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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 28a Tempo Ordinario -C- 10 ottobre 2010,di Paolo Farinella,prete

Domenica 28a Tempo Ordinario -C- 10 ottobre 2010

di Paolo Farinella,prete

Sul tema di fondo della domenica 28a del tempo ordinario-C, non vi possono essere dubbi: è certamente «la gratuità»[1]. che dovrebbe segnare e caratterizzare ogni azione cristiana e ogni respiro di chi crede. La gratuità ha due caratteristiche: essa esprime l’interesse per la persona a cui si rivolge e manifesta l’affabilità di chi dona gratuità. Un gesto gratuito è sempre un gesto di amore perché pone al centro della propria attenzione la persona dell’altro come è, indipendentemente da come la si vorrebbe. La gratuità rispetta l’altro nel suo essere e nella sua libertà. Il segno visibile di questa «altezza» è il disinteresse di chi compie il gesto di gratuità. Agire gratuitamente oggi è una sfida in una cultura che tutto trasforma in «mercato». Si è arrivati perfino a mortificare la disponibilità interiore che animava il volontariato perché lo si è trasformato in un impiego fittizio retribuito e precario
Non temiamo di dire che è morta «la civiltà del dono», sacrificata sull’altare del profitto secondo la perversa logica che tutto deve avere un prezzo, anche le coscienze, anche le persone. Assistiamo, infatti, ad uno spettacolo inverecondo di persone che in ambito lavorativo, politico e clericale vendono se stesse e le loro idee a chi li paga meglio in carriera, denaro e potere.  La Toràh proibiva il prestito ad interesse (Es 22,24; Lv 25,36.37; Dt 23,20; Pr 28,8; Ez 18,8.13; cf Mt 5,42) perché nessuno potesse dire nel mondo «questo è mio», perché nel creato tutti sono ospiti provvisori. La ospitalità che era la caratteristica dei popoli antichi e fino a qualche decennio dopo la 2a guerra mondiale, si è trasformata in «accoglienza turistica» perché fonte di guadagno.
La 1a lettura è tratta dal ciclo delle gesta di Eliseo, profeta vissuto nel sec. IX a.C. e successore di un altro profeta, Elia, ma meno fanatico. Eliseo organizza il suo ministero che non lascia all’improvvisazione: ha un ufficio di relazione con collaboratori alle dipendenze che mediano tra lui e coloro che richiedono il suo intervento. La visita del siriano Nàaman è un evidente pretesto della Siria per scatenare la guerra con Israele: la Siria infatti ha sempre cercato di dominare la scena politica medio orientale. Il re siriano manda un suo luogotenente affetto da lebbra al re di Israele perché lo guarisca. L’assurdo della richiesta dimostra l’intenzione guerrafondaia di chi l’ha architettata perché la scontata risposta negativa del re d’Israele sarà interpretata «politicamente» come un’offesa diplomatica al re di Siria che invece si fidava del re d’Israele. La guerra è inevitabile.
I giochi diplomatici per scatenare catastrofi e guerre «preventive» sono sempre esistiti e sono il segno che nell’uomo c’è una tendenza alla perversione, che è il segno evidente del peccato di origine: la presunzione di essere onnipotenti. Il guerrafondaio re di Siria però non ha calcolato una variabile indipendente: in Israele c’è un profeta di quel Dio che «scruta i reni e i cuori»[2], sventa le trame e denuda le intenzioni. Nell’acqua del Giordano non si rinnova più il passaggio del Mare Rosso per entrare nella terra promessa (cf Gs 3,15-17), ma avviene la guarigione dalla lebbra e il lebbroso diventa un uomo nuovo e può ritornare alla vita civile e religiosa: è purificato, «battezzato». Era venuto come pretesto per scatenare una guerra, trova la guarigione e scopre Dio: sulle rive del fiume Giordano, l’impossibile diventa possibile perché «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37; cf Gen 18,14). Nàaman non deve sottostare a impegni particolari, non riceve obblighi morali e non deve nemmeno pagare un tributo perché il Dio del profeta Eliseo non è un «codice etico», e neppure può essere comprato perché nessuno lo può vendere. Egli deve solo compiere un gesto simbolico per sottolineare la gratuità della salvezza che sta per ricevere: deve lavarsi nel Giordano «sette volte» (2Re 5,14).
Il numero «sette» indica completezza, totalità e l’acqua è simbolo di conversione e di trasparenza: l’acqua è vita. Lavarsi nel Giordano vuol dire cambiare modo di pensare e di vedere le cose perché la sua purificazione non è solo liberazione dalla lebbra, ma anche rinnovazione interiore, una conversione radicale. Egli ha ancora una concezione della religione come «contratto» perché vuole ricompensare il profeta con regali, come si usa nella mondanità delle corti e nelle civiltà dei finti liberi. Non sa che il Dio d’Israele è il Signore del cielo e della terra (cf Gen 2,4; 24,7; Is 61,1) e non una merce da contrattare. Il profeta con il suo stile di vita gli testimonia che Dio non si può vendere né comprare. Il profeta Eliseo profetizza con la sua vita la gratuità di Dio, costringendo Nàaman a fare il salto dalla religione alla fede, dalla dipendenza alla grazia. Se la Chiesa non profetizza la gratuità di Dio, condanna gli uomini e le donne ad una religiosità di prostituzione, merce di scambio: un Dio burattino.
Nel vangelo vi è lo stesso tema e lo stesso schema: un pagano (qui un Samaritano) che è anche un nemico giurato degli Ebrei[3]entra in un villaggio» (Mt 17,12) che probabilmente è al confine tra le due regioni. E’ una sfida: egli va controcorrente, contravviene alle norme e diventa impuro con gli impuri, non teme la scomunica, ma ha un solo obiettivo: suscitare sentimenti di gratitudine e di gratuità. , nonostante le comuni radici in Giacobbe (cf Gv 4,6). Gesù è in viaggio e opera in due regioni «eretiche»: in Samaria (parte centrale della Palestina, abitata dai Samaritani ostili) e in Galilea (regione a Nord della Palestina), considerata terra pagana, tanto da essere chiamata dagli stessi Ebrei «Galilea delle Genti» (Mt 4,15). Gesù non si limita solo ad attraversare la Samarìa, ma «
Spesso nella Chiesa gli addetti al servizio cultuale, si preoccupano dell’integrità della dottrina, dell’ortodossia della forma, dell’esattezza delle verità da proclamare e non si accorgono di perdere per strada la realtà più importante che è l’uomo e la sua fatica di vivere con il suo insostituibile bisogno di felicità. Gesù si preoccupa di indurre le persone ad accorgersi di ciò che di straordinario accade nella loro vita, di capirne il senso e di coglierne la portata di «dono». La fede è abituarsi a ricevere, non sforzarsi di raggiungere la perfezione che nell’umano non esiste. Come sono goffi quei modelli di santità che vengono proposti come perfezione che poi si riduce alla negazione di tutto ciò che è umano come se fosse l’opposto del divino, negando così il principio fondamentale della fede cristiana che è l’incarnazione. Nulla di ciò che è umano ci può essere estraneo[4]. Si direbbe che Gesù cerchi volutamente l’umanità più disumana per fare esplodere in essa lo splendore nascosto che i superficiali non sanno né vedere né apprezzare.
Gesù è un esperto di umanità: «Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo» (Gv 2,25). Non si è santi nell’imparare ad essere disumani, ma vivendo fino in fondo la pienezza della propria umanità, il luogo privilegiato della Shekinàh-Presenza di Dio che svela in noi la misura del perdono come dimensione della gratuità. E’ proprio ben poco quello che possiamo acquisire con i nostri sforzi, perché sia che moriamo sia che viviamo noi siamo sempre immersi nella gratuità del Signore (Rm 14,8). Nell’ultima pagina de il «Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos, il giovane curato morente, accettando al sfida della morte, pronuncia le sue ultime parole: «Cosa importa? Tutto è grazia». Esse sono anche la sintesi della liturgia di oggi fatta propria dall’antifona d’ingresso (cf Sal 130/129,3-4): Se consideri le nostre colpe, Signore, chi ti può resistere? Ma con te è il perdono, o Dio di Israele.
 
Spirito Santo, tu chiamasti Nàaman il Siro a varcare i confini della terra d’Israele,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu fosti l’acqua del Giordano nella quale s’immerse Naaman il siriano,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu alimentasti la fede del profeta nel riconoscere la tua gratuità,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti in noi la dimensione della gratuità come segno «eucaristico»,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu compi prodigi su tutta la terra, oltre i confini della nostra cecità,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidi i popoli a camminare verso l’unico Dio, il Dio dell’«Agàpē»,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu manifesti a tutti i confini della terra la salvezza del Signore Gesù, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu rendi leggere le catene che l’apostolo Paolo porta per il vangelo,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il segno della fedeltà di Dio che non può rinnegare se stesso,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il pegno della nostra fedeltà a Dio che custodisce gelosamente,            Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sospingi i lebbrosi ad infrangere la legge per incontrare il Signore, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la voce dei lebbrosi che invocano misericordia dal Maestro Gesù,        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la forza che guida i lebbrosi a presentarsi ai sacerdoti.              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Riconoscenza Gratuita che il Samaritano depone ai piedi di Gesù,    Veni, Sancte Spiritus!
 
Molti cristiani oggi si accontentano di una religione di rappresentanza che soddisfi alcune loro debolezze, senza toccare l’impianto «etico» della propria esistenza. Praticano molto, forse lavorano tanto per la parrocchia, recitano molte preghiere vocali, ma il cuore è lontano dalla visione del Volto. Per costoro la religione prefabbricata che stabilisca tutto è la loro salvezza perché li esime dalla fatica del dubbio, della ricerca, della scelta. Costoro sono fautori del ritorno alla messa preconciliare perché in essa tutto è stabilito e nulla è lasciato la caso, nemmeno il più piccolo gesto. Il rito ha sostituito la vita. Gesù c’invita a correre dietro alla vita, a dipanarla, viverla, anche sbagliando, ma afferrandola bevendone il succo rigenerativo. Veramente tutto è grazia se ci lasciamo invadere dalle relazioni di vita e di amore che sono nella santa Trinità:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Signore, tu che sei venuto per i poveri e i lebbrosi, liberaci dalla lebbra dell’autosufficienza,         Kyrie, elèison!
Cristo, tu che sei diventato impuro con gli impuri, perdona tutte le nostre impurità,             Christe, elèison!
Signore, tu che hai donato la tua vita come dono gratuito, insegnaci il ministero della gratuità,        Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che ha sanato Nàaman il pagano nelle acque del fiume Giordano, anticipo del Battesimo cristiano, che ha liberato dalla maledizione sociale e religiosa dieci lebbrosi, di cui solo uno ritorna a «fare eucaristia» con Gesù, per i meriti dei santi profeti di Dio, per i meriti dei poveri e dei lebbrosi di tutto il mondo, esclusi ancora oggi dalla mensa vita, per i meriti di donne e uomini che nel mondo vivono gratuitamente perché gratuitamente hanno ricevuto, ci perdoni da nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.    [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Dio, fonte della vita temporale ed eterna, fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo: ogni fratello in questo giorno santo torni a renderti gloria per il dono della fede, e la Chiesa intera sia testimone della salvezza che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima lettura 2Re 5,14-17. Il racconto della 1a lettura appartiene alle gesta di Eliseo successore del profeta Elia. A differenza del suo maestro, egli è meno fanatico e più attento alle relazioni esterne, fino al punto da organizzare il suo ministero, costituendo un specie di ufficio di pubbliche relazioni come dimostra la 1a parte del racconto (non riportata dalla liturgia di oggi). La guarigione di un siriano da parte di un profeta si situa nel contesto della guerra endemica tra Siria e Israele: ogni pretesto è un’occasione per dichiarare guerra all’altro. Qui si tratta di una provocazione del re di Siria che invia un suo luogotenente malato di lebbra affinché il re di Israele possa guarirlo. Se il re d’Israele dicesse di no, sarebbe considerato un affronto dal re di Siria. In questo frangente diplomatico internazione, s’inserisce il profeta Eliseo chesi assume la responsabilità della risposta e della guarigione, trasportandola dal piano politico a quello religioso. L’intervento del profeta con il suo rituale liturgico e l’intermediazione del suo servo, infatti, obbligano il pagano a vedere il volto universale del Dio d’Israele, la cui caratteristica è la «gratuità». Nessuno può comprare o vendere Dio perché Dio si dona a quanti lo riconoscono e a quanti non lo conoscono perché egli è Agàpe straripante. Credere nel Dio della Bibbia è semplice: basta abituarsi a sapere ricevere.
 
Dal secondo libro dei Re 5,14-17 
In quei giorni, 14Naamàn [il comandante dell’esercito del re di Aram,] scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola di Elisèo, uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato [dalla sua lebbra]. 15Tornò con tutto il seguito da [Elisèo,] l’uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele. Adesso accetta un dono dal tuo servo». 16Quello disse: «Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò». L’altro insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò. 17Allora Naamàn disse: «Se è no, sia permesso almeno al tuo servo di caricare qui tanta terra quanta ne porta una coppia di muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dèi, ma solo al Signore». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 98/97, 1; 2-3ab; 3cd-4. Il salmo è un inno escatologico che invita tutti i popoli convocati al raduno finale a lodare e inneggiare il Signore s’ispira al 3° Isaia ed è molto vicino al salmo precedente (97/96) che celebra la regalità di Dio, giudice dei popoli. Secondo la tradizione ebraica, il popolo d’Israele canterà questo salmo, quando giungerà il Messia. Noi lo celebriamo oggi perché siamo convocati dallo Spirito Santo attorno al Messia che imbandisce per noi il banchetto escatologico, prefigurato e anticipato dal banchetto eucaristico.
 
Rit. Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
 


1. 1 Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. Rit.
2. 2 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
3 Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele. Rit.
3. Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
4 Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! Rit.


 
Seconda lettura 2Tm 2,8-13. La vita dell’apostolo è permanente lotta, fatta di contrasti, fatiche e persecuzioni. In queste circostanza di sofferenza, Paolo offre a Timoteo un criterio che è valido per ogni credente: quando soffri, illumina la sofferenza sostando all’ombra della croce che svela non più il Dio crocifisso, ma il Cristo risorto. Egli è la chiave della vita e della morte e anche il fondamento della certezza cristiana che poggia le radici nella fedeltà di Dio: gli uomini possono anche tradire, venire meno e stancarsi, ma Dio «è condannato» ad essere Dio. Egli non ha alternative: può solo essere fedele a sé perché non può rinnegare la sua promessa di salvezza (vv.12-13). Il sacramento della fedeltà è qui davanti a noi: è l’Eucaristia, il mistero del «Dio spezzato e versato» per amore.
 
Dalla seconda lettera di Paolo apostolo a Timoteo 2,8-13
Figlio mio, 8ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, 9per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata! 10Perciò io sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna. 11Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; 12se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; 13se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 17,11-19. Il contesto del vangelo di oggi è totalmente giudaico. La Legge (Lv 13,45-46; 14,2-7) definisce «lebbra» ogni malattia della pelle: chiunque ne è affetto è impuro perpetuo fino a guarigione accertata. L’accertamento deve essere rituale: il sacerdote del Tempio deve constatare la guarigione e dichiarare il guarito immune da impurità. Gesù si sottomette a questa legislazione per dare credibilità giuridica alla sua azione. Il numero dieci è il numero minimo previsto dalla Legge per formare un gruppo ufficiale: i lebbrosi sono dieci, formano un gruppo, una comunità valida ritualmente, nello stesso momento in cui sono esclusi dalla liturgia. C’è nella religione ufficiale una contraddizione palese: espelle coloro che hanno più bisogno di essere comunità. Su dieci lebbrosi guariti, nove sono Giudei e non si preoccupano nemmeno di essere riconoscenti. Uno solo, un «samaritano», cioè un nemico e considerato pagano, ritorna a «ringraziare». Il testo greco usa il participio presente attivo «eucharistôn» lo stesso verbo che esprime il sacramento dell’«Eucaristia». I Giudei, cioè la ritualità cieca della religione ufficiale spesso impedisce di esprimere i sentimenti che invece il pagano, più «laico» nel cuore, sa esprimere con umanità e per questo è «sacramento» della gratuità di Dio.
 
Canto al Vangelo 1Ts 5,18
Alleluia. In ogni cosa rendete grazie: / questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca 17,11-19
11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». 14Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: 19«Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». - Parola del Signore.
 
Tracce di omelia
Gesù prosegue il suo viaggio. Egli sa da dove parte e sa esattamente dove deve e vuole arrivare: la sua mèta è la città di Dio, dove compirà la sua volontà e dove offrirà se stesso per vivere il senso pieno della sua vita. In tutto il vangelo di Lc l’espressione greca «eis Ierousalêm – verso Gerusalemme» ricorre sette volte (2,41.45;4,9 9,51.53; 13,22; 17,11) e il protagonista esplicito o implicito è sempre lui: Gesù. Egli sa ciò che vuole e oggi, nella liturgia ci insegna come dobbiamo essere per vivere come lui il comandamento dell’amore gratuito.
La prima lettura e il vangelo descrivono lo stesso schema narrativo con il medesimo canovaccio: un uomo di Dio (Eliseo e Gesù); uno straniero (siriano e samaritano); la malattia della lebbra; il comando dell’uomo di Dio; l’esecuzione del comando; la guarigione dalla malattia; il ringraziamento. La legislazione del Lev 13,45-46 e 14,2-7 stabiliva l’emarginazione dei lebbrosi, banditi dalla vita della comunità. In caso di guarigione, solo i sacerdoti del Tempio potevano dichiararla ufficialmente e quindi riammettere gli esclusi nella comunità.
Nella Bibbia la lebbra è simbolo del peccato per cui la guarigione di dieci lebbrosi ha un significato più profondo: essa è segno della guarigione dell’anima, cioè siamo salvati gratuitamente per grazia e non per merito. Nessuno può essere così lebbroso da dire: per me non c’è speranza, perché proprio in quel momento si scoprirà che se non hai speranza sei privilegiato dal Dio che salva, come il figliolo prodigo, come Lazzaro, come il cieco.
Sulla 1a lettura, bisogna fare qualche precisazione se si vuole capire quello che abbiamo letto perché vi sono ragioni sottostanti non immediatamente evidenti, come il concetto di «Dio territoriale», molto radicate nel sec. IX a.C. Nàaman è un pagano, cioè non fa parte della comunità religiosa d’Israele, ma di un’altra religione: oggi diremmo è un musulmano. Il suo nome significa «sono piacevole/grazioso». Nel suo nome stesso c’è un dramma, ma anche una consolazione. Dramma: lui che è grazioso, ha la lebbra che lo rende immondo e costretto a velarsi il viso squamato davanti al quale tutti gli altri devono evitare. Una consolazione perché il racconto mostra che il suo nome è anche una profezia nuova: lo straniero/pagano è grazioso agli occhi del Dio d’Israele.
Gli antichi avevano un concetto territoriale di Dio: poiché ogni popolo aveva il suo Dio, questi perdeva potere e influenza in terra straniera. Poteva esercitare il suo potere solo entro i confini della terra del suo popolo. Per questo, Nàaman chiede di portarsi via una bisaccia di terra, perché era come trasferire il territorio del Dio d’Israele. Salendo sopra quella terra sarebbe stato come se fosse in Israele (è lo stesso principio del tappetino della preghiera dei musulmani). Nàaman vuole pagare il profeta che lo ha guarito, ma Eliso rifiuta sdegnato perché la guarigione e la grazia non sono opera sua, ma sono un dono gratuito di Dio.
Da una parte abbiamo, un Dio universale che non fa distinzione tra cristiani e non cristiani, tra credenti, musulmani e atei perché Dio è Creatore e Provvidenza di tutta la terra. Dall’altra parte troviamo il disinteresse del profeta che non proprietario di Dio e della sua azione, ma ne è solo lo strumento e il segno. L’universalità di Dio fonda la gratuità del profeta: se Dio non è un Dio «confinato», ma è «Signore» di tutta la terra, tutti gli abitanti della terra possono accedere a lui e da lui ricevere la vita e la salvezza. L’universalità del Dio della Bibbia, elimina definitivamente ogni particolarismo religioso
La gratuità è l’insegnamento più importante della liturgia di oggi: entrati in una logica di mercato, compriamo tutto, anche Dio, credendo così di avere diritto a tutto ciò che vogliamo. Le chiese da luogo trasparente di gratuità rischiano di essere «stazioni ferroviarie di self-service», dove qualcuno vende e qualche altro compra la quantità di Dio che gli serve in quella occasione o per quel viaggio. La nostra fede langue e diventa una religione da quattro soldi perché ancora non abbiamo imparato che credere è molto semplice e facile: basta abituarsi a sapere ricevere, perché Dio non accetta di essere pagato, ma chiede solo di essere ricevuto.
La stessa lezione, più approfondita, troviamo nel vangelo: dieci persone sono state guarite. Il numero dieci è il numero minimo prescritto per celebrare la pasqua, quindi per essere una comunità pasquale. Ci troviamo di fronte ad una comunità di lebbrosi che non possono stare «nella comunità» ufficiale: in quanto lebbrosi sono espulsi da ogni convivenza civile, devono vivere ai margini dell’abitato e devono portare alla caviglia un campanello per avvertire coloro che incontrano di allontanarsi e se vedono qualcuno che si avvicina loro, devono gridare «Immondo, immondo». Per i lebbrosi è la morte civile.
Hanno le caratteristiche per essere «comunità» (sono dieci), ma non possono fare parte della comunità. Gesù di fronte ad una religione che non sa nemmeno prendersi cura dei suoi figli, reagisce da par suo: accetta la sottomissione alle regole, ma solo per farle scoppiare dall’interno. Rimanda i dieci (cioè la comunità «non-comunità» al Tempio perché si presentino al sacerdote come prescrive la Legge. Così facendo pone il sigillo notarile ufficiale alla sua disobbedienza alla Legge: sarà la stessa Legge a testimoniare che egli s’intrattiene e parla con i lebbrosi che libera dalle loro catene e nello stesso tempo a dichiarare l’impotenza della Legge stessa di fronte alla liberazione dell’uomo. Le religioni impongono obblighi, prescrivono rituali, rendono schiavi ancora di più, non liberano i prigionieri, non guariscono i lebbrosi, non danno la vista ai ciechi e il passo agli storpi, mentre Gesù opera queste liberazioni come segni dell’irruzione di Dio nella storia degli uomini per costruire un mondo nuovo dove nessuno deve essere emarginato ed espulso (cf Lc 7,22). La fede esprime la capacità umana di tendere all’incontro come comunione d’amore, come «agàpē» consumato.
Nove dei guariti sono credenti e uno pagano, secondo la logica ebraica. I nove credenti ricevono la guarigione come un atto dovuto e continuano per la loro strada. Solo il pagano, un samaritano, una volta guarito, «sente» che deve tornare indietro a ringraziare. I nove osservavano la Legge, la morale e la liturgia con tutte le prescrizioni del caso , ma sono prigionieri della loro stessa religiosità che impedisce loro di vedere il volto di Dio. Non sanno esprimere sentimenti, sanno dire parole, giaculatorie, rosari, sanno fare processioni, ma non sanno cosa sia l’amore. Sono i farisei di tutti i tempi che pensano a Dio come ad una «persona dabbene» e pertanto non può non pensare che come loro. Essi sono i guardiani della religione del dovere.
Il pagano, invece, estraneo alla religione d’Israele e ignaro di riti e convenzioni, sa cogliere ciò che è accaduto: ha colto l’avvenimento e lo esprime con un atto di fede pura: tornare per ringraziare. Il samaritano è l’esatto opposto del figlio più giovane della parabola del «Figliol prodigo» che «ritorna» dal padre, ma solo per convenienza e per interesse (Lc 15,17-19), mentre il Pagano ritorna sui suoi passi per «incontrare» colui che lo ha guarito: «si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (v. 16). Nella parabola del figlio prodigo è il padre che «si gettò» (gr. epèpesen) sul figlio, mentre nel racconto odierno è il Samaritano che «si gettò (èpesen epì)» con la faccia ai suoi piedi.
I nove credenti appartengono alla religione del mercato: «tu dai una cosa a me e io do una cosa a te», il pagano appartiene alla vita che sa cogliere la fede: «Va la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19). Nel nostro tempo tanti cristiani assomigliano ai nove lebbrosi giudei: praticano molto, ma non sanno contemplare; fanno spesso la comunione, ma non sanno ringraziare; amano Dio con tutto il cuore e disprezzano gl’immigrati e chi scappa dalla povertà, dalla guerra e dalla disperazione; vanno in chiesa ed escludono gli altri; parlano a Dio e sparlano di tutti. In una parola: sono ortodossi integerrimi … finché Dio pensa come loro. La loro religione è rivolta al loro piccolo interesse, ripiegata sul proprio inutile egoismo. Credono in un Dio registratore di cassa che rilascia scontrini per accumulare punti in vista del premio eterno, ma senza sconvolgere gli affari terreni. Una religiosità narcisistica.
Oggi siamo invitati a celebrare l’Eucaristia come punto di partenza di una conversione radicale: non basta essere religiosi, bisogna credere; non basta credere, bisogna amare; non basta amare, bisogna amare gratuitamente senza chiedere in cambio nulla. Se chiediamo in cambio qualcosa, viviamo in regime di prostituzione: siamo pagati. E’ necessario aprirsi alla gratuità che non è generosità. Dio ci ama come siamo e se ci lasciamo amare, ci trasforma a sua immagine e noi ameremo gli altri come Dio li ama senza pretendere da loro nulla in restituzione. Nel mondo vogliamo essere il segno che Dio è venuto non per condannare il mondo, ma per salvarlo e lo si può salvare solo in un modo: amando senza riserve, a perdere, come una sorgente che spande acqua senza mai impoverirsi.
Ecco il segno: l’eucaristia che stiamo celebrando. Essa è Parola povera che ha in sé la forza della debolezza e Pane che si spezza. E’ il segno della gratuità graziosa di Dio. Tornando a casa e al lavoro, camminando per le strade, anche noi possiamo essere parola fragile e forte, pane che nutre con l’amore con cui accogliamo quanti incontriamo. Il resto è superfluo. Il resto viene dal diavolo. Buona domenica e buona settimana a tutti, nel segno della gratuità.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale[intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, le nostre offerte e preghiere, e fa’ che questo santo sacrificio, espressione perfetta della nostra fede, ci apra il passaggio alla gloria del cielo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario IX (2° dello Spirito Santo): La missione dello Spirito nella Chiesa
 
Il Signore sia con voi.                         E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                    E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
«Nàaman scese e si lavò nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio»(2Re 5,14).
 
In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi.
Egli guarì dalla lebbra. Tornò dall’uomo di Dio, entrò e si presentò a lui (cf 2Re 5,14-15).
 
Con la potenza del tuo Santo Spirito le assicuri il tuo sostegno, ed essa, nel suo amore fiducioso, non si stanca mai d’invocarti nella prova, e nella gioia sempre ti rende grazie per Cristo Signore nostro.
Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore.
 
Per mezzo di lui cieli e terra inneggiano al tuo amore; e noi, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo la tua gloria:
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio Eliseo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, eleison!
 
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
Cantiamo al Signore un canto nuovo perché ha compiuto prodigi(cf Sal 98/97,1).
 
Offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Noi sappiamo che non c’è Dio su tutta la terra se non nel volto di Cristo Signore (cf 2Re 5,15).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Alziamo il calice della salvezza e rendiamo grazie al Signore nostro Dio (cf Sal 116/115,13).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Tu ti sei ricordato del tuo amore e della tua fedeltà alla casa d’Israele (cf Sal 98/97,3).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Celebriamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione e attendiamo il tuo ritorno. Maràn athà! Vieni, Signore nostro! Christe, elèison.
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Gesù Cristo della stirpe di Davide è risorto dai morti secondo il vangelo dell’apostolo Paolo (cf 2Tm 2,8).
 
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
«Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo»(2Tm 2,11-12).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa sulla terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, le persone che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Come i dieci lebbrosi, alziamo la nostra voce e gridiamo a te: «Gesù maestro, abbi pietà di noi» (Lc 17, 13).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Con il Samaritano torniamo a te, o Dio, lodando a gran voce e invocando misericordia per tutti gli esiliati della terra (cf Lc 17,15-16).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Stranieri e pellegrini sulla terra, rendiamo gloria a te Dio che eri che sei e che vieni. (cf Lc 17,18; Ap 1,8).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell'unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione (Sal 33,1; Lc 17,17.19) I ricchi «sono miseri e affamati, ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene … Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!»
 
Dopo la Comunione
Preghiera attribuita a San Benedetto (480-547), che si trova nella cattedrale di Westmister suggerita dalla nostra amica, Margherita Maltagliati di Milano.
 

O Padre, santo e amabile
O Gracious and Holy Father
Donaci la Sapienza per intuirti,
give us Wisdom to perceive You,
la perseveranza per cercarti,
Diligence to seek You,
la pazienza per aspettarti,
Patience to wait for You,
donaci occhi per  guardarti,
Eyes to behold You,
un cuore per essere assorti/immersi in te,
A Heart to meditate on You,
e una vita per celebrarti,
and a life to proclaime You;
attraverso la forza dello Spirito
Through the power of the Spirit
di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
of Jesus Christ our Lord. Amen.

 
Da Teresa di Lisieux, Storia di un’anima
Ecco dunque la sola cosa che Gesù vuole da noi; non ha affatto bisogno delle nostre opere, ma solo del nostro amore, poiché lo stesso Dio che afferma che non è tenuto a dirci se ha fame, non teme di mendicare un poco di acqua alla Samaritana. Egli aveva sete... Ma dicendo: “dammi da bere”, il Creatore dell’universo reclamava l’amore della sua povera creatura. Egli aveva sete d’amore... Ah! lo sento più che mai: Gesù è assetato, e non trova che ingrati e indifferenti fra i discepoli del mondo; quanto ai suoi stessi discepoli, trova, ahimè! pochi cuori che si affidino a lui senza riserve, che comprendano tutta la tenerezza del suo Amore infinito.
 
Da Richard RolleIl fuoco di Amore (The Fire of Love)
Non v’è davvero nulla di meglio dell’amore, nulla di più dolce della santa carità. Poiché essere amati e amare è un dolce scambio; la delizia della vita dell’uomo, degli angeli e di Dio; nonché il premio di ogni benedizione. Così, se desideri essere amato, ama; poiché l’amore produce e incrementa se stesso. Nessun uomo ha mai perso nulla con un amore che mantiene fermo l’obiettivo di amare. E davvero chi non sa bruciare per amore, non sa neppure cosa sia la gioia. Perciò nessuno può dirsi più benedetto di colui che viene generato senza il suo contributo dalla forza dell’amore e che dalla grandezza di Dio riceve in se stesso la melodiosa dolcezza della lode perenne. Questo tuttavia non accade a tutti; ma solo a chi, rivolto verso Dio, mirabilmente si eserciti, allontanando da sé ogni desiderio di vanità mondana; è allora che Dio effonde sui suoi amanti l’ineffabile lode. La mente davvero predisposta alla purezza, riceve da Dio il pensiero dell’amore eterno; e poi, realmente, il pensiero puro si solleva fino al canto spirituale. La purezza del cuore merita certo di avere un suono celeste; ed è così che la lode di Dio permane nella gioia spirituale, mentre l’anima è riscaldata dal fuoco di Dio, ed è allietata da una delizia piena e meravigliosa.
 
Preghiera dopo la comunione
Padre santo e misericordioso, che ci hai nutriti con il corpo e sangue del tuo Figlio, per questa partecipazione al suo sacrificio donaci di comunicare alla sua stessa vita. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
 
Benedizione e saluto finale da rifare
Il Signore che chiama chi vuole oltre i confini dei limiti umani, ci doni la sua benedizione.            Amen.
Il Signore che ha creato il mondo per farne un giardino per l’umanità, ci consoli con la sua Pace.
Il Signore che accoglie i lebbrosi come figli di Dio, ci colmi della sua tenerezza.
Il Signore che non fa distinzione tra persone di religioni diverse, ci protegga e ci sorregga.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia. 
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
 
_________________________
© Nota: Domenica 28a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 10/10/2010 – San Torpete, Genova
 
 


[1] La radice semantica è «grazia» che traduce la «chàris» greca da cui deriva anche «carisma», dono gratuito.
[2] Ap 2,23 che la Bibbia-Cei (2008) traduce con «scruta gli affetti e i pensieri degli uomini», preferendo la comprensibilità immediata a scapito dell’intensità del testo biblico che così viene ridimensionato e diluito.
[3] Dall’Omelia di domenica 15a del tempo ordinario-C: «Tra Samaritani e Giudei vi era una inimicizia ancestrale: l’odio è radicato e risale almeno al dopo esilio, al tempo di Neemìa (sec. IV a.C.), quando ai Samaritani fu proibito offrire sacrifici al tempio e ai Giudei sposare una donna samaritana. Un Giudeo che offendeva un altro Giudeo chiamandolo «samaritano», commetteva un delitto punibile con i quaranta colpi meno uno, cioè con 39 frustate». Eppure Il Talmud insegnava che i Samaritani sono più scrupolosi dei Giudei nell’osservare la Toràh (trattato Houl 4a).
[4] «Homo sum, humani nihil a me alienum puto– Sono uomo, nulla di ciò che è umano mi può essere estraneo»(Publio Terenzio Afro, HeautontimorùmenosIl punitore di se stesso, I, 1, 25 [165 a.C.]).


Marted́ 05 Ottobre,2010 Ore: 15:57
 
 
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