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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Liturgia della memoria dei defunti 2 Novembre 2010,di Paolo Farinella, prete

Liturgia della memoria dei defunti 2 Novembre 2010

di Paolo Farinella, prete

Il giorno successivo alla festa dei Santi e delle Sante è il giorno che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione di tutti i defunti. Le due memorie sono logiche e connesse. Il mistero della santità che ieri abbiamo assaporato oggi viene esteso a tutti i defunti che noi vogliamo ancora affidare alla paternità di Dio e nello stesso tempo vogliamo pregare perché siano essi ad intercedere per noi che restiamo ancora pellegrini in cammino verso la Santa Gerusalemme. La commemorazione haorigini antiche e si perdono nella notte dei tempi. Il culto dei morti è la prima forma di religione primitiva che in epoca romana assume la forma del culto dei Lari[1], dopo essere passati attraverso l’Ade dei Greci e il mondo dell’aldilà della cultura dell’Egitto dei Faraoni.
La commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche e ai culti, all’ateismo e all’indifferentismo: dall’antica Roma, alle civiltà celtiche, dal Messico alla Cina, dalla notte dei tempi ai nostri giorni in questi giorni i cimiteri diventano luoghi di mesto pellegrinaggio, di visite alle tombe, ovunque con un solo obiettivo: consolare in qualche modo le anime dei defunti perché proteggano al vita dei viventi sulla terra. Con il passare del tempo questa ricorrenza come sempre diventò un momento pagano, senza alcun riferimento religioso, espressione di esorcismo delle paure che il lungo inverno con il suo messaggio di morte porta con sé. I defunti non sono più amici e protettore, ma pericolo e spiriti maligni. La tradizione celtica esprime questa realtà per cui la ricorrenza oggi restaurata di Halloween (che in origine era Hallowmass: Santificazione/Messa in onore dei Santi), è diventata un espediente economico che sfrutta le paure ancestrali a scapito di una riflessione seria e spirituale sulla morte e sulla vita. In memoria dei morti e per spaventarli ci si mascherava da santi, da angeli e diavoli con maschere di zucche essiccate e svuotate per esorcizzare la paura accendendo grandi falò che illuminavano la notte e sconfiggevano il buio[2].
Noi celebriamo questa Eucaristia per tutti i defunti dei presenti e ognuno potrà al momento giusto nominarli uno per uno: dire il Nome significa evocare la Persona, il suo valore e la sua Presenza. Celebriamo questa Eucaristia anche per tutti i defunti di tutti gli amici che conosciamo attraverso internet e tutti insieme formiamo una sola comunità, una sola chiesa. Di ieri, di oggi e di domani. Possa lo Spirito Santo darci il «gusto» della morte perché possiamo assaporare e vivere la vita nel segno della Risurrezione, facendo nostre le parole dell’Antifona d’ingresso(cf 4Esd 2,34-35): L’eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua.
 
Spirito Santo, tu sei la vita che vince la morte perché sei la sorgente della risurrezione,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu proteggi e guidi coloro che muoiono nel passaggio alla vita in Dio,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu cammini con noi pellegrini verso la Gerusalemme celeste,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu santifichi il nostro cuore perché sia sempre pronto all’incontro finale,      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai disseminato la storia dei segni della risurrezione del Cristo,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidi chi muore all’incontro con il Signore Gesù Giudice giusto,   Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il nostro Paràclito/Avvocato davanti alla Maestà di Cristo Giudice,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la pienezza della vita ora e dopo la nostra morte nel Regno di Dio,     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu custodisci i meriti di Gesù Cristo per farci entrare nel seno di Abramo,   Veni, Sancte Spiritus!
 
La morte per i cristiani è il compimento supremo della vita, la chiave di lettura dal punto di vista finale di tutta la nostra esistenza. Imparare a vivere la vita guardandola dal punto di vista della morte significa percorrere il cammino di maturità con coscienza e sapendo costantemente chi siamo e cosa facciamo. La nostra cultura, basata sulla superficialità e sul criterio del consumo, ci ha formati alla paura della morte e quindi alla sua banalità. La morte viene rimandata sempre a domani, anche quando ne sperimentiamo l’improvvisa presenza quasi quotidianamente. Oggi giorno della memoria dei defunti e delle defunte di tutti i tempi, vogliamo guardare in faccia la morte con simpatia e amicizia, invitandola alla mensa della nostra vita perché accetti di essere nostra compagna e sorella. Lo facciamo guardando al sepolcro vuoto del Signore che è risorto da morte per la potenza del Padre con la forza dello Spirito. Per noi credenti, morire è «vedere il Signore come egli è». Invochiamo su di noi, pellegrini verso la Gerusalemme celeste, l’ombra della Santa Trinità:
 
 (ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
«Nessuno vive per se stesso, nessuno muore per se stesso. Sia che viviamo sia che moriamo noi siamo del Signore». San Paolo ha dato la dimensione perfetta del nostro relativismo esistenziale: il nostro orizzonte è il Signore. Sempre. Nulla è sottratto alla sua signoria, davanti alla quale vogliamo sostare adesso per aprire l’uscio della nostra coscienza e permettere quell’incontro vitale che ci rigenera alla vita, anche nella morte perché la vera morte è non vivere davanti alla Shekinàh/Presenza del Signore. Questo è il motivo per cui nella santa Eucaristia, noi facciamo l’esame di coscienza che è la finestra aperta sull’amore di Dio.
 
Signore, tu sei morto consapevole di offrire la tua vita per gli altri, abbi pietà di noi,          Kyrie, elèison.
Cristo, che sei stato resuscitato dal sepolcro perché avessimo la vita, abbi pietà di noi,     Christe, elèison.
Signore, che accogli i nostri defunti nel regno della tua Gerusalemme, abbi pietà di noi,    Pnèuma, elèison.
 
Dio onnipotente che non sei Dio dei morti, ma il Dio vivente di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che convoca i popoli al banchetto della vita sul suo santo monte, per i meriti dei santi Patriarchi e delle sante Matriarche d’Israele, per i meriti di Gesù che ha risuscitato il figlio della vedova di Nàim, il servo del centurione e l’amico Lazzaro, per i meriti di tutti i nostri defunti che vivono nella luce della Gloria della Trinità, in attesa della nostra ora, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
Preghiamo (colletta).
Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli e sorelle defunti risorgeremo in Cristo a nuova vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, Gesù Cristo che è Dio e vive e regna nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola (SECONDA MESSA)
Prima letturaIs 25,6.7-9. I capitoli 24-27 di Isaia, in passato sono stati considerati come testi disparati senza una propria unità. La scienza biblica però, anche alla luce del manoscritto scoperto a Qumran (1947), oggi è concorde nel ritenere che questi capitoli formano un libretto unitario del dopo l’esilio, databile tra il V e il IV sec. a.C., opera di un autore anonimo che si richiama alla teologia del profeta Isaia vissuto nel sec. VIII a.C. Il blocco dei cc. 24-27 è chiamato «Apocalisse maggiore» per distinguerlo dai cc. 34-35, detti «Apocalisse minore», altra inserzione dovuta al 2° Isaia (autore dei cc. 40-55) e maldestramente inserita nel contesto del 1° Isaia. Il termine «apocalisse» indica un movimento di pensiero, sorto dopo l’esilio perché legge la storia dal punto della fine del mondo e si svilupperà in modo particolare con i profeti Daniele e Zaccaria (9-14) e nel libro apocrifo di Enoch. Il libretto dell’«Apocalisse maggiore» da cui è tratto il brano della 1a lettura di oggi, contiene tre liturgie della parola per celebrare l’intronizzazione di Yhwh re d’Israele. Il brano di oggi appartiene alla 2a liturgia di cui riporta la 2a lettura che descrive lo sfarzoso banchetto regale e le acclamazioni della folla festante. Partecipando all’Eucaristia non siamo invitati ad un sontuoso banchetto, ma alla mensa povera della Parola e del Pane spezzato che chiedono solo di essere condivisi e consumati per saziare la fame della conoscenza di Dio.
 
Dal libro del profeta Isaia 25,6-10a
In quel giorno, preparerà il Signore degli eserciti, per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 25/24,6-7bc; 17-18; 20-21 Salmo alfabetico, il salmo 25/24 si compone di 22 versetti, uno per ogni lettera dell’alfabeto ebraico, tranne il v. 18 che è senza lettera. Il genere letterario è un’antologia senza ordine e senza logica: vi si trovano lamentazione, supplica e riflessioni sapienziali senza un nesso diretto tra loro che fanno apparire il salmo come un centone per molti usi. Nonostante ciò però vi si può individuare  la supplica individuale di un peccatore che chiede di conoscere le vie del Signore (v. qui assente). I vv. 7-10 sono di natura storica potrebbero celebrare il trasferimento dell’arca al tempo di Davide (cf 2Sam 6,12-16; Sal 69/68; 133/132). Noi facciamo nostro il salmo come preghiera di comunione con tutti gli Ebrei e i cristiani che lo hanno pregato lungo la storia della salvezza, memori che anche Gesù e Maria sua madre lo hanno pregato nella sinagoga di Nazaret. La fedeltà eterna che il salmista canta (v. 6) per noi domina dal trono della croce su cui il Figlio si consuma totalmente nella fedeltà all’umanità creata.
 
Rit. Chi spera in te, Signore, non resta deluso.


1. 6 Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
del tuo amore che è da sempre.
7 Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore. Rit.
2. 17 Allarga il mio cuore angosciato,
liberami dagli affanni.
18 Vedi la mia povertà e la mia fatica
e perdona tutti i miei peccati. Rit.
3. 20 Proteggimi, portami in salvo;
che io non resti deluso,
perché in te mi sono rifugiato.
21 Mi proteggano integrità e rettitudine,
perché in te ho sperato. Rit.


Seconda lettura Rm 8,14-23. Paolo ha appena finito di illustrare il contrasto «carne-spirito» e ora mette in luce che sullo sforzo della volontà umana prevale la grazia dell’azione di Dio: le opere della «carne» non possono salvare, mentre l’uomo è vivificato dalla forza dello Spirito di Dio. «Carne» è sinonimo di fragilità, caducità, mortalità e di presunta autosufficienza da Dio. «Spirito» invece è sinonimo di trasfusione di vita tra Dio e l’uomo che a lui si affida. Questa relazione tra Dio e l’umanità fonda per Paolo il concetto di solidarietà che egli estende non solo alle relazione tra le persone, ma anche tra le persone e la natura, il creato, fino ad identificare un comune destino nella sofferenza, nella morte e nella liberta della redenzione. L’uomo e la natura fisica sono legati all’uomo attraverso la fisicità del corpo che per un verso è segno di  corruttibilità, ma per l’altro apre alla speranza della risurrezione perché sia la natura che l’umanità sono partecipi della corporeità risorta del Figlio di Dio. E’ qui il fondamento nel NT per un’assunzione di responsabilità di fronte alla salvaguardia della stessa sopravvivenza della terra. Qui si trova la ragione di fede per un rispetto della natura che è il rispetto che si deve al corpo stesso di Dio che a noi viene nei segni del pane e del vino, frutti della terra che ci è madre.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8,14-23
Fratelli e Sorelle, 14 tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo spirito che rende figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». 16 Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. 18  Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19 L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20 La creazione infatti è stata sottomessa alla caducità — non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta — nella speranza 21 che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22 Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23 Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. - Parola di Dio.
 
Vangelo Mt 25,31-46 Quale sarà la sorte dei pagani, di coloro che non hanno mai incontrato Cristo sulla terra o ai quali non è mai giunta la predicazione del vangelo? Mt oggi risponde a questa domanda. Gli Ebrei pensavano che alla fine i pagani sarebbero stati confusi e distrutti (Is 14,1-2; 27,12-13; Sal 6,11…). Non così Gesù che parla del «più piccolo dei miei fratelli», riferendosi sia agli apostoli che hanno lasciato tutto per seguirlo, ma anche al povero per se stesso senza alcun riferimento a Dio. Gesù infatti è venuto a chiamare poveri, storpi, ciechi, esclusi, emarginati di ogni sorta. La carità/agàpe è il segno e la via maestra per instaurare il Regno di Dio sulla terra. Per questo partecipiamo all’Eucaristia che è la scuola dell’amore ricevuto e partecipato senza condizioni. Il regno di Cristo è il Regno dell’amore senza contraccambio.
 
Canto al Vangelo cf Mt 25,34
Alleluia. Venite, benedetti del Padre mio, / ricevete in eredità il regno / preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Matteo 25,31-46
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31 «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32 Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. 33 Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35 perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi.” 37 Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?” 40 E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.” 41 Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42 perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43 ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44 Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” 45 Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.” 46 E se ne andranno: questi al supplizio eterno, e i giusti invece alla vita eterna». – Parola del Signore.
 
Omelia
            La morte c’è, conviviamo con essa ogni giorno, siamo anche capaci di banalizzarla come avviene quando è protagonista nelle programmazioni tv, eppure, non siamo capaci di familiarizzare con lei. Oggi la liturgia ci offre la possibilità di riappropriarci della nostra morte perché essa ci appartiene di diritto perché essa è parte integrante della vita. Vivere e morire sono la stessa cosa perché l’uno senza l’altro non possono coesistere: las liturgia della Parolae a tutta la Chiesa universale.conduca alla vita eterna. anchetto della vi vita senza la morte non ha senso e la morte priva della vita (sembra un paradosso!) è impossibile. Quando di fronte alla sofferenza e alla morte sentiamo frasi come «Se Dio ha voluto così, bisogna rassegnarsi!... Se Dio permette questo (una malattia, la morte di un bambino, di un adulto per tumore, incidente, disgrazia, ecc.)... non è giusto! Perché Dio permette tutto questo?», è segno che siamo fuori strada e di Dio abbiamo una concezione di «Padre-padrone» o da «Sudditi/schiavi-tiranno».
            Noi sappiamo che Dio non vuole il male dei suoi figli e neppure permette la sofferenza: nessun padre si diverte a provare la fedeltà dei figli con sofferenze e atrocità. Un Dio del genere, se lo incontriamo per strada ,abbiamo il dovere di ucciderlo e seppellirlo sul posto. Non è questo il Dio di Gesù Cristo che sulla croce sperimenta la desolazione della morte e, come qualsiasi persona umana, chiede di non essere solo. Egli, prima id morire, grida due invocazioni. La prima è rivolta a Dio ed esprime la disperazione di chi sperimenta la morte come ineluttabilità: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). La seconda è rivolta al Padre in atteggiamento filiale di abbandono pacificato: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Per formazione e cultura abbiamo un rapporto «esteriore» con la morte, per cui la esorcizziamo e la escludiamo dal nostro orizzonte, aumentando così il suo potere e il suo terrore. Crediamo che non parlarne sia sufficiente per allontanarla dal nostro orizzonte.
E’ duro a dirsi, ma la morte è il frutto maturo e alto della nostra libertà, delle nostre scelte, delle nostre valutazioni. Noi sappiamo che nel momento in cui uno muore, in fondo al buio che spegne la vita non c’è il vuoto, ma c’è Dio che è già lì a raccogliere il nostro respiro e la nostra speranza. Anche Gesù nell’orto del Getsèmani ha sperimentato la solitudine abissale della paura della sofferenza e della morte, ma nel momento di mollare gli ormeggi, l’ultima sua parola, come abbiamo detto, è stata: «Padre». Oggi, memoria dei defunti di tutti i tempi e di tutte le latitudini, anche noi facciamo nostra l’invocazione alla paternità di Dio perché ci insegni a vivere la morte come la parrte migliore della vita, il coronamento della nostra maturità.
            La morte è il non senso della vita, ma proprio per questo è anche il momento più alto dell’esistenza e la fede ci dice che quando il momento, non sappiamo come, arriva, quello coincide quasi sempre con il punto più alto della nostra maturità e della pienezza del nostro esistere. Personalmente ogni giorno chiedo al Signore il dono della morte, perché se Gesù è una realtà storica e se le cose che ha dette sono vere, allora deve essere bello vedere il volto di Dio come è, senza veli e senza mediazione. Sì, come insegna san Paolo, desiderare la morte è una cosa bella perché significa entrare per sempre nella Pasqua perenne: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno... Sono stretto tra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, e sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo» (Fil 1,21.23).
            La vita nasce dalla morte perché ogni persona che viene al mondo è il frutto della morte di qualcuno perché il padre e la madre danno una parte di sé perché un altro possa sedersi alla mensa del loro amore. Per questo è probabile che il primo pensiero che si forma nella mente del nascituro sia il pensiero della morte che lo accompagnerà per tutta la vita. La morte secondo la visione cristiana è «una prospettiva» aperta al futuro perché tutti siamo chiamati alla morte che così diventa una «vocazione», ma è anche rivolta al presente perché se impariamo a leggere la vita dal punto di vista di essa, noi saremmo capaci di gestire il nostro cammino e le nostre esperienze con più serenità e pienezza. Vivere la vita dal punto di vista della morte significa avere la certezza che nessuno di noi ha la garanzia della vita e anche che possiamo morire da un momento all’altro.
            Se sappiamo che possiamo morire entro un’ora, un pomeriggio, il giorno, abbiamo due soluzioni: o ci disperiamo e corriamo a suicidarci o cogliamo l’occasione e non perdiamo tempo, ma viviamo il tempo possibile che ci resta in tutta la sua pienezza. Allora, ogni cosa diventa importante, anche le più banali: un saluto, una parola, un disguido, una fatica, un dolore, una persona, un amore.... possono essere l’ultimo evento della nostra vita e la morte che sta sempre appollaiata sulla soglia della nostra esistenza ci insegna a non sciupare nulla, ma a vivere tutto come se fosse l’ultimo atto, l’ultimo gesto che deve essere compiuto nella solennità che merita. Tutto diventa importante, tutto si trasforma in scelta consapevole. Se sappiamo che l’Eucaristia che celebriamo può essere l’ultima nostra Eucaristia, come possiamo banalizzarla, trasformandola in gesto di abitudine, in un rito frettoloso, come qualcosa be «bisogna fare» e chiudere al più presto perché altre cose più urgenti ci aspettano. Vivere dal punto di vista della morte significa cogliere e comprendere le conseguenze delle nostre scelte, ma ancora di più delle nostre omissioni.
            La liturgia di oggi ci apre a questa prospettiva perché la memoria dei Defunti e delle Defunte è quasi la prosecuzione della solennità di ieri: la festa di Tutti i santi e di Tutte le Sante. Le letture hanno un andamento pacificante che ci introducono nel cuore del pensiero di Dio, liberandoci dalla paura, ma immergendoci nella responsabilità perché alla fine del mondo non saremo giudicati sulle parole o sui rituali che abbiamo celebrato, ma sulla relazione che abbiamo vissuto con la persona di Gesù: se l’abbiamo riconosciuta nella persona dei poveri e dei piccoli oppure se ci siamo dedicati alla religione dell’incenso e dei paramenti. Cosa possiamo e dobbiamo pensare dei nostri morti? A noi piace pensarli all’interno del pensiero giudaico che ci apre una prospettiva che supera la nostra piccolezza e il limite del nostro spazio e del nostro tempo. Sì, veramente tra la morte e la vita non c’è differenza perché «se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore» (Rm 14,8).
            Narra una tradizione ebraica[3] che in ogni generazione vi sono trentasei giusti (in ebraico: Lamed Vav Tzadiqìm) nascosti che reggono le sorti del mondo. Essi nascono giusti e non lo sanno e non possono commettere ingiustizia, perché il loro compito è quello di reggere le sorti del mondo intero. Nessuna generazione ne è priva perché «Per mezzo dei giusti il mondo acquisisce stabilità»[4]. Essi appartengono alla discendenza di Melchìsedech (etimol.: Re di giustizia) che l’unico personaggio della Bibbia di cui non si conosce la genealogia , come se le sue origini avessero inizio nell’eternità di Dio e si perdessero nel suo infinito senza tempo e senza spazio. Egli accoglie Abramo come sacerdote dell’Altissimo e gli offre il pane e il sale dell’ospitalità (Gen 14,19-20).
            La tradizione dei trentasei giusti si basa sulla figura di Abramo (cf Gen 18,23-33) che per salvare la generazione di Sodoma implora da Dio la sua misericordia in nome della presenza di cinquanta giusti, contrattando alla maniera orientale fino a dieci giusti. La situazione di Sodoma è tragica perché in essa non si trovano nemmeno dieci giusti, che il numero minimo (minyàn) per la preghiera comunitaria o per celebrare il banchetto di Pasqua. Per gli Ebrei i Giusti sono trentasei come gli anni del patriarca Isacco quando fu legato sull’altare del monte Moira per essere sacrificato al Signore (cf Gen 22,1-19) da Abramo. I cristiani provenienti dal Giudaismo hanno trasferito questa tradizione su Gesù perché anche lui fu legato alla croce all’età di trentasei anni per essere crocifisso sul monte Calvario.            Questi giusti hanno vissuto in mezzo a noi e ancora oggi sono in mezzo a noi, ma sono anonimo: la loro vita, i loro meriti, la loro stessa esistenza e la loro morte sono un pilastro che sorregge l’umanità intera perché, senza di essi, cadrebbe in rovina. Per questo oggi noi non preghiamo soltanto per i nostri morti, ma vogliamo anche pregare Dio per i meriti dei nostri defunti perché insieme formiamo la sola Gerusalemme, loro ne contemplano il volto celeste e noi ne sperimentiamo la dimensione terrestre in cammino verso il Regno finale. E’ il «mistero della Chiesa» ed anche il «mistero della Storia» che mentre la percorriamo per noi diventa storia di salvezza.
Preghiera dei fedeli  [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.              Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva dalle tue mani il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).
Accetta, o Padre, i doni che ti offriamo in questo sacramento d’amore che tutti unisce in Cristo tuo Figlio, e accogli i nostri fratelli e sorelle defunti nella gloria del tuo regno. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA III: Prefazio dei defunti 1: La speranza della risurrezione in Cristo
 
Il Signore sia con voi.    E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.      Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.             E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Osanna nell’alto dei cieli.
 
In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura.
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Tutta la terra è piena della sua gloria (cf Is 6,3).
 
Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo.
Tu, o Signore, non sei il Dio dei morti, ma dei viventi: il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (Mt 22,32)
 
Per questo mistero di salvezza, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo senza fine l’inno della tua lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison! Christe, elèison!
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
Le anime dei giusti sono nelle mani tua mani, o Signore e nessun tormento le potrà toccare (cf Sap 3,1).
 
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Tu perdoni tutte le nostre colpe, guarisci tutte le nostre malattie; ci coroni di grazia e di misericordia (cf Sal 103/102,3-4).
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Noi confidiamo in te, Signore e vogliamo vivranno presso di te nell’amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai tuoi eletti (cf Sap 3,9).
  
Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse:
PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima nostra anela a te, o Dio (cf Sal 41/40,2).

Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
L’anima nostra ha sete di Dio, del Dio vivente: verremo e vedremo il volto di Dio(cf Sal 41/40,3).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Verremo all’altare di Dio, al Dio della nostra gioia, del nostro giubilo(cf Sal 41/40,16).
 
Mistero della fede.
La tua morte annunziamo, Signore, la tua risurrezione noi celebriamo, la tua venuta noi attendiamo pellegrini nel mondo che tu ami.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Nella santa Eucaristia, vediamo e contempliamo la città santa, la nuova Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo  (cf Ap 21,2).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Ascoltando la parola, udiamo la voce potente che viene dal trono: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro (cf Ap 21,3).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
 
«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,3- 6).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio»  (Mt 5,7-9).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
«Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,10).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo[ognuno ricordi i propri defunti]… concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Rallegriamoci ed esultiamo con coloro che ci hanno preceduto nel Regno dei cieli perché per i meriti di Gesù Messia e salvatore grande è la loro ricompensa nei cieli (cf Mt 5,12)
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Padre nostro in aramaico:
 
Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli
Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione (cf 4Esd 2,35.34)L’eterno riposo dona a loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua, insieme ai suoi santi, in eterno, Signore, perché tu sei buono.
 
Dopo la comunione
Cantico delle Creature di frate Francesco di Assisi.
Altissimo, onnipotente, bon Signore / Tue so’ le laude, la gloria et l’honore / et onne benedictione.
A te solo, Altissimo, se konfanno / Et nullo homo ene digno te mentovare.
Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, / specialmente messer lo frate sole
lo quale è iorno et allumini noi per lui, / et ellu è bellu e radiante, cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: / in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento / et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale alle tue creature dai sostentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora acqua, / la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu / per lo quale enallumini la nocte
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra madre terra, / la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano / per lo tuo amore, / et sostengo’ infirmitate et tribolatione.
Beati quelli ke le sosterranno in pace / ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, / per sora nostra morte corporale / da la quale nullo homo vivente po’ skappare.
Guai a quelli ke morranno ne le peccata mortali; / beati quelli ke trovarà / ne le sue sanctissime volutati,
ka la morte secunda nol farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore, / et rengratiate et serviteli / cum grande humilitate.

 
Preghiamo (dopo la comunione).Abbiamo celebrato, Signore, il mistero pasquale, invocando la tua misericordia per i nostri fratelli defunti; dona loro di partecipare alla pasqua eterna nella tua dimora di luce e di pace. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Il Signore, il Dio dei viventi e dei morti, vi benedica ora e sempre per tutta l’eternità.                              Amen!
Il Signore risorto, Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, vi accompagni nel vostro pellegrinaggio.                Amen!
Il Signore risorto che vi chiama alla vita, vi attenda giusto Giudice nella vostra morte.                             Amen!
Il Signore che accoglie nel suo regno quanti in lui confidano, vi apra le porte del suo Amore.                   Amen!
Il Signore che dona la vita, vi conceda lo Spirito di risurrezione perché possiate gustare la morte.             Amen!
 
L’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo per i meriti di tutti i Defunti e di tutte le Defunte discenda su di voi, vi benedica e con voi rimanga sempre. Amen!
Termina la liturgia come celebrazione, inizia la profezia della testimonianza nella vita.
Andiamo incontro al Signore.
Nella forza dello Spirito Santo, andiamo nel mondo e portiamo frutti di pace.
Approfondimento
Da I Fratelli Karamazov di  F.M. Dostojevski
Karamazov!, esclamò Kolja, è vero ciò che dice la religione, che noi risusciteremo dai morti, che ci rivedremo gli uni gli altri, e tutti, e Iliusha?
Certo, risusciteremo, ci rivedremo, ci racconteremo gioiosamente tutto ciò che è accaduto...
- Oh! come sarà bello!, fece Kolja.
 
Da Il Profeta di Kalil Gibran
Allora Almitra parlò dicendo: Ora vorremmo chiederti della Morte. E lui disse:
Voi vorreste conoscere il segreto della morte, ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.
Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita.
poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.
Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;
E come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.
Confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità.
La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore. In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l’impronta regale?
E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?
Che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?
E che cos’è emettere l’estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?
Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.
E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.
E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.
______________________
Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti A-B-C,– Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete
© Nota: L’uso di questi commenti è consentito citandone la fonte bibliografica
Paolo Farinella, prete – 2-11-2010 – San Torpete – Genova
 
Avvisi e appuntamenti
1.      Giovedì 4 novembre 2010 0re 17,00 in Piazza De Ferrari (Monumento a Garibaldi), organizzata da «Oltreilgiardino» (Circolo di studi sul lavoro sociale) MANIFESTAZIONE PUBBLICA di tutte le associazioni impegnate in qualsiasi modo nel sociale (io ho già aderito a titolo personale) per manifestare contro l’abolizione dei servizi sociali che è l’obiettivo del governo Berlusconi: eliminare i portatori di handicap, i malati mentali, i pensionati che sono parassiti che rubano risorse ai ricchi, i poveri che bussano al servizio pubblico che di questo passo dovrà essere sostituito dal volontariato. TUTTI DOBBIAMO ADERIRE, TUTTI DOBBIAMO PARTECIPARE PERCHE’ IL GOVERNO SOSTENUTO DAI CATTOLICI E DALLE GERARCHIE ROSSO CARDINALIZIO VUOLE ESTENDERE LA MORTE PER FAME E PER SETE AD UN TERZO DELLA POPOLAZIONE. Formiamo una muraglia e facciamogli rompere le corna. Per aderire mandare una mail a oltreilgiardino.ge@yahoo.it
 
2.      Sabato 6 novembre alle ore 16,00 Biblioteca universitaria di Genova, Via Balbi 3, 2° Piano sala di lettura, presentazione del  libro «Il padre che fu madre»: presenta il prof Roberto Celata Pallanti, docente di Filosofia della religione; l’autore Paolo Farinella, prete farà una introduzione sintetica sulla formazione dei vangeli e darà un saggio di esegesi sul testo greco di Lc 15.
 
3.      Lunedì 8 novembre 2010 alle ore 20,30 nella Chiesa di Santa Maria, Corso Garibaldi Gubbio (PG), organizzato da don Angelo Maria Fanucci della Comunità di Capodarco dell’Umbria incontro di PAOLO FARINELLA, PRETE sul tema: «Qual è lo snodo essenziale della sofferenza e della speranza dell’uomo di oggi? Quali le scelte prioritarie?».
 
4.      Giovedì 10 novembre 2010 alle ore 17,00 nella sala di proiezione dell’Aquarium, ad ingresso libero, proiezione di un film inedito «Il Lungo viaggio. Disegni di Federico Fellini», sceneggiatura di Tonino Guerra. Presenta Salvatore Giannella.
 
5.      Sabato 13 novembre 2010 ore 18,00 Palazzo Ducale, Sala del Camino, l’Associazione «Parto-Onlus» di Genova presenta una eccezionale performance teatrale «Chi Siamo Chi siete» realizzata da persone con disagio psichico e psicologico a cui seguirà la proiezione del cortometraggio «Giovanni e il Pesciolino Rosso. Una Storia di Follia». Io non ho visto i pezzi, ma persone «addentro» mi assicurano che sono due pezzi imperdibili e un modo per contrastare l’azione del governo miserevole che vuole fare pulizia etnica di chi non è «come loro». Noi siamo orgogliosi di non essere come loro, nemmeno in disegno.


[1] In occasione della ricorrenza del Natale di Roma, si celebrava una festa detta «Sigillaria» (20 dicembre), durante la quale i parenti si scambiavano in dono i sigilla (i segni, cioè statuette memoriali o ricordi) dei familiari defunti durante l'anno. Questo culto romano è uno sviluppo del pensiero greco che vede i morti come viventi incorporei abitanti oltre oceano, nell’Ade.
[2] Di fronte a questa degenerazione la Chiesa reagì con l’istituzione della solennità di Tutti Santi istituita da papa Bonifacio IV il 13 maggio del 610 per celebrare la memoria dei cristiani ammazzati per la fede. Nel 835 Papa Gregorio III (731-741) spostò la ricorrenza dal 13 maggio al 1 novembre, pensando in questo modo di dare un nuovo significato alla ricorrenza ormai divenuta pagana. Nel 998 Odilone abate di Cluny nel 1048 aggiungeva al calendario cristiano il 2 novembre come data per commemorare i defunti. La possibilità concessa ad ogni prete di celebrare in questo giorno tre messe, nel 1748 era riservata alla Spagna fino al 1915 quando Benedetto XV la estese a tutta la Chiesa universale.
[3] Talmud Babilonese, Sanhedrin 97b; Sukkàh 45b; G. Scholem, La Kabbalah e il suo simbolismo, Einaudi, Torino 1980, 9. «I Giusti fra le nazioni hanno parte nel mondo che viene» (Tosefta, Sanhedrin 13)
[4] Encyclopedia Judaica, Keter, Jerusalem 1978, vol. 7, 1383-1388.


Mercoledì 27 Ottobre,2010 Ore: 17:52
 
 
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