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www.ildialogo.org Domenica 16a Tempo Ordinario -C- 18 luglio 2010,di Paolo Farinella, prete

Domenica 16a Tempo Ordinario -C- 18 luglio 2010

di Paolo Farinella, prete

Il tema della liturgia odierna è chiaramente l’«ospitalità»[1]: ad essa infatti sono dedicate sia la 1a lettura che il vangelo. E’ un tema che attraversa tutte le culture e le civiltà. Mai termine è stato caricato di senso «divino» come questo in tutte le religioni. Per la Bibbia Abramo è il modello dell’ospitalità perché accoglie tre «uomini» (che a volte è «uno») dietro cui si cela il Signore[2]. Il NT non cita mai l’ospitalità di Abramo se non nell’accenno di Eb 13,2: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». Non ritratta di mancanza di attenzione verso un argomento decisivo come quello dell’ospitalità, per il fatto che nel NT è Dio stesso l’Ospite che viene a cercare l’uomo nel suo ambiente, operando per la prima volta in assoluto quel radicale comportamento opposto che vuole che sia l’uomo a scalare il cielo per cercare e trovare Dio. Omero, già nell’VIII sec. a.C. ci avverte che gli dèi viaggiano spesso per campagne e città sotto spoglie mortali per spiare le azioni buone o cattive degli uomini[3].
La mitologia greca narra che Zeus, Posidone ed Ermète fecero visita ad Ireo in Beozia, al quale, dopo avere beneficiato della sua ospitalità, preannunciano la nascita del figlio desiderato e mai giunto[4]. Tra il racconto greco e quello biblico vi sono affinità, ma molte di più sono le differenze di qualità. Il racconto greco è basato sull’inverosimile, quello biblico invece sulla «relazione». L’affinità tra i due racconti, pur così distanti tra loro ci dicono che esiste alle origini un canovaccio di narrazione comune sia alla cultura greca che semitica e possiamo anche dire al sentire universale. Ciò è segno che l’ospitalità è una dimensione «divina» del cuore umano a qualunque latitudine e longitudine, codificata nell’espressione: «l’ospite è sacro», fino al punto che nella Bibbia, Lot è disposto a concedere le figlie alle sevizie dei suoi concittadini pur di salvare i due forestieri ospiti nella sua casa[5]. Offendere l’ospite è denigrare e sconfessare Dio, per questo Sòdoma è distrutta.
Il Talmud descrive l’ospitalità nella sua concretezza come imitazione dell’agire di Dio.
 
«Così come Dio veste i nudi, come ha fatto con Adamo ed Eva, vesti anche tu i nudi; così come Dio visita i malati, come gli angeli hanno visitato Abramo subito dopo la sua circoncisione, visita anche tu i malati; così come Dio consola i familiari del defunto, come ha fatto con Isacco dopo la morte di Abramo, conforta anche tu i familiari del defunto; così come Dio seppellisce i morti, come ha fatto con Mosè, seppellisci anche tu i morti» (Trattato Sotàh – Adulterio 14a).
 
Per l’Ebreo quindi l’imitazione di Dio è radicato nella natura stessa di Dio e infatti il grande commentatore medievale Moimònide[6]le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere» (Pr 3,17). Il NT tradurrà questo atteggiamento nel discorso programmatico della montagna, dove si ribalta il concetto di ospitalità del prossimo come connazionale (Lv 19,18) per giungere al paradosso dell’accoglienza addirittura del nemico e dell’ostile:, basandosi sul Talmud (trattato Gittin, 59b), afferma che per noi è obbligo provvedere ai bisognosi anche se sono idolàtri come se fossero bisognosi di casa propria; i malati idolatri come se fossero i nostri malati perché questo è il fondamento della Pace, secondo quando è scritto: «
 
«43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,43-48).
 
La civiltà occidentale ha perso il senso dell’ospitalità perché la perversione intrinseca del sistema capitalistico «ha economicizzato» ogni aspetto della nostra vita, poggiandola sulle psudo-regole del mercato e del profitto: le regole sono imposte da chi ha parla di mercato, ma intende protezione politico-economica, nutrita dalla corruzione sistematica per creare sacche di privilegi e interessi che alla fine violentano il mercato e lo uccidono. In questo contesto, a cui nemmeno la Chiesa si oppone, l’ospite è diventato turista, cioè visitatore a tempo, da sfruttare e in breve tempo. Nella nostra cultura post-capitalista, non c’è posto per la sacralità dell’ospite che se non è funzionale degli interessi di una nazione o di un gruppo, è visto e trattato da nemico. In un tempo in cui la povertà del mondo, causata dall’occidente, mette in moto transumanze di popoli, paragonabili solo alle migrazioni bibliche, vediamo che lo stesso occidente ha perso del tutto quella «civiltà» di cui di dice portatore, mentre invece ne è il necròforo. Avendo perso la dimensione di Dio, ritenuto superfluo se non ingombrante, abbiamo anche smarrito il senso umano dell’accoglienza che nell’ospitalità testimonia la civiltà di un popolo. Entrando nella dinamica dell’Eucaristia, noi siamo ospiti del Padre che ci convoca alla duplice mensa del Gesù Cristo, con la grazia dello Spirito; invochiamo la Trinità che diventa la misura della nostra ospitalità. Saliamo, dunque, al monte dell’Eucaristia con la preghiera del salmista d’Israele che c’introduce all’invocazione dello Spirito Santo (Sal 54/53,6.8): «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia vita. 8 Ti offrirò un sacrificio spontaneo, loderò il tuo nome, Signore, perché è buono».
 
Spirito Santo, tu apristi gli occhi di Abramo perché scorgesse l’Ospite che lo visitava,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu animasti lo spirito di Abramo per accogliere l’Ospite inatteso,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai trasformato la sterilità di Sara in fecondità di popolo numeroso,          Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu anticipasti in Sara ciò che hai compiuto in Maria di Nàzaret,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu costruisci la tenda della nostra fede, dove abitano il Padre e il Figlio,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la saldezza che ci sostiene nella lealtà e nella giustizia,              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu dài senso alle nostre sofferenze unendole a quelle di Cristo Signore,         Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il mistero nascosto nei secoli manifestato nella Parola di Gesù,             Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu annunci nella vita di ogni persona il Cristo, speranza della gloria, Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu abitasti la casa di Marta e Maria per renderla accogliente a Gesù,  Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispirasti Maria a sedersi ai piedi di Gesù per ascoltare la sua Parola,           Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la Presenza di cui c’è bisogno per scegliere la parte migliore,    Veni, Sancte Spiritus!
 
Tutta la nostra vita può essere letta all’insegna dell’ospitalità: quando compriamo il pane, andiamo al mercato, dal medico, in visita ad amici, siamo sempre ospiti di qualcuno, gratuitamente o per interesse. L’ospitalità ci insegna che nessuno di noi è un isola, ma tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. L’ospitalità dice interdipendenza. Prenderne coscienza significa a gire politicamente, il contrario è l’egoismo puro. Nessuno può salvarsi da solo, ma tutti possiamo salvarci insieme. Ogni volta che ci segniamo con il segno della croce, noi affermiamo che anche in Dio l’ospitalità è la norma e in essa noi viviamo e preghiamo
 

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

 
Ogni domenica noi accogliamo l’invito di Dio per essere ospiti suoi. L’altare è simbolo di Cristo verso cui convergiamo dalle nostre diaspore, spinti dalla grazia dello Spirito Santo che ci guida a questa «assemblea». Il Padre ci accoglie per ricevere l’offerta del Figlio che lui stesso ha mandato. Celebrando l’Eucaristia siamo ospiti della Trinità. A sua volta la santa Trinità diventa nostra Ospite perché noi ascoltiamo il Figlio/Lògos, di cui ricevemmo lo Spirito che ci fa comprendere e vivere ciò che accade nella Liturgia, il grande ringraziamento ecclesiale al Padre. La celebrazione, infatti, si conclude con il vero offertorio che è la dossologia conclusiva: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo». In questo momento noi siamo certi che il Pane e il Vino sono i segni visibili della Vita di Gesù, figlio di Dio. Per questo è necessario lasciarci convertire e chiedere perdono per essere liberi, liberati e liberanti.
 
[Sono necessari alcuni momenti veri di silenzio e raccoglimento per un vero esame di coscienza]
 
Signore, hai voluto essere ospite di Abramo, perdona le nostre chiusure agli altri,    Kyrie, elèison!
Cristo, che l’ospite che ci accoglie all’altare, perdona le nostre paure degli altri,                  Christe, elèison!
Signore, che ci mandi nel mondo ad vivere l’ospitalità della fede, abbi pietà di noi,            Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente, che visita Abramo per lasciare l’annuncio della nascita di Isacco, che si gode l’ospitalità di Marta e Maria, il Dio di Gesù che ci accoglie alla mensa della Parola che si fa Pane per diventare ospite nella nostra vita quotidiana, per i meriti di Abramo, Sara e Isacco, per i meriti di Gesù nostro redentore, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo,  ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Padre sapiente e misericordioso, donaci un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che risuona ancora nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come ospite nella persona dei nostri fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Gen 18,1-10a. Il racconto di Gen 18, descrive l’ospitalità che Abramo riserva a tre misteriosi personaggi. Esso appartiene alla tradizione detta «Jahvista» e databile sec. X a.C[7]. Essa riporta materiale ancora più antico tramandato oralmente frutto di leggende comuni alle culture della Mesopotamia che raccontavano di visite delle divinità sulla terra e dell’accoglienza di uomini e popoli privilegiati che in cambio ricevevamo benedizione e fecondità. Il racconto biblico serve per introdurre e spiegare la distruzione di Sòdoma nel capitolo seguente, mettendo in contrasto l’atteggiamento di Abramo e quello degli abitanti di Sòdoma e anche gli esiti finali. Il racconto oscilla tra il politeismo (i personaggi sono tre) e monoteismo (Abramo parla come se l’ospite fosse uno solo) ed è il segno di una progressiva maturazione. Abramo sarà per sempre il modello della fede nell’Unico Dio. Nei tre personaggi a cui Abramo si rivolge al singolare, i Padri della Chiesa hanno visto adombrato il mistero della Trinità che solo il nuovo Testamento avrebbe svelato compiutamente. Impariamo da Abramo ad accogliere Dio, che ci invita ad essere suoi ospiti alla duplice mensa della Parola e del Pane.
 
Dal libro della Genesi Gen 18,1-10a
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». 6Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. 9Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10a Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 15/14, 1-3a; 3ab-4ab; 5. Per la tradizione giudaica nel Sal 15 sono riportati undici principi fondamentali che vanno oltre il minimo richiesto dalla Toràh. Tutti gli undici principi riguardano relazioni tra gli individui e non Dio. L’insegnamento è semplice: per abitare la tenda di Dio bisogna vivere in pienezza la relazione umana. Non si può fare un torto al prossimo e pretendere di entrare nella casa di Dio. Gesù dirà la stessa cosa: «Se stai per presentare la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono« (MT 5,23-24). Adorare Dio significa riconoscere e accogliere i propri fratelli nell’ospitalità del cuore: questa è la purezza del cuore.
 
Rit. Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

1. Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sulla tua santa montagna?
2 Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
3a non sparge calunnie con la sua lingua. Rit.
2. 3b Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
4 Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore. Rit.
3. 5 Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre. Rit

Seconda lettura Col 1,24-28. Sembra che la lettera ai Colossesi sia costituita da appunti che sono sfociati poi nella lettera agli Efesini di cui quindi è una sorta di bozza. Come domenica scorsa, dove l’inno della lettera ai Colossesi richiamava quello di Efesini (cf Ef 1,1-15), anche oggi il brano di Colossesi che propone la liturgia ha gli stessi temi di quello corrispondente nella lettera agli Efesini (cf Ef 1,21-23). Paolo affronta in modo originale il tema della sofferenza e della ricchezza (cf Ef 3,5). La prospettiva di tutto sta nella comunione con Cristo: vivere con amore e per amore è la chiave della vita e della fede. E’ l’amore il grande mistero che la vita deve svelare e compiere. Noi ne impariamo il metodo celebrando la santa Liturgia.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Colossesi 1,24-28
Fratelli, 24 sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 25Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, 26il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. 27A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. 28È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 10,38-42. Il brano di Marta e Maria non è un invito a scegliere tra vita attiva e vita contemplativa, come sbrigativamente di solito s’insinua, senza tenere conto dei tre livelli di cui il brano si compone. Il 1° livello è il fatto storico: un banale fatto di ordinaria ospitalità sfuggita di mano per eccesso esuberante. Nel 2° livello, la comunità primitiva ha interpretato il racconto in chiave escatologica: il tempo stringe per cui non bisogna lasciarsi sopraffare dalle cose materiali che pone in relazione e distingue ciò che è necessario da ciò che è superfluo. Luca da parte sua, ed è il 3° livello del racconto, mette in evidenza l’urgenza di ascoltare la Parola spesso figura del Regno che arriva (cf Lc 8,11-15). Il brano quindi non mette in contrasto Maria e Marta, ma invita a fare una scala di priorità in vista dell’imminenza immediata del Regno. Ascoltare la Parola non significa «fare nulla», ma comprendere la dinamica degli avvenimenti e viverli come comandamenti del Dio che viene e chiama.
 
Canto al Vangelo Cf Lc 8,15
Alleluia. Beati coloro che custodiscono la parola di Dio / con cuore integro e buono, / e producono frutto con perseveranza. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca 10,38-42
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù 38 entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta». - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Quest’oggi facciamo due osservazioni: una alla 1a lettura alla luce della tradizione giudaica e una sul vangelo, puntualizzando il significato del brano sempre alla luce degli usi giudaici.
La 1a lettura nella forma attuale risale al sec. X a.C. e appartiene alla tradizione «Jahvista» (v. sopra nota 7), la quale a sua volta aveva elaborato un racconto più antico e diffuso in tutte le culture dell’oriente in cui si narrava della visita di un «dio» all’umanità. Il testo oscilla tra il singolare e il plurale, segno di due tradizioni integrate tra loro dal redattore finale nel sec. V a. C. Si può dire che Dio appare ad Abramo accompagnato da due angeli sotto forma umana: secondo il Talmud, Abramo crede che gli ospiti siano «»semplici arabi del deserto» (Talmud B. Qiddushin 32b). La riprova si ha nel fatto che immediatamente dopo anche nel racconto della distruzione di Sòdoma, due degli ospiti si manifestano come angeli mandati da Dio (cf Gen 19,1). La lettera agli Ebrei, il cui autore è forse un sacerdote giudeo, divenuto cristiano dà conferma di tutto questo: «Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2).Tralasciamo la formazione del testo e fermiamoci al significato che esso ha per noi
La tradizione giudaica ha evidenziato quattro gesti di ospitalità di Abramo:
 
1.      Gen 18,4a: egli ha offerto l’acqua:  «Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi». 
2.      Gen 18,4b: ha messo a disposizione l’ombra della quercia: «accomodatevi sotto l’albero».
3.      Gen 18,5: ha offerto il pane/focaccia: «Andrò a prendere un boccone di pane».
4.      Gen 18,7: per gli ospiti uccise il vitello: «Abramo prese un vitello tenero e buono».
 
A questi quattro gesti di ospitalità corrispondono nella storia d’Israele quattro doni di Dio per i meriti acquisiti dall’ospitalità praticata di Abramo che così diventa il prototipo di ogni accoglienza futura.
 
1. Per l’acqua data da Abramo, Dio disseterà Israele nel deserto al pozzo di Mara, alle sorgenti di Refidim (cf Es 15,22-27) e con la roccia zampillante acqua (Es 17,1-7).
2. Per il pane di Abramo e preparato da Sara, Dio nutrirà Israele con la manna del deserto (cf Es 16,1-36).
3. Per l’ombra dell’albero, Dio darà le sette nuvole di gloria e di riparo nel deserto (cf Es 13,21-22; 14,19-20.24 et passim).
4. Per il vitello sacrificato da Abramo, Dio nutrirà Israele con la carne delle quaglie (cf Es 1,1-36).
 
Da questa tradizione molto bella rileviamo un grande insegnamento: per i meriti del Patriarca Abramo, una serie di conseguenze benefiche si riversano sui suoi discendenti dei secoli futuri, creando così un circuito di grazia che ci rende indispensabili nella logica della storia della salvezza. E’ il criterio e il concetto della «comunione dei santi» nella quale siamo immersi anche se non lo sappiamo. Gli Ebrei parlano di «merito dei padri» che trova la sua massima realizzazione nella «legatura di Isacco/aqedàh di Isacco» che i primi cristiani leggeranno come anticipo della «legatura» di Gesù alla croce. Il merito dei Padri è il pozzo alimentato dalle diverse generazioni da cui ogni generazione successiva attinge lungo il suo cammino. Nessuno deve sentirsi estraneo alla storia del proprio popolo.
Ciò che viviamo oggi, gli eventi che determiniamo noi non hanno solo valore per noi nel momento in cui lo facciamo, il risultato del nostro essere e del nostri agire, travalica il nostro limite e va a riversarsi sulle generazioni future. Nessuno di noi è isolato, tutti siamo connessi gli uni agli altri e siamo sempre solidali nel bene e nel male con coloro che ci precedono, ma specialmente con coloro che ci seguono.
L’ospitalità di Abramo al «Dio nascosto» che si presenta a lui come pellegrino, diventa la il motivo fondante perché Dio ospiti i figli di Abramo nel loro peregrinare nel deserto assistendoli e accogliendoli sotto la sua protezione. Qui risiede il fondamento della carità e dell’accoglienza senza limiti: in ogni persona che incontriamo può nascosi Dio che viene a noi per provare la nostra fede. Per questo la Mishnàh[8]«Il mondo si regge su tre cose: sulla Toràh, sul servizio Divino e sulle opere di misericordia» (Pirqè Avot-Massime dei Padri I,2) e inoltre sull’autorità del rabbino Yossè, figlio di Yochanàn di Yerushallàim insewgna: «La tua casa sia largamente aperta; siano i poveri come i tuoi familiari» (Pirqè Avot-Massime dei Padri I,5). Tutti questi insegnamenti in ambito cristiano diventano l’attuazione pratica dell’ospitalità che la Chiesa ha assunto come qualificanti la vita del credente. Gesù nel discorso escatologico del giudizio finale baserà proprio su queste opere la sua valutazione di salvezza: «Avevo fame… sete… bisogno… carcere… straniero… mi avete assistito… non mi avete assistito…» (Mt 25,23-45)[9]. sulla parola del rabbino Shimon Hatzadìk insegna che
 
Il vangelo di Lc ci presenta un quadretto familiare che descrive l’accoglienza di Gesù da parte di una famiglia di amici intimi. Bisogna però sfrondare il testo da equivoci perché troppo spesso è stato presentato per giustificare la distinzione tra la scelta religiosa della vita contemplativa, identificata in Maria e la scelta religiosa della vita attiva. Marta e Maria due suore «ante litteram». Sarà magari una semplificazione, ma non ha niente a che vedere con il vangelo di oggi. Gesù non si è occupato di ordini religiosi e relative forme di vita. Il racconto appartiene solo a Lc e quindi proviene dalla sua fonte personale, probabilmente dalla cerchia delle amicizie femminili di Gesù. Nei vangeli troviamo citata la famiglia di Lazzaro tre volte: qui (cf Lc 10,38-42); nel racconto della risurrezione di Lazzaro (cf Gv 11,1-44) e nel racconto dell’unzione di Betania (cf Gv 12,1-8). Si tratta di tradizioni importanti e quindi bisogna prestarvi attenzione, perché nulla è superfluo nella parola di Dio. Nel vangelo di oggi e nell’unzione di Betania vediamo che le due sorelle hanno compiti distinti: Marta si occupa della casa e del «servizio» (cf Lc 10,40; 12,2), mentre Maria di dedica all’ospite in quanto persona (cf Lc 10,39; 12,3).
Secondo i costumi dell’ospitalità del tempo, le due sorelle si divino equamente i compiti: una intrattiene l’ospite e i suoi amici e l’altra prepara da mangiare secondo una pratica divisione di compiti e di ruoli per garantire la migliore ospitalità agli invitati.  Nessun privilegio è collegato al compito di Maria perché l’impegno di Marta non è meno nobile e gratificante. Questo semplice fatto domestico, vissuto magari tante altre volte, ha subito nel corso della sua storia diverse interpretazioni, segno anche questo che vi si attribuiva molta importanza.
La comunità cristiana primitiva, immediatamente dopo la morte di Gesù interpretò il racconto in chiave escatologica, cioè come invito a non attardarsi sulle cose secondarie perché il tempo si è fatto breve e bisogna fare in fretta sulla scia dell’insegnamento di Paolo nella 1a lettera ai Corinzi (cf 1 Cor 7,29). La prima generazione dei cristiani aveva la convinzione che la fine del mondo fosse immediata, tanto che nessuno lavora più e Paolo e gli stessi evangelisti devono combattere questa rassegnazione fatalista (cf Ts 3,10; Mc 13,32)[10].
Marta per eccesso di riguardo verso l’ospite ha esagerato nei preparativi fino al punto che le sono sfuggiti di mano e non è stata più in grado di gestirli, per cui temendo di fare una brutta figura e di deludere gli ospiti chiede l’interevento della sorella (cf Lc 10,40). Gesù che capisce la situazione che si è creata, la tranquillizza e le dice di ridimensionare i preparativi e di non dare molta importanza al cibo perché si mangia per stare insieme, non il contrario, altrimenti si perde una parte importante dell’ospitalità che è lo stare insieme. Letteralmente Gesù Dice: «Marta, Marta, continui a preoccuparti e continui ad essere angosciata intorno a molte cose, mentre di una sola c’è bisogno» che tradotto in linguaggio comprensibile moderno significa: hai messo al fuoco troppa carne, mentre bastava che ti fossi limitata ad un solo un piatto. In altre parole: basta poco (cf Lc 10,41-42). L’insegnamento centrale di Lc è questo: non bisogna lasciarsi dominare dalle preoccupazioni e dagli affari del mondo perché il regno di Dio è vicino (cf Lc 12,22). In termini moderni: a che vale preoccuparsi eccessivamente o in modo preminente o in modo esclusivo per affari e preoccupazione che possono scomparire da un momento all’altro visto che possiamo morire in qualsiasi momento? Lc qui risente della predicazione di Paolo[11].
Un altro insegnamento che proviene direttamente da questo racconto lucano è l’importanza dell’ascolto della Parola (cf Lc 11,27-28) che non può avvenire in uno stato di sazietà e di dissipazione, ma esso può compiersi e realizzarsi pienamente in una condizione di «povertà» globale che comprende l’atteggiamento interiore come vivere solo del necessario. Essere distaccati dalle cose del mondo e dal mondo del superfluo significa essere in grado di sapersi porre in stato di ascolto che non è solo «sentire» quello che l’altro dice, ma condividerlo vivendo il tempo della Parola come condivisione del cuore.
Gesù non fa riferimento alla «contemplazione» come si è sviluppato nel monachesimo e non pensa a nessuna delle suore di clausura che magari s’identifica con Maria credendola antesignana delle contemplative. Qui Gesù parla dell’attenzione che si deve all’irruzione del «Regno di Dio», molto spesso rappresentato come «Parola» (Lc 8,11-15; Mt 13,18-23; Mc 4,14-20). L’immediatezza del Regno e della Presenza di Dio nel mondo esigono la massima attenzione e non ammettono distrazione. E’ difficile oggi affermare queste cose, quando la cultura dominante vive solo una dimensione ludica per non dire spassosa della vita, eliminando ogni riferimento alla fatica, alla sofferenza e alla morte. Ciò che conta prevalentemente oggi è divertirsi, non importa come, anche a costo di sfidare la morte inutile e senza senso come le morti del sabato sera.
Lc e con lui Gesù non invitano ad una contemplazione vissuta nell’ozio e nella tranquillità, ma alla vigilanza attenta ed esigente perché comporta impegno, fatica e dedizione. Ascoltare la Parola di Dio significa diventare intimi di Gesù fino a sperimentare la beatitudine che supera anche i legami familiari: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28; cf 8,20-21).
In questo contesto si capisce il senso profondo dell’ospitalità cristiana che non può essere smarrita specialmente di fronte ad un mondo squilibrato che vede migrazioni di interi popoli alla ricerca di uno scampolo dignitoso di vita, quando non sono alla ricerca della stessa sopravvivenza. Stiamo assistendo ad una serie infinita di esodi come transumanze di interi continenti verso altri continenti dove l’egoismo di pochi impedisce la vita di molti. I cristiani e con essi l’uomo moderno ha perso il senso di Dio e quindi la sacralità dell’ospitalità, ma là dove c’è consapevolezza di Dio, oggi c’è più coscienza che in passato e si vive l’ospitalità non come semplice accoglienza materiale, ma come condivisione di stili di vita e di ideali di umanità.
Ripudiare la guerra, per qualsiasi motivi, interessarsi ad un mercato solidale, capire i problemi della connessione interculturale, domandarsi come venire incontro agli immani problemi dell’Africa, capire le ragioni della migrazione, ecc. significa porsi il tema dell’ospitalità nel senso giusto e nella prospettiva della responsabilità condivisa che esige scelte concrete di vita, di stili, di mentalità e di apertura non comuni e spesso anche controcorrente.
In sostanza, concludendo, il senso di Dio come il senso dell’ospitalità ci obbliga a interrogarsi sulla dimensione gratuità della vita e di tutto ciò che la riguarda e ciò non nasce da un istinto naturale, ma si può comprendere solo in una riflessione mediata dopo che si è sperimentato di essere stati ospiti accolti e accuditi. Nella prospettiva della fede che nasce dall’incontro con Gesù non esiste la categoria dello «straniero» o dell’avventizio perché ognuno di noi è straniero a se stesso finché la Parola di Dio non svela la nostra identità universale di «figli di Dio», figli dello stesso Padre che «osano» invocare nella preghiera qualificante per eccellenza come «Padre nostro», dichiarandosi così membri unici e uguali di una sola famiglia umana e cristiana.
Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’ospitalità che abbiamo vissuto come espressione della nostra vita o che abbiamo rifiutato come difesa del nostri stile di esistenza (Mt 25,35-45). Se sapremo sperimentare di essere radicalmente ospiti dell’Eucaristia dove il nuovo Abramo, Gesù, ci rifocilla con la Parola, il pane, l’acqua, il vino e la fraternità, allora andando per le strade del mondo sapremo essere a nostra volta ospitali e ospitanti, segno visibile di quel Dio che viene a porre la sua tenda in noi perché possiamo essere la sua dimora: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23).
Per fare questo però bisogna essere liberi da ogni orpello inutile e ingombrante: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (Mt 10,9-10). Per andare incontro agli uomini e alle donne del mondo, basta l’anima e lasciarsi portare dalle ali dello Spirito per condividere con tutti il Pane spezzato che abbiamo appena ricevuto.
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
 
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). O Dio, nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo hai dato valore e compimento alle tante vittime della legge antica, accogli e santifica questa nostra offerta come un giorno benedicesti i doni di Abele, e ciò che ognuno di noi presenta in tuo onore giovi alla salvezza di tutti. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario VI: Cristo Parola, Salvatore e Redentore
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Padre santo, per Gesù Cristo, tuo dilettissimo Figlio.
«Il Signore apparve ad Abramo  alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno» (Gen 18.1).
 
Egli è la tua Parola vivente, per mezzo di lui hai creato tutte le cose e lo hai mandato a noi salvatore e redentore, fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato dalla vergine Maria.
«Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui» (Gen 18,2).
 
Per compiere la tua volontà e acquistarti un popolo santo, egli stese le braccia sulla croce, morendo distrusse la morte e proclamò la risurrezione.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
 
Per questo mistero di salvezza, uniti agli Angeli e ai Santi, cantiamo a una sola voce la tua gloria :
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
 
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
«[Abramo disse] Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo» (Gen 18,3).
 
Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Abramo offrì al Signore dell’universo l’ospitalità del suo cuore nei segni dell’acqua, dell’ombra, del pane e della carne(cf Gen 18, 4.5.7).
 
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Colui che cammina senza colpa, pratica la giustiziae dice la verità che ha nel cuore abiterà nella casa del Signore(cf Sal 15/14, 2.1).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Signore, noi custodiamo la tua Parola e la conserviamo nel nostro cuore come Maria di Nàzaret, tua e nostra madre (cf Lc 2,19).
 
MISTERO DELLA FEDE.
Celebriamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione e attendiamo il tuo ritorno. Maranà thà! Vieni, Signore!
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Siamo lieti con l’aiuto dello Spirito di sopportare le sofferenze della vita per amore e dare compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella nostra carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa (cf Col 1,24).
 
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
Anche noi, come Marta ospitiamo il Signore Gesù nel villaggio della santa Assemblea perché egli ci ospiti nella sua Eucaristia (Lc 10,38).
 
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa …, il Vescovo …, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
Come Maria stiamo davanti all’altare per ascoltare il Lògos eterno che pianta la sua tenda in mezzo a noi nei segni del pane e del vino (cf Lc 10,39).
 
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Insegnaci, Signore a non preoccuparci per la nostra vita, di quello che mangeremo o berremo, né per il nostro corpo, di quello che indosseremo; il Padre nostro celeste, infatti, sa che ne abbiamo bisogno (cf Mt 6 25.32).
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
Con la forza del tuo spirito insegnaci a guardare gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure, tu, nostro Padre celeste, li nutri (cf Mt 6,26).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Ap 3,20: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me».
 
Dopo la Comunione
Frammento di lettera di Bartolomeo de las Casas (1484 –1566) a papa Pio V in difesa degli indigeni abitanti le terre invase da Cristoforo Colombo e suoi successori in Carlos Josaphat, Las Casas, Todos os direitos para todos.
 
Sono molti gli adulatori che nascostamente, come cani rabbiosi e insaziabili, latrano contro la verità. Per questo supplico umilmente Vostra Beatitudine che faccia un decreto dichiarando scomunicati e anatemizzati tutti coloro che affermano che è giusta la guerra mossa agli infedeli, - solo a causa della loro idolatria e perché il Vangelo sia predicato in migliori condizioni -, specialmente a quei pagani che mai ci recarono o ci recano alcun oltraggio; o chi sostiene che i pagani sono incapaci di aprirsi al Vangelo e alla salvezza eterna, per quanto essi sono rozzi ritardati – il che non è certo il caso degli indigeni, la cui causa, con mio pericolo e totale dedizione, fino alla morte, ho difeso, per l’onore di Dio e della Chiesa. E nel mio libro ho dimostrato ben chiaramente che tutte queste cose sono contro i sacri canoni e contro la legge del vangelo e quella naturale, e lo proverò in maniera più evidente ancora, se possibile, dato che è un tema il cui studio ho con grande chiarezza investigato e concluso (Bartolomeo de las Casas,).   
 
Preghiamo. Assisti, Signore, il tuo popolo, che hai colmato della grazia di questi santi misteri, e fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che visitò Abramo, accettandone l’accoglienza, sia nostro ospite di vita,             Amen.
Il Signore che ci ospita alla mensa della Parola e del Pane, ci apra alla fraternità,                            
Il Signore che accettò l’ospitalità di Marta e Maria, spalanchi il nostro cuore all’accoglienza.
Il Signore che si fa ospite nostro nella Santa Assemblea, ci doni la gioia dell’universalità.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci sulle strade del mondo.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male e dalla rassegnazione.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci perché possiamo consolare chi incontriamo.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Nota: Domenica 16a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 18/07/2010 – San Torpete – Genova
 


[1] L’etimologia diretta proviene dal latino «hóspitem» che è l’accusativo di «hóspes». Il termine di compone di due parti: a) «hos / host» che potrebbe derivare da «hosti» nel senso originario del termine: «straniero, forestiero, pellegrino»; b) «pes / pets» derivato dal sanscrito «pati» che significa padrone/signore, a sua volta basato sulla radice «pa-» senso col significato di sostenere/proteggere. L’ospite sarebbe quindi colui che sostiene, protegge, nutre il forestiero. Nelle lingue slave (es. russo) similmente si ha «gòspodi/gòspoda – padrone/padrona». Una seconda ipotesi fa derivare il vocabolo dal sanscrito «gas-pati – padrone di casa/famiglia»; più propriamente «ghas-ami» (ghas = alimento – ami = mangio»: quindi padrone di mensa».Chi ospita dà accoglienza non per lucro ma per amicizia. Lo stesso termine indica il beneficiario dell’accoglienza. Per il significato biblico v. l’exursus in appendice sul significato di «straniero».
[2] V. più avanti nelle tracce di omelia il significato giudaico dei gesti del patriarca.
[3] «Spesso d’estrano pellegrino in forma / Per le città di si raggira un nume, / Vestendo ogni sembianza, e alle malvage /De’ mortali opre ed alle giuste guarda» (Omero, Odissea, 17, 586-89).
[4] Ireo, fondatore di Iria, in Beozia, non aveva una discendenza, e un giorno, dopo aver accolto con grande ospitalità Zeus, Ermete e Poseidone, chiese loro un rimedio al suo problema. Gli dissero di prendere la pelle di un toro che aveva sacrificato e, dopo averla bagnata della sua orina, di bruciarla. Nove mesi dopo nel luogo dove avvenne il rito nacque un ragazzo che Ireo chiamò Orione, che ben presto si rivelò essere un gigante. Oggi la Beotia è una prefettura delle Gracia centrale e confina a sud con il golfo di Corinto e ad est con il mar Egeo.
[5] Cf Gen 19,-29, specialmente v. 8.
[6] Mosè Maimonide, in ebraico Rabbì Moshe ben Maimon, conosciuto anche con l’acronimo Rambàm (1138-1204), fu un grande filosofo, medico e teologo ebreo sefardita.
[7] Gli studiosi hanno individuato quattro filoni letterari (tradizioni orali) che percorrono e s’intrecciano nel Pentateuco. Sono: 1) la tradizione «jahvista» (o yahvista) perché indica «Dio» sempre col nome «Yhwh» (il sacro tetragramma che non si pronuncia) ed è del sec. X-IX a.C.; 2) la tradizione «elohista»  perché indica «Dio» sempre col nome di «Elohim» ed è del sec. VIII-VII a.C.; 3) la tradizione «deuteronomista» che si trova esclusivamente nel libro corrispondente ed è del sec. VII a.C.) e 4) la tradizione sacerdotale o presbiterale codificata durante l’esilio nel sec. VI-V a.C. Convenzionalmente sono abbreviate nell’ordine: J = Jahvista (nasce a sud); E = Elohista (nasce al nord); D = Deuteronomica (si sviluppa al nord e al sud) e P = Sacerdotale (dal tedesco Pristercodex che significa Codice Sacerdotale che si forma e si sviluppa in esilio, a Babilonia). Nel 444 a. C. durante la riforma di Esdra e Neemia le quattro tradizioni furono fuse insieme nell’attuale raccolta che in ebraico prende il nome di Toràh e in greco di Pentateuco.
[8] Trattato Pirqè Avot – Massime dei Padri, I, 2.
[9] Pons José, Abramo il Credente, Ed. Grafite, Napoli 1998, pagg. 62-63; più in generale, ma più esegetico, cf J.-L. Ska, Abramo e suoi ospiti, Edizioni Dehoniane, Bologna 2007; per le tradizioni giudaiche e leggendarie, cf L. Ginzberg, Le Leggende degli ebrei, III. Da Abramo a Giacobbe, Adelphi Edizioni, Milano 1997, 15-122.
[10] Per questa ragione, poiché la fine della storia era imminente, molti vendettero proprietà e beni, diventando tutti poveri fino al punto che Paolo deve organizzare una grande colletta tra le chiesa provenienti dal paganesimo per soccorrere la chiesa madre di Gerusalemme (cf At 4,32-37; 5,1-11; 24,17; Rom 15,26; 1Cor 16,1-4; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).
[11] Anche nell’uso del vocabolario che è simile: cf Lc 10,38-42 con 1Cor 7,29-35. Lo stesso concetto di «verginità» deve essere compreso in questo contesto perché in una prospettiva escatologica, essa rappresenta lo stato privilegiato di libertà e di disponibilità: non è un caso che in seguito sia Maria che Marta saranno considerate come vergini.
 


Luned́ 12 Luglio,2010 Ore: 15:51
 
 
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