica fino a spingerli ai confini della terra per abbracciare tutti gli uomini e tutti i popoli. Ogni giorno verifichiamo questo pericolo come sempre presente nella chiesa: lo era ieri, lo è oggi e a volte è fomentato anche dalla poco lungimiranza di qualche papa. Nel brano di oggi, Paolo parla di «glorificazione della Parola» (cf 2Ts 3,1) come gli Ebrei parlavano della «Gloria di Dio» che uno dei Nomi alternativi di Dio. Egli ci lascia un modello di preghiera universale, valido ancora oggi perché la preghiera della Chiesa e di ogni cristiano deve sempre essere una preghiera «corale», che respira con i polmoni di Dio, non con il respiro sincopato dell’individualismo.
Il brano del vangelo si richiama direttamente alla 1a lettura, descrivendo una donna che sposa «sette» mariti e dopo averli fatti morire tutti come una «mantide religiosa», muore anche lei[2]. I Sadducei oppongono: se c’è un’altra vita, di chi sarà moglie? Il fatto appartiene alla casistica giuridica, ideale per le discussioni tra diverse scuole. Gesù risponde con pazienza, dicendo in sostanza che i Sadducei sono fuori strada e trattano le cose di Dio come se fossero i loro affari commerciali. Dalla risposta di Gesù, però, possiamo ricavare un dato e cioè che il matrimonio è un avvenimento che riguarda solo il tempo, quindi non è un assoluto e nemmeno un valore definitivo. Il matrimonio appartiene alla logica della necessità della specie. Quando questa logica cesserà perché finirà la storia, il matrimonio non avrà più senso. L’evangelista riporta la risposta di Gesù dove sia l’esempio (v. 36: «sono uguali agli angeli ») che la citazione di Es 3,15 («Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe») sono inappropriati e vedremo come leggerli.
Di certo, la tradizione che ha raccolto questi «detti» non li ha integrati bene, lasciandoci però la possibilità di cogliere lo spiraglio della vita che continua oltre la morte. La morte, quindi, è vista come la soglia tra un modo di essere e un altro modo di vivere. E’ quello che esprimiamo nel Prefazio I dei Defunti: «Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata». Percorriamo questo spiraglio di luce che ci apre alla visione di Dio, invocando lo Spirito Santo che anima il nostro cammino nel tempo, sostiene il nostro passaggio sulla soglie della morte e intercede per noi una vita da risorti in unità con il Risorto. Anteponiamo l’antifona d’ingresso (Sal 88/87,3): «Giunga fino a te la mia preghiera, tendi l’orecchio alla mia supplica».
 
Spirito Santo, hai sostenuto la madre che incoraggia i figli ad essere fedeli alla Toràh,        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, hai suggerito le parole ai figli davanti al tribunale della morte,                       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, hai dato coraggio e forza ai martiri di ieri e ne dài ai martiri di oggi,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, accogli la causa del giusto e sei attento al suo grido che invoca aiuto,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, sei la risposta di Dio a coloro che lo invocano dall’angoscia,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, sei l’ombra dell’Altissimo che protegge con le sue ali il popolo di Dio,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, confermi in ogni opera buona chi attende la consolazione di Dio,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, chiami alla fede gli uomini e le donne perché conoscano il Dio fedele,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, animi la preghiera disinteressata che apre il cuore al mondo di Dio,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, inviti a pregare per il ministero della Parola di tutti i profeti,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, apri i cuori al fascino della risurrezione di Gesù, fondamento della fede,      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, sei il maestro che può insegnarci la vita dalla prospettiva di Dio,                   Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, manifesti il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, Dio dei viventi,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, sei il Vivente che celebra la vita risorta nella celebrazione dell’Eucaristia, Veni, Sancte Spiritus!
 
Lo spiraglio sulla risurrezione che ci prospetta la liturgia di oggi è un invito a cogliere questa dimensione della vita quotidiana: o la nostra vita è vita da risorti o è vita da morti. Essere risorti significa trasmettere questa dimensione a tutto ciò che siamo, che facciamo, che sperimentiamo, anche alle cose materiali. Tutto ciò che tocchiamo come credenti nel Cristo risorto deve portare sempre il sigillo della risurrezione. Nel tempo non siamo i testimoni del matrimonio, ma i martiri della resurrezione: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» (1Cor 15,17). Non siamo portatori di «valori» per quanto nobili, alti e importanti, noi siamo solo gli annunciatori del Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe, il Dio della vita che comincia nel tempo e si adagia nell’eternità, nel grembo della santa Trinità che invochiamo come radice e fondamento della speranza della nostra risurrezione:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Lasciamoci sedurre dallo Spirito del Signore risorto che ispira pensieri di pace e non di afflizione perché possiamo riconoscere in noi il sigillo della sua presenza e il seme della vita senza fine. I nostri limiti, i nostri peccati sono le nostre credenziali davanti a Dio perché lui possa esercitare la sua giustizia di misericordia su di noi. Non abbiamo paura di essere guariti da noi stessi.
 
Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, liberaci dal male della onnipotenza,                   Kyrie, elèison.
Cristo, risorto come primogenito di tanti fratelli e sorelle, perdona le nostre incertezze,                   Christe, elèison.
Signore, tu ci chiami ad essere uomini e donne di risurrezione, liberaci dai pensieri di morte,         Pnèuma, elèison.
 
Dio onnipotente che ha infuso coraggio e dignità alla madre perché infondesse a sua volta la fedeltà ai suoi figli, che ci chiama a condividere con lui la vita senza fine, per i meriti di tutte le sante matriarche d’Israele, per i meriti della santa Madre di Dio, per i meriti degli Apostoli che glorificano la Parola, per i meriti di tutte le madri che vedono morire in qualunque modo i propri figli, ci perdoni da nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo:  [breve pausa 1-2-3]
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, principio e fine di tutte le cose, che raduni tutta l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio, fa’ che attraverso le vicende, liete e tristi, di questo mondo, teniamo fissa la speranza del tuo regno, certi che nella nostra pazienza, possederemo la vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura 2Mac 7,1-2.9-14. Il racconto della madre e dei suoi sette figli che accettano il martirio piuttosto che disobbedire alla Toràh può essere un midrash su Ger 15,9: «È abbattuta la madre di sette figli, esala il suo respiro; il sole tramonta per lei quando è ancora giorno, è coperta di vergogna e confusa». Per Geremia la madre di sette figli è Gerusalemme che piange il suo popolo infedele. Qui sette figli vanno al martirio, cioè la totalità del popolo resta fedele nella prova e attende da Dio la risposta che per la prima volta viene identificata nella «resurrezione» personale. Questo testo è l’unico dell’AT dove si fa capolino, a ridosso della venuta di Gesù, del tema della resurrezione, che è una prospettiva che supera la soglia della morte come dimensione di una vita senza fine. Noi celebriamo l’Eucaristia, il sacramento che spalanca a noi le porte del Cristo risorto, principio e fondamento del nostro vivere.
 
Dal secondo libro dei Maccabei 7,1-2.9-14
In quei giorni, 1 ci fu il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. 2 Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». [E il secondo,] 9 giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna». 10 Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, 11 dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». 12 Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture. 13 Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. 14 Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 17/16, 1; 5-6; 8b-15. Il salmo 17/16 non è lineare, ma abbastanza strano sia per quanto riguarda la sintassi che lo stile. Esprime la preghiera di un uomo onesto che chiede a Dio quella protezione che egli crede di meritare. La tradizione giudaica dice che fu composto da Davide dopo l’uccisione di Uria l’Hittita, marito di Bersabea che Davide prese per sua moglie (2Sa 11,3). A noi basta la preghiera fiduciosa del v. 8 in cui ci affidiamo allo scudo protettivo di Dio, come l’occhio si affida alla palpebra: «Custodiscimi, o Dio, come la pupilla degli occhi». L’Eucaristia è la nostra garanzia e la nostra protezione.
 
Rit. Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
 


1. 1 Ascolta, Signore, la mia giusta causa,
sii attento al mio grido.
Porgi l’orecchio alla mia preghiera:
sulle mie labbra non c’è inganno. Rit.
2. 5 Tieni saldi i miei passi sulle tue vie
e i miei piedi non vacilleranno.
6 Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio;
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole. Rit.
3. 8 Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi,
15 io nella giustizia contemplerò il tuo volto,
al risveglio mi sazierò della tua immagine.Rit.


 
Seconda lettura 2Ts 2,16–3,5. Paolo continua il suo ringraziamento a Dio per la fedeltà e la santità dei suoi Tessalonicesi, alla cui preghiera affida se stesso, stabilendo anche i criteri di questa preghiera che costituiscono in embrione i principi a cui dovrebbe ispirarsi sempre la preghiera universale o preghiera dei fedeli: il ministero dell’apostolo attraverso l’evangelizzazione e la diffusione della Parola (v. 1; cf 1Ts 5,25; Rom 15,30-33; Col 4,2.18); la libertà dell’apostolo nell’esercizio della sua missione; la perseveranza nelle contrarietà e la difesa contro il male. Da ciò possiamo, dobbiamo imparare a pregare: le nostre intenzioni sono spesso intimistiche, individuali, quando non rasentano la piccolezza del nostro limite. Paolo ci indica una prospettiva larga, di respiro: la preghiera come immersione nel mistero salvifico di Dio, di cui l’Eucaristia è anticipo e garanzia.
 
Dalla seconda lettera di Paolo apostolo ai Tessalonicesi  2,16–3,5
Fratelli, 2,16 lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, 17 conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
3,1 Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, 2 e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. 3 Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno. 4 Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. 5 Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 20,27-38. Gli interlocutori di Gesù nel brano di oggi sono i Sadducei, una corrente dominante del tempo di Gesù. Essi rappresentavano l’aristocrazia religiosa, internazionalista in politica, specie nei confronti della cultura greca, ma anche possibilisti nella collaborazione con i Romani occupanti. Non ammettevano ne l’esistenza di angeli, né la risurrezione perché non se ne fa cenno nella Toràh, dal momento che non attribuiscono alcun valore alla tradizione orale (Mishnàh e Talmud). Il caso di chi sia moglie la donna che ha sposato sette mariti, morti prima di lei, è un caso di scuola, non un fatto reale. Nella risposta di Gesù si apre una prospettiva oltre la soglia della morte: non bisogna giudicare realtà fuori del tempo con le categorie del tempo. Il matrimonio e le relazioni sessuali sono destinate a finire perché sono legate alle necessità della storia che finirà e con essa finirà anche il matrimonio. Nella vita che continua dopo la morte, avviene una trasformazione: si vive la pienezza di sé nella comunione con Dio e con gli altri senza remore, senza limiti, senza particolarismi e possessi. Tutti saremo uno in Dio: per questo bisogna impegnare la vita sulla terra a costruire unità e universalità, le due colonne su sui poggia l’Eucaristia che celebriamo.
 
Canto al Vangelo (Ap 1,5.6)
Alleluia. Gesù Cristo è il primogenito dei morti: / a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 20,27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28 «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. 29 C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30 Allora la prese il secondo 31 e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32 Da ultimo morì anche la donna. 33 La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35 ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36 infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37 Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. 38 Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». [39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene". 40E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.] – Parola del Signore.
 
Tracce di omelia
Per capire il racconto della madre e dei sette figli della 1a lettura, bisogna fare un riferimento storico, come quadro della situazione reale, dal momento che il racconto è un midrash, come vedremo, e quindi non è un fatto storico. Dopo la morte di Alessandro Magno, il suo immenso impero fu diviso tra i suoi generali. La Palestina toccò ai Selèucidi che provarono a piegare i Giudei alla vita e alla cultura greca. Nel sec. II a.C. regnava in Palestina il selèucide Antioco IV Epìfane che per pagare i debiti con i Romani si impossessò del tesoro del Tempio dopo averlo sconsacrato e dedicato a Zeus Olimpo. Israele visse questo fatto come la più grande tragedia nazionale. Nacquero resistenze e opposizioni che ben presto sfociarono una autentica rivolta nella quale si distinse il clan dei Maccabei che guidò la ribellione della Giudea contro il re Antioco per circa trent’anni (166-135 a. C.). Nel 164 Giuda Maccabeo, sconfisse l’esercito selèucide e riconsacrò l’altare del Tempio di Gerusalemme[3].
Il momento è delicato, i Selèucidi vogliono cancellare la memoria ebraica del popolo d’Israele e favoriscono in ogni modo l’ellenizzazione della cultura e dei costumi, introducendo terme, teatri, giochi, divinità alla maniera greca[4]. Il brano della 1a lettura si riferisce a questo periodo e ne rappresenta quasi simbolicamente il clima e la realtà perché vi furono certamente Ebrei torturati o uccisi per fedeltà alla Legge e per disobbedienza a leggi ingiuste.La storia parabolica della madre e dei «sette» figli è riportato nel 2° libro dei Maccabei, l’ultimo dei libri storici della dell’AT. Esso è stato scritto nella cerchia dei Farisei, fieri difensori della identità religiosa del popolo d’Israele. Probabilmente il racconto è un midràsh, cioè un commento esegetico alla storia di Gerusalemme che il profeta Geremia descrive come una madre «sette» figli afflitta e sconsolata per l’infedeltà del suo popolo: «“E’ abbattuta la madre di sette figli, esala il suo respiro; il sole tramonta per lei quando è ancora giorno, è coperta di vergogna e confusa. Io consegnerò i loro superstiti alla spada, in preda ai loro nemici”. Oracolo del Signore» (Ger 9,15). Abbiamo quindi il confronto tra due donne che rappresentano Gerusalemme: quella di Geremia rappresenta Gerusalemme infedele al patto di alleanza, quella di Maccabei invece Gerusalemme fedele.
Stabilendo la connessione tra Geremia e 2° Maccabei si capisce il senso che è questo: quello che gli uomini distruggono, Dio lo ricostruirà a patto che i figli d’Israele siano fedeli alla Legge dell’alleanza. Il numero «7» indica totalità e quindi significa che come tutti i figli di Gerusalemme sono stati traditori, ora al tempo dei Maccabei tutto Israele è fedele alla Legge dei padri. Madre e i figli accettano il sacrificio della vita per restare fedeli alle Legge. I farisei attraverso questo racconto diffondono la loro dottrina sulla risurrezione che comincia ad aprire una finestra  oltre la morte. Infatti, la salvezza che Dio accorda è la risurrezione (cf 2Mac 9.14), vista come raduno dei figli di Sion morti prima della venuta del Regno di Dio.
Nella tradizione giudaica, la risurrezione è sempre un’immagine: la morte rappresenta l’esilio e la vita sempre il ritorno dall’esilio. Il libro dei Maccabei aggiunge una novità che è la fede nella risurrezione individuale che, a sua volta, è un’idea molto recente che prende corpo in Israele nel sec, II a. C. e quindi mezzo secolo circa prima della nascita di Gesù. Qui però la risurrezione è vista ancora nell’ottica giudaica della retribuzione: come la ricompensa per la fedeltà alla Legge; da essa infatti sono esclusi i malvagi (v. 14). E’ un modo di pensare ancora troppo materiale che Gesù purificherà e porterà al principio di Dio: la vita è un dono che deve essere donata e la risurrezione è il modo per condividere questa vita con Dio. Anzi si può dire che la risurrezione per la vita di Dio partecipata agli uomini che a loro volta sono chiamati a condividere con gli altri perché chi non ha mai dato non sa e non è capace di accettare. Nel brano evangelico abbiamo un racconto analogo, sebbene molto diverso.
Gesù, dopo la tappa a Gerico, la città maledetta, che abbiamo visitato anche noi domenica scorsa, sostando nella casa di Zaccheo, ora è salito a Gerusalemme, la meta del suo viaggio. Qui si reca al Tempio dove comincia l’ultima fase della sua vita: una serie di scontri durissimi con la religione ufficiale. Fino alla morte. Il primo scontro è con i Sadducei che insieme ai Farisei, agli Anziani e agli Scribi formavano il Sinedrio, composto proporzionalmente da 72 persone. I Sadducei ammettevano come Scrittura rivelata solo la Torah scritta, rivelata a Mosè sul Monte Sinai e che noi della tradizione cristiana conosciamo come Pentateuco. Della Toràh essi davano una interpretazione letterale. Poiché nella Toràh di Mosè non si parla di risurrezione, questa non esiste. Ad essi si opponevano i Farisei che invece ammettevano accanto alla Toràh scritta, anche quella orale che, secondo loro, Dio stesso avrebbe comunicato a Mosè, sempre sul Monte Sinai[5]. I Sadducei erano aristocratici e propensi a collaborare con i dominatori, sia greci che romani. Il popolo li sentiva lontani e non li stimava a differenza dei Farisei che invece erano molto vicini al popolo, cercavano di venire incontro alle sue esigenze. Da un punto di vista religioso, i Sadducei erano fondamentalisti e quindi non possono accettare l’idea della risurrezione che si trova in scritti molto tardivi come dimostrano i libri dei Maccabei che si estendono dal sec. II al sec. I a.C.
I Farisei invece credono nella risurrezione come dimostra l’episodio di Paolo descritto nel libro degli Atti 23,6-9: «Paolo, sapendo che una parte era di Sadducei e una parte di Farisei, disse a gran voce nel sinedrio: “Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti”. 7 Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra Farisei e Sadducei e l’assemblea si divise. 8 I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose».
Di fronte a Gesù, i Sadducei costruiscono un caso limite per affermare il loro punto di vista e trarre in difficoltà Gesù che, invece, seguiva la dottrina dei Farisei. Nel brano del vangelo troviamo una donna, ma questa volta non con «sette» figli, ma con «sette» mariti ai quali sopravvive. I Sadducei, che non credono alla risurrezione, tendono una trappola a Gesù e con sarcasmo gli propongono un caso da scuola, apparentemente inestricabile: se esiste la risurrezione e tutti risorgono di quale dei «sette» mariti sarà moglie? Ancora una volta troviamo il numero «sette» che è emblematico perché è la spia della difficoltà insuperabile: come se dicessero «tutti» gli uomini l’hanno avuta in moglie. Essi si chiudono in casistiche in cui restano imprigionati. Per loro la vita è tutta terrena e oltre l’orizzonte delle cose materiali, non vi è altro. Per loro tutto deve avere un prezzo e un contraccambio, non sanno cogliere il valore gratuito dell’esistenza e quindi non sanno vedere Dio.
E’ il destino di chi ama più le regole che la vita, più la norma che la persona, più le «questioni di principio» che la realtà della vita che spesso scorre oltre e al di là delle nostre aspettative e prudenze. Gesù infatti nella sua risposta apre nuove prospettive. E’ interessante vedere che Gesù non si ferma mai sull’acquisito, ma si lancia sempre oltre: non chiude mai, apre sempre, non frena, ma incita, non condanna mia, ma perdona sempre. Il suo ragionamento è semplice, ma diventa complesso per chi non sa vedere oltre le proprie convinzioni ristrette.
Il matrimonio è una necessità legata al tempo e alla esperienza umana, esso non appartiene al regno di Dio che ha una dimensione spirituale. Gesù ridimensiona il matrimonio e lo riporta alla sua necessità di propagazione della specie come aveva ridimensionato la famiglia, allargando l’orizzonte verso la famiglia più grande dei credenti (Mr 3,33-35). Quando finirà la storia, finirà anche il matrimonio, finirà la famiglia che sono realtà necessarie nell’ordine del tempo. Nella visione beatifica, noi vivremo una relazione di pienezza con tutti come se tutti fossero nostri figlie e mariti e moglie e amanti perché ognuno di noi s’identificherà in Dio e in Lui saremo la pienezza «una»: veramente nessuno sarà estraneo a nessuno perché tutti ritroveremo la nostra unica e piena identità di porzione di Dio che ritrova la propria unità assoluta.
L’altro insegnamento, infatti, che Gesù afferma è la risurrezione dei corpi. Il testo deve essere passato per diverse mani perché resta oscuro, specialmente in due punti: «sono uguali agli angeli» (v. 36) e le citazioni bibliche usate a sostegno della risurrezione dei corpi che sono male assortiti. Per spiegare la risurrezione (v. 37) Gesù si rifà a Es 3,6 e 15 dove Dio si presenta come «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (v. 38). Il ragionamento potrebbe essere questo: Dio ha fatto alleanza con i patriarchi in un certo tempo ai quali ha fatto promesse, custodendoli da ogni pericolo. Se i patriarchi fossero morti, Dio non avrebbe senso perché sarebbe il Dio dei morti, cioè proteggerebbe una alleanza con gente inesistente e che non può corrispondere: sarebbe ridicolo.
I Patriarchi hanno senso perché la morte non li inchioda nel nulla, ma li introduce in una relazione speciale con il Dio della Promessa che così è tramandata ai discendenti degli stessi Patriarchi. Senza la risurrezione, l’alleanza e la storia d’Israele non avrebbero scopo perché tutto sarebbe proiettato nel nulla, nel vuoto. Dio si è fatto garante sia dell’alleanza liberando dalla schiavitù d’Egitto che diventa così il simbolo, la parabola della liberazione più strepitosa che è la liberazione del male più grande cioè la morte. Àdam ed Eva introdussero la morte nel mondo che nel piano di Dio non era prevista, e ora attraverso la vita dei suoi fedeli la risurrezione è di nuovo reintrodotta come sistema di vita senza fine. Essa è la risposta definitiva al peccato di Adamo ed Eva
Dopo la venuta di Gesù, la morte perde tutto il suo alone di tragicità per essere il momento più alto della vita, quello in cui si compie l’incontro definitivo dell’alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo. Ciò è possibile perché è Dio stesso che fa l’esperienza della morte. In Gesù veramente possiamo dire: «Dio è morto». Solo così infatti si poteva introdurre il germe della vita anche nel sonno della morte e sconfiggerla per sempre.
Gesù accenna una frase oscura: «perché sono uguali agli angeli». Non sappiamo cosa volesse dire esattamente. Di una cosa però possiamo essere certi: Gesù non intende dire nulla sulla natura degli angeli, per cui ogni conclusione sugli angeli a partire da questo testo, sarebbe una illazione. Non ci dice chi sono, come sono e cosa fanno. Gesù intende affermare soltanto che la realtà oltre la morte sfugge alle categorie di pensiero e di descrizione umane che restano incapaci di esprimere ciò che non sperimentano. Noi parlando della vita dopo la morte, non possiamo che applicare pensieri e immaginazioni che ricaviamo dalla vita terrena e parliamo di banchetto, di festa, di luce, di gioia, mentre in effetti non possiamo dire nulla perché il nostro linguaggio non è adeguato. Possiamo solo stare in silenzio e pregare di essere pronti all’incontro nuziale con il Dio dell’alleanza, che ora viviamo già in anticipo nella celebrazione dell’Eucaristia i cui segni sono sproporzionati alla realtà che esprimono, ma è attraverso la loro povertà che possiamo incontrare il volto di Dio: Parola e Pane che si donano a noi come annuncio, ascolto e cibo per essere capaci di affrontare il cammino che ancora ci separa da lui. Nel frattempo abbiamo ancora un tempo a nostra disposizione per vivere i giorni che ci restano come uomini e donne di risurrezione. Nonostante ostacoli, difficoltà, delusioni, resistenze. La vita infatti è sempre più forte della morte.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale[intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Questa offerta che ti presentiamo, Dio onnipotente, ci ottenga la grazia di servirti fedelmente e ci prepari il frutto di un’eternità beata. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 


PREGHIERA EUCARISTICA III
Prefazio dei defunti 1: La speranza della risurrezione in Cristo
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.Kyrie, eleison! Christe, elèison! Osanna nell’alto dei cieli.
 
In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura.
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Tutta la terra è piena della sua gloria (cf Is 6,3).
 
Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo.
Tu, o Signore, non sei il Dio dei morti, ma dei viventi: il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (Mt 22,32)
 
Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo senza fine l’inno della tua lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison! Christe, elèison!

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
I figli insieme alla madre furono pronti a dare la vita piuttosto che offendere te, o Signore dei viventi (2Mac 7,2)
 
 Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e  il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Attendiamo, da te o Dio, l’adempimento delle speranze di essere di nuovo risuscitati (cf 2Mac 7,14).
  
Nella notte in cui, tradito, fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Venga per noi il Pane del cielo, quello vero che dà la vita(cf Gv 6,32).
Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il Nome del Signore (Sal 116/115-114,13).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Sia glorificata la tua Parola sulla terra, vengano il tuo Regno e la tua Pace, o Signore,» (cf 2Ts 3,1; 2Sal 145/144,11).
 
Mistero della fede.
Annunziamo la tua morte, Signore, celebriamo la tua risurrezione, attendiamo la tua venuta. Maràna thà! Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell'attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Il nostro Dio ci renda degni della sua chiamata e porti a compimento ogni nostra volontà di bene e l’opera della nostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo (cf 2Ts 1,11).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i nostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene (cf 2Ts 2,16-17).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
Tu, o Signore sei un Dio fedele: confermaci nella fede e custodiscici dal maligno (cf 2Ts 3,3).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell'amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
In te, o Cristo risorto, noi siamo stati generati figli della risurrezione per la vita eterna (cf Lc 20,36).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, Dio dei nostri padri, radunaci da ogni diaspora nella tua casa (cf Lc 20,37).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
O Signore nostro Dio, tu non sei il Dio dei morti, ma il Dio vivente che dona la vita e la conserva (Lc 19,6; Sap 16,26).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, 
nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 21,18-19: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete le vostra vita».
 
Dopo la Comunione
Non è necessario presentare Giorgio La Pira, deputato alla costituente, sindaco di Firenze e «utopista» profetico della pace. Riportiamo un suo pensiero perché il 9 novembre ricorreva il 30° anniversario della sua morte. Da sottolineare che lo scritto è del 1950.
 
Da Giorgio La Pira, La difesa della povera gente
Forse che le parole di Gesù – “I poveri li avrete sempre con voi” - legittimano in qualche modo una struttura sociale - economica, finanziaria, politica - che ha tollerato nel passato e tollera nel presente, in dimensioni ancora così vaste, il cancro della disoccupazione e della miseria? No: i poveri non sono un’Eucaristia sociale (il carissimo e rimpianto Don Moresco non poteva che dire questo: che un cristiano deve avere tanto desiderio di eliminare la disoccupazione e la miseria quanto ne ha - o dovrebbe averne - di ricevere Cristo nella sua anima): essi sono il documento vivente, doloroso, di una iniquità nella quale si intesse l'organismo sociale che li genera: sono il segno inequivocabile di uno squilibrio tremendo - il più grave fra gli squilibri umani dopo quello del peccato - insito nelle strutture del sistema economico e sociale del paese che li tollera: essi sono la testimonianza della ulteriore sofferenza che gli uomini (i credenti) infliggono a Cristo medesimo (“lo avete fatto a me”): essi sono l'eco sempre viva e sempre preoccupante di quelle parole così dure che l'apostolo S. Giacomo ha pronunziato (mi si perdoni la citazione, non è rivolta a nessuno, ma è monito inequivocabile per tutti): “Ebbene adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi: le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vestimenta sono state rose dalle tignole. L'oro e l'argento vostro è arrugginito e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi, e quasi fuoco divorerà le vostre carni”. E i “ricchi” non sono soltanto i “privati ricchi”, sono anche, e soprattutto, coloro che possiedono le leve dell'economia, della finanza e della politica: coloro, cioè, che sono stati posti a capo della famiglia, dispensatori fedeli e prudenti, destinati a un solo scopo: dare a tutti il lavoro ed il cibo al tempo opportuno. (…) Ecco, dunque, l'assioma che finalizza la vita cristiana (e, quindi, la vita politica di un cristiano): quando Cristo mi giudicherà io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica (nella quale tutte le altre sono conglobate): - Come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?”.
 
Preghiamo. O Dio, che ci hai nutriti con questo sacramento, ascolta la nostra umile preghiera: il memoriale, che Cristo tuo Figlio ci ha comandato di celebrare, ci edifichi sempre nel vincolo del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Amen
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che convoca la madre con i figli alla beatitudine del martirio, ci doni la sua benedizione ,          Amen.
Il Signore che sostiene i perseguitati a causa della giustizia e delle fedeltà, ci consoli col suo Perdono,       Amen.
Il Signore che invita a guardare oltre le apparenze, oltre la morte, ci colmi della sua tenerezza,                   Amen.
Il Signore che con al sua risurrezione ci consacra ministri di risurezzione, ci protegga e ci sorregga,           Amen.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                                                              Amen.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                                                              Amen.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.                                                     Amen.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                            Amen!
 
La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia. Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
__________________________________
© Nota: Domenica 32a del Tempo Ordinario –C, + Supplemento - Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte Paolo Farinella, prete 7/11/2010
 
 
APPUNTAMENTI
 
1.      Giovedì 4 novembre 2010 ore 17,00 a Genova in Piazza De Ferrari (monumento a Garibaldi), organizzata da «Oltreilgiardino» MANIFESTAZIONE PUBBLICA contro i l’abolizione dei servi sociali, specialermnte per i malati mentali e gli invalidi. Per aderire mandare una mail a oltreilgiardino.ge@yahoo.it
E’ IMPORTANTE PER I GENOVESI PARTECIPARE IN TANTI E DARE UN SEGNALE CHE NON SIAMO NE’ RASSEGNATI NE’ SUCCUBI.
 
2.      Sabato 6 novembre alle ore 16,00 su iniziativa della Biblioteca universitaria di Genova, Via Balbi 3, 2° Piano sala di lettura, in occasione della presentazione del libro «Il padre che fu madre»: interviene il prof. Roberto Celada Ballanti, docente di Filosofia della Religione all’università di Genova; subito dopo l’autore Paolo Farinella, prete farà una introduzione sintetica sulla formazione dei vangeli e darà un saggio di esegesi sul testo greco di Lc 15.
 
3.      Lunedì 8 novembre 2010 alle ore 21,00 su iniziativa dell’Associazione di volontariato «Il Gibbo» nella Chiesa di Santa Maria, Corso Garibaldi a Gubbio (PG), già parrocchia di don Angelo Maria Fanucci della Comunità di Capodarco dell’Umbria, per il ciclo «Laici e Credenti per un mondo nuovo, incontro con Paolo Farinella, prete sul tema: «Qual è lo snodo essenziale della sofferenza e della speranza dell’uomo di oggi? Quali le scelte prioritarie?».
 
4.      Mercoledì 10 novembre alle ore 17,30 nella chiesa di San Torpete in Genova, P.za San Giorgio, su iniziativa del movimento Libertà e Giustizia, sezione di Genova, ospitiamo un incontro su «Costituzione, riforme costituzionali e sistema politico» con la prof. ssa Lorenza Carlassare, Professore emerito di Diritto Costituzionale all’Università di Padova. Introduce il prof. Enzo Roppo - Professore di Diritto Civile, Università di Genova.
 
5.      Sabato 13 novembre 2010 ore 18,00 Palazzo Ducale, Sala del Camino, l’Associazione «Prato-Onlus» di Genova presenta una eccezionale performance teatrale «Chi Siamo Chi siete» realizzata da persone con disagio psichico e psicologico a cui seguirà la proiezione del cortometraggio «Giovanni e il Pesciolino Rosso. Una Storia di Follia». Io non ho visto i pezzi, ma persone «addentro» mi assicurano che sono due pezzi imperdibili e un modo per contrastare l’azione del governo miserevole che vuole fare pulizia etnica di chi non è «come loro». Noi siamo orgogliosi di non essere come loro, nemmeno in disegno.
 
6.      Venerdì 3 dicembre 2010 ore 21,00 nell’ Oratorio San Giovanni Battista di Montegranaro (Fermo), conferenza di Paolo Farinella, prete sul tema: «Dio è laico!».
 
7.      Lunedì 6 dicembre 2010 alle ore 20,30 per iniziativa del Centro Studi Judicaria del PD a Tione di Trento incontro con Paolo Farinella, prete dal titolo: «Italia sempre più alla deriva. Abbiamo il dovere di salvarla! Da dove partiamo ?». 
 


[1] Apocalittica L’apocalittica interpreta il tempo presente come giunto al termine e legge la storia che cammina verso il compimento finale (escatologia) come una lotta decisiva tra il bene e il male, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. E’ anche la dimensione della comunità di Qumran. Escatologia è parola greca composta da «èschata – cose ultime/finali/estreme» e «lògos – discorso/studio/spiegazione/parola». E’ la dottrina che si occupa della fine della storia e quindi del destino ultimo dell’uomo. Nell’AT essa è contenuta in modo particolarenei libri profetici di Daniele, Isaia, Ezechiele, Zaccaria che si proiettano nel futuro, descrivendo un tempo messianico di ricchezza e di pace per il popolo di Israele e un «giorno di Yhwh» di giudizio o di salvezza. La morte e la risurrezione di Cristo introducono un cambiamento radicale in questa prospettiva perché ora tutto l’AT è reinterpretato alla luce dell’evento pasquale di Gesù, che per i cristiani è il Messia non solo d’Israele, ma dell’umanità intera. Il tempo che viviamo tra la risurrezione di Cristo e la fine del mondo è definito «penultimi tempi» in quanto precedono appunto gli «ultimi tempi» della seconda venuta di Cristo per concluderà la storia. L’apocalittica si sviluppa all’interno dell’escatologia. è parola greca composta dalla preposizione «apò – sotto» e «kalýptō – nascondo», assumendo il significato di «rivelazione/manifestazione delle cose nascoste». Il termine è stato inventato dagli studiosi per descrivere una corrente di pensiero che si è formata almeno dal sec III a. C. fino alla fine del sec. I d. C.
[2] Un parallelo si trova anche nel libro di Tobia, dove si narra della giovane Sara data in sposa a «sette» uomini, morti tutti prima di consumare il matrimonio. Solo Tobia sposerà Sara perché affiderà il suo matrimonio alla protezione di Dio che interviene per liberare Sara dal demonio Asmoneo (Tb 3,7-7-8).
[3] Narra la tradizione che tra le rovine fu trovata una ampolla con ancora il sigillo del Sommo Sacerdote, ma la quantità era sufficiente per un solo giorno. Invece avvenne il miracolo: l’olio bruciò per otto giorni consecutivi illuminando i giorni di gioia e consentendo ai sacerdoti di prepararne altro. Questo fatto è ricordato ancora oggi con le parole che diventano anche il saluto nei giorni della festa: «Nes Gadòl Hayàh Shàm – un grande miracolo è accaduto là». Si rinnovò il miracolo di Elia con la vedova di Sarèpta (1Re 17,16). In memoria di questo evento, da allora in Israele sic celebra la festa delle luci, detta di Chanukkàh e si accende la Menoràh ad otto bracci.
[4] I Selèucidi sono conosciuti anche come «Asmonei» (dal nome di Asmon, un loro antenato) e governarono al Giudea fino alla distruzione del Tempio nel 70 d.C.
[5] Questa legge orale tramandata da Giosuè di generazione in generazione fu messa per iscritto solo dal sec. II d. C. per evitare che andasse perduta, specialmente in epoca di diaspora. Nacquero così prima la Mishnàh e poi il Talmud, di cui si conservano due tradizioni: quella che si sviluppò in Palestina e quella che si sviluppò in Babilonia a cominciare dall’epoca dell’esilio.


Mercoledì 03 Novembre,2010 Ore: 14:24
 
 
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