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www.ildialogo.org Domenica 14a Tempo Ordinario -C- 4 luglio 2010,a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 14a Tempo Ordinario -C- 4 luglio 2010

a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica scorsa abbiamo concluso il capitolo 9 di Lc e oggi, domenica 14a del tempo ordinario-C, proseguiamo la lettura continua con il capitolo 10 che riporta il discorso sulla missione nella versione lucana (cf Mt 10,1-42). In questo discorso missionario confluiscono due tradizioni distinte che i Sinottici hanno raggruppato in un’unica versione: quella proveniente dai «Dodici» e testimoniata da Mt 10,5-16 e Mc 6,8-11 che pare avere una preminenza di primo piano; e quella dei «discepoli» verso cui Lc è più attento, proveniente dal gruppo anonimo dei «settantadue discepoli» (cf Lc 10,1-17) che ha le stesse caratteristiche missionarie del primo, ma appare diverso, quasi più defilato. Mt e Mc narrano la missione apostolica dal punto di vista dei «Dodici», cioè dell’istituzione; Lc invece è più sensibile verso il laicato anonimo del popolo di Dio sulla esperienza dell’apostolato paolino. Gli uni e gli altri non sono in competizione o in contrapposizione perché sono mandati allo stesso modo e ricevono lo stesso mandato. Si comincia ad intravedere una diversificazione di ruoli e compiti che restano complementari, ma che, se portati all’estremo, come accade spesso nella storia della Chiesa e specialmente ai nostri giorni, si può arrivare alla sciagura della separazione tra gerarchia e popolo[1].
Viviamo in un tempo di decadenza come lo sono tutte le conclusioni di lunghi periodi (un secolo, un millennio, un concilio, ecc.): la soluzione più facile per governare una Chiesa che sfugge di mano è quella di affermare il principio di autorità e mettere in sordina l’ecclesiologia del popolo di Dio. La scorciatoia però è una illusione perché nessuna autorità è autorevole senza un popolo che la riconosca. Una gerarchia senza popolo è come un pastore senza gregge. Compito della gerarchia nella Chiesa non è comandare, ma mediare tra le diverse forme di ecclesialità, coordinare le differenze, unire i diversi, difendere e garantire le diversità, ragionare sui motivi, convergere i fini, armonizzare pastorali in contesti non omogenei. Il pastore per definizione è «strabico» perché deve essere fedele alla Parola di Dio e anche alla fatica non solo del popolo di Dio nel suo complesso, ma anche a quella di ciascun figlio e figlia di Dio. Né più né meno che come Mosè che ebbe un occhio per Dio e uno per il popolo, in parti esattamente uguali (cf Es 32,7-14).
E’ il compito della madre che consola il figlio allattandolo al suo seno di cui parla la 1a lettura: simbolismo audace perché Dio è paragonato ad una donna e donna madre che nutre; ma forse qui si supera la categoria del simbolismo e si definisce una nuova identità di Dio che si deve manifestare in modo particolare attraverso coloro che esercitano il servizio dell’autorità: consolare, allattare, prendersi cura e non scoraggiare mai. Un’autorità che si circonda solo di «omologhi», di fotocopie, di persone genuflesse senza pensiero, che emargina uomini e pensieri liberi, ma non per questo meno cattolici, è una gerarchia che si crede «padrona» della Chiesa, non una madre che accompagna, ubbidendo la crescita dei figli.
Il criterio, la chiave di volta del nuovo volto dell’autorità lo suggerisce san Paolo nella 2a lettura: è «il vanto della croce» perché compito dell’autorità non è sfoggiare vestiti sgargianti che acquietano il peccato di vanagloria, ma è essere crocifissa sull’altare del servizio fino a dare la vita per ciascuna persona nella prospettiva di Dio, il quale non sceglie a maggioranze variabili o a interessi incrociati, ma in forza della sua natura di «madre irreversibile», inchiodata per scelta e per amore alla croce gioiosa dell’amore ad ogni costo, del perdono sempre, della disponibilità senza condizioni. Nel vangelo Gesù non propone una migliore organizzazione né ordina di creare strutture raffinate di marketing di fronte ad una messe sterminata e anche rigogliosa, non organizza una campagna pubblicitaria per abbindolare e corrompere, per manipolare e catturare. Gesù mette in atto due cose semplici e afferma un principio.
La prima cosa semplice: Dio sceglie in vista della missione (cf Lc 10,1): nessuno è scelto o chiamato per se stesso, ma sempre per andare verso qualcun altro: in campo etico-sociale si chiama «Bene comune» che dovrebbe essere il cuore e la stella polare della «Dottrina sociale della Chiesa». Qui è la chiave per combattere il clericalismo come flagello della Chiesa che ha smarrito la sua natura missionaria: il clericalismo è l’uso della Chiesa, dei sacramenti e della religione al fine di mantenere una casta e una struttura di casta che impone la propria visione di mondo e di Chiesa. Un clero che nutre se stesso, che si pone al centro della ecclesialità rinnega la maternità di Dio, impedisce al popolo di camminare verso Dio e si pone come «il» fine della vita ecclesiale: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11,52).
La seconda cosa semplice: Gesù impone (il testo usa l’imperativo aoristo) la preghiera: «pregate il Signore della messe», quasi a mettere in evidenza che il risultato della missione non è di competenza dell’inviato che deve limitarsi ad andare, annunciare e tornare. Non esercita un potere, porta un messaggio. I calcoli e le conclusioni li tirerà un altro (cf 1Cor 3,5-9). La religione delle statistiche e delle percentuali, dei numeri e della masse è servita: non serve a nulla, se non la propria vanagloria. Pregare vuol dire illimpidire sempre la propria coscienza che la Chiesa, la missione, il vangelo, i sacramenti non sono proprietà di qualcuno, ma sono opera di Dio da custodire e trafficare secondo il cuore di Dio e non secondo i propri capricci e la propria grettezza.
Il missionario non ha un modello di Chiesa da esportare, non possiede un prototipo da piazzare, deve solo «pregare», cioè perdere tempo in modo strabico per coloro che ama: Dio e il popolo e pregando andare a portare la pace, la guarigione, la consolazione di Dio. Il missionario è un vuoto/pieno a perdere perché è un innamorato del suo Dio che distribuisce a piene mani a quanti incontra sul suo cammino testimoniando la tenerezza di Dio Padre/Madre e dispensando carezze affettive nel segno di una comunione d’amore. Quando si è svuotato totalmente della sua stessa vita, il missionario raccoglie ancora l’ultimo filo di voce e di respiro rimasti e regala fino in fondo la sua libertà di non essere più libero. Nulla gli appartiene, tutto ha ricevuto, nulla trattiene, tutto dà, specialmente se stesso: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Tutto è dono perché tutto è grazia.
Il cristiano missionario non è un ingenuo perché sa di essere un agnello in mezzo ai lupi: per questo cammina nel mondo vigile con lo spirito di discernimento per non lasciarsi intrappolare nelle reti dei potenti che vorranno catturarlo per farne un loro complice in forza delle parole di Paolo: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,21). Il mondo esige di una religione genuflessa o funzionale al mantenimento dell’ordine perché i lupi per depredare il gregge hanno bisogno di non essere disturbati e una Chiesa profetica è nemica, mentre il clericalismo che si annida nella Chiesa istituzionale è un potente alleato, il cane da guardia che addormenta le coscienze e apre le porte dell’ovile ai lupi rapaci con cui dividere le prede[2]. Il vangelo è antitetico al potere, qualsiasi potere. Il cristiano non è un ingenuo perché egli sa di essere perdente sul piano del mondo e proprio per questo è totalmente libero dallo spirito del mondo (cf Gv 17,9.11.15-16) e dall’ossessione del potere (Mc 10,40-45). Per questo egli si sente servo della Parola e non ha mai paura di parlare. Estraneo al mondo, è invincibile solo nell’amore a perdere, testimone visibile del Padre che è madre[3]. Entriamo nel cuore di Dio attraverso la Parola e il Pane e come Assemblea facciamo nostra la gioia del Salmista nel tempio di Gerusalemme con l’antifona d’ingresso (Sal 48/47,10-11): «O Dio, meditiamo il tuo amore dentro il tuo tempio. Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende sino all'estremità della terra; di giustizia è piena la tua destra».
 
Spirito Santo, tu sei la gioia di Gerusalemme che fa esultare quanti l’amano,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il nutrimento con cui la santa Gerusalemme allatta ai suoi figli,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu la consolazione materna con cui il Padre ci consola,                                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ispiri i popoli della terra ad acclamare la gloria del Nome di Dio,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu apri i nostri occhi perché possiamo vedere le stupende opere di Dio,         Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu susciti i noi il timore per ascoltare e benedire il Signore del cielo, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei pedagògo che ci insegna il vanto del croce del Signore Gesù,    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu crei in noi la nuova creatura che è nel mondo senza appartenergli,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu custodisci in noi le stigmate del Signore Gesù, dato per noi,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu effondi in noi la grazia del Signore nostro Gesù Cristo,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu custodisci la messe del Regno perché nulla vada perduto,              Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu accompagni coloro che vanno nel mondo per amore del vangelo, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la ricchezza di chi porta il vangelo con strumenti di povertà,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la Pace che scende in coloro che accolgono il vangelo di Gesù,            Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il premio di chi annuncia il vangelo senza alcun tornaconto,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il dito di Dio che scrive i nostri nomi nel cielo di Dio,               Veni, Sancte Spiritus.
 
La messe è molta e gli operai saranno pochi in ragione delle esigenze. Anche i nostri bisogni sono maggiori delle possibilità di soddisfazione che abbiamo per cui ogni giorno prendiamo coscienza della distanza tra ciò che viviamo e ciò vorremmo essere. Noi non possiamo arrivare a tutto. Se lo sappiamo siamo capaci anche di fermarci, prendere un respiro e vivere con meno angoscia quello che stiamo vivendo. Lasciarsi prendere dallo sconforto di non essere capaci di arrivare a tutto, significa perdere la capacità di lasciarsi amare da Dio e dagli altri; nello stesso tempo significa ammettere di non essere in grado di rapportarci con il nostro presente, l’unico di cui siamo responsabili. Bisogna pregare, cioè acquisire una dimensione interiore e un metodo spirituale se vogliamo che i nostri bisogni corrispondano alle nostre esigenze vitali. La preghiera è lo spazio che intercorre tra la nostra inadeguatezza e la nostra possibilità di stare all’altezza di Dio. Il fondamento di ciò è la roccia della Trinità su cui si basa saldamente la nostra fede che oggi, giorno ottavo, noi proclamiamo
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Il perdono di Dio è la fonte della nostra libertà, perché quando Dio perdona, e Dio perdona sempre, rinnova e rigenera a vita nuova. Egli non cancella il passato o i nostri errori e i nostri peccati, ma li assume inchiodandoli in sé sulla croce che solo così può diventare il nostro vanto come lo è per Paolo. Non abbiamo paura di lasciarci guardare nell’intimo da colui che lo abita già, aspettando che noi gli rendiamo visita. Dal perdono che riceviamo, impariamo a nostra volta a perdonare per rendere liberi da noi stessi e per liberare anche coloro che incontriamo.
 
Signore, noi non siamo adeguati alle necessità del mondo, supplisci la nostra debolezza,    Kyrie, elèison!
Cristo, tu hai preso su di te tutti i peccati di tutti gli uomini e di tutte le donne di tutti i tempi,          Christe, elèison!
Signore, tu sei la madre che consola e nutre i suoi figli, donaci lo Spirito di tenerezza,                    Pnèuma, elèison!
 
Dio onnipotente che consola con ogni tenerezza il popolo che ha riscattato a prezzo della sua stessa vita; che prova compassione per il mondo intero perché possa incontrare e vivere la Pace che scende dalla croce di Cristo, il monte della nuova alleanza e della nuova umanità; per i meriti di tutti i missionari e di tutte le missionarie sparse nel mondo che offrono con gioia la loro esistenza per amore dei fratelli; per i meriti di Gesù Cristo dato per noi; abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
 
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta)O Dio, che nella vocazione battesimale ci chiami ad essere pienamente disponibili all’annunzio del tuo regno, donaci il coraggio apostolico e la libertà evangelica, perché rendiamo presente in ogni ambiente di vita la tua parola di amore e di pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Is 66,10-14c. L’esilio è finito, la restaurazione di Gerusalemme ritarda, la speranza che aveva animato il ritorno dall’esilio si raffredda. La realtà con tutte le sue contraddizioni prende il sopravvento sull’utopia e sui sogni. Il brano della liturgia di oggi chiude la raccolte di profezie attribuite al profeta Isaia: il testo è posteriore al profeta di oltre due secoli, maturato alla scuola isaiana del post-esilio. L’obiettivo che si prefigge è la sconfitta del pessimismo e la rivitalizzazione della speranza. Per fare questo l’autore non trova di meglio che riprendere il linguaggio dell’epopea del passato, mettendo in evidenza l’atteggiamento di Dio: egli è più di una madre, è la consolazione sparsa sulla città (v. 13). Gli uomini e le istituzioni possono rallentare il passo di Dio, mai fermarlo. Scoraggiarsi è perdere tempo senza risolvere nulla.
 
Dal libro del profeta Isaia Is 66,10-14c
10Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. 11Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. 12Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. 13Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. 14Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi». - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 66/65, 1-4; 5-7a; 16.20. Sulla prospettiva dell’esodo, si rilegge il ritorno dall’esilio, un ritorno improntato alla gioia che tutti coinvolge: l’esule emozionato di rivedere la città santa di Dio; l’orante che finalmente può sciogliere la sua benedizione nel tempio e tutti i popoli che da tutta la terra acclamano al Dio che interviene per redimere Israele, liberandolo dalla schiavitù. Ognuno di noi è testimone delle «opere di Dio» (v. 5) perché anche oggi noi siamo contemporanei sia dell’esodo che del ritorno dall’esilio. L’Eucaristia è il luogo privilegiato dove noi sperimentiamo che l’opera di Dio è Gesù Cristo dato a noi come consolazione e nutrimento.
 
 


Rit.Acclamate Dio, voi tutti della terra.
1. 1 Acclamate Dio, voi tutti della terra,
2 cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
cantate alla gloria del suo nome,
date a lui splendida lode.
3 Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!» Rit.
2. 4 «A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
5 Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini. Rit.
3. 6 Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
7 Con la sua forza domina in eterno. Rit.
4. 16 Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
20 Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia. Rit.


 
Seconda lettura Gal 6,14-18. Il brano di oggi comprende gli ultimi versetti della lettera ai Gàlati, dove Paolo a modo di saluto riprende tutti i temi che ha svolto nella parte dottrinale. Su tutto domina la «teologia della croce» centrata sul «vanto» di essere partecipi con Gesù della crocifissione e della risurrezione. Non si può continuare a vivere come prima dopo l’irruzione di Cristo morto e risorto. Alcuni cristiani volevano inserire Gesù nell’alveo della tradizione ebraica per cui è uno della serie. Paolo, al contrario annuncia che Cristo è la novità assoluta che scioglie dai condizionamenti del passato compresa la religione per intraprendere un’avventura che si può vivere solo nella dimensione dell’incontro. Questa novità ha un nome: «la fede», il nuovo modo di amare, il nuovo modo di percorrere le strade della storia.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Gàlati Gal 6,14-18
Fratelli, 14 Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. 15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. 16 E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. 17 D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen. - Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 10,1-12.17-20 (lett. breve 10,1-9). Il brano di vangelo proposto dalla liturgia riporta il discorso di Gesù sulla missione nella versione lucana. Di questo discorso esistono due versioni: la forma breve (cf Mc 6,8-11; Lc 9,3-5) che riguarda i «dodici» apostoli e la forma lunga (cf Lc 10,2-16) che riguarda i «settantadue» discepoli e a cui Lc presta particolare attenzione. L’evangelista Mt unifica le due tradizioni e forma un solo testo a cui aggiunge elementi propri della sua comunità (cf Mt 10,5-16). Lc invece costruisce il suo testo in modo originale coinvolgendo anche la cerchia dei discepoli, quasi a dire che la missione della Parola non è appannaggio della sola «gerarchia», ma è un «affare» che riguarda tutta la Chiesa. Nella tradizione giudaico-cristiana il numero «72» è il numero dei popoli che abitavano la terra e quindi indica la totalità del genere umano che attende la Parola di consolazione che solo Dio sa pronunciare. Noi nell’Eucaristia vi siamo già immersi.
 
Canto al Vangelo Cf Col. 3,15.16
Alleluia.La pace di Cristo regni nei vostri cuori; / la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca Lc 10,1-12.17-20 (lett. breve 10,1-9)
In quel tempo, 1 il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! 3 Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. [10 Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: 11 “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. 12 Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. 13 Guai a te, Còrazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. 14 Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi. 15 E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! 16 Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». 17 I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». 18 Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. 20 Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».] - Parola del Signore.
 
Spunti di omelia
Nell’introduzione abbiamo messo in evidenza che il vangelo registra due tradizioni del discorso missionario[4]«incarnata» la Parola di Dio che ascoltiamo., di cui non ci è giunto il contesto originario di Gesù, ma l’interpretazione che ne hanno fratto le diverse comunità credenti della prima e seconda generazione. La Parola di Dio non è immobile, ma cammina con le gambe e con le idee e i sentimenti e le fatiche e le speranze delle persone. Anche oggi dobbiamo e possiamo rendere
            E’ un giorno di primavera avanzata o inizio estate. Gesù è in «viaggio» verso Gerusalemme. Mentre cammina con i suoi in Galilea, guarda il meraviglioso spettacolo che gli offre la vista di campi di orzo e grano, biondeggianti e modellati dal vento che da’ forme e movimenti particolari, suggestivi. Quella immensa massa di messe fa pensare che occorrono molti operai per raccoglierla. Ogni mattina, prima dell’alba, il padrone di quei campi andrà alla porta della città dove già aspettano folle di operai giornalieri. Si contratta, ci si accorda, si va alla mietitura (cf Mt 20,1-7). Da qui alla trasposizione sul piano religioso il passo è breve. Come spesso accade Gesù parte sempre da una situazione concreta, da un fatto della vita reale, da un esempio del quotidiano per condurre i suoi ascoltatori ad una riflessione più profonda. Un esempio tipico sono le parabole: prese dalla vita di ogni giorno, da quella vita che tutti potevano sperimentare e quindi capire, diventano veicolo per un messaggio che anche i poveri possono comprendere.
            Nel pensiero e nelle parole di Gesù gli operai giornalieri diventano gli «operai delle messe» degli uomini, con una trasposizione simile a quella dei pescatori, applicata agli apostoli che diventano «pescanti prede vive»[5]. L’obiettivo della missione in Gesù non è l’adesione ad una dottrina o l’invito ad entrare in un gruppo più o meno organizzato religiosamente. Al livello di Gesù non si può ancora parlare di Chiesa come organizzazione per il semplice fatto che Gesù non ha avuto nel suo orizzonte missionario alcun tipo di «chiesa», come invece avrà Paolo che addirittura le fonda, le organizza e le sorveglia. La missione di Gesù ha come orizzonte escatologico il Regno di Dio proiettato sulla fine della storia, ma per giungere a questo traguardo deve attraversare tutta la distanza che separa il presente dall’esito finale, il «qui e ora», il tempo della testimonianza e dell’amore.
            Il missionario non è guidato dal suo passato, dalla storia da cui proviene, ma la ragione e il fondamento del suo andare ed «esserci» sono nella fine, nella conclusione. In altre parole il missionario, colui che è mandato guarda il presente e il passato dal punto di vista della fine, cioè dalla prospettiva della fine del mondo: l’escatolo-gia. Bisogna programmare la missione in mezzo agli uomini partendo dalla fine non dall’inizio, perché solo la prospettiva finale ci aiuta a vedere le cose dal punto di vista della pienezza e della completezza. Se ci limitiamo a programmare partendo dal passato, noi rischiamo la ripetitività, ma anche il danno di trasmettere la nostra esperienza passata senza sguardo sufficiente vero il futuro. Pensare le cose dal punto di vista della fine si chiama tecnicamente «teleologia» che in filosofia assume il nome di «finalismo»[6]. E’ quello che spesso diciamo a livello individuale: programmare la propria vita dal punto di vista della morte, vissuta come imminente perché solo così possiamo vivere il presente come irripetibile, unico e nulla diventa banale, ma ogni cosa acquista un valore oltre misura, inaspettato perché riconduce tutto all’essenziale e alla verità. Nulla è scontato, ma tutto diventa dono.
Gesù si pone sulla linea della coerenza biblica che descrive una storia della salvezza nutrita in abbondanza di prospettiva escatologica[7]. Cosa vuol dire ciò? Che bisogna rimandare sempre al futuro la soluzione dei problemi che la vita offre? E’ questa l’accusa che si fa alla Chiesa: predica pazienza in questo mondo, alimentando la speranza di un cambiamento radicale nell’altro: è l’accusa di alienazione perché la religione è usato come oppio. Se così fosse, si instaurerebbe una frattura indebita tra la vita presente e la quella escatologica, che invece sono indissolubilmente unite e intrecciate. Per capire qual è il rapporto tra la vita presente e la prospettiva escatologica, bisogna valutare l’esito della «missione» che spesso registra un totale insuccesso, ma anche persecuzioni.
La missione di cui parla Gesù, guardando i campi ondeggianti di messi di grano, è l’annuncio che gli apostoli e i discepoli fanno agli uomini e alle donne loro contemporanei che «Dio è già qui» per cui invitano ed esortano ad un cambiamento radicale: «convertitevi e credete nel Vangelo» (cf Mc 1,15). Annunciare la «presenza di Dio» significa indicare la Shekinàh/Dimora che torna in mezzo al suo popolo, portare dentro la storia il giudizio di Dio perché ogni parola che esce dalla bocca di Dio esige una valutazione, un discernimento, una presa di posizione e quindi un giudizio sulla vita, le scelte, le omissioni e le intenzioni.
            Gli uomini capiscono bene cosa il vangelo esige e siccome esige una rottura radicale di vita, essi perseguitano i missionari, dichiarandoli responsabili dei problemi della società e illusi che vivono in un altro mondo. Il mondo del potere, della guerra, della menzogna, dello sfruttamento, il mondo del male non può accettare il giudizio di Dio e tanto meno può accogliere l’invito a guardare il presente dal punto di vista del futuro: sarebbe la fine di una certa politica, di una certa economia, di una certa visione strategica dell’umanità. Sarebbe ammettere le colpe per lo squilibrio immorale che il presente testimonia e vive nella carne dei piccoli, dei deboli e dei poveri. La persecuzione è il segno che l’annuncio missionario è autentico, il martirio è il sigillo che il testimone è fedele al vangelo, il fallimento è la prova che si è sulla strada giusta perché ogni fallimento scarnifica il cuore del missionario e lo costringe ad una testimonianza sempre più austera e autentica. E’ la logica della croce.
            Al contrario, quando i cristiani, e specialmente le «gerarchie» sono circuite, adulate e osannate dal potere e dal sistema di peccato che domina il mondo, è segno che la Chiesa è cercata come funzionale al sistema: in cambio di favori, di denari e di leggi si impone il silenzio alla profezia, la cecità di fronte alle ingiustizie e il sostegno anche a uomini e governanti immorali che alimentano sistemi di corruttela. Si diventa complici e vittime, schiavi apparentemente liberi[8]. La prospettiva finale, di conseguenza, è la fonte della libertà, anche libertà dalla riuscita e/o dal fallimento. Chi si preoccupa di contare i risultati nel contesto del regno di Dio, ha una visione materialista della religione e non crede. Come si fa a misurare lo Spirito, il desiderio di conversione, la fatica della fedeltà, la passione per i poveri, l’amore senza confini! Non è possibile! Quando saremo capaci di misurare Dio e di farne un metro per tutti i vestiti, allora e solo allora saremo certi che Dio non è una illusione o un ornamento coreografico, magari buono a simboleggiare una identità che non c’è. Dio è semplicemente Dio e noi siamo semplicemente suoi figli.
            Un metro certo lo abbiamo: quando la Chiesa è osannata, acclamata e protetta dal mondo che deve essere giudicato dalla Parola di Dio, è il segno che essa ha smarrito del tutto il sigillo della sua profezia. Non è più la voce della Parola che annuncia, ma si è sostituita alla stessa Parola per essere essa stessa strumento di servitù. Una chiesa circuita da chi vuole servirsene per mantenere squilibri e ingiustizie, lasciandole solo l’apparente libertà di qualche inutile richiamo etico alla responsabilità o al mondo dei principi, è una «chiesuola» funzionale che ha smarrito il suo Signore e non è in grado di farlo incontrare a quanti lo cercano con cuore sincero (cf Dt 4,29; Sal 119/118,10).
Il missionario e la Chiesa, in nome della quale si presenta, non devono solo essere poveri, ma devono anche apparire poveri per mettere in risalto che l’irruzione di Dio nella vita degli uomini è opera dello Spirito Santo e non opera loro. La povertà come stile è un grande antidoto al delirio di onnipotenza che può assalire il missionario che confida negli strumenti esteriori. Anche i rapporti interpersonali devono essere semplificati: «non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,4). Presso i popoli seminomadi e in generale per gli orientali, il saluto non è un gesto o una parola convenzionali, ma un rituale che richiede tempo e disponibilità. Il saluto tra due carovane che s’incontrano in un’oasi, o tra due viandanti, potrebbe essere un impedimento all’urgenza della missione. Non salutate nessuno non è un consiglio di scarsa educazione, ma un invito ad andare all’essenziale, come essenziale deve essere il carico del pellegrino perché essenziali sono le sue esigenze. Non si va a fare la rivoluzione con bagaglio appresso, ma si porta solo se stessi e appena, lo spazzolino da denti.
Il missionario sarà in tutto dipendente dalla Parola, anche per le cose necessarie come vitto, ospitalità, assistenza. La Parola annunciata è garanzia sufficiente di colui che porta l’annuncio nel segno della Pace che la condizione, il confine e il cuore del vangelo. La pace di cui parla l’evangelista non è un atteggiamento comporta-mentale, ma la persona stessa di Gesù: egli viene ad eliminare ogni frattura, rivalità, guerra, sopruso, gelosia, dando la Pace, cioè offrendo se stesso come modello, come mèta e come risultato finale. Un missionario ricco non ha mai convertito alcuno, un missionario povero cammina con i poveri, con gli stessi strumenti dei poveri, non si mette mai alla testa dei poveri, ma sempre in fila, ultimo tra gli ultimi perché il missionario non va in mezzo al mondo per comandare, ma perdersi e scomparire come il lievito nella pasta, il sale nella minestra (cf Lc 13,21; 14m34.35).
Bisogna dire ancora una parola sul numero «settantadue». Al tempo di Gesù si credeva, in base alla lista di Gen 10 che la terra fosse abitata da «settantadue» popoli. I discepoli inviati sono quindi simbolici: uno per ogni popolo. E’ la dimensione universale della missione e della testimonianza, è un modo ebraico per dire che nessuno al mondo deve essere nostro estraneo, specialmente quando abbiamo la presunzione di parlare a nome di Dio. Nel tempio di Gerusalemme nel giorno di Yom Kippur, il sommo sacerdote indossava un mantello alla cui estremità erano cuciti settantadue campanelli. Insegna la tradizione ebraica che la Parola di Dio scolpita sulle tavole sprigionava settanta scintille. Nessun popolo può e deve essere escluso dal vangelo, dal perdono e dalla Parola di consolazione che Dio, Padre/Madre riversa sull’umanità intera attraverso la vita e lo stile di vita di chi annuncia.
Portando questa Eucaristia nel mondo, noi non portiamo il nostro giudizio, ma il giudizio del Dio che si fa Parola e Pane, fragilità frugale perché nessuno si perda. Noi portiamo il giudizio di Dio che è misericordia e pace, recupero e progetto di speranza che guarda non al passato, ma alla prospettiva finale, quando saremo un solo corpo e un solo spirito. Tornando a casa portiamo con noi la testimonianza di un amore invincibile e senza calcolo, memori di quanto ci insegna Paolo: «quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,28-29). Non abbiamo paura perché la coscienza della nostra pochezza è materiale adatto al progetto di Dio.
                                              
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.

 
[breve pausa 1-2-3]
 
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
 
Preghiamo (sulle offerte).Ci purifichi, Signore, quest’offerta che consacriamo al tuo nome, e ci conduca di giorno in giorno a esprimere in noi la vita nuova del Cristo tuo Figlio. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA V/b: «GESù NOSTRA VIA[9]»
Il Signore sia con voi.                         E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                    E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente giusto renderti grazie,  Dio grande e misericordioso,  che hai creato il mondo   e lo custodisci con immenso amore. 
Rallegriamoci con Gerusalemme, esultiamo per essa tutti noi che l’amiamo. Sfavilliamo con essa di gioia tutti noi che per essa eravamo in lutto (Is 66,10).
 
Tu vegli come Padre su tutte le creature e riunisci in una sola famiglia  gli uomini creati per la gloria del tuo nome,  redenti dalla croce del tuo Figlio, segnati dal sigillo dello Spirito. 
 Benedetto, colui che viene, nel nome Signore. Osanna nell’alto dei cieli. Kyrie, elèison. Pnèuma, elèison.
 
Il Cristo, tua Parola vivente,  è la via che ci guida a te,  la verità che ci fa liberi,  la vita che ci riempie di gioia. 
Il Cristo è la pace che scorre su Gerusalemme come un fiume per raccogliere le genti e portarli in braccio, e sulle ginocchia accarezzarle nel nome dell’Altissimo (cf Is 66,12).
 
Per mezzo di lui innalziamo a te l’inno di grazie  per questi doni della tua benevolenza  e con l’assemblea degli angeli e dei santi  proclamiamo la tua lode: 
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’Universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli.
 
Ti glorifichiamo, Padre santo:  tu ci sostieni sempre nel nostro cammino  soprattutto in quest’ora in cui il Cristo, tuo Figlio,  ci raduna per la santa cena. 
Come una madre consola un figlio, così tu,m o Dio ci consoli nella santa Assemblea, la nostra Gerusalemme (cf Is 66,13).
 
Egli, come ai discepoli di Èmmaus,  ci svela il senso delle Scritture e spezza il pane per noi.
Veniamo, ascoltiamo, noi tutti che temiamo Dio, e narreremo quanto per noi ha fatto (cf Sal 66/65,16).
 
Ti preghiamo, Padre onnipotente,  manda il tuo Spirito su questo pane e su questo vino,  perché il tuo Figlio sia presente in mezzo a noi  con il suo corpo e il suo sangue.
Acclamiamo Dio, noi tutti della terra, cantiamo la gloria del suo Nome (cf Sal 66/65,1-2).
 
La vigilia della sua passione,  mentre cenava con loro,  prese il pane e rese grazie,  lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete, e mangiatene tutti:  questo è il mio Corpo  offerto in sacrificio per voi.
Non c’è altro vanto per noi che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per noi è stato crocifisso, come noi per il mondo (cf Gal 6,14).
 
Allo stesso modo, prese il calice del vino  e rese grazie con la preghiera di benedizione,  lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete, e bevetene tutti:  questo è il calice del mio Sangue  per la nuova ed eterna alleanza,  versato per voi e per tutti  in remissione dei peccati. 
Alzeremo il calice della salvezza e invocheremo il Nome del Signore (Sal 116/115,13).
 
Fate questo in memoria di me.
«Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore nostro Redentore» (dal Rito dell’Eucaristia, Inno iniziale).
 
Mistero della fede.
Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione:  salvaci, o Salvatore del mondo.
 
Celebrando il memoriale della nostra riconciliazione,  annunziamo, o Padre, l’opera del tuo amore. 
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il nostro spirito e con tutti gli uomini e le donne del mondo (cf Gal 6,18).
 
Con la passione e la croce  hai fatto entrare nella gloria della risurrezione  il Cristo, tuo Figlio, e lo hai chiamato alla tua destra,  re immortale dei secoli e Signore dell’universo. 
«Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10,1).
 
Guarda, Padre santo, questa offerta:  è Cristo che si dona con il suo corpo e il suo sangue,  e con il suo sacrificio apre a noi il cammino verso di te. 
«Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”»(Lc 10,2).
 
Dio, Padre di misericordia,  donaci lo Spirito dell’amore, lo Spirito del tuo Figlio.
«Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada» (Lc 10,3-4).
 
Fortifica il tuo popolo con il sangue del tuo figlio, e rinnovaci a sua immagine. Benedici il nostro Papa Benedetto,  il nostro Vescovo Angelo e tutto il nostro popolo. 
«In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!... È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10,5.9).
 
Tutti i membri della chiesa  sappiano riconoscere i segni dei tempi  e si impegnino con coerenza al servizio del vangelo. 
«I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”» (Lc 10,17).
 
Rendici aperti e disponibili  verso i fratelli che incontriamo nel nostro cammino, perché possiamo condividere i dolori e le angosce, le gioie e le speranze  e progredire insieme sulla via della salvezza.
Il Signore disse loro: “Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore (Lc 10,18).
 
Ricordati anche dei nostri fratelli  che sono morti nella pace del tuo Cristo,  e di tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede: ammettili a godere la luce del tuo volto  e la pienezza di vita nella risurrezione. 
«Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi» (Lc 10,19).
 
Concedi anche a noi,  al termine di questo pellegrinaggio,  di giungere alla dimora eterna, dove tu ci attendi. 
«Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
 
In comunione con la beata Vergine Maria,  con gli Apostoli e i martiri, e tutti i santi,  innalziamo a te la nostra lode  nel Cristo, tuo Figlio e nostro Signore.
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione (cf Lc 10,1): Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a predicare il regno.
 
Dopo la Comunione: Da La sapienza di Sadhu[10] (Wisdom of the Sadhu Sundar Singh)
Dio non scoraggia mai un uomo che lo cerca, giudicando lui e le sue convinzioni come errate. Piuttosto Dio permette a ciascuno di noi di riconoscere gradualmente l’errore spirituale o la verità. Si racconta la storia di un povero taglialegna che incontrò una bella pietra nella foresta. Dato che spesso aveva udito raccontare che alcuni trovavano diamanti preziosi, pensò che la pietra doveva essere uno di quelli. La portò allora da un gioielliere e gliela mostrò tutto soddisfatto. Il gioielliere, un uomo amabile e simpatico, si rese conto che se gli avesse detto senza mezzi termini che la sua pietra era un cristallo senza valore, questi o non gli avrebbe creduto e se ne sarebbe andato via abbattuto. Così, invece di dirgli la verità, gli offrì un lavoro nella sua bottega, affinché egli potesse conoscere le pietre preziose e il loro valore. Nel frattempo l’uomo depositò la sua pietra nella cassaforte del gioielliere. Qualche settimana più tardi, il gioielliere lo incoraggiò a prendere la sua pietra dalla cassa e esaminarla. Come l’ebbe presa ed esaminata attentamente, subito si rese conto che non valeva niente. La sua delusione fu grande, tuttavia, rivolgendosi al gioielliere, gli disse: “La ringrazio di non avere distrutto la mia speranza e di avermi aiutato a riconoscere da solo il mio errore. Se lei vorrà tenermi qui ancora, io resterò, e le giuro che la servirò come si serve un padrone buono e amabile”. Alla stessa maniera Dio conduce alla verità coloro che hanno vagato nell’errore. Quando avranno riconosciuto la verità per conto loro, si affideranno a lui con gioia e piacere servendolo docilmente.
 
Preghiamo (dopo la comunione).O Dio onnipotente ed eterno, che ci hai nutriti con i doni della tua carità senza limiti fa’ che godiamo i benefici della salvezza e viviamo sempre in rendimento di grazie. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che ha consolato Israele nel suo ritorno a Gerusalemme, ci colmi della sua fortezza,      Amen.
Il Signore che benedice l’umanità che ha creato, anche se non lo riconosce, ci doni la sua pace,    Amen.
Il Signore che ci svela la croce come vanto e metodo di vita, ci rafforzi nella fedeltà a noi stessi,   Amen.
Il Signore che ci apre alla prospettiva del regno, ci ridoni lo spirito di servizio fatto con gioia,        Amen.
Il Signore sia sempre davanti a voi per guidarvi.                                                                   Amen.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                                                  Amen.
Il Signore sia sempre accanto a voi per confortarvi e consolarvi.                                         Amen.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
 
Abbiamo portato la vita in questo rito eucaristico, portiamo adesso il sacramento dell’Eucaristia nella nostra vita. Andiamo incontro al Signore che viene nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
_________________________
© Nota: Domenica 14a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 04/06/2010 – San Torpete – Genova


[1] Il tentativo costante della «gerarchia» di accreditarsi come unica ed esclusiva garante dell’autenticità della missione, facendo così scadere in «popolo di Dio» (Concilio ecumenico Vaticano II, Lumen Gentium, cap. II) in mero esecutore o prolungamento, dove necessario, del ministero ordinato è un tentativo di poca fede perché frutto di prevaricazione e di abuso di potere. Nella Chiesa l’«autorità-exusìa» è di Cristo e ogni battezzato la testimonia in forza del proprio battesimo e della vocazione ricevuta, attraverso il ministero del servizio della gerarchia, attraverso il ministero della testimonianza, attraverso l’esercizio della profezia e degli altri ministeri che sono sempre sussidiari e mai esclusivi.
[2] Il cardinale Mazzarino che se ne intendeva affermava: «Il trono si conquista con le spade e i cannoni, ma si conserva con i dogmi e le superstizioni» (citazione in S. Lodato – R. Scarpinato, Il ritorno del Principe, Chiarelettere Editore, Milano 20096, 16.
[3] Sul tema dell’amore senza misura, cf P. Farinella, Il Padre che fu Madre. Una lettura moderna della parabola del Figliol Prodigo, Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (VR), 2010.
[4] Cf la forma breve di Mc 6,8-11 con Lc 9,3-5, riservata ai «Dodici» e la forma lunga di Lc 10,2-16 applicata ai «settantadue discepoli». Queste due tradizioni, fuse insieme da Mt, formano il 2° grande discorso di Gesù nel 1° vangelo, il discorso appunto della «missione», registrato nel capitolo 10.
[5] Cf la liturgia della Domenica 5a del tempo ordinario-C, in cui si commenta Lc 5,1-5 e l’espressione «pescatore di uomini» con tutta la sua simbologia.
[6] Etimologia: dal greco, tèlos chesignifica fine e lògos che significa discorso/studio: discorso sul fine o studio della realtà dal punto di vista della fine, cioè della prospettiva finale.
[7] «Escatologia è parola greca composta da “èschata – cose ultime/finali/estreme” e “lògos – discorso/studio/spiegazione/parola”. E’ la dottrina che si occupa della fine della storia e quindi del destino ultimo dell’uomo. Nell’AT essa è contenuta in modo particolarenei libri profetici di Daniele, Isaia, Ezechiele, Zaccaria che si proiettano nel futuro, descrivendo un tempo messianico di ricchezza e di pace per il popolo di Israele e un “giorno di Yhwh” di giudizio o di salvezza. La morte e la risurrezione di Cristo introducono un cambiamento radicale in questa prospettiva perché ora tutto l’AT è reinterpretato alla luce dell’evento pasquale di Gesù, che per i cristiani è il Messia non solo d’Israele, ma dell’umanità intera. Il tempo che viviamo tra la risurrezione di Cristo e la fine del mondo è definito “penultimi tempi” in quanto precedono appunto gli “ultimi tempi” della seconda venuta di Cristo per concluderà la storia» ( P. Farinella, dall’introduzione alla Domenica 33a del tempo ordinario – B; cf G. Ravasi, Introduzione all’Antico Testamento, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1991, 126. Per i testi biblici, cf Am 9,13-15; Sal 126/125,5-6; Gl4,13; Ger 5,17; Mt 13,28-39; Ap 14,15-16, ecc.).
[8] «Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga, non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro» (Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo, (a cura di Longobardo Luigi), Roma 1997.
[9] Questo schema di liturgia eucaristica si adatta bene al tema di oggi: la missione come annuncio di Cristo, Via di ogni persona e di ogni cammino verso Dio.
[10] Sundar Singh era nato nel 1889 a Rampur, nel Punjab (India), da una famiglia di proprietari terrieri di religione Sikh. Adolescente, inviato dal padre presso la locale scuola delle missioni, cominciò a prendere di mira i missionari e a deridere apertamente i compagni che si erano convertiti, arrivando un giorno a bruciare una Bibbia, pagina per pagina, in segno di sfida. Era il 16 dicembre 1904. Tre notti dopo, come egli racconterà, vide “la potenza del Cristo vivente” e udì una voce che diceva: “Quanto tempo ancora mi perseguiterai? Io sono morto per te; per te ho dato la mia vita”. Decise allora che sarebbe stato cristiano. Espulso per questo di casa, l’anno successivo chiese di essere battezzato nella chiesa anglicana, decidendo tuttavia di inaugurare, anche esteriormente, una maniera indiana nella sequela di Gesù: indossando il turbante e la tunica arancione degli asceti, senza fissa dimora, né possesso alcuno, vivendo di elemosine, predicando e testimoniando Cristo con una vita di preghiera e povertà. Dopo aver servito per qualche tempo in un lebbrosario, entrò nel Divinity College, a Lahore, per ricevere una formazione come predicatore. Quando ne uscì, due anni più tardi, riprese la sua vita di Sadhu itinerante nell’India settentrionale, nei paesi buddhisti dell’Himalaya, in Tibet, paese quest’ultimo, dove incontrò una violenta ostilità, al punto di essere imprigionato. Fu anche invitato a tenere una serie di incontri in Inghilterra e negli Stati Uniti, ma rimase assai deluso del materialismo dell’Occidente. Pur frequentando la chiesa anglicana, Singh volle sempre relazionarsi liberamente con le più diverse denominazioni cristiane. Nell’aprile del 1929, nonostante le ormai fragili condizioni di salute, decise di tornare in Tibet e si mise in viaggio. Non se ne seppe più nulla. Ucciso forse dagli stenti, dal freddo, dalla malattia, o da possibili malintenzionati.


Marted́ 29 Giugno,2010 Ore: 15:09
 
 
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