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www.ildialogo.org Domenica 25a Tempo Ordinario -C- 19 settembre 2010,di Paolo Farinella, prete

Domenica 25a Tempo Ordinario -C- 19 settembre 2010

di Paolo Farinella, prete

Come in economia anche nel contesto della fede esistono i «fondamentali» che sono le fondamenta solide su cui si basa lo sviluppo di un’impresa, di un gruppo, di una nazione. L’opposto dell’economia basata sui fondamentali è quella «finanziaria» basata sul caso, sulle parole e sulle emergenze effimere: in una parola sulla speculazione che si fonda sulla truffa, sulla velocità, su rischio e sul vuoto. «I fondamentali» cioè i beni solidi, visibili e certi sono la garanzia seria del domani e la premessa oggi di un sicuro sviluppo. Gli speculatori finanziari non hanno bisogno di beni fisici e materiali, di magazzini o riserve: ad essi basta una parola, un gesto, una soffiata di complici compiacenti non per produrre reddito, ma per ammassare ricchezza senza fatica. Gli speculatori accumulano e prosperano sulle disgrazie degli altri.

Nel vangelo di oggi ne abbiamo un chiaro esempio nell’amministratore che specula alla rovescia perché sta per essere licenziato per furto. L’ultimo atto che compie è un furto ancora maggiore e originale con cui prova a sistemarsi per sempre. Trasforma la crisi economica del padrone che lui stesso ha generato in opportunità per lui e in una ulteriore perdita per il padrone. Deve essere stato un fatto di cronaca eclatante se ancora al tempo  di Gesù se ne parlava, visto che lui lo assume come parabola. L’uomo della parabola non è un Giudeo, ma un Pagano che fa esclusivamente il suo tornaconto, ma dal suo punto di vista agisce con scaltrezza, cioè sa capovolgere la sua disgrazia in un’assicurazione sulla vita e per la vita.
Nel vangelo odierno leggiamo che «il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza» (Lc 16,8). La traduzione è ambigua perché non può essere il padrone dell’amministratore a lodare chi lo deruba. Noi riteniamo che Lc faccia un’annotazione redazionale per dire che è gesù, il «signore»,[1] che loda l’amministratore infedele per la sua capacità di capovolgere una catastrofe in una opportunità, non ponendo come modello la disonestà dell’uomo, ma la sua capacità di valutazione. Gesù non loda la condotta truffaldina, ma la capacità di cambiare radicalmente condizione: in qualche modo l’amministratore fa una conversione, cioè un cambiamento radicale, adegua il suo ragionamento (il pensiero) alla nuova situazione senza smarrirsi o senza cadere nella paura. I figli del Regno, invece, che sono adagiati sulla assicurazione della salvezza eterna, non sanno sfruttare le situazioni contraddittorie della vita in un progetto a lungo termine verso il Regno. La rassegnazione non è una virtù cristiana, ma un comodo alibi per fuggire la responsabilità dell’impegno.
La 1a lettura è una pagina drammatica di Amos, profeta contemporaneo di Isaia e di Osea. Nel sec. VIII a.C. esistevano «veggenti» professionisti che lavoravano per il re e da lui erano pagati e mantenuti: le loro profezie non erano certo né libere né sincere. Nessuna corte di ogni tempo e cultura ha mai generato profeti, ma solo cortigiani che volentieri diventano per auto-investitura più «papalini del papa». Da questa legge pagana, non solo non sono immuni anche le corti ecclesiastiche, ma spesso sono molto zelanti ad alimentare, fomentare e coltivare l’adulazione come segno di dipendenza e come garanzia di carriera.
Amos non appartiene a questa categoria e per questo è una «voce» libera che sfida senza bavaglio e con forza la cortigianeria e lo stesso re che ricorrendo a questi servi per natura, governa ingannando e vive ingannato. Il re non è vittima, ma responsabile e complice del degrado del Paese. La conclusione logica è l’espulsione fisica del profeta da parte di quei religiosi ufficiali che avrebbero dovuto riconoscerlo come inviato da Dio. Essi però non possono riconoscere l’uomo di Dio perché usano Dio stesso come merce scadente per i propri interessi. Quando Dio e la religione diventano merce di scambio, tutto può accadere: anche la negazione di Dio stesso nella finzione formale del suo rispetto. Amos è un contadino che lo Spirito di Dio strappa al suo lavoro per scaraventarlo in mezzo alla mischia della storia contro i «veggenti del re» che profetizzano sempre benessere e prosperità per avere per sé prosperità e benessere. Nessun «veggente» iscritto a libro paga del potente, profetizzerà mai qualcosa che vada contro il suo padrone e interesse, pena il licenziamento, se non la morte. Se si ha un padrone, è difficile mantenere una coscienza, specialmente se il padrone la può corrompere per una pagnotta.
Quando l’istituzione ecclesiastica prevale sul mistero e la struttura di potere prevarica sui profeti, si potrà salvare forse l’uniformità esteriore di un «certo ordine», ma la «religione» perde la sua anima e diventa «insensata» perché ha come obiettivo perpetuare se stessa, diventando cassa di risonanza vuota, senza contenuto. Non è un caso che l’istituzione «religiosa» uccida istintivamente i profeti e la loro destabilizzazione. La storia è uguale dal sec. VIII a. C. al XXI d. C., dalla corte del re d’Israele o dal tempio ufficiale di Samarìa o di Gerusalemme, fino alla Chiesa di ieri e di oggi. Ogni religione che combatte la profezia è e resta un «monstrum» perché vive e si propone alla venerazione esteriore: un vuoto senza senso, a perdere. E’ oppio che vanifica le coscienze.
Il profeta Amos si scaglia contro un sistema economico che favorisce il lusso dei ricchi, alimentato dalla povertà dilagante[2]. Egli bolla questo perbenismo come sacrilegio davanti a Dio (Am 5,7-13; 8,4-7; 5,11-27; 6,1-7). Condanna i riti di una religione di comodo che diventa copertura di misfatti e di ingiustizia e annuncia il ripudio del ricco da parte di Dio. D’altra parte i ricchi ritengono Dio una suppellettile utile al loro sistema o anche una cianfrusaglia per menti sottosviluppate. I poveri sono costretti ad indebitarsi fino ad impegnare se stessi e la propria libertà: venduti come schiavi in cambio di paio di sandali, cioè di una inezia. Oggi per pochi euro si arriva anche a pignorare una casa; gli inviti ai pensionati e alla famiglia a comprare a rate perché a pagare c’è sempre tempo, sono delitti che la coscienza cristiana dovrebbe condannare senza equivoci[3]. La struttura religiosa in cui siamo prigionieri non reagisce, eppure ha con sé la forza dirompente di un profeta come Amos che ostiniamo a chiamare ancora «Parola di Dio», divenuta sinonimo di «parola al vento».
I vescovi parlano un linguaggio diplomatico per non urtare i potenti con cui commettono quotidianamente atti impuri, accettando doni e proposte che dovrebbero rifiutare, chiedendo leggi a favore della morale cattolica che non dovrebbero chiedere, tacendo su ogni sorta di immoralità quando dovrebbero gridare, divagando sulle scelte politiche contro la dignità della persona umana, «figlia di Dio» (v. leggi razziste sugli immigrati o sui Rom), quando invece dovrebbe urlare come Giovanni il Battezzante:«Non licet!» (Mc 6,18; Mt 14,4). Al tempo degli apostoli, essi parlavano al popolo per farlo innamorare del Signore, oggi i loro successori (non tutti per grazia di Dio!) se non tacciono parlano un linguaggio asettico, dottrinale e aereo, teso a salvaguardare più la correttezza della forma che a suscitare la passione dei cuori. Parlano, nessuno li ascolta e loro scrivono discorsi che poi gli stessi loro preti cestinano. La gerarchia ecclesiastica oggi vive di vita artificiale ed è tenuta in piedi solo dal sistema di peccato, di sono ingranaggio e conseguenza. Se venisse oggi il profeta Amos non lo riconoscerebbe come uomo di Dio, ma dopo averlo scomunicato, lo espellerebbe dalla Chiesa che considera sua proprietà privata. Se venisse lo stesso Gesù Cristo, la gerarchia del tempo, come quella antica, sarebbe sulla pubblica piazza a urlare «più forte: “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”» (Mc 15,14; Lc 23,21) e sarebbe in prima fila a godersi «spettacolo» della crocifissione (cf Lc 23,48).
Al tempo di Amos, in proporzione dell’aumento della ricchezza illecita, aumentavano anche le offerte al tempio: i ricchi che diventavano più ricchi «con la ricchezza disonesta» (Lc 16,9) erano proporzionalmente più generosi con le offerte al tempio,  come se Dio potesse essere comprato e piegato a giustificazione del proprio operato. E’ la religione-miscredente che conserva esternamente le forme religiose (riti, preghiere, culti, templi, feste e liturgie), ma indirizza il cuore e l’anima negli affari e nell’ingordigia che per loro natura affondano le mani nell’illegalità e nella corruzione. Dovremmo essere talmente esperti in discernimento da essere subito capaci di discernere ciò che viene da Dio e ciò che viene dal maligno. Non tutte le offerte, specialmente quelle consistenti di uomini e politici equivoci dovrebbero essere accettate, nemmeno se tutti i poveri morissero di fame e le chiese-edifici crollassero su stesse. Le offerte dei ricchi che provengono dalla « ricchezza disonesta » non possono trovare accoglienza dentro la Chiesa delle Beatitudini. Il profeta in modo semplice e duro ci dice che ogni ricchezza che supera la decenza del necessario è un furto ai danni della giustizia, un insulto a Dio Creatore e la causa dello squilibrio ecologico e morale del mondo intero. La Chiesa non può tacere e non può partecipare a questo lauto banchetto di indegnità.
In questo «sistema» c’è una responsabilità diretta che appartiene a coloro che governano sia in ambito civile che religioso. Ad essi guarda San Paolo quando ordina a Timoteo di pregare «per i re e per tutti quelli che stanno al potere» (1Tm 2,2a), indipendentemente se sono credenti o meno. Al tempo di San Paolo erano tutti pagani, segno che se i capi seguono la coscienza della loro funzione dovrebbero giungere agevolmente a promuovere il «bene comune» dei loro popoli con lo scopo di giungere a «trascorrere una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Tm, 2,22b) che tradotto in termini moderni significa: sviluppare in armonia la realizzazione della felicità propria insieme a quella degli altri, senza prevaricazioni. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 1, 4) attraverso la concordia e la condivisione dei beni della terra che appartengono a tutti e non ad alcuni. Per fare questo non occorre che un capo di Stato sia cristiano, ateo o agnostico: è sufficiente che stia sottomesso alla maestà della Legge del suo popolo e come orizzonte ne abbia il bene comune, specialmente dei più piccoli e dei più poveri.
Entriamo nel Santuario dell’Eucaristia per imparare la salvezza e la conoscenza della verità perché nella presenza dello Spirito possiamo essere testimoni credibili della scelta preferenziale dei poveri che Dio ha fatto da tutta l’eternità e che affida a noi come «sacramento» della sua Paternità nel mondo. Facciamo nostre le parole dell’antifona d’ingresso: «Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore, in qualunque prova mi invocheranno, li esaudirò, e sarò loro Signore per sempre».
 
Spirito Santo, tu sei il padre dei poveri e il l’amico degli umili che tu proteggi,                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu se il custode del giorno del Signore che consacra la condivisione,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la giustizia che Dio esige da chi vuole credere in lui,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu, susciti noi servi del Signore a lodare il suo Nome,                                  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la tenerezza del Padre che si china a guardarci sulla terra,                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sollevi il povero per farne un principe nel tuo Regno,                             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sveli il segreto di Dio: egli vuole che tutti gli uomini si salvino,                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci guidi alla conoscenza di Cristo unico mediatore e salvatore,                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidi i passi dell’apostolo che porta la volontà di salvezza di Dio, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il nostro maestro che c’insegna ad amministrare il tempo,                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Sapienza che ci insegna a preparare il domani del Regno,              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu lodi chi amministra con verità e amore la parola del Vangelo,                 Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci educhi ad essere fedeli nel poco per essere fedeli nel molto,               Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci impedisci di servire due padroni per scegliere il Signore della vita,       Veni, Sancte Spiritus!
 
Signore, nonostante da due mila anni leggiamo il tuo vangelo, ci siamo lasciati permeare facilmente dallo spirito del mondo che persegue il bene di pochi al prezzo del male di molti. Tu vedi che il mondo intero è ingiusto perché fondato sull’ingiustizia del cuore che genera leggi e strutture d’iniquità. Noi siamo nel mondo, ma non abbiamo imparato che non siamo del mondo, il quale ha buon giogo a sottomerci con le sue lusinghe, il denaro, il potere. Con indifferenza abbiamo appreso a servire indifferentemente te e mammona senza più alcun problema morale, arrivando perfino a dire che le parole che tu dici sono «iperboliche», cioè esagerazioni impossibili da realizzare nella vita. Oggi siamo davanti alla cattedra dell’altare simbolo del tuo Figlio Gesù, per imparare la salvezza e la sapienza della verità. Ci poniamo all’ombra della Shekinàh, invocandoti Unico Dio nella santa Trinità:
 

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

 
Signore, tu col profeta Amos ci richiami alla verità della fede, abbi pietà di noi,                Kyrie, elèison!
Cristo, tu sei Dio venuto a servire e non ad essere servito, abbi pietà di noi,                    Christe, elèison!
Signore, tu ci doni lo Spirito per leggere gli eventi della vita, abbi pietà di noi,                  Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente che chiami i profeti fuori da ogni schema di potere e d’interesse, affinché portino la tua parola di salvezza che purifica il modo di vivere la religione per trasformarla in fede in Te, o Dio di Abramo, di Isacco , di Giacobbe, di Amos, di Paolo e Dio nostro, per i meriti dei nostri padri ed elle nostre madri, ci perdoni da nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). O Padre, che ci chiami ad amarti e servirti come unico Signore, abbi pietà della nostra condizione umana; salvaci dalla cupidigia delle ricchezze, e fa’ che alzando al cielo mani libere e pure, ti rendiamo gloria con tutta la nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.


Mensa della Parola
Prima lettura Am 8,4-7. Il profeta Amos vive nel sec. VIII a. C ed è contemporaneo, almeno in parte del primo Isaia e di Osea. Le guerre, come sempre sviluppano una economia in cui il mercato nero prospera perché impone prezzi impossibili ai beni di prima necessità. Chi ne paga le conseguenze dirette, al tempo di Amos e oggi, è il popolo dei poveri. Ai giorni di Amos nemmeno la religione riusciva ad arginare questa immoralità perché i mercanti la rendevano complice della loro ingiustizia, approfittando del giorno di Shabàt o di altre feste per aumentare i loro profitti, alterare i pesi delle bilance e frodare gli acquirenti, dando in compenso laute offerte al tesoro del tempio. In questo contesto di ingiustizia sociale, il profeta alza forte la sua voce e condanna una religione che si fa copertura del sopruso e dell’ingiustizia. Non si può stare nella casa di Dio e sulla soglia fare i propri interessi, utilizzando il nome stesso di Dio per operare ignominie e immoralità. Dio non è al di sopra delle parti: egli prende sempre posizione a favore dei deboli e dei poveri. Chi dice di credere in Dio sa cosa deve fare: semplicemente imitarlo.
 
Dal libro del profeta Amos 8,4-7
Il Signore mi disse: 4 «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa e aumentando il siclo e usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano”». Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: «Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 113/112, 1-2; 4-5; 7-8. Il Salmo di oggi è un salmo importante perché apre il gruppo di sei salmi (dal 113/112 fino al 118/117), conosciuto come «Piccolo Hallèl – Piccola Lode». Questo «inno» si recita in tutte le festività e nella veglia pasquale[4], prima della cena dell’agnello per commemorare l’esodo, il tempo del riscatto d’Israele. Vi si trovano tutti i temi dell’esodo, tanto che è considerato come il Magnificat dell’AT. Anche Gesù lo recitò come testimonia Matteo: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (Mt 26,30). L’«inno» è il salmo odierno e quelli seguenti fino al Sal 119/118 che noi facciamo nostro come ringraziamento eucaristico per tutte le liberazioni che di ha operato in noi. Nei vv.7-8 si sviluppa il tema «povero-ricco» che sarà ripreso da Maria nel suo Magnificat (cf Lc 1,46-55).
 
Rit.Benedetto il Signore che rialza il povero.

1 1 Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
2 Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre. Rit.
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra? Rit.
3. 7 Solleva dalla polvere il debole,
2.  4 Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
5 Chi è come il Signore, nostro Dio,
dall’immondizia rialza il povero,
8 per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo. Rit.

 
Seconda lettura 1Tm 2,1-8. Tra i vari temi che l’autore affronta nella 1a lettera a Timoteo, si trova anche quello dell’organizzazione della liturgia, di cui Timoteo è responsabile. Il brano di oggi riguarda la preghiera universale, quella che noi chiamiamo preghiera dei fedeli che per Paolo non è una indiscriminata esposizione di idee, ma una preghiera che ha quattro caratteristiche: «domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti» (v. 1). Forse Paolo si ispira alla preghiera ebraica dello «Shemòne Esre – Diciotto [Benedizioni]» che al suo tempo era la preghiera universale abituale. A differenza della preghiera ebraica però che prega prevalentemente per Israele, la preghiera cristiana deve essere universale perché deve intercedere «per tutti gli uomini» (v. 1), per i capi dei popoli e dei governi perché guidino i loro popoli sul cammino della pace (v. 2). Al tempo di Paolo i capi dei popoli e di governo erano tutti pagani (v. 2) e molti si facevano adorare come «dèi» (ad es.l’ imperatore romano), imponendo anche ai propri sudditi di pregare per loro. Ll’autore relativizza la loro pretesa perché li colloca sotto la Maestà di Dio creatore. Il fondamento teologico della preghiera universale è cristologico: la volontà salvifica di Dio per tutti gli uomini e la mediazione di Gesù che «ha dato se stesso in riscatto per tutti» (v. 6). Quando preghiamo non esponiamo ipotesi o idee, ma impegniamo la nostra vita che mettiamo in comunione con Dio per il bene di tutta l’umanità.
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 2,1-8
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità. Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese -  Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 16,1-13 (lett. breve 16,10-13). Il brano del vangelo probabilmente si riferisce ad un truffa dell’epoca che fece scalpore e di cui si parlò a lungo come di un «colpo da maestri». Gesù ha detto ciò che il vangelo riporta, ma se ne è perso il contesto. Senza più questo riferimento, le comunità cristiane hanno cercato di dare significati diversi. Noi cogliamo il senso primitivo che intendeva Gesù alla luce di tutto il vangelo: poiché il tempo a disposizione è poco bisogna approfittarne per prepararsi il futuro, come quando si guarda il sole di sera per prevedere il tempo del giorno dopo (Lc 12,54-56; cf anche 12,58-59). Gesù non propone la disonestà come modello o strumento per raggiungere obiettivi, mette in rilevo solo la capacità dell’uomo disonesto di sapere discernere gli eventi per salvarsi. L’amministratore infedele ha approfittato del tempo che gli restava e lo ha impiegato al meglio dal suo punto di vista. Anche i credenti devono impiegare bene il loro tempo per conquistare il Regno imminente, ma con i propri mezzi e dal loro punto di vista che non sono diversi da quello di Dio, il quale spoglia se stesso per arricchire noi (cf Fil 2,7), come sperimentiamo nella celebrazione dell’Eucaristia.
 
Canto al Vangelo. Alleluia.Gesù Cristo, da ricco che era, si fece povero / per arricchire noi con la sua povertà.
 
Dal Vangelo secondo Luca 16,1-13 (lett. breve 16,10-13)
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: [«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.  L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.  8 Il padrone (Il Signore: gr. hò kýrios) lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza[5]. (Disse poi Gesù:) I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.] 10 Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. 11 Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Come per le altre parabole anche per quella dell’amministratore infedele, bisogna fare una distinzione su tre livelli: a) il testo redazionale scritto che è quello che leggiamo noi; b) il testo in uso nella comunità cristiana, magari in forma ancora orale o parzialmente scritto; c) infine quello che Gesù ha detto con la sua viva voce. Da tutto il contesto del NT, noi sappiamo che Gesù non ebbe alcuna intenzione di fondare una «chiesa» perché il suo orizzonte non era la storia degli uomini finita nel tempo, ma il Regno di Dio come prospettiva di tutto il creato. Il Regno non è un luogo materiale o una forma di governo. L’espressione «Regno di Dio» non è spaziale, ma indica uno «stato», cioè una condizione per essere figli di Dio. Il «Regno» apre due prospettive: la prima afferma che c’è una dimensione più grande di qualsiasi realizzazione umana che si chiama «Dio» e l’altra dice che non può esservi realizzazione umana nella dimensione di Dio senza condivisione e fraternità, senza assumere su di sé l’anelito di salvezza integrale che c’è in tutta l’umanità. Il Regno non è una «sètta», ma l’universale volontà di Dio che vuole tutti gli uomini e le donne salvati (cf 1Tm 2,4). Annunciando questo orizzonte Gesù dice ai suoi contemporanei che bisogna fare in fretta perché il tempo a disposizione è molto poco.
La prova di ciò sta nel fatto che la «Chiesa» non è fondata su Gesù Cristo perché essa è destinata a finire perché non è eterna. La «Chiesa» come la sperimentiamo storicamente è un «mezzo», non un «fine» e come tutti i mezzi un giorno dovrà scomparire:è relativa. Gesù annuncia il «Regno» cioè la prospettiva di Dio che diventa fondamento della dinamica umana per realizzare anche sulla terra un «segno/sacramento» dell’armonia finale: è  la tensione che la Scrittura descrive tra Gerusalemme celeste e Gerusalemme terrestre (Ap 21). La Chiesa come «sacramento» (LG 1) è solo un indicatore stradale, una tensione, un gradino che concorre a fare maturare le coscienze in vista dell’approdo che è oltre la Chiesa, è Dio stesso.
La «Chiesa cristiana» come storicamente noi la sperimentiamo è fondata sugli Apostoli che ne garantiscono la presenza e la funzione. Per essere più precisi la fede si fonda sulla fede degli Apostoli, che a noi garantiscono la storicità di Gesù e trasmettono il criterio dell’incarnazione come unica via per incontrare il Dio invisibile. Nel codice della fede che è il credo, infatti, crediamo non «la Chiesa una, santa, cattolica e cristica», ma solo «la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica»: essa è lo strumento che poggia sulle colonne degli Apostoli (cf Gal 2,9) per indicare agli uomini di tutti i tempi l’indirizzo del «Regno di Dio». La Chiesa è un cartello indicatore della direzione. A volte ci riesce, a volte no e a volte indica una direzione diversa perché è piena di peccatori, che siamo anche noi, che si arrabattano come possono[6]. Spesso sono i pastori che smarriscono la via della Chiesa perché ne fanno un fine al di sopra di Gesù Cristo stesso: ciò avviene quando languono come pastori perché si sono assuefatti al ruolo di gerarchia, cessando di essere guide perché paghi di svolgere il ruolo di funzionari rassegnati e depressi.
Con la parabola dell’amministratore disonesto e scaltro, che s’ispira ad un fatto rilevante di cronaca, Gesù, senza dare patenti di moralità al padrone e all’amministratore, si premura di annunciare l’urgenza di decidersi a scegliere, in base ad un criterio di priorità. Sulla bocca di Gesù l’amministratore è solo uno che approfitta della situazione imprevista e la capovolge a suo favore. Per questo lo loda in Lc 16,8 perché non si è scoraggiato di fronte alle difficoltà, ma ha saputo affrontarle, certo, dal suo punto di vista losco e truffaldino, in merito al quale Gesù non esprime un giudizio per l’obiettivo della parabola non la moralità o immoralità dell’amministratore, ma la situazione che si è venuta a creare al momento di decidere sul futuro. La parabola non è di facile lettura e infatti la riporta solo Lc, l’unico evangelista che può armonizzarla nel contesto del suo vangelo dove è primario il ricorso al binomio: ricchezza-povertà. La parabola infatti dopo la predicazione di Gesù ha avuto un processo evolutivo complesso con almeno tre passaggi, dopo quello di Gesù.
I primi cristiani (2° livello della trasmissione della parabola) modificano questa interpretazione perché applicano la parabola alla loro condizione concreta: in forza della loro fede e della loro scelta non possono usare «i mezzi» che usa il mondo come, per es., frodare nei pesi delle bilance, come essere disonesti nel commercio, come barare nelle relazioni, come farsi strada a danno di altri, ecc. Vivendo coerentemente i cristiani sono svantaggiati di fronte a chi è più disinvolto e non si pone problemi di comportamento etico e vive solo in funzione di se stesso. I primi cristiani fanno subito una constatazione: negli affari i «figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16,8). L’espressione «figli della luce» è un semitismo, cioè un modo orientale semitico per definire i credenti: l’espressione si trova anche a Qumran dove i membri sono identificati in questo modo per la battaglia finale «con i figli delle tenebre» a cui parteciperanno anche le schiere angeliche.[7]
Questa constatazione dei primi cristiani «dovrebbe» essere vera, anche se può apparire deprimente, perché un cristiano da questo punto di vista sarà sempre inferiore di fronte ai suoi simili perché egli non può usare «certi mezzi» e per la fede il fine non li giustifica mai, ma ad ogni fine deve corrispondere un mezzo adeguato, vero e quindi coerente. Un credente, p. es., non può frodare il fisco perché ruba alla collettività e anche a se stesso, impedendo la partecipazione ai beni della creazione che sono un diritto; non può dire il falso per avere un vantaggio personale; non può pretendere e fare leggi a suo uso e beneficio; non può servirsi della sua posizione sociale, politica o ecclesiale per perseguire tornaconti suoi a danno della comunità; se ha un commercio di qualsiasi genere non può non rilasciare fattura senza maggiorazione; non può aumentare i prezzi senza giusto motivo e in modo giusto. Nei primi quattro secoli alcuni mestieri erano dichiarati incompatibili con la professione di fede proprio per i motivi sopradetti: il commerciante (era opinione comune che rubassero sempre); il militare (per l’uso della violenza e delle razzie); i macellai (per la consuetudine con il sangue); gli attori (perché usavano maschere di divinità e potevano indurre all’idolatria).
Un 3° livello interpretativo della parabola in un tempo ancora successivo, ma prima della redazione finale di Lc, riguarda l’uso del denaro, argomento molto caro alla comunità di Lc che è attenta alla condizione reale dei poveri (cf At 2,44-45; 4,34.36-37; 5,1-10). Non si tratta più di rassegnarsi di fronte alla malizia degli altri e ammettere la propria inferiorità in certi comportamenti privati e pubblici, ma ora ci si interroga sulla sorte che capita a chi possiede molti beni. E’ la questione che affronta anche la lettera di Giacomo (cf Gc 2,1-13; 5,1-6): la ricchezza in rapporto al vangelo nella stile di vita dei cristiani. La comunità prende atto che l’amministratore ha usato denaro di cui ancora disponeva per distribuirlo e garantirsi un futuro; allo stesso modo i ricchi possono sperare di salvarsi, solo se partecipano la loro ricchezza distribuendola come pegno per il Regno (cf Lc 6,29-30. 34-35; 12,33). Solo spogliandosi della zavorra della ricchezza, i ricchi possono sperare di entrare nel Regno di Dio e in questo i primi cristiani sono coerenti con la predicazione di Gesù che aveva detto essere più facile ad una gòmena di nave passare dalla cruna di un ago che ad un ricco entrare nella salvezza (cf Lc 18,25).
Si arriva infine al testo di Lc che è il 4° e ultimo passaggio, questa volta scritto: è il testo giunto a noi. Anche Lc dà una sua valutazione: ormai quasi alla fine del sec. I cambia la prospettiva perché cambiano le situazioni e le condizioni e Lc si trova di fronte ad una comunità, ormai stabile dove le differenze sociali mettono in evidenza la grande separazione che vi è tra i ricci e i poveri, frutto di una sperequazione ingiusta e così aggiunge di suo pugno l’osservazione parenetica (cioè esortativa): «Procuratevi amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne» (Lc 16,9), dove invita espressamente i ricchi e farsi carico dei poveri con la condivisione dei loro beni, in forza del principio che la comunione della fede comporta anche la comunione dei mezzi materiali. Lc è l’autore che sull’esempio di Paolo che aveva promosso una grande colletta tra le chiese greche per aiutare i poveri della chiesa madre di Gerusalemme (Rm 15,25-28; Gal 2,10; 1Cor 16,1.12; 2Cor 8-9) attribuisce grande importanza al denaro come strumento di salvezza, dando così concretezza alla professione di fede che i primi cristiani da veri Giudei facevano pregando con lo «Shemà Israel»: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la tua forza», dove il termine «forza» (ebr. me’od) significa appunto i beni terreni (Dt 6,5; Lc 10,27).
Vi è un ultimo insegnamento finale (Lc 16,10-12) che l’evangelista propone prendendo ancora una volta l’amministratore ad esempio. Egli è stato scaltro secondo la sua etica disonesta, ma il cristiano non deve imitarlo in questa scaltrezza, ma deve imparare che se vuole essere vero nelle cose che riguardano la fede e Dio che sono di gran lunga più importanti dei beni materiali, è necessario che impari a sapere amministrare le cose insignificanti. Il cristiano non può perdere di vista il rapporto che c’è tra beni spirituali e beni materiali: tutti e due sono «beni», ma la loro portata è differente nel peso e nell’importanza. Se diciamo di credere in Gesù risorto, dobbiamo anche darlo a vedere non nelle parole proclamate o nei giudizi che spesso facilmente diamo sugli altri, ma solo attraverso i nostri comportamenti e la nostra vita ordinaria, le sole vie attraverso le quali siamo credibili noi e testimoniamo la credibilità di Dio. La parola senza la testimonianza della vita, trasforma il vangelo in ideologia che esclude la fede, ma esige la religione come strumento di dominio e di possesso delle coscienze.
 L’Eucaristia che celebriamo non è un rito morto utile a darci il senso della nostra identità; al contrario essa è una scuola dove impariamo il mistero della proporzionalità o se si vuole dell’efficacia della testimonianza perché ci svela in che modo il Dio di Gesù Cristo è il Dio che nutre gli uccelli del cielo, veste i gigli del campo e conta i capelli del nostro capo perché egli sa ciò di cui i suoi figli hanno bisogno (cf Mt 6,26-32). Per affrontare la vita in cammino verso il Regno che è già in mezzo a noi, impariamo dal Pane che si spezza e dal Vino che si versa perché nessuno abbia più fame e sete in ogni angolo della terra. Questo è il Regno di Dio che attende il nostro impegno e la nostra verità.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.                 [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.     [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale[intenzioni libere]
 
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.              Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiera (sulle offerte). Accogli, o Padre, l’offerta del tuo popolo e donaci in questo sacramento di salvezza i beni nei quali crediamo e speriamo con amore di figli. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario VI: Cristo Parola, Salvatore e Redentore
 
Il Signore sia con voi.    E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.      Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.             E’ cosa buona e giusta.
 
E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.
Ascoltiamo il Signore e celebriamo il suo giorno come giorno di giustizia, di purificazione e di condivisione con i poveri del Regno (cf Am 8,4-5).
 
Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla vergine Maria.
«Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli» (cf Mt 5,3).
 
Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison! Osanna nell’alto dei cieli e pace agli uomini che egli ama.
 
Per questo mistero di salvezza, uniti agli Angeli, ai Santi e alle Sante del cielo e della terra, proclamiamo a una sola voce la tua gloria :
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Sia benedetto il Signore che viene Parola e Pane discesi dal cielo. Osanna nell’alto dei cieli.
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
«Lodate, servi del Signore, lodate il Nome del Signore»(Sal 113/112,1).
 
Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse:  PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«Sia benedetto il Nome del Signore, da ora e per sempre» (Sal 113/112,2).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5-6).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Noi crediamo, Signore che tu sei il Cristo di Dio, ma tu aumenta la nostra fede (cf Lc9,20; Gv 11,27; 17,5).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Per il mistero della tua santa croce, salvaci o Cristo Risorto, atteso dalle genti! Maranà thà! Vieni, Signore!
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Eleviamo a te, Signore, domande, suppliche, preghiere per tutti i popoli e nazioni, per quelli che governano, perché cerchino sempre il bene comune e l’umanità viva tranquilla nella dignità. (cf 2Tm 2,1-2).
 
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Il Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero / per arricchire noi con la tua povertà (cf canto Alleluia).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare … e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Disse il Signore: «Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti » (Lc 16,10).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza … ammettili a godere la luce del tuo volto.
Dice il Signore: «Se non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?» (cf Lc 16,11).
 
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Non possiamo servire due padroni: non possiamo servire Dio e la ricchezza. Per questo lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza per consacrarci nel servizio del Vangelo (cf Lc 16,13; Rom 8,26; Fil 2,22).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO, PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITA DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 16,13: «Non potete servire Dio e la ricchezza», dice il Signore.
Dopo la comunione
Preghiera attribuita a San Benedetto (480-547), che si trova nella cattedrale di Westmister suggerita dalla nostra amica, Margherita Maltagliati di Milano.
 

O Padre, santo e amabile
O Gracious and Holy Father
Donaci la Sapienza per intuirti,
give us Wisdom to perceive You,
la perseveranza per cercarti,
Diligence to seek You,
la pazienza per aspettarti,
Patience to wait for You,
donaci occhi per  guardarti,
Eyes to behold You,
un cuore per essere assorti/immersi in te,
A Heart to meditate on You,
e una vita per celebrarti,
and a life to proclaime You;
attraverso la forza dello Spirito
Through the power of the Spirit
di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
of Jesus Christ our Lord. Amen.

 
Da William Penn[8], (Consigli ai propri figli [Advise to his children]
Vi raccomando soprattutto i bambini, le vedove, i malati, gli anziani: privatevi se necessario voi di qualcosa, piuttosto che lasciarne mancare a loro. Evitate il grave peccato di spendere inutilmente per la vostra persona e per la vostra casa, mentre i poveri sono nudi e affamati. Che strazio ho spesso provato nel vedere persone anziane e malate, ma soprattutto poveri bambini indifesi, giacere la notte intera all’addiaccio, sull’uscio delle case, o per strada, in mancanza di un alloggio migliore. Ho pensato: se vi trovaste voi in questa situazione, quanto vi sarebbe difficile sopportarla? La differenza tra la nostra condizione e la loro mi ha mosso ad un atteggiamento di umile ringraziamento a Dio assieme a una grande compassione e ad una qualche forma di intervento in favore di quelle povere creature. Una volta di più: siate buoni con i poveri. Che dico? Siate giusti con essi, e sarete buoni con voi stessi: pensate a ciò come a un vostro dovere, e compitelo religiosamente. Rivivete nella vostra mente il commovente brano che troviamo nel cap. 25 di Matteo, dal versetto 35 fino alla fine: ho avuto fame, ho avuto sete, ero nudo, malato, in prigione e vi siete presi cura di me, con la benedizione che segue; e quanto egli dice rivolto agli altri: avevo fame, e sete, ero nudo, infermo e in prigione e voi mi avete ignorato; perché una terribile sentenza segue all’insensibilità del mondo.
 
Canto all’amicizia di Khalil Gibran, il grande pensatore libanese (1883-1931) e dedicata a tutti gli amici e amiche speciali:
 
«Farò della mia anima uno scrigno per la tua anima,
del mio cuore una dimora per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro per le tue pene.
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome
come la valle canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta la storia delle onde».

Preghiamo. Guida e sostieni, Signore, con il tuo continuo aiuto il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti, perché la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita.  Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore rifugio dei poveri, degli orfani e delle vedove, ci doni la sua benedizione,                      Amen.
Il Signore, custode della santità del giorno di domenica, ci consoli con la sua Pace.
Il Signore che fa sorgere il sole per tutti gli uomini, ci colmi della sua tenerezza.           
Il Signore che ci manda nel mondo a riconoscerlo nei poveri, ci protegga e ci sorregga.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen.
 
La messa è conclusa come celebrazione: continua nella testimonianza della vita.
Andiamo incontro al Signore nella storia. 
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
 
_________________________
© Nota: Domenica 25a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 19/09/2010 – San Torpete – Genova
 
 


[1]V. più avanti, nota 5.
[2] Il sec. VIII a. C. è un tempo di grandi trasformazioni, le guerre condizionano lo stato sociale perché generano trafficanti che prosperano con il mercato nero. Il prezzo più alto di questo «boom economico» speculativo lo pagano sempre i poveri che sono il propellente del benessere dei ricchi. La corruzione dilaga, la frode è diventata sistema, i commercianti contraffanno i pesi delle bilance, chi presta denaro lo fa ad usura, i beni di prima necessità, grano, orzo, vino e olio hanno prezzi fuori controllo: pochi si arricchiscono molto, molti sono affamati. Nessuna differenza con il nostro sistema politico ed economico che ispirandosi, per convenienza, a criteri di «civiltà cristiana», tanto sbandierata come baluardo contro qualsiasi altra interferenza «straniera», dovrebbe basare la sua economia e il mercato su criteri di giustizia ed equità. In una «civiltà cristiana», lo Stato di diritto, fondato sulla Carta suprema che sancisce parità ed uguaglianza di cittadini, dovrebbe legiferare in difesa dei più deboli e non permettere sperequazioni indebite e immorali. L’economia occidentale è eticamente immorale: non si ispira forse ai principi liberali statunitensi che addirittura incidono il nome di Dio nel «dollaro», emblema plastico di «mammona iniquitatis»? Il motto «In God We Trust – Noi confidiamo in Dio» campeggia nella moneta statunitense, ma non è né può essere il Dio della rivelazione: è soltanto il nuovo «vitello» d’oro di colore verde, «il dollaro», che acquista la sembianza di «dio» che fa schiavi sull’altare della sua ingordia, il libero [???] mercato immola vittime sacrificali, i poveri come individui e come nazioni che non sottostanno alle sue regole rituali. Il motto fu adottato nel 1956 e sostituì il precedente più neutro e laico: «E Pluribus – Dalla Moltitudine» [degli Stati, un solo progetto/governo/economia].
[3] Una inchiesta televisiva italiana (Report, 28 maggio 2010) ha messo in luce adducendo documenti e testimonianze che la Congregazione della “Propagazione della Fede” della Santa Sede, quella che presiede i missionari sparsi nel mondo, possiede quasi un terzo degli immobili della città di Roma, molti dei quali affittati alla povera gente da generazioni e generazioni. La gestione della moderna evangelizzazione, iniziata con il card. Sepe XXXXX, con la scusa di ristrutturare gli immobili fatiscenti, ha dato lo sfratto a centinaia di migliaia di poveri, anziani e malati, mentre al tempo stesso vendeva a prezzi favore immobili prestigiosi o ne affittava parte a uomini di potere da cui riceveva favori, anche illeciti. Su questi fatti indaga la magistratura perché si prefigurano scelte e fatti di valenza penale. Nessuno del Vaticano ha mai smentito questi dati. Tuito ciò davanti alla coscienza della povera gente che la Chiesa sull’esempio di San Lorenzo, dovrebbe tutelare, difendere e favorire, diventa segno positivo della negazione di Dio: come possono i missionari annunciare Cristo Risorto, quando la loro congregazione vaticana uccide vecchi, bambini e poveri allo scopo di fare soldi, tanti soldi con uomini di potere e di governo corrotti e corruttori? No! Dio non è credibile!
[4] Il Talmud babilonese, (trattato bBerakòt-Benedizioni 56a) lo chiama anche «Hallèl egiziano» perché è recitato a Pasqua per celebrare l’uscita dall’Egitto. Secondo bPesachim – Pasqua, 118a in questi salmi sono contenuti tutti i temi dell’esodo che costituiscono l’ossatura della fede ebraica: l’esodo (Sal 114/113,1), la divisione del Mar Rosso (Sal 114/113,3), il dono della Toràh al Sinai (Sal 114/113 4; cf Gdc 5,4-5; la risurrezione dei morti (Sal 116,9) e la sofferenza che precede immediatamente l’arrivo del Messia (Sal 115/114,1). Vi è anche il «Grande Hallèl – Grande Lode» costituito dal Sal 136/135 che riporta la grande litania di Dn 5,52-90 che riporta per ben 26 volte l’espressione «eterna è la sua misericordia ki le‘olàm chasdò» e 26 è il valore numerico del Nome di Dio, quasi a dire che la natura intima di Dio è la «misericordia» cioè la tenerezza che nasce dal grembo materno che genera alla vita. Una tradizione dice anche che 26 furono le generazioni vissute prima della rivelazione della Toràh al monte Sinai: Dio non si è dimenticato di nessuno, nemmeno di quelli che erano senza la «Legge», e li ha redenti con la sua misericordia in vista della Toràh. Il «Grande Hallèl» era recitato a Pasqua dopo il «Piccolo Hallèl». Accanto ai primi due vi è anche un terzo «Hallèl» formato dagli ultimi cinque salmi (146/145-150) che veniva recitato al mattino.
[5] Il termine greco «kýrios» significa tanto «signore» quanto «padrone», chi decide quale senso adottare è il contesto. La Bibbia Cei traduce con «padrone», riferendosi così al padrone dell’amministratore. Il contesto però rivela che il versetto è un commento redazionale di Lc, il quale si riferisce che è il Signore Gesù che loda l’amministratore.
[6] Oggi è invalso l’uso di usare la parola «Chiesa» come sinonimo esclusivamente di «gerarchia» che è un uso illecito dal punto di vista della rivelazione e un sopruso teologico. La «Chiesa» è l’«ekklesìa», cioè la convocata, la radunata dallo Spirito attorno alla Parola del Figlio per andare incontro al Padre. In questo raduno, dentro questa convocazione vi è anche la «gerarchia» che è semplicemente «nella» Chiesa, cioè all’interno del popolo di Dio, senza per questo esaurirne il contenuto e la dimensione. La Chiesa è sinonimo di «popolo di Dio», nella cui articolazione complessa vi sono «multae mansiones» (Gv 14,2).
[7] Il tema dei «figli della luce» e dei figli delle tenebre» è ricorrente in Qumran, ma è trattato in modo speciale nella «Regola della Guerra» (= QM), databile tra il 110 a. C. e il 25 d. C. e descrive con minuziosità anche strategica la guerra tra il bene e il male che durerà 40 anni (numero biblico di una attesa compiuta): cf 1QM [+1Q33], col. 1 et passim.
[8] Nato il 14 ottobre 1644, a Londra, da Margareth e dall’ammiraglio della Corona, di cui ereditò il nome, il giovane William, quando conobbe la Società degli Amici attraverso la predicazione di Thomas Loe, cominciò a frequentarla, finendo poi per aderire ad essa con convinzione ed entusiasmo. La Società era stata fondata nel 1647 dal predicatore inglese George Fox, e si caratterizzava per l’enfasi posta sull’assenza di gerarchia e di templi, sull’autorità della coscienza in materia di costumi, sul riconoscimento dei carismi e sullo stile di vita semplice ed essenziale dei suoi membri, sull’importanza data al silenzio durante il culto, e sulla valorizzazione del dialogo e dei mezzi pacifici per risolvere le controversie. Tutto questo doveva ovviamente apparire piuttosto rivoluzionario e destabilizzante agli occhi dei poteri forti dell’epoca, sia civili che religiosi. Sicché William (che nel frattempo si era sposato con Gulielma Springett) dovette presto conoscere le patrie galere, assieme ad altre migliaia di suoi compagni di fede. In seguito, tuttavia, il 4 marzo 1681, essi ottennero da re Carlo II l’autorizzazione ad insediarsi nei domini oltremare della corona britannica, nel territorio dell’attuale Pennsylvania, dove giunsero l’8 novembre 1682. Qui fondarono Filadelfia (città dell'amore fraterno) e, coerentemente con la loro fede religiosa e filosofia di vita, inaugurarono, sotto la guida di Penn, quello che fu chiamato il Santo +Esper0cvimento. Una società senza esercito, dove donne e uomini godevano di uguali diritti, la libertà religiosa era effettivamente garantita, le relazioni tra coloni e tribù indiane e presto i numerosi immigrati che giunsero da ogni dove, erano basate sul rispetto reciproco, sul dialogo e sulla convivenza pacifica. Il coraggioso profeta quacchero, che aveva posto la sua vita, la sua intelligenza, la sua penna e la sua attività al servizio dell'evangelo della pace e della tolleranza, morì il 30 luglio 1718 [Fonte: Il pensiero dopo la Comunione e la nota biografica sono tratti da «Pensiero per ogni giorno» della Comunità cristiana di base del «Bairro» nel Góias – Brasile del giorno 30 luglio 2007].


Mercoledì 15 Settembre,2010 Ore: 11:42
 
 
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