- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (361) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Domenica 31a Tempo Ordinario-C- Domenica 31 ottobre 2010,di Paolo Farinella, prete

Domenica 31a Tempo Ordinario-C- Domenica 31 ottobre 2010

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 31a del tempo ordinario siamo giunti quasi alla conclusione dell’anno liturgico del ciclo C e dell’intero triennio: mancano ancora tre domeniche per concludere e ripartire per un nuovo viaggio. Per ben diciassette domeniche abbiamo seguito fin qui Gesù nel suo «viaggio verso Gerusalemme» iniziato con Lc 9,51. Oggi arriviamo a Gerico (attuale Tell es-Sultan – Collina del Sultano) a km 30 a sud-est di Gerusalemme e km 120 a sud di Cafàrnao in Galilea: è l’unica città menzionata lungo i 150 ca. km percorsi da Gesù, Maestro e Guida, come un itinerario formativo dei suoi discepoli.
            Gerico è la più antica città del mondo di cui abbiamo testimonianza archeologica, risalente a 11.000 anni addietro. Sorge a 240 metri sotto il livello del mare, nei pressi del fiume Giordano nella zona del Mare Morto. Fu espugnata da Giosuè e maledetta con una formula tragica: se qualcuno avesse voluto ricostruirla, l’avrebbe fatta sul sangue del proprio figlio (Gs 6,26), come accadde al re Chiel di Betel che la ricostruì sul sangue dei suoi figli Abiràm e Segùb (1Re 16,34). Gerico è la fortezza del male perché protegge dentro le sue mura Zacchèo, «il capo dei pubblicani» (Lc 19,2) che è strumento di oppressione del popolo attraverso l’esosità delle tasse, imposte con arbitrio e la collaborazione con l’occupante romano da cui ha ricevuto l’appalto del fisco.
             Ancora una volta, troviamo il tema caro a Luca: la misericordia di Dio non aspetta la conversione e il pentimento, ma corre a cercare la pecorella smarrita, qui Zacchèo, per riportarla alla vita (Lc 15,4-7), anzi per ricondurlo alla sua dignità di figlio di Abramo: colui che era escluso dal popolo per indegnità, riceve da Gesù la veste della dignità di figlio di Dio e quindi anche figlio di Abramo e membro del suo popolo (v. 9 e Lc 15,22-24).
            Il racconto del salvataggio di Zacchèo è, in qualche modo commentato dalla 1a lettura, dove un ebreo di cultura e formazione greca, che vive ad Alessandria di Egitto, nella 2a metà del sec. I a. C., medita sulla storia passata del suo popolo e per la prima volta guarda ai nemici tradizionali, gli Egiziani, con lo sguardo di Dio: Dio non ha punito gli Egiziani solo per salvare Israele, ma per salvare essi stessi perché anche gli Egiziani che hanno seviziato gli Ebrei con la schiavitù sono chiamati da Dio a fare parte del suo popolo universale. Nessun popolo, questo è l’insegnamento, può e deve essere escluso dal processo di alleanza che Yhwh ha codificato con Israele. Il popolo eletto così diventa quasi «il paradigma» di tutti gli altri popoli.
            Nel vangelo di Zacchèo, Dio viene gratuitamente e indipendentemente dalle disposizioni dell’individuo, nel pensiero del Sapiente Dio viene per tutti i popoli perché Yhwh, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè è il Dio senza più confini nazionalistici, il Dio straripante che convoca dall’oriente e dall’occidente tutti i popoli della terra «sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe» dove «un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra» (Is 2,2-5, qui vv.3 e 4).
            La 2a lettura ha oggi una funzione «parenetica» (dal greco parainô – io esorto) cioè esortativa, di ammonimento sul tema «della fine del mondo» che fa da introduzione alle ultime domeniche dell’anno liturgico che ruotano intorno a questo tema. Tecnicamente si dice che questa lettura, collocata qui in questa domenica, è una «prolèssi – anticipazione», quasi un assaggio di ciò che rifletteremo nelle prossime settimane. Le lettere ai Tessalonicesi che Paolo ha scritto probabilmente da Corinto, durante il suo 2° viaggio missionario (anni 50-52) sono le prime in ordine cronologico di tutto il NT, prima ancora dei vangeli. Uno dei problemi che assillava i cristiani della prima generazione, dopo la morte di Gesù, avvenuta presumibilmente intorno all’anno 30, riguardava il ritardo della fine del mondo: se Gesù è il Messia atteso da Israele e se è morto e risorto come mai «questo» mondo non finisce e non inizia il Regno di Dio annunciato da Gesù stesso e che non è di questo mondo? (Gv 18,36).
I Tessalonicesi erano anche confusi da false lettere fatte circolare come se fossero di Paolo: i nemici dell’Apostolo seminavano zizzania in una chiesa appena nata e ancora non formata del tutto. A queste inquietudini risponde Paolo infondendo consolazione e fiducia e smentendo la paternità di quanto gli attribuivano. Egli invece invita a fidarsi di Dio che non gioca mai con i suoi figli, ma sa quello che fa, anche se spesso noi non riusciamo a coglierne il significato immediato.
Per questo motivo noi veniamo dalle nostre diaspore all’Eucaristia: essa è in primo luogo un raduno di popoli, di cui noi siamo un segno visibile perché aperti al mondo e all’universalità. In secondo luogo essa è una scuola, dove impariamo a conoscere noi stessi riflettendoci sul volto e sul comportamento di Dio, rivelato in Gesù di Nazareth. In terzo luogo, essa è una condivisione di Parola, di Pane, di speranza e di agàpē per il viaggio della vita che riprendiamo con la forza dello Spirito Santo che c’introduce all’Eucaristia con il salmista dell’antifona d’ingresso (Sal 38/37,22-23): «Non abbandonarmi, Signore mio Dio, da me non stare lontano; vieni presto in mio aiuto, Signore, mia salvezza».
 
Spirito Santo, tu che distendi il mondo davanti alla maestà di Dio creatore,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che porti la compassione del Padre a tutte le creature della terra,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei il soffio vitale che fa sussistere tutto ciò che vive,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei l’Agàpē che il Padre espande sull’universo intero,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei la lode che sale dalla terra al cielo, dal creato al Creatore,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei la Bontà e la Tenerezza del Padre verso tutte le creature,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei il sostegno di Dio per coloro che vacillano e cadono,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che ci rendi degni della vocazione a cui siamo stati chiamati,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che porti a compimento ogni volontà di bene e l’opera della fede,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che non ci lasci confondere e turbare riguardo al giorno del Signore,       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che chiami Zacchèo alla visione del Signore che passa per Gerico,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei l’albero su cui Zacchèo sale per vedere il Signore,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che sei la salvezza entrata nella casa di Zacchèo, capo dei pubblicani,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu che cerchi, trovi e salvi il figlio di Abramo che era perduto,                    Veni, Sancte Spiritus!
 
Il Dio svelato dal vangelo è un Dio scandaloso: egli sta dalla parte dei reprobi, dei cattivi, dei peccatori, disorientando la mentalità perbenista di quanti pensano che Dio ragioni come loro. Le cronache infatti ci dicono ogni giorno che i più grandi malfattori di norma vestono l’abito del perbenismo. Oggi Il Dio di Gesù Cristo ci chiede di guardare in faccia il mondo e di no avere paura perché tutto è chiamato alla pienezza della vita e della verità, anche se sperimentiamo sovente e di continuo l’amarezza del fallimento e del sopruso. Il cammino verso la maturità umana e di fede è un cammino lento: è appunto una storia di salvezza o meglio ancora una salvezza che si fa storia giorno dopo giorno. Viviamo l’Eucaristia nel segno della Trinità che nella storia a noi si rivela come principio e mèta di beatitudine:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Signore, tu vuoi la salvezza degli Egiziani e di Israele, liberaci dal male della parzialità,   Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei venuto per i malati, i perduti e i senza speranza, donaci la grazia di vederti, Christe, elèison!
Signore, tu hai portato la salvezza nella casa di Zacchèo, liberaci dal tarlo dell’invidia,                Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che ha chiamato tutti i popoli per formare un solo popolo, che va in cerca di chi non cerca più nemmeno Dio, che restituisce la dignità di figli a chi ha rinunciato alla paternità di Abramo, per i meriti del santo patriarca, per i meriti delle sante madri d’Israele, per i meriti degli Apostoli e della Vergine Madre, per i meriti della santa Chiesa, santa e peccatrice, per i meriti di Gesù speranza dei senza salvezza, ci perdoni da nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELIe pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, rendici degni della tua chiamata: porta a compimento ogni nostra volontà di bene, perché sappiamo accoglierti con gioia nella nostra casa per condividere i beni della terra e del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Sap 11,22-12,2. Il libro della Sapienza è il più recente dell’AT ed è stato scritto da un ebreo di Alessandria di Egitto nella 2a metà del sec. I a. C., quasi a ridosso della nascita di Gesù. E’ scritto in greco e non fa parte del canone ebraico. Quando cita la Scrittura la cita sempre nel greco della Lxx che è stata scritta nella stessa città, tra il sec. III e il sec. I a. C. Il brano di oggi è tratto dalla sezione dedicata alla riflessione sul passato, qui sull’esodo. Nei cc. 10 e 11 l’autore riflette sul castigo che Dio ha dato agli Egiziani per la liberazione di Israele. E’ straordinario che questa riflessione, fatta da un ebreo, guardi gli eventi non dal punto di vista del vincitore, ma da quello del nemico che è amato dallo stesso Dio che ha liberato Israele. L’idea soggiacente è l’universalità dell’opera della salvezza iniziata con l’Esodo. O la fede cristiana è aperta all’universalità senza condizioni o è solo una povera religione che gioca con qualche idolo passeggero.
 
Dal libro della Sapienza 11,22-12,2.
22 Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. 23 Hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. 24 Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. 25 Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta? Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza? 26 Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita. 12,1 Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. 2 Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 145/144, 1-2; 8-9; 10-11; 13cd-14. Salmo alfabetico che s’ispira a molti altri salmi, è il sestultimo di tutto il Salterio. E’ un inno di lode a Dio Provvidenza che assiste tutte le creature da lui create. La tradizione giudaica (Talmud, Berakot 4b) insegna che se uno recita questo salmo tre volte al giorno con concentrazione si assicura un posto nel «mondo a venire». Noi facciamo nostra l’esultanza che promana dal salmo e benediciamo Dio nostro re fedele per averci dato il Signore Gesù che è la Benedizione del Padre sparsa sul mondo intero.
 
Rit. Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.


1. 1 O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
2 Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Rit.
2. 8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
9 Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Rit.
3. 10 Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
11 Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. Rit.
4. 13 Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
14 Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto. Rit.


 
Seconda lettura 2Ts 1,11-2,2. Scritta intorno al 51/52 d.C. a Corinto, Paolo invia la lettera ai cristiani di Tessalonica (attuale Salonicco in Grecia) per confortarli dalle loro paure a riguardo della fine del mondo. I primi cristiani, infatti, dopo la venuta del Messia, aspettavano la fine del mondo, ma non sapevano immaginare come ciò potesse accadere perché turbati da chi diffondeva insegnamenti falsi attribuiti all’Apostolo. Paolo invita i suoi figli a non lasciarsi prendere dal panico, ma a dedicarsi alla preghiera che libera lo spirito dalle inutili preoccupazioni. Dio sa quando verrà, a noi spetta attenderlo con fiducia perché egli porterà a compimento quanto c’è di buono in ciascuno. Dio non attende al varco con una trappola, ma spalanca le braccia per accoglierci con l’amore di Padre.
 
Dalla seconda lettera di Paolo apostolo ai Tessalonicesi 1,11-2,2
Fratelli, 11 preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
2,1 Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 19,1-10. Il racconto di Zacchèo che vuole incontrare Gesù è esclusivo di Lc[1]«capo dei pubblicani» (v. 1 e Lc 18,18-27) e anche «ricco»(v. 2 e Lc 18,9-14). Egli per la Legge è maledetto sia perché vive in una città maledetta sia perché davanti al mondo egli è un peccatore e un reprobo. L’evangelista sottolinea che era anche «piccolo di statura» (v. 3 e Lc 18,15-17). La folla comprende subito che Gesù è venuto «apposta» per i peccatori e lo mette in rilievo: «È andato ad alloggiare da un peccatore» (v. 7 e Lc 5,30; 15,2). La conseguenza è naturale: Zacchèo senza essere richiesto mette in discussione la sua ricchezza che restituisce oltre la misura prevista dalla Legge (cf Es 21,37; 2Sam 12,6). Il vangelo è compiuto: Dio in Gesù salva chi è perduto e lo induce a cambiare vita (vv. 9-10 e Lc 15,6.9.24.32). ed illustra perfettamente la teologia dell’evangelista sulla ricchezza e la povertà, sulla misericordia e la giustizia, di cui questo racconto è la degna conclusione. Gerico, la città maledetta da Giosuè (Gs 6,26) e ricostruita sul sangue del primogenito del re Chièl (1Re 16,34), è un rifugio per Zacchèo che è
 
Canto al Vangelo Gv 3,16
Alleluia. Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; / chiunque crede in lui ha la vita eterna.
 
Dal Vangelo secondo Luca 19,1-10
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.  Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano (gr.: diegòngyzon): «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: 10«Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». - Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
«Signore, amante della vita» (Sap 11,26), così si esprime il Sapiente della 1a lettura. In greco c’è una forma composta di due parole che condensano una sintesi straordinaria: «dèspota philòpsyche», dove la 2a parola composta significa letteralmente «amico dell’anima», quasi una dichiarazione d’amore. Davanti a questo splendore tutto il mondo è «come polvere sulla bilancia» (Sap 11,22) cioè basta un soffio per liberarsene e «come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra»  (ibid.) per cui basta un raggio di sole per farla evaporane nel circuito della vita universale. L’espressione «tutto il mondo» significa non solo le cose esistenti, ma anche ciò che determina il mondo: il potere, i governi, le strutture, le storture, le ingiustizie, le aggressività, l’inutile e il superfluo, i pigmei che si credono giganti onnipotenti, mentre sono pula che il vento disperde (Gb 21,18; Sal 1,4; 35/34,5; cf Lc 3,17, ecc.). Allo stesso modo la prospettiva che suggerisce l’autore è il superamento del particolarismo giudaico, ma anche l’emancipazione della nozione di «dio».
Per gli Ebrei, il Dio d’Israele è unico, indivisibile, esclusivo: tutti i popoli possono accedere a lui, ma passando attraverso la mediazione d’Israele che ne diventa il garante; nonostante ciò però, anche se tutti i popoli diventassero «prosèliti», resterebbero sempre «Ebrei a metà», di 2a categoria perché Israele è «il popolo eletto» (Sir 46,1; Is 43,20; Sal 89/88,20; Rom 11,2). Questo è uno dei punti nevralgici delle religioni assolute, specialmente se si richiamano al monoteismo e crea un problema nel contesto del dialogo tra le religioni. Nessuna soluzione dunque? L’autore del libro della Sapienza, che vive in quell’immenso crogiuolo di civiltà e trasformazione che fu la fine del sec. I a. C. ci apre uno spiraglio che anticipa la pagina del vangelo di oggi.
Riflettendo sull’esodo, e senza rinnegare la sua ebraicità, simpatizza per gli Egiziani e «osa» affermare che Dio non li ha ripudiati, ma li ha solo castigati un po’ tanto per aiutarli a capire che anch’essi sono amati. Un ebreo che vive ad Alessandria di Egitto e che quindi ha avuto modo di conoscere il «suo nemico», un ebreo inculturato e inserito nella vita e nella civiltà egiziana, senza rinnegare se stesso, mette sullo stesso piano Israele e il suo nemico per definizione. Siamo di fronte ad una svolta epocale che precede di qualche anno l’arrivo e la predicazione di Gesù che non nasce come un isolato in un mondo estraneo, ma si innesta nella Sapienza e nell’anima del suo popolo, ebreo tra gli Ebrei.
Lo stesso sguardo di misericordia che s’intravede nella 1a lettura, si compie e si approfondisce nel vangelo di oggi dove Gesù rompe con gli schemi e s’immerge nell’umanità: non nell’umanità come dovrebbe essere, ma in quella che è, senza paura di compromettersi, senza timore di sporcare la sua credibilità e la sua immagine. A Gesù interessa la persona nella sua realtà del «qui e ora», non importa quello che pensano i malpensanti: egli è venuto per annunciare un nuovo ordine di cose, o come si direbbe oggi, un «altro mondo possibile» e lo fa sapendo di spezzare un sistema basato sul perbenismo di maniera. Vediamo Gesù in azione.
Il contesto geografico è lapidario e nello stesso tempo tragico: «Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando» (Lc 19,1). Per noi che leggiamo oggi è solo una annotazione di colore, innocua. Al tempo di Gesù però, il semplice ingresso in questa città era un atto rivoluzionario. Gerico non è una città qualsiasi, è la casa della maledizione perché su di essa pesa il giuramento di Giosuè: «Maledetto davanti al Signore l’uomo che si metterà a ricostruire questa città di Gerico! Sul suo primogenito ne getterà le fondamenta e sul figlio minore ne erigerà le porte» (Gs 6,26; cf 1Re 16,34; Sal 38/37,22; Is 55,11). Gesù entra nella città maledetta e l’attraversa, cioè la percorre tutta come se volesse misurarne l’ampiezza e immergersi dentro la maledizione che la sovrasta.
            Il gesto di Gesù richiama l’ingresso e l’attraversamento di Nìnive da parte di Giona che «si sdegna» con Dio perché vuole perdonare i Niniviti che si convertono (cf Gn 3,1-4; 4,1-3), mentre Giona vorrebbe distruggerla. Gesù entra in Gerico quasi andando alla ricerca di un uomo perduto al quale annunciare il vangelo del Regno: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza» (Lc 19,9). In questa città maledetta abita un uomo maledetto da tutti, dalle istituzioni e dal popolo perché è un pubblicano e quindi un collaborazionista con l’occupante romano che gli ha affidato il monopolio delle tasse; odiato dal popolo che egli spreme non solo per conto dell’occupante, ma anche per il suo arricchimento personale. La religione ufficiale lo considera un impuro, alla stessa stregua die pagani perché è un figlio degenere e perduto per sempre[2].
Il racconto di Zacchèo è esclusivo di Lc[3]«ricchezza-povertà» che, come abbiamo visto nelle domeniche precedenti, è un tema molto caro al terzo evangelista che si differenzia da Mt che parla di «poveri in spirito», mentre Lc si riferisce semplicemente ai «poveri» che Gesù predilige in quanto tali (cf Lc 6,20 e 24 con Mt 5,2). In Lc è più evidente l’aspetto sociologico, in Mt quello morale. Lc condanna la ricchezza in sé perché la ritiene un rischio e un impedimento: il ricco si sente sicuro, può fare quello che vuole, può comprare tutto, anche le coscienze delle persone deboli o opportunistiche. Questa parabola conclude una lunga serie di insegnamenti di Gesù che abbiamo ascoltato nelle domeniche precedenti. In Lc 9,51 avevamo iniziato un viaggio con Gesù verso Gerusalemme, un viaggio deciso e decisivo: un viaggio verso la conoscenza della volontà di Dio che è anche un viaggio dentro di noi per scoprire la nostra identità di figli e discepoli. e riflette il rapporto
Lungo il viaggio-scuola di Gesù verso Gerusalemme, abbiamo incontrato il ricco avaro che fa i conti senza la morte (cf Lc 12,13-21), il ricco epulone (cf Lc 16,19-31), il fariseo e il pubblicano (cf Lc 18,9-14), i piccoli (i bambini) difesi da Gesù contro gli adulti (cf Lc 18,15-17), il ricco notabile che se ne va triste abbandonando il regno proposto da Gesù perché attaccato alle sue ricchezze (cf Lc 18,18-30), il cieco di Gerico che vede in contrapposizione ai discepoli che non comprendono (cf Lc 18,31-43) e infine, prima di «salire a Gerusalemme», approdiamo al Gerico, la città maledetta (cf vangelo odierno).
Il racconto di Zacchèo è quasi una sintesi di tutto ciò che precede, perché nel breve brano vi troviamo tutti gli elementi che abbiamo elencato: Zacchèo infatti è ricco, pubblicano, piccolo di statura, la folla gli impedisce di vedere Gesù (come nel caso del cieco di Gerico), espone le sue ricchezze, ma per distribuirle ai poveri e vive nella città maledetta. Zacchèo, in ebraico Zakkài forma abbreviata di Zekharyàh , significa «Dio si ricorda», ma l’aggettivo zak significa anche pulito/lavato/puro. Gesù viene a ricordare a Zacchèo che ha sporcato e reso impuro il suo progetto di vita con le sue scelte e azioni, di essere «anch’egli figlio di Abramo» (Lc 19,9). Gesù è venuto apposta a Gerico per rendergli la dignità del suo nome, la forza della fedeltà a se stesso e al suo progetto. Zacchèo ha tutte le caratteristiche dispregiative per essere emarginato e disprezzato e invece esse diventano titoli adeguati per entrare nella salvezza che Gesù annuncia come predilezione per i senza speranza.
La folla intuisce subito di trovarsi di fronte ad una novità inaudita e scandalosa e infatti mormora: «Vedendo ciò, tutti mormoravano: “E’ entrato in casa di un peccatore!”» (Lc 19,7). Questo mormorio è un tema ricorrente in Lc: lo troviamo nella vocazione di Levi, quando i Farisei mormorano per lo stesso motivo[4]. Lo ritroviamo nel capitolo 15, come scenario delle due parabole delle misericordia[5].
In tutti questi casi in greco l’autore usa lo stesso verbo onomatopeico gongýzō che esprime un mormorio confuso, ma sufficiente a farsi sentire. La folla che avrebbe fatto a pezzi Zacchèo si lamenta a bassa voce/si lagna a denti stretti contro Gesù perché destabilizza il sentire comune e non rappresenta il Dio che la folla e la religione ufficiale si rappresentano: un Dio che castiga e premia alla maniera della giustizia umana che ha sempre connotazioni di ferocia e di vendetta. Il mormorio della folla si oppone alla volontà universale di salvezza di Dio che Gesù viene a manifestare (cf 1Tm 2,4; Gv 3,16). Si direbbe che la folla sia gelosa della misericordia di Dio. Si vuole, come sempre, un «dio» a propria immagine e somiglianza che pensi secondo i nostri pensieri e realizzi i nostri giudizi, ma i pensieri di Dio non sono i pensieri dell’uomo (cf Is 55,8-9). Nel regime di religione è più facile convertire Dio a noi che convertirci a lui. Quando impareremo che il mestiere di Dio è il perodno e la misericordia di tenerezza, forse sarà troppo tardi.
Notiamo i movimenti e gli atteggiamenti descritti nel brano del vangelo odierno:
-      C’è un uomo che ha un nome che significa «ascolto» e «puro», mentre nella vita è pubblicano e impuro.
-      Si sforza di vedere Gesù, ma glielo impediscono due ostacoli: la folla e la sua statura «piccola»:
+ la folla è sempre un impedimento a vedere la verità di ciò che accade: i dittatori, i populisti e i venditori di fumo amano la folla che è un animale sanguinario e senza coscienza che va dietro a chi grida più forte; la folla, infatti, è senza cervello, anzi è uno schermo dietro al quale spesso ci si nasconde per mascherare la propria violenza e la manipolazione della stesa folla;
+ la statura. Per vedere bisogna avere una statura, cioè mezzi adeguati per superare il livello della folla indistinta. Zacchèo ha coscienza di essere carente in statura e ne trova una supplementare: sale su un albero, cioè si serve di uno strumento che gli permette di salire in alto. Non si accontenta di stare in basso e nemmeno alza lo spessore dei suoi sandali per apparire più alto. Egli al contrario prende la sua piccolezza per intero e la issa sull’albero, dove resta piccolo, ma non più cieco. Ognuno di noi deve avere un albero di riserva dove potere salire quando tutto è buio e nulla si vede all’orizzonte. La domanda è: qual è questo albero? Che nome porta? Ne ho uno? Oppure mi lascio guidare dall’andazzo della folla, accontentandomi di vivere per sentito dire?
-      Zacchèo ha una risorsa in sé: «corse avanti» (Lc 19,4). Prende l’iniziativa di precedere sia la folla che Gesù: non potendo andargli dietro, gli va avanti, non si ferma al primo ostacolo.
 
Nota. Corse avanti: il testo greco, tradotto alla lettera dice: «è correndo verso il davanti salì», quasi a significare che «il davanti» è una mèta, un obiettivo che si può raggiungere solo col e nel movimento. Chi sta fermo non ha mèta né progettualità. Correre avanti significa anche distanziarsi dal sentire comune e dalla massa e nello stesso tempo prendere coscienza della propria condizione limitata e insufficiente. Zacchèo trova in sé la risposta al suo problema. Qui è la chiave della comprensione di sé e del mistero di Dio. Nessuno può risolvere le nostre difficoltà o farsi carico delle nostre sofferenze. Nessuno può sostituirci nel vivere la vita e la morte fino in fondo. Nessuno può decidere al posto di un altro. Tutti possono essere un aiuto, una presenza, un sostegno, un compagno/compagna di viaggio, ma la risposta all’anelito di visione, al bisogno di vita e di pienezza è solo ed esclusivamente dentro ciascuno di noi. Nessuno è mai così nel buio profondo da non avere in sé un residuo di forze che permettono di correre avanti e salire sul proprio sicomòro.
 
-      Lc sottolinea che Gesù, «doveva passare di là» (Lc 19,4). Il testo greco usa il verbo «mèllō – io ho l’intenzione di…» che esprime la volontà decisa di mettersi in gioco: è una scelta. Probabilmente la strada da percorrere aveva una direzione obbligata, ma nell’economia del vangelo, dove nulla accade per caso, «Gesù doveva passare di là». Una necessità quasi divina che esprime bene l’intenzione di Gesù di squilibrare le consuetudini e le convenienze. In quel verbo s’incontrano due «necessità»: di Gesù che viene apposta per Zacchèo e di  Zacchèo che vuole vedere, ma non può. Dio non passa a caso, ma viene apposta «per te».
-      Il momento supremo: l’incontro di due sguardi e di due volti: Gesù giunto in quel luogo, come se fosse il posto esatto di un appuntamento, «alzò lo sguardo e gli disse» (Lc19,5). Egli sapeva che c’era qualcuno che lo stava cercando e distingue quello sguardo tra mille altri, come seppe distinguere il tocco della donna malata di emorragia da quello della folla anonima (cf Lc 8,43-48). Chi ama non si smarrisce nell’anonimato.
-      L’invito di Gesù è oltre ogni misura: egli è diretto alla città santa di Gerusalemme e perde tempo a percorre la città maledetta di Gerico per cercare un uomo come Zacchèo, un pubblicano e un essere immondo, che tutti odiano a morte. Non solo, Gesù interrompe il viaggio e afferma che «devo fermarmi a casa tua» (Lc 19,5). Ancora una volta viene evocata «una necessità», ma questa volta l’evangelista usa un verbo particolare ausiliare che in greco è l’impersonale «dêi – bisogna/è necessario» che solo nel vangelo di Lc ricorre 17 volte. Esso, secondo molti autori, esprime la necessità anche di Dio: è un «verbo teologico» perché manifesta la volontà salvifica di Dio, espressa nell’agire e nelle parole di Gesù. Il secondo verbo, quello principale «mènō – io resto/mi fermo» comporta l’idea di stabilità e indica qualcosa un fermarsi assodato, non veloce o passeggero, ma una esperienza determinante (cf Gv 1,39). Ecco l’obiettivo dell’appuntamento: fermarsi, anzi stabilirsi a casa di un impuro e di un pubblicano detestabile perché il Dio di Gesù è veramente un Dio scandaloso: costruisce il suo Regno con la feccia e con gli scarti.
-      La folla capisce al volo e lo dice: «È entrato in casa di un peccatore» (Lc 19,7); non s’interroga sul senso della novità di questo giovane rabbi che contraddice tutte le norme di purità legale, non si domanda «perché» agisce così; la folla sa solo «mormorare» che è anche sinonimo di invidia, di gelosia e di condanna perché la folla ha sempre e solo la certezza dell’irrazionale e vede ciò che vuole vedere, quasi ciasucno dei presente pensasse: «non è venuto da me, ma è andato9 da quello là».
-      La sosta di Gesù nella casa di Zacchèo mette in evidenza che Zacchèo ha un grave problema, un grande ostacolo alla «visione» di Gesù. Se vuole tornare al progetto del suo stesso nome, se vuole ritrovare la sua identità di «figlio di Abramo», non basta che salga su un albero, non basta che corra avanti, bisogna che faccia anche un passo indietro e ripari, come è possibile, il male che ha fatto derubando e angariando. L’ostacolo per Zacchèo si chiama «ricchezza», la stessa del notabile ricco (cf Lc 18,23), la stessa del ricco crapulone (cf Lc 16,19-21), la stessa del ricco stolto (cf Lc 12,16-21) perché la ricchezza impedisce l’incontro con Dio (cf Lc 18,24-25), in forza del principio che non si può servire Dio e mammona (cf Lc 16,13). La ricchezza di Zacchèo non è una ricchezza qualsiasi: essa è «disonesta/ingiusta» (Lc 16,9) perché non è frutto del proprio lavoro, ma di angherie e furto e disonestà.
-      Gesù non pone un problema morale: non fa la predica, non avanza condizioni, egli chiede solo di fermarsi a casa di Zacchèo, il quale da questo fatto capisce da solo l’incompatibilità di quella «presenza» e il suo stile di vita: egli vede perfettamente il problema e lo rimuove di sua iniziativa, per scelta: «Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”» (Lc 19, 8). Restituire la metà dei suoi beni era sufficiente a ristabilire il male fatto, ma egli vuole fare di più: dà anche il quadruplo ai suoi debitori[6]. In questo modo Zacchèo va oltre ciò che è prescritto, per cui la sua generosità si avvicina a quella di Dio e ne diventa un sacramento visibile: l’uomo disgustoso, esecrato, odiato diventa il segno visibile dell’agire di Dio. Zacchèo il maledetto diventa l’espressione visibile della benedizione generosa di Dio.
-      La conclusione che nessuno si sarebbe aspettata è traumatica per l’epoca di Gesù: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo» (Lc 19,9). Zacchèo il pubblicano, lavato e purificato dall’incontro con Gesù ridiventa figlio di Abramo, un titolo che i Giudei riservano solo a se stessi in quanto esclusivi beneficiari delle promesse e dei meriti del patriarca (cf Lc 3,8; Gv 8, 33;Rom 4,11-25; Gal 3,7-29). Zacchèo che è un giudeo rinnegato ed espulso dal suo stesso popolo e diventato pagano ridiventa «figlio di Dio» allo stesso titolo dei Giudei.
-      Nella persona di Zacchèo, Gesù allarga la paternità di Abramo, la libera dall’angustia della razza, della stirpe e della religione e la riporta ai confini giusti che sono quelli della creazione, i confini di Àdam che in Gen 1,26 è creato «immagine e somiglianza» di Dio. Applicando, infatti, la simbologia dei numeri all’espressione greca «hyòs Abraàm – figlio di Dio» di Lc 19,9 scopriamo che ha un valore finale di 6 che è il giorno sesto della creazione.
 

(h)
y
ò
s
 
A
b
r
a
à
m
 
 
20+
15+
18+
 
1+
2+
17+
1+
1+
12=
87=
15=
6

 
Zacchèo è l’Adamo lavato e purificato del suo peccato contro Dio e contro il suo prossimo: non più «simile a Dio», come voleva essere Adamo, ma generoso come Dio, come è Zacchèo, il pubblicano.
-      In Lc 19,10 vi è una seconda conclusione che è propria di Lc: « il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto», un richiamo alle parabole della misericordia di Lc 15, specialmente l’atteggiamento del «padre che fu madre» nei confronti del figlio perduto[7] [cf Lc 15, 6.9.24.27.32]).
Tutti gli uomini sono degni della salvezza e Dio la offre a tutti, nonostante il perbenismo di molti cristiani di tradizione, nonostante spesso la stessa religione ufficiale. La crisi della chiesa cattolica è tutta qui: invece di immergersi nella maledizione che attanaglia il mondo e portare il vangelo di liberazione, si trastulla a ripristinare riti e culti morti e sepolti prima che dal concilio Vaticano II dal buon senso e dal buon gusto. Oggi i cristiani, in particolare i cattolici, non esprimono il volto salvifico e controcorrente di Gesù, ma manifestano una caricatura di Dio con i loro compromessi, con la strumentalizzazione della fede e con la loro insignificante presenza nel mondo, fatta di prudenza, di sostegno a uomini e politiche immorali, cercando collusioni a livello di ordine esteriore, mentre uccidono la profezia e l’annuncio della liberazione totale della persona che in qualsiasi modo è schiava o non libera. In questo modo alimentano l’ateismo nel mondo moderno e impediscono l’ingresso nel Regno[8]
Dovremmo imparare da Gesù che non parte dalle esigenze morali, ma lascia che queste siano la logica conseguenza di un incontro d’amore che cambia la vita di un uomo che era perduto e che invece Dio ha recuperato e restituito a se stesso e alla comunità. Il vangelo di oggi è un annuncio unico e personale rivolto a ciascuno di noi: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’io sono figlio di Abramo, anch’io sono figlia di Dio». Questo è il senso del pane dell’Eucaristia, che è ricevuto, spezzato, condiviso. E’ la storia di Dio, ma anche la nostra, con l’aiuto dello Spirito Santo.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.                 [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.     [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale[intenzioni libere]
 
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.              Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Questo sacrificio che la Chiesa ti offre, Signore, salga a te come offerta pura e santa, e ottenga a noi la pienezza della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA III
Prefazio Ordinario 3: La nostra salvezza nel Figlio di Dio fatto uomo
 
Il Signore sia con voi.    E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.      Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.             E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Tutta la terra è piena della sua gloria (cf Is 6,3).
 
Abbiamo riconosciuto il segno della tua immensa gloria quando hai mandato tuo Figlio a prendere su di sé la nostra debolezza;
«Signore, tutto il mondo davanti a te, è come polvere sulla bilancia, come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra»(Sap 11,22).
 
In lui nuovo Adamo hai redento l’umanità decaduta, e con la sua morte ci hai resi partecipi della vita immortale.
«Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento»(1Sam 26,23).
 
Per mezzo di lui si allietano gli angeli e nell’eternità adorano la gloria del tuo volto. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison! Christe, elèison!

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all'altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Tu ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato (Sap 11,24).
 
 Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
O Dio, nostro re, vogliamo esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. 2 Vogliamo benedirti ogni giorno, e lodare il tuo nome (cf Sal 145/144,1-2).
  
Nella notte in cui, tradito, fu consegnato, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli(cf Sal 145/144,10).

Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Rendici capaci di manifestare agli uomini i tuoi prodigi e la splendida gloria del tuo regno che viene (cf Sal 145/ 144,13).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Venga la gloria del tuo Regno, venga la tua Pace, o Signore, Dio di salvezza» (cf Sal 145/ 144,11).
 
Mistero della fede.
La tua morte annunziamo, Signore, la tua risurrezione noi celebriamo, la tua venuta noi attendiamo pellegrini nel mondo che tu ami. Maràna thà! Signore nostro, vieni.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
Il nostro Dio ci renda degni della sua chiamata e porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della nostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo (cf 2Ts 1,11).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in noi e noi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo (cf 2Ts 1,11).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
«Ed ecco un uomo di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura» (Lc 19,2).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell'amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
«Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là» (Lc 19,2).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
«Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”» (Lc 19,6).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Oggi la salvezza è venuta per la casa di Zacchèo, perché anch’egli è figlio di Abramo; oggi la salvezza entra nella nostra casa perché 10 il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (cf Lc 19,9-10).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 19,5
«Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua».
 
Dopo la Comunione
Don Ettore Mazzini, prete fidei donum (cioè «volontario per amore») ha vissuto in Messico gli ultimi 30 anni della sua vita. Si era talmente incarnato nella realtà da essere diventato più messicano dei messicani. Musicista e pittore, aveva una visione veramente «cattolica» della vita. Lavorava letteralmente sulla strada, ascoltando la gente che lo cercava e dicono le cronache che spesso c’erano le file davanti al suo marciapiede. Divoratore di libri, visse e morì poverissimo, amato da tutti e anche dagli alberi della foresta che ne annunciavano le visite nei villaggi, passando la voce di albero in albero. Leggiamo uno stralcio di una sua lettera.
 
Stralcio di lettera di don Ettore Mazzini
«Questi miei cristiani, o per lo meno alcuni... cominciano a capire quello che dico loro continuamente che io non sono loro papà, che se sono adulti  prendano tutte le iniziative che sono opportune. Io glielo ripeto continuamente, non sono il padrone della chiesa, mi tocca solo essere un fratello coordinatore della comunità dove tutti siamo responsabili. Andare, rispettare profondamente qualsiasi persona, chiunque sia, spendersi per i fratelli, giocare tutta la propria vita su Dio e sentirsi nelle sue mani, semplicemente al suo servizio, sapendo che si fa tutto per lui, con tanta umiltà! Mi sono messo su di una strada di lavoro nascosto e silenzioso e di nessuna recriminazione verso chicchessia. Ci dò dentro più che posso, vinco la stanchezza con pause di disegno. Per il resto sempre per la strada, tutto il giorno a contatto con questa serie di comunità senza sicurezza, anche se tutto quello che si fa dovesse risultare un disastro. Perlomeno questa testimonianza umana c’è e nessuno può distruggerla».
 
 
Preghiamo. Continua in noi, Dio, la tua opera di salvezza, perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita ci preparino a ricevere i beni promessi. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che chiama Israele per convocare i popoli sul suo santo Monte, ci doni la sua benedizione.      Amen.
Il Signore che va alla ricerca di Zacchèo in ogni tempo e dovunque, ci consoli col suo Perdono.
Il Signore che annuncia il vangelo di salvezza nella casa di Zacchèo, ci colmi della sua tenerezza.
Il Signore che viene per noi nel giorno del raduno attorno all’altare, ci protegga e ci sorregga.                
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                            Amen.
 
La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia. 
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
òòò
 
Per l’approfondimento: La persona ecumenica
 
Da Giancarlo Bruni, Grammatica dell’ecumenismo, Cittadella Editrice, (Fonte: Giorno per giorno del 26 ottobre 2007 della Comunità del bairro, Goiás Brasile) 
 
L’uomo ecumenico è sì al limite della propria Chiesa, ma oltre il confessionalismo. Ed è sì al cristianesimo, ma nella consapevolezza che a ciascuno è data salvezza non nonostante ma mediante la sua via religiosa; e altresì “nel riconoscere a ognuno il diritto di ritenere vera la propria religione e di diffonderla”; e ancora in un dialogo incessante risalendo insieme i sentieri che conducono alla parola unica sottesa a ogni dialetto, il farsi carico del peso dell’altro. Senza privare le vie religiose come le coscienze laiche, salvaguardate nelle loro diversità, della propria peculiare conoscenza del Nome nel quale è data la conoscenza di ogni nome: Padre con viscere materne è il nome di Dio, figlio amato è il nome dell’uomo, fratello-sorella da amare è il nome dell’altro e del cosmo, e vita eterna è il nome del futuro. Conoscenza che il Verbo depone come parola di luce al cuore di ogni realtà. L’uomo ecumenico è sì incandescente alla terra e ai mondi ma mai schiavo della figura reale di questa terra e di questi mondi. Nella storia sognatore e indicatore del suo non ancora: “terra nuova e cieli nuovi”. Non ama la terra chi la desidera così com’è, e altresì le Chiese. In breve, uomo ecumenico è chi da un lato è consapevole di non essere mai abbastanza lontano dalla grettezza di cuore e dalla ristrettezza di mente, dal fondamentalismo, dal confessionalismo, dal ritualismo, dal legalismo, dal giustizialismo, dall’ideologismo, dal gregariato e dal realismo, e mai abbastanza vicino al Tu che libera da tutto questo donando occhi riflesso del suo sguardo, cuori riflesso del suo amore e piedi riflesso dei suoi passi. Quelli del Cristo. (Giancarlo Bruni, Grammatica dell’ecumenismo).  
 __________________________________
© Nota: Domenica 31a del Tempo Ordinario –C, + Supplemento - Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte Paolo Farinella, prete 31/11/2010
 
1.       Lunedì 1 novembre 2010, solennità di Tutti i Santi e di Tutte le Sante, in San Torpete ore 10,00 Messa concertata: La Cappella Musicale Accademia dei Virtuosi eseguirà «La Messa per il monastero di Rupertsberg» di Hildergard von Bingen (1098-1179), un vero gioiello di musica medievale.
2.       Martedì 2 novembre ore 17,30 Memoria dei Defunti: Messa per tutti i Defunti e le Defunte
3.       Giovedì 4 novembre 2010 ore 17,00 in Piazza De Ferrari (Monumento a Garibaldi), organizzata da «Oltreilgiardino» MANIFESTAZIONE PUBBLICA contro i l’abolizione dei servi sociali Per aderire mandare una mail a oltreilgiardino.ge@yahoo.it  E’ IMPORTANTE PER I GENOVESI PARTECIPARE IN TANTI E DARE UN SEGNALE CHE NON SIAMO NE’ RASSEGNATI NE’ SUCCUBI.
4.       Sabato 6 novembre alle ore 16,00 Biblioteca universitaria di Genova, Via Balbi 3, 2° Piano sala di lettura, presentazione del  libro «Il padre che fu madre»: interviene il prof. Roberto Celada Ballanti e subito dopo l’autore Paolo Farinella, prete farà una introduzione sintetica sulla formazione dei vangeli e darà un saggio di esegesi sul testo greco di Lc 15.
5.       Giovedì 10 novembre 2010 alle ore 17,00 nella sala di proiezione dell’Aquarium, ad ingresso libero, proiezione di un film inedito «Il Lungo viaggio. Disegni di Federico Fellini», sceneggiatura di Tonino Guerra. Presenta Salvatore Giannella.
6.       Sabato 13 novembre 2010 ore 18,00 Palazzo Ducale, Sala del Camino, l’Associazione «Prato-Onlus» di Genova presenta una eccezionale performance teatrale «Chi Siamo Chi siete» realizzata da persone con disagio psichico e psicologico a cui seguirà la proiezione del cortometraggio «Giovanni e il Pesciolino Rosso. Una Storia di Follia». Io non ho visto i pezzi, ma persone «addentro» mi assicurano che sono due pezzi imperdibili e un modo per contrastare l’azione del governo miserevole che vuole fare pulizia etnica di chi non è «come loro». Noi siamo orgogliosi di non essere come loro, nemmeno in disegno.


[1] Vedi Domenica 26a del Tempo Ordinario-C nota 5.
[2] Roma in ogni paese di occupazione appaltava la riscossione delle tasse a uomini dello stesso popolo perché più esperti del territorio e della psicologia dei suoi concittadini. In base alla popolazione, l’incaricato doveva garantire a Roma una certa somma, concordata in antecedenza e tutto quello che l’0esattore riusciva a farsi pagare in più poteva legittimamente trattenerlo per sé. Questo sistema generava ingordigia e ingiustizie e provocava nel popolo un odio verso gli esattore nemmeno celato.
[3] Tecnicamente si dice, con termine greco, che è un hàpax legòmenonche è stato detto una volta sola.
[4] Lc 5,30-32: «I farisei e i loro scribi mormoravano (gr.: egòngyzon) e dicevano ai suoi discepoli: “Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. 31 Gesù rispose loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; 32 io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano”».
[5] Lc 15,1-2: «Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano (gr.: diegòngyzon) dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”».
[6] Questa misura è prevista dalla legge in un solo caso: «Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo scanna o lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame per il montone» (Es 21,37). Questo caso si verifica quando Davide deve risarcire l’omicidio di Uria l’Hittita la cui moglie, Bersabea, si era presa con prepotenza e che il profeta con una parabola paragona alla pecorella di un povero, uccisa e mangiata dal ricco. Giura lo stesso Davide stabilendo la sua condanna: «Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non aver avuto pietà» (2Sa 12,6).  
[7] Cf P. Farinella, Il padre che fu madre. Una letturea moderna della parabola del Figliol prodigo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2010.
[8] Cf Concilio ecumenico Vaticano II, «Gaudium et Spes» nn. 19-20.


Mercoledì 27 Ottobre,2010 Ore: 17:47
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Il Vangelo della domenica

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info