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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 19a Tempo Ordinario -C- 8 agosto 2010,di Paolo Farinella

Domenica 19a Tempo Ordinario -C- 8 agosto 2010

di Paolo Farinella

Dopo il tema dell’ospitalità come criterio di vita e di fede (dom. 16a ), dopo quello della preghiera come intercessione (dom. 17a) e dopo «l’elogio del limite» (dom. 18a ), oggi la liturgia della domenica 19a del tempo ordinario-C ci accompagna nella riflessione sul tema della «provvisorietà», intesa come orizzonte della vita sia nella prospettiva storica che in quella oltre la soglia della morte. La Parola di Dio ci mette però in guardia perché la provvisorietà può comportare dei rischi se diventa ossessione e paura del futuro o idolatria del passato. Sia la 1a lettura che la 2a si rivolgono verso il passato per spiegare alcuni aspetti problematici del presente in cui vivono i loro ascoltatori.
 
Nota di contesto storico. Il re selèucida Antioco IV Epìfane (174-164)[1] si presenta come divinità e impone agli Ebrei di offrire sacrifici in suo onore. Per dimostrare «chi comanda» saccheggia il tesoro del tempio e lo riconsacra a Zeus. E’ il massimo degli oltraggi per Israele che trova voce e resistenza nel sacerdote Mattatìa che con i suoi figli uccide l’ebreo preposto al nuovo culto, dando inizio a quella che è conosciuta come la «la rivolta dei Maccabei» (164 a.C.).
Il momento culminante di questa sollevazione sostenuta dal popolo è la riconsacrazione dell’altare dei sacrifici del tempio di Gerusalemme. In memoria di questo evento fu istituita la festa di Chanukkàh[2] . Gli eventi e i personaggi della rivolta sono narrati nel I e II libro dei Maccabei. Da questa famiglia giudaica dei Maccabei nasce la dinastia degli Asmonei che governano Gerusalemme fino all’avvento dell’occupazione romana con Pompeo che nel 63 a.C. entra in Gerusalemme e la occupa per conto di Roma. Nel Sinedrio gli Asmonei si alleano con la classe aristocratica e sacerdotale dei Sadducei contro i Farisei che invece stanno dalla parte del popolo[3].
 
Il secolo che precede e quello che segue la nascita di Cristo sono secoli di grave crisi, tipiche di fine e inizio di millennio. La fede è messa a dura prova, le angherie, i soprusi e lo scoraggiamento sono pane quotidiano. In simili circostanze, il rifugio nel passato è un processo di sicurezza, una forza per resistere al male, alle persecuzione e farsi coraggio per guardare al futuro. La paura della vita sia individualmente che collettivamente tende a ricondurre nell’utero materno, cioè alle sicurezze del passato. Le saghe e le epopee dei popoli nascono facilmente nei tempi di crisi per sostenere la speranza dei popoli in forza di un passato straordinario e luminoso, quasi a dire: noi non possiamo essere da meno dei nostri antenati che hanno vissuto le nostre stesse prove, tentazioni e hanno resistito perché nutriti dalla fede nel Dio dei loro Padri.
La 1a lettura spinge i suoi contemporanei a guardare all’evento per eccellenza, all’esodo, quando il popolo assediato dal faraone, nella notte della liberazione, ebbe la promessa che sarebbe stata applicata da Dio la legge del taglione: l’Egitto che perseguitò e cercò di uccidere i primogeniti di Israele, sarà colpito nei suoi primogeniti e Israele in forza dei meriti dei Padri (Sap 18,9) sarebbe stato annoverato nel libro dei giusti.
La  2a lettura riporta un brano della lettera agli Ebrei, databile verso la fine del sec. I d.C. in un altro momento di crisi, dovuto alla diaspora e alla conflittualità per il confronto con culture diverse. L’autore, forse un sacerdote ebreo divenuto cristiano, invita a guardare al patriarca Abramo che presenta come modello di fede senza riserve. Solo nel brano odierno, per ben cinque volte ricorre l’espressione «per/nella fede»[4]una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare» (Eb 11,12) non in forza della sua volontà e del suo impegno, ma unicamente perché si fidò di Dio e si affidò alla sua Parola che divenne la roccia della sua vita. Non esito a consegnare Isacco che pure aveva ricevuto come unico erede perché la sua eredità non gli derivava dal suo sangue, ma unicamente dalla grazia di Dio. Tutto ricevette da Dio che lo provò, lo saggiò col fuoco come si prova l’oro e Abramo ebbe fede.. Abramo ereditò «
            Anche oggi, dicono il Sapiente e l’Autore della lettera agli Ebrei, Dio può sembrare assente perché ci sentiamo circondati dal male, dal sopruso e dall’arroganza della prepotenza. Quando ci sembra che Dio sia assente, è segno che siamo già abitati dalla paura e dal rumore fatuo del mondo: abbiamo ceduto di fronte alle lusinghe e ci dichiariamo deboli e incapaci di resistere. Quando ci sembra che Dio taccia, è il momento di immergersi nel silenzio dell’anima e scendere nel pozzo profondo della nostra coscienza, là dove Dio è rincantucciato aspettando la nostra visita e la nostra compagnia. Dio non è nel rumore e nel chiasso, la sua Shekinàh ha la consistenza di un pane fragile e di un vino che può evaporare come anche di una Parola che il rumore può disperdere e vanificare. Quando ci sembra che Dio non sia presente, è segno che noi ci stiamo allontanando da lui perché stiamo scappando da noi stessi. E’ questo il momento del rischio della fede, dell’osare della fede, di buttare tutto nelle mani di Dio sapendo che egli è il «Custode d’Israele che non      sonnecchia mai» (Sal 121/120,4), ma che veglia su di noi e ci accompagna verso la metà finale del Regno attraverso i percorsi spesso tortuosi della vita e della storia.
Celebrare l’Eucaristia significa entrare nel cuore di Dio e alla luce della storia passata, storia salvata e speranza promessa, vivere il nostro «oggi» come premessa e promessa di un futuro che è tutto nelle mani di Dio e della nostra responsabilità di singoli e di popolo. Con questa fiducia e questa speranza invochiamo lo Spirito che ci dà la misura della Presenza costante di Dio in noi e nel mondo che egli ama. Supplichiamo con tutti i poveri della terra, evocati dall’antifona di ingresso (Sal 74/73, 20.19.22-19): «Volgi lo sguardo sulla tua alleanza, non dimenticare per sempre la vita dei tuoi poveri. Àlzati, o Dio, difendi la mia causa, non abbandonare ai rapaci la vita della tua tortora».
 
Spirito Santo, tu guidi i nostri passi quando non vediamo la mèta e siamo confusi,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu consolasti Abramo che partì verso un paese sconosciuto,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu animasti l’ubbidienza di Abramo nelle scelte difficili della sua vita,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu fai esultare i giusti e concedi la lode del cuore ai retti di cuore,               Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’occhio del Signore che veglia su chi lo teme e in lui spera,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu dai senso e prospettiva compiuta all’attesa della nostra anima,               Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la colonna di fuoco che scaldò la speranza d’Israele nel deserto,       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu illuminasti il cammino del popolo di Abramo vero la Terra Promessa,      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu in ogni pericolo ci sostieni richiamandoci la fedeltà dei padri,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il canto di lode che intoniamo insieme ai patriarchi nostri antenati,      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu custodisci nella storia il piccolo gregge che ha ricevuto il Regno,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il tesoro custodito nel nostro cuore dove Dio pone la sua dimora,       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la prontezza, la cintura ai fianchi e la lucerna per il viaggio,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sostieni la nostra veglia nell’attesa del Signore del Regno,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu vegli con noi in attesa del Signore della Storia che viene,                        Veni, Sancte Spiritus.
 
Ogni tempo di crisi porta in sé la spinta all’isolamento e di conseguenza all’egoismo. Nasce l’ideologia del nemico ideale per esorcizzare le paure e giustificarsi. Gli uomini di potere ingrassano a questo livello perché alimentano l’insicurezza e promettono soluzioni contro il nemico che è sempre lo straniero, il diverso, la persona di colore, l’immigrato che è simbolo vivente di «provvisorietà». Questa condizione è deleteria perché spaventa le «strutture» politiche e psicologiche incerte e spesso non all’altezza della ragione e della fede. Ogni chiusura è una abdicazione dalla propria identità di cui non si è sicuri: si cerca all’esterno la conferma che non troviamo nel nostro intimo. Apriamoci pertanto al mistero che nei segni della Parola e del Pane, ci offre le coordinate e la bussola per guardare avanti senza timore, perché dovunque noi arriviamo, là c’è già Dio ad aspettarci e noi lo invochiamo nella sua natura di Dio-in-relazione trinitaria:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Se non amiamo il passato, non siamo capaci di cogliere il presente come premessa del nostro futuro perché noi crediamo nel Dio che era, che viene e che sarà. Bisogna amare il passato per appropriarsi dei modi di risposta alle novità di tempi. Tutti i tempi passati sono stati una novità per i tempi che li hanno preceduti. Il primo passo della fede che si manifesta nella storia in forza del principio di incarnazione, è l’accettazione di se stessi come una tappa, uno sviluppo e un superamento di tutto ciò che ci ha preceduto. Esaminiamo la nostra coscienza, sapendo che Dio ci accetta come siamo e nel perdono ci dà la forza di guardare in altro e andare avanti verso il nostro futuro di salvezza.
 
[Sono necessari alcuni momenti veri di silenzio e raccoglimento per un vero esame di coscienza]
 
Signore, che ci chiami in ogni tempo ad accogliere le tue novità, abbi misericordia,          Kyrie, elèison!
Cristo, ti sei incarnato per insegnarci che nessun tempo ti è estraneo, abbi misericordia,   Christe, elèison!
Signore, noi siamo tua immagine incarnata nel nostro tempo, abbi misericordia,                Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente, signore del tempo e della storia, che dona la sapienza per cogliere in ogni tempo i segni della sua presenza, per i meriti di Abramo che si abbandonò alla sua Parola, per i meriti di Mosè che chiamò come guida della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, per i meriti di Gesù Cristo nostra redentore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta) Arda nei nostri cuori, o Padre, la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino, e non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Mensa della Parola
Prima letturaSap 18,6-9. Il libro della Sapienza, (2a metà del sec. I a.C.) è scritto in un greco che è il migliore di tutta la Bibbia detta Lxx, l’unica che l’autore, un ebreo ellenizzato di Alessandria d’Egitto, conosce e cita. Alessandria è centro di una nuova «civiltà» frutto di filosofia, sviluppo delle scienze, nuove religioni provenienti dal mondo greco. La fede degli Ebrei che parlano greco è messa in discussione: molti crollano incapaci di coniugare le loro tradizioni con il nuovo mondo. L’autore cerca di sostenere i suoi connazionali rileggendo la storia della salvezza alla luce dei fatti nuovi. Qui parla della Pasqua di liberazione in Egitto al tempo dell’esodo a cui attribuisce riti ed usi del suo tempo: quando si ha paura del presente ci si rifugia nel passato che dà maggiore sicurezza psicologica. Il brano di oggi fa applicare a Dio la legge del taglione: i primogeniti degli Egiziani sono morti perché i loro padri hanno cercato di uccidere quelli degli Ebrei. Gesù morirà nel contesto di una Pasqua ebraica, ma assumendo in sé tutta l’umanità che dichiara «prediletta» da Dio.
 
Dal libro della Sapienza 18,3.6-9
La notte [della liberazione] [desti loro una colonna di fuoco, come guida di un viaggio sconosciuto e sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera. Quella notte] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari,così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segretoe si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli,intonando subito le sacre lodi dei padri. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale33/32, 1.12; 18-19; 20.22. Inno a Dio creatore e Provvidenza che governa il creato attraverso le leggi della natura e la legge morale. Chi si ferma alla superficie vede solo caos e disordine, chi va in profondità scopre che Dio guida la Storia nel rispetto della libertà umana. Dopo la 1a lettura in cui era netta la contrapposizione tra Israele ed Egitto, la liturgia sceglie come decantazione questo salmo che mette in evidenza lo stretto legame tra l’esistenza di un popolo e la sua fede nel Dio che lo ama. Poiché il salmo può essere letto da tutti i popoli, nessuno può sentirsi escluso dalla paternità di Dio. Noi oggi lo celebriamo pensando che anche Gesù ha pregato con esso e facciamo nostri i suoi sentimenti di universalità.
 
 


Rit.Beato il popolo scelto dal Signore.


1. 1 Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
12 Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità. Rit.
2. 18 Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
19 per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame. Rit.
3. 20 L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
22 Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo. Rit.


 

 
Seconda lettura Eb 11,1-2.8-19 (lett. breve 11,1-2.8-12). Un decennio dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.), gli Ebrei espulsi dalla città santa e dalla Giudea sono in crisi perché crollano i fondamenti stessi della loro fede e non vedono alcuna prospettiva davanti a sé. L’autore della lettera, un sacerdote convertito, cerca di consolarli e sostenerli con una lettera circolare. Ancora una volta per risolvere le difficoltà presenti si fa ricorso al passato. Il brano di oggi presenta l’esempio di Abramo che credette a Dio, anche «senza vedere» il futuro verso cui andava. Abramo fu un «extracomunitario» emigrante come gli Ebrei del sec, I d.C. Fu provato da Dio stesso, soffrì la sterilità, ma offrendo il figlio Isacco in sacrificio diede prova di credere nella risurrezione e anticipò l’offerta e la presenza del Signore Gesù che sulla croce innalzò se stesso per essere la bussola che guida ogni disorientamento e difficoltà al porto sicuro della grazia di Dio.
 
Dalla lettera agli Ebrei11,1-2.8-19 (lett. breve 11,1-2.8-12)
Fratelli, 1 la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. 2 Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. 8 Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. 9 Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. 10 Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso. 11 Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. 12 Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
13 Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. 14 Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. 15 Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; 16 ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città. 17 Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, 18 del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». 19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo. - Parola di Dio.
 
VangeloLc 12,32-48 (lett. breve 12,35-40) Sappiamo che il vangelo di Lc raggruppa materiale di diversa provenienza in un unico viaggio che Gesù compie con i suoi discepoli dalla Galilea a Gerusalemme, per cui ogni brano è quasi sempre fuori dal suo contesto, come il brano di oggi che riporta tre testi in origine indipendenti, ma che Lc ha unificato attorno al tema dell’attesa escatologica. Segue una applicazione della comunità cristiana sul senso dell’autorità nella Chiesa introdotta da una domanda di Pietro (v. 41). Comunque sia, il brano come è, è imperniato sul tema della «vigilanza» come capacità di leggere in profondità gli avvenimenti alla luce della venuta finale di Cristo. Nessuno di noi può dirsi estraneo a questa esigenza perché il tempo scorre e noi ci avviciniamo sempre più all’incontro finale, di cui l’Eucaristia è un anticipo e una premessa.
 
Canto al VangeloCf. Mt 24,42-44
Alleluia.Vegliate e tenetevi pronti, / perché, nell’ora che non immaginate, / viene il Figlio dell’uomo.Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca 12,32-48 (lett. breve 12,35-40)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 32«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
 
[1° brano]33Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. 34Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
 
[2° brano]35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
 
[3° brano]39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
 
[Riflessione attualizzata della comunità cristiana (aggiunta propria di Lc)]
 
41Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
 
[Parabola illustrativa (applicazione della comunità cristiana)]
42Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? 43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. 44 Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. 47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Sembra scontato dire che viviamo in un tempo di crisi a tutti i livelli: ecclesiale, sociale, economico, politico, progettuale. Il lamento è generalizzato, lo sconforto è grande, le speranze poche. Il profeta Bàruc avrebbe materia per scrivere una sesta «Lamentazione» biblica.[5]ê phoboû, to micròn pòimnion» (Lc 12,32) che è un programma insormontabile per ieri, oggi e domani. Queste parola dicono che la Chiesa non potrà mai aspirare ad essere nel mondo una maggioranza e chi lavora per scopo contrasta il Regno di Dio. La Chiesa per natura e vocazione è «piccolo gregge» cioè un pizzico di lievito nella pasta (cf Lc 13,21) o una luce posta sul candelabro (cf Lc 8,16). Il lievito e la luce sono minoranza in rapporto alla pasta e alla casa. La Chiesa è minoranza perché ha coscienza di non essere eterna: il suo compito è legato alla storia e finirà con essa, quando Cristo prenderà possesso del suo Regno. I cristiani perdono terreno e hanno paura e temono di essere sorpassati numericamente dai Musulmani. Solo il pensiero mette angoscia e stimola pensieri di guerra e di crociata, dimostrando così di non avere fede nello Spirito di Gesù risorto che guida la Storia. La Chiesa dei numeri, la Chiesa che conta, la Chiesa che col numero vuole mostrare i muscoli è una Chiesa miscredente che è tronfia solo di sé, ma non crede in Dio. La prima parola di Gesù nel vangelo di oggi è chiara: «Non temere piccolo gregge – M
La fine (ogni fine) di un millennio porta in sé un periodo più o meno lungo (in genere non meno di cinquant’anni) di spossatezza e di voglia di rilassamento: come se le persone singole, in gruppo o popoli fossero stremati per il lungo cammino effettuato lungo il millennio e ora sentano il bisogno di sedersi, dormire e non pensare a nulla[6]«l’uniformità visibile»: gli stessi riti, gli stessi vestiti e/o divise, gli stessi gesti, gli stessi tempi, ma più di ogni altra cosa dispensa dalla fatica della ricerca, dall’elaborazione del dubbio e quindi dalla responsabilità di dovere scegliere. In questi tempi la «coscienza individuale» viene messa tra parentesi e si afferma il «principio di autorità» come criterio collettivo di vita.. Nei tempi di crisi si è portati ad aggrapparsi al passato perché offre le sicurezze che il presente non è in grado di garantire: la Bibbia ne è una testimonianza vivente. Quando l’insicurezza dell’esilio o la decadenza della speranza, causate dal deterioramento delle condizioni sociali e religiose hanno il sopravvento, ci si attacca alle tradizioni come ad un salvagente. Il ritorno al passato garantisce l’illusione di appartenenza perché assicura
Nel sec. I a.C. (il tempo dell’autore del libro della Sapienza) e nel sec. I d. C. (tempo dell’autore della Lettera agli Ebrei), la crisi dilaga per il sopravvento di nuove culture e transumanze di popoli, specialmente ad Alessandria di Egitto dove vive una folta comunità di Ebrei che non parlano più ebraico, ma greco e per questo già da tempo hanno dato vita ad una monumentale traduzione della Bibbia ebraica in greco comunemente detta «Bibbia greca della Lxx». Per incutere coraggio e sostenere gli sforzi per una più incisiva adesione all’ideale ebraico di vita, il «Sapiente» non trova argomenti migliori che aiutare a riflettere sull’esperienza dell’esodo e in particolare sulla pasqua ebraica nel momento culminante dell’ultima «piaga»: la morte dei primogeniti egiziani.
L’intervento di Dio è presentato come un’applicazione della legge del taglione, in una parola una vendetta. La paura dello straniero, il terrore di essere contaminati, spingono gli Ebrei di Alessandria a stringersi tra loro e a dichiarare la pericolosità degli altri, i nuovi arrivati con nuove religioni, con nuovi modelli di vita, con nuovi criteri di ragionamento, con nuovi sistemi di comportamento.  E’ quello che accade tra noi di fronte alla immigrazione che somiglia sempre più ad una transumanza biblica. Gli immigrati, è inevitabile, portano problemi e destabilizzazione, insieme a bisogni inappagati che generano delinquenza perché sono negati e conculcati coscientemente i diritti di migliaia di uomini, donne e bambini che invece sono considerati solo come merce. Da un lato è merce pericolosa da buttare via; dall’altro è merce di lavoro, se e quando serve. Quando non serve più la si butta via come merce avariata. Eppure sono persone, soggetti di diritto e prima di tutto, soggetti al diritto alla vita.
Lo scandalo sacrilego è che i fautori di questi atteggiamenti che si traducono in legge dicono espressamente di professare la religione cattolica e di essere credenti e praticanti. Costoro fanno sempre professione di sottomissione alla gerarchia cattolica, la quale si lascia incantare e tace di fronte a leggi che gridano al cospetto di Dio per la loro immoralità e diventa complice in cambio di favori e promesse di vario genere. L’ateismo clericale fa coppia stabile con la religione civile senza Cristo con cui gli «atei devoti» vogliono sostituire il Cristianesimo, colpevole di appellarsi alla coscienza.
Di fronte alla massiccia presenza di immigrati che scappano dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame e dalla siccità, si reagisce irrazionalmente, con la paura da una parte e con lo sfruttamento dall’altra. Gli immigrati molto facilmente sono presi a lavoro fuori da ogni regola di controllo perché possono essere ricattati e perché il lavoro in nero è un investimento economico. Coloro che sfruttano gli immigrati sono gli stessi che vanno in piazza a gridare contro il pericolo «extracomunitario», invocando anche l’uso con le armi. Su questi sentimenti di paura e di insicurezza si innestano colpevolmente alcuni partiti che alimentano il terrore nello stesso momento in cui chiedono un ritorno al passato anche in campo religioso. Questa è la prova che le due questioni sono correlate. Oggi intere regioni che un tempo formavano la «vandea bianca» perché dominata dalla religione cattolica a livello di coscienza e politicamente dal partito dei cattolici, la Dc, cercano di fare coincidere il razzismo e la religione: invocano un Dio vendicativo perché egli non può che essere un «dio esclusivo»: il «dio-idolo» della razza bianca, cattolica, padana, veneta e conservatrice. Non è un caso che questi cattolici della tradizione invocano a una sola voce il ritorno alla Messa di Pio V, il papa della battaglia di Lepanto, quando l’esercito cristiano sconfisse quello musulmano. Per loro la colpa del degrado di oggi è di papa Giovanni XXIII e Paolo VI[7].
Sul finire del sec. I d. C., l’Autore della Lettera agli Ebrei vive il dramma dell’esilio imposto al popolo ebraico e quindi anche a molti ebrei cristiani che sono scomunicati dalla corrente superstite dell’ebraismo che nel concilio di Javne, (90 ca. d.C.), definì il canone ebraico delle Scritture e la separazione totale con il cristianesimo. Gli Ebrei misero una siepe intorno alla Bibbia per difenderla dalle interpretazioni cristiane in chiave messianica a favore di Gesù di Nàzaret (cf Mishnàh, Pirqè Avot/Massime dei Padri, I,1). Da parte loro i cristiani si staccarono da Gerusalemme e dall’ebraismo, prendendo la strada di Roma e dell’occidente. Da allora Pietro è rimasto assente dalla terra di Gesù per quasi 2000 anni[8]. Fu un danno irreparabile per gli uni e per gli altri.
Tra le due letture sta l’apocalittica del vangelo: la fine del mondo, ritenuta imminente dai primi cristiani perché pensavano che la morte di Gesù fosse il preludio della fine della storia tanto che avevano smesso di lavorare finendo per impoverirsi del tutto e vivere disordinatamente (cf 2 Ts 2,1-17; 3,10). L’evangelista descrive questa fine come una titanica lotta tra il bene e il male. Allo stesso modo si pensava e si viveva a Qumran, dove tutti gli scritti sono impregnati della visione della vita finale come la lotta tra «i figli della luce e i figli delle tenebre» (cf il testo escatologico Il Rotolo della Guerra [QM]).
Da qui l’invito di Gesù a disfarsi di ogni bene materiale, a vigilare con gli stessi atteggiamenti dei padri che vissero l’esodo («le vesti strette ai fianchi e le lampade accese»: Lc 12,35). Manca il tempo per le valutazioni scrupolose fatte a tavolino: ora è necessario scegliere tra la porta stretta e quella larga. L’immagine delle due porte sono una parabola che oppone il Regno di Dio, rappresentato dalla porta stretta (= scelta ponderata di essenzialità), alle città degli uomini, rappresentate dalle grandi porte attraverso cui passano persone, animali, merci di ogni genere. Gli uomini vanno fieri delle loro porte che esprimono anche la potenza delle loro città, considerate inespugnabili dal nemico. Le porte delle città danno l’impressione plastica che tutto l’interesse della vita è rivolto all’accumulo e al benessere materiale: sono fauci che inghiottono tutto senza distinzione. L’ingresso nel Regno invece è appena una «porta stretta» da cui può transitare appena l’indispensabile: una persona grassa o ingombra di averi non entra e se porta bagagli non può passare. Deve dimagrire e liberarsi dei pesi superflui se vuole passare. E’ la porta dell’essenzialità, da dove può transitare appena l’anima e la sua speranza di vedere il volto di Dio. E’ l’immagine della morte che costringe a lasciare tutto tranne se stessi. Poco più avanti Gesù espliciterà ancora più drasticamente e plasticamente questo pensiero quando incontra l’uomo ricco che si allontana «triste» perché «era molto ricco» e mentre va la insegue la voce di Gesù: «È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!» (cf Lc 18,18-27, qui v. 24).
Anche nell’immagine del servo che attende il padrone si ha la stessa conclusione: bisogna sapere «adesso» quello che si vuole, prima che accada: o stare in attesa del padrone in base alla sua consegna o rischiare e fare come si vuole. Il grande filosofo francese, Biagio Pascal diceva al suo ipotetico interlocutore: voi siete incastrato perché dovete scegliere tra queste alternative: o Dio c’è o Dio non c’è. Nella prima ipotesi seguono alcune conseguenze logiche, nella seconda ne seguono altre[9].
Il ripristino generalizzato del ritorno all’uso non solo del rito della Messa, ma di tutti i riti preconciliari concesso dal papa a tutta la Chiesa secondo la discrezione dei fedeli, è il segno più evidente della crisi in cui versa la Chiesa cattolica. Di fronte al mondo moderno che il concilio ecumenico Vaticano II aveva invitato a guardare con benevolenza e simpatia e che Paolo VI nel suo testamento spirituale aveva definito «drammatico e meraviglioso», il papa si rifugia nel passato, convalidando posizioni immature di gruppi che non sanno camminare al passo con i loro tempi e per questo non arriveranno mai in tempo. E’ come se ad un malato si continuasse ad iniettare il virus della malattia e non la medicina della cura. La cura è una sola: l’accettazione totale e senza riserve del concilio Vaticano II, non l’autorizzazione ufficiale a fare e ad agire come se il concilio non fosse mai avvenuto. Essi sono terrorizzati da qualsiasi novità o movimento che non sia ripetitivo di quell’immobilismo che loro attribuiscono a Dio stesso. Hanno scoperto il «Motore Immobile» di Aristotele e si sono lasciati immobilizzare. Per loro Gesù è un puro accidente della storia, un’ernia religiosa. Per loro conta Dio nella sua assoluta freddezza sovrumana, lontana anzi opposta all’umano; la loro religione di conseguenza è disumana e poiché pensano che sia l’unica, la vogliono anche imporre con la forza, capaci di scatenare guerre pur di affermare il Dio della loro vendetta.
Per alcuni gruppi che non hanno un sufficiente senso di fede nello Spirito Santo, il mondo moderno è nemico di Dio solo perché essi non sono in grado di coglierne i fermenti e di leggervi i segni dei tempi. Sono spiriti fragili psicologicamente che hanno bisogno di chiudersi nel recinto di un passato selettivo che corrisponde alle loro logiche: sono uomini senza speranza. Perché non scegliere il passato dei primi secoli?, perché non quello del Medio Evo? O più indietro perché non quello in cui vissero e operarono gli Ebrei Gesù, sua Madre, gli apostoli e i primi cristiani? Perché identificano la Chiesa con l’antisemitismo viscerale, visto che ritengono gli Ebrei  la sorgente di tutti i mali della storia? Lo spirito ecumenico è contrario al loro bisogno di identità tutelata da regole e leggi ferree che si possono trasgredire perché alla fine vi è sempre la confessione che azzera tutto fino alla prossima volta, diventando così l’alibi per una incoerenza sistematica e giustificata[10].
Il ritorno della Messa del concilio di Trento è il segnale del rifiuto del mondo come spazio entro il quale la Chiesa opera e agisce in mezzo alle contraddizioni e alle fatiche del vivere; è il bisogno di un ritorno all’utero materno protettivo e caldo di una «cristianità» che preferisce vivere in una cittadella distinta e separata dal mondo con un ponte levatoio, il fossato attorno e nessuna contaminazione con la storia, rinunciando così al fondamento stesso della fede che trova nella incarnazione del Lògos la ragion d’essere della sua esistenza. Una Chiesa centrata sulla figura e sulla persona del prete, con il popolo di Dio ridotto a pura comparsa perché gli si concede di «assistere» alla Messa non di parteciparvi, è una Chiesa di poca fede che rinnega la costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, specialmente il capitolo II dedicato appunto al «popolo di Dio».
Si torna alla Chiesa piramidale in cui il popolo è solo il sostegno materiale della gerarchia e il mondo è accettato solo se diventa «cristianità», cioè dipendente dall’autorità della Chiesa, di cui rappresenta il braccio secolare. In questo contesto non c’è posto per la profezia perché i sacerdoti diventano funzionali al sistema, dipendenti del potere e addirittura cappellani militari dell’esercito dello Stato laico e miscredente. Un ingranaggio di un sistema perverso. Lo sapeva bene Sant’Ilario di Poitier che nel sec. IV metteva in guardia vescovi e preti dal cadere nella trappola l’imperatore Costanzo che li ricopriva di onori e di oro per poterli asservire al suo potere[11]:
In tutte le manifestazioni pubbliche, per es., le cronache riferiscono che «erano presenti autorità civili, militari e religiose», diventata una formula stereotipa, espressione di una mentalità che nulla ha da spartire con il vangelo. Cosa ci fa il prete «ufficialmente» insieme alle autorità militari? Allo stesso modo quando i vescovi porgono i loro saluti in occasioni di celebrazioni solenni, cominciano invariabilmente i loro discorsi rivolgendosi alle «Eccellenze Reverendissime, Onorevoli Autorità, Rappresentanti delle Forse Armate» [le maiuscole sono d’obbligo] con cui si chiude il cerchio di un connubio contro natura. E’ la porta larga che ritiene quella stretta riservata alle persone insignificanti. Quando l’autorità ecclesiale lascia la porta stretta dell’austerità, abdica al suo mandato e acquisisce lo spirito del mondo, quello per cui Cristo si rifiuta di pregare (cf Gv 17,9).
Gesù nel Vangelo di oggi ci invita non a rifugiarci nel passato, ma a cogliere dal passato le energie per andare a vanti e guardare con fiducia al futuro. Il mondo in cui viviamo è il mondo amato da Dio e redento da Cristo (cf GV 3,16); la Chiesa dei nostri giorni non è meno Chiesa di quella dei tempi passati, anzi forse lo è di più perché a suo credito bisogna porre più esperienza di Spirito Santo. A fronte del concilio di Trento, il concilio Vaticano II si celebra in una Chiesa con quattro secoli in più di esperienza di Spirito Santo. Coloro che rigettano il concilio Vaticano II compiono un atto di diffidenza nei confronti di Dio e dello Spirito Santo perché Dio parla in ogni tempo e usa il linguaggio di quel tempo. Ogni tempo è propizio e nessuno è privilegiato. Gesù è nato in un tempo di crisi profonda e non si è rifugiato nella tradizione giudaica, ma ha criticato e combattuto la sclerotizzazione della religione del suo tempo indicando una via fortemente innovativa che mise in crisi il sistema religioso e politico tanto che fu ucciso da un’alleanza politico-religiosa.
Essere pronti, vigili e attenti significa stare sempre con un occhio fisso all’orizzonte perché il Signore può arrivare all’improvviso da un momento all’altro: dobbiamo farci trovare svegli e premurosi verso i figli e le figlie di Dio senza angariarli, senza sfruttarli, ma amandoli e servendoli. Non siamo noi i padroni della Chiesa, ma solo il Signore, l’unico che si è lasciato inchiodare sulla croce per lei.
Credere in Dio significa coglierne la Presenza nella storia: non abbiamo altra via perché è quella che lui stesso ha seguito e messo in atto. Una Presenza nascosta che dobbiamo cercare perché si lascia trovare. La fede cristiana è una fede storica che nutre la sua debolezza fragile e la sua speranza spesso dubbiosa con la Parola che diventa Pane che nutre e Vino che disseta perché possiamo guardare in avanti fino a giungere al monte del Regno di Dio preparato per noi fin dalla fondazione del mondo[12]. Credere è infine affidarsi a Dio, consapevoli che il mondo è nelle sue mani come anche le sorti della Chiesa e anche le nostre.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.              Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte).Accogli con bontà, Signore, questi doni che tu stesso hai posto nelle mani della tua Chiesa, e con la tua potenza trasformali per noi in sacramento di salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III[13]
(Prefazio IX del Tempo Ordinario: La missione dello Spirito nella Chiesa)
 
Il Signore sia con voi.                E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.                  Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                        É cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
[La notte della liberazione], desti al tuo popolo, Signore, «una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto e come un sole inoffensivo per un glorioso migrare in terra straniera» (Sap 18.3)
 
In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Santo Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli. Gloria nei cieli e pace sulla terra. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!
 
Con la potenza del tuo Santo Spirito le assicuri il tuo sostegno, ed essa, nel suo amore fiducioso, non si stanca mai d’invocarti nella prova, e nella gioia sempre ti rende grazie per Cristo Signore nostro.
«Quella notte fu preannunziata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà»(Sap 18,6).
Per mezzo di lui cieli e terra inneggiano al tuo amore; e noi, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo la tua gloria:
 
Benedetto colui che viene Nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison!
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
«I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri»(Sap 18,9).
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Esultino i giusti nel Signore: per gli uomini retti è bella la lode (cf Sal 33/32,1).
 
Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo» (Sal 33/32,20).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, t i rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
«Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo» (Sal 33/32,22).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Beata la nazione che ha il Signore come Dio, il popolo che egli ha scelto come sua eredità» (Sal 33/32,12).
 
Mistero della fede.
Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, attendiamo il tuo ritorno. Maràn athà – Signore nostro, vieni!
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
«La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11, 1).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi, che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito.
«Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava»(Eb 11,8).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
«Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa» (Eb 11,9).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare … e il popolo che tu hai redento.
«Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra» (Eb 11,13).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza nel giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale.
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno»(Lc 12,32).
 
Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
[Dice il Signore:] «Fatevi un tesorosicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,33-34).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; ricordiamo tutti i defunti … concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Lc 12, 35).
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Dossologia [è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Lc 12,35-36: «Siate sempre pronti: simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze».
 
Dopo la comunione
Da «I quaderni del Sud» (Les Cahiers du Sud- 1996) di Mons. Pierre Claverie[14],
Nella mia esperienza della chiusura, poi della crisi e dell’emergere dell’individuo, sono giunto alla convinzione personale che non c’è umanità se non plurale e che quando pretendiamo (all’interno della Chiesa cattolica ne abbiamo triste esperienza nel corso della storia) di possedere la Verità o di parlare in nome dell’umanità cadiamo nel totalitarismo e nell’esclusione. Nessuno possiede la Verità. Ognuno la ricerca. Ci sono certamente verità oggettive ma che vanno al di là di noi tutti e alle quali non si può accedere che attraverso un lungo cammino, componendole poco a poco, prendendole da altre culture e da altri gruppi umani, quello che altri hanno acquisito e hanno cercato nel loro cammino verso la verità. Io sono credente. credo che c’è un Dio, ma non ho la pretesa di possederlo, né attraverso Gesù, né attraverso i dogmi della mia fede. Dio non si possiede. Non si possiede la Verità e io ho bisogno della Verità degli altri.
 
Preghiamo. La partecipazione a questi sacramenti salvi il tuo popolo, Signore, e lo confermi nella luce della tua verità. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore risorto è con voi.        E con il tuo spirito.
Il Signore che ci fece uscire dalla schiavitù d’Egitto, ci colmi della misericordia.                                      Amen.
Il Signore che illuminò la notte della liberazione con la colonna di fuoco, vi colmi della sua Pace.         
Il Signore che scelse Abramo, nostro patriarca, per la purezza della sua fede, vi consacri nella libertà.    
Il Signore che c’invita alla vigilanza per accogliere il Regno che viene, ci protegga e ci sovvenga,     
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                                                                  
Il Signore sia sempre dietro di noi per difenderci dal male.                                                                     
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.
Il Signore è sempre con noi fino alla fine del mondo.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                            Amen!
 
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
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© Nota: Domenica 19a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 08/08/2010 – San Torpete – Genova


[1] Nel sec. I a.C. quando viene redatto il libro della Sapienza, scritto direttamente in greco, domina la filosofia greca di Platone interpretata dal filosofo greco Plotino (205-270 a.C.). Dal sec III e fino al sec. I a. C. la Palestina fa parte dell’impero di Alessandro Magno che, dopo la sua morte fu suddiviso tra i suoi generali. La Palestina toccò alla dinastia greca dei Selèucidi. Prima ancora della dominazione romana la Palestina è sotto l’influsso culturale e politico del pensiero greco che è molto forte se la lingua greca, la koiné diventa la lingua comune, quella in cui verrà scritto l’intero NT.
[2] La festa di Chanukkàh o delle luci cade ogni anno nei primi 15 giorni di dicembre. Quando Giuda Maccabeo riconsacrò il Tempio, non vi era olio in Israele. Per il servizio divino fu trovata una boccetta di olio bastante solo per un giorno. Dio fece durare quell’olio otto giorni e da allora in questa festa per ricordare il miracolo, si accende la Menoràh con otto bracci più uno. In questa settimana, tutte le finestre e le case d’Israele sono illuminate da luci e per le strade e il saluto corrente di quei giorni è: «Un grande evento è accaduto là».
[3] Verso la fine del sec II a.C. un sacerdote discendete di Sàdoc, si staccò dal tempio che è ritenuto impuro perché in mani impure e fonda la comunità di Qumran che probabilmente anche Gesù conobbe. Il nemico più grande di questa comunità fu un “Sacerdote empio”, forse un sommo sacerdote maccabeo, Gionata I (160-143 a.C.) o suo fratello Simone (143-135 a.C.), il quale, insieme al titolo di re prese anche la funzione di «Sommo Sacerdote» senza averne diritto e spezzando così la linea di successione da Aronne a Sadoc fino al sacerdozio del Tempio. Questo era il clima che si respirava in Palestina al tempo di Gesù e fino alla distruzione del Tempio nel 70 d.C.
[4] Nel capitolo 11 di Ebrei l’espressione «per fede – pìstei, dià pìsteōs» ricorre 20x, segno dell’importanza che l’autore attribuisce ad essa.
[5] E’ quasi impossibile non attualizzare la liturgia di oggi a quanto accade nella Chiesa in questo tempo estivo che per natura è un tempo disteso, distratto, non attento a ciò che capita come si dovrebbe. Forse proprio per questo motivo fu scelta l’estate del 2007 per fare passare con minore attrito possibile documenti indigesti come il motu proprio «Summorum Pontificum» (07-09-2007) con cui Benedetto XVI ripristina il messale e i riti preconciliari. La scelta dell’estate per la pubblicazione è un segno di debolezza e di paura perché si presume che la gente sia distratta e si trovi quasi di fronte al fatto compiuto. Apparentemente è così, ma è una vittoria di Pirro. Qualcuno potrebbe dire: che cosa c’entra tutto questo con la liturgia di oggi? Certo, se la liturgia è solo un modo per occupare uno spazio di tempo per «mettere a posto» Dio, o per fare una predica morale, di certo non c’entra nulla. Se la liturgia, però, è la scuola della Parola dove s’impara a leggere gli eventi della vita, il senso della Chiesa che vive nella Storia e le attese del mondo che si agita in mezzo a mille contraddizioni e guerre e ingiustizie, allora c’entra fino al midollo. Sull’intera questione e gli enormi problemi che pone, cf P. Farinella, Ritorno all’antica Messa. Nuovi problemi e interrogativi, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2007 che dimostra l’inconsistenza teologica, cristologica ed ecclesiologica del documento. Il fatto è così evidente che lo stesso papa, caso unico nella storia, ha dovuto scrivere una lettera di accompagnamento per spiegare ai vescovi del mondo il senso e la portata del motu proprio perché la quasi totalità dei vescovi del mondo si rifiutò silenziosamente di attuarlo nelle proprie diocesi(v. anche la seguente nota 6).
[6] Fu così alla fine del 2° millennio a.C. che vide crollare la civiltà assira e affermarsi quella babilonese di Nabudonosor; in Grecia le civiltà minoica, micenea e ittita si fondono in una nuova cultura; in Israele Davide prende il posto del re Sàul per le mani del veggente Samuele.
Fu così alla fine del 1° millennio a.C. quando nasce Gesù: il mondo in fermento subisce spostamenti e trasformazioni; l’impero romano è agli sgoccioli, la decadenza è inarrestabile. Il senso di crisi afferra tutti in una morsa mortale: Roma è padrona del mondo, ma non sa più tenere i confini che diventano un colabrodo; l’esercito è fiaccato, le religioni conosciute sono in crisi, l’ebraismo muore con la distruzione del Tempio e l’inizio della diaspora; in Cina inizia l’era dei Mongoli. Dopo la morte di Gesù all’inizio del 1° millennio d.C., per opera di Paolo nasce il cristianesimo come religione-rifugio del bisogno di pulizia etica nel marasma dell’individualismo, della sfrenata sessualità divenuta una espressione anche dei culti misterici che nella licenziosità cercano l’oblio alla decadenza senza freno. Paolo predica la verginità, la condivisione ecclesiale, la ricerca della salvezza come «giustificazione» che proviene dal sacrificio di Uno. Il cristianesimo ha successo presso le classi inferiori perché propone una speranza di vita e una prospettiva finale, escatologica. Tutti aspettano la fine del mondo corrotto e quindi vi è la corsa alla purificazione che il battesimo offre come via privilegiata di salvezza. Nascono le chiese paoline in Turchia, in Grecia, in Europa come risposta al bisogno di rinnovamento e di pulizia che sale dappertutto. Roma è governata da re pazzi (Caligola [37-41] e Nerone [54-68]) che ne accelereranno la caduta.
Fu così alla fine del 1° millennio d.C. quando la Chiesa vive la prima grande e grave scissione tra oriente e occidente (1054) che diede origine alla Chiesa ortodossa in oriente e alla Chiesa latina in occidente le cui sopravvivenze furono sempre più legate alle sorti degli imperi dell’una e dell’altra parte del mondo allora conosciuto.
[7] «La Chiesa ha grandi responsabilità rispetto a quello che sta avvenendo. Una volta c’era la tradizione che funzionava da freno e l’illuminismo che faceva da acceleratore, ora stiamo uscendo in curva perché qualcuno ha cambiato rotta [¼]. Tutto parte dal Concilio vaticano secondo. C’è un clima che è la logica conseguenza della fine dei simboli del cristianesimo [¼]. Quando si dice che tutte le religioni sono uguali, quando l’Europa propone il mandato di cattura europeo mi sembra che ci si [sic!] cacci in un tunnel senza uscita, al fondo ci vedo la dittatura, uno stato che nega la tradizione e che vuole reggersi sui magistrati, è una impostura contro il popolo. I magistrati che potrebbero arrestare sulla base del mandato di cattura europeo sono la stessa cosa di quelli che buttano giù il crocifisso. Il giudice dell’Aquila è un caso, uno della sarabanda che si schiera contro il popolo e le sue tradizioni. I massoni[7] dai loro antri puzzolenti hanno elaborato la fine della tradizione con la apertura dei confini, con la globalizzazione. E la Chiesa non ha reagito» ( Intervista di G. Passalacqua al sen. Umberto Bossi, in la Repubblica del 27-10-2003, p. 4). Sull’intera questione, a partire dal «crocifisso», arma contundente di lotta ideologica, cf P. Farinella, Crocifisso tra potere e Grazia. Dio e la civiltà occidentale, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2006.
[8] Dopo la partenza dell’apostolo Pietro e Paolo per Roma, il primo papa a ritornare nei luoghi della memoria cristiana fu Paolo VI (1964) che prima di chiudere il concilio ecumenico Vaticano II volle ritornare sulle rive del Giordano quasi per dire che tutta la Chiesa se voleva interiorizzare il concilio aveva bisogno di ritornare alle sue origini, alla sorgente dell’incarnazione: alla geografia di Dio che c’impedisce di mistificare e di strumentalizzare la fede. Paolo VI però non entrò in Palestina, ma in Giordania perché tutta la Palestina era territorio giordano. Il secondo papa che mise piede nella Palestina vera e propria fu Giovanni Paolo II in occasione del giubileo dell’anno 2000. Fu questo il vero ritorno di Pietro a casa. Chi scrive viveva a Gerusalemme e fu testimone di eventi che superano la storia stessa.
[9] «Se c’è un Dio, egli è infinitamente incomprensibile, perché, non possedendo né parti né limiti, non ha alcuna proporzione con noi. [...] “Dio esiste oppure non esiste?”. Da che parte ci decideremo? La ragione non può decidere nulla; c’è di mezzo un caos infinito. Si giuoca una partita, all’estremità di questa distanza infinita, dove risulterà testa o croce. Su che cosa puntare? Secondo ragione, non potete scegliere né l’uno né l’altra; secondo ragione, non potete escludere nessuno dei due. Dunque non accusate di falsità coloro che hanno fatto una scelta, perché non ne sapete niente. (B. Pascal, Pensieri, traduzione di Gennaro Auletta, Mondadori, Milano 1994 n. 233).
[10] Le cronache ci dicono che la quasi totalità dei preti e religiosi pedofili appartengono a questo gruppo: esigono dagli altri l’austerità, la dirittura e l’equilibrio psicologico ed etico che loro non hanno né possono avere. Inflessibili con gli altri quanto decadenti dentro il loro psicologismo che si attorciglia nell’immaturità affettiva e religiosa. Vivono tanto di simboli da non essere più in grado di vedere, leggere e interpretare la realtà. Essi non credono in Dio, ma in in un idolo fatto a loro immagine e somiglianza.
[11] «Ora noi invece combattiamo contro un persecutore ingannevole, un nemico che lusinga, Costanzo [l’imperatore, ndr] l’anticristo: egli non percuote il dorso ma accarezza il ventre, non ci confisca i beni per la vita ma ci arricchisce per la morte, non ci sospinge col carcere verso la libertà, ma ci riempie di incarichi nella sua reggia per la servitù, non spossa i nostri fianchi ma si impadronisce del cuore, non taglia la testa con la spada ma uccide l’anima con l’oro, non minaccia di bruciare pubblicamente, ma accende la geenna privatamente. Non combatte per non essere vinto ma lusinga per dominare, confessa il Cristo per rinnegarlo, favorisce l’unità per impedire la pace, reprime le eresie per sopprimere i cristiani, carica di onori i sacerdoti perché non ci siano vescovi [= ne impedisce l’ufficio, ndr], costruisce le chiese per distruggere la fede» (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo, 5 [PL 10,478-504].
[12] Sul tema delle realtà precedenti la fondazione del mondo è piena la letteratura sia giudaica che cristiana: Gesù è preesistente ad Àdam perché egli è «prima che il mondo fosse» (Gv 17,5) ed è pure l’agnello che esiste «prima della fondazione del mondo» (1Pt 1,20; cf Mt 25,34). Per la tradizione giudaica cf Mishnàh, Pirqè ‘Avot – Le sentenze/Detti dei Padri, V,6. San Paolo parla di Cristo come «immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione» (Col 1,15).
 
[13] La Preghiera eucaristica III è stata composta ex novo su richiesta di Paolo VI in attuazione alla riforma liturgica voluta dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ha un prefazio proprio, ma mobile e per questo, forse, ha finito per essere scelta, nella pratica, come la preghiera eucaristica della domenica.
[14] Pierre Claverie nacque a Bab el Oued l’8 maggio 1938, in una famiglia di pieds-noirs stabilitasi in Algeria da parecchie generazioni. Ancor giovane maturò la vocazione religiosa, ma prima di decidersi al passo, si recò a Grenoble, per studiarvi scienze matematiche. Nel dicembre 1958, entrò nel noviziato domenicano di Lille e, dopo gli studi di filosofia e teologia, fu ordinato sacerdote il 4 luglio 1965, facendo poi ritorno in Algeria, che nel frattempo aveva conquistato la sua indipendenza. Nominato, nel 1972, direttore del centro diocesano delle Glycines, in Algeri, seppe fare di questo lo strumento privilegiato per lo studio del mondo arabo, ma anche per lo scambio, il dialogo e l’amicizia tra cristianesimo e islam. Il 9 ottobre 1981, nella cattedrale di Algeri, alla presenza di moltissimi amici musulmani, fu ordinato vescovo di Orano, dove rimase per quindici anni, fino alla morte. Il progressivo deterioramento della situazione politica e sociale del paese, che si registrò negli anni successivi, portò Claverie a rendere pubbliche le sue convinzioni e le sue denunce. A chi gli chiedeva: “Perché rimanete?”, rispondeva: “Noi siamo qui a causa di questo Messia crocifisso. A causa di niente e di nessun altro! Non abbiamo nessun interesse da salvare, nessuna influenza da mantenere... Non abbiamo nessun potere, ma siamo qui come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stingendogli la mano, asciugandogli la fronte. A causa di Gesù perché è lui che sta soffrendo qui, in questa violenza che non risparmia nessuno, crocifisso di nuovo nella carne di migliaia d'innocenti”. Entrato nel mirino delle bande mafiose che, dietro lo scudo del fondamentalismo, si contendevano (e si contendono) sanguinosamente il controllo del paese, nove settimane dopo l’assassinio dei sette monaci trappisti del monastero di Nostra Signora dell’Atlante, a Tibhirine, mons. Pierre Claverie morì vittima di una bomba esplosa davanti al vescovato di Orano, la notte del 1o agosto 1996. Il suo autista, Mohamed Bouchikhi, musulmano, morì con lui (Questa nota e il brano dei «Cahiers» sono tratti da «Giorno per giorno» della Comunità di base brasiliana del Bairro del 2 agosto 2007).


Mercoledì 04 Agosto,2010 Ore: 22:31
 
 
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