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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 13a Tempo Ordinario -C- 27 giungo 2010,a cura di Paolo Farinella, prete

Domenica 13a Tempo Ordinario -C- 27 giungo 2010

a cura di Paolo Farinella, prete

Se dovessimo sintetizzare in una sola frase la liturgia di oggi, domenica 13a del tempo ordinario-C, avremo un compito facile perché potremmo dire semplicemente: «la svolta»; quella che, quando arriva, determina un cambiamento radicale nella vita, un punto di non ritorno.  La 1a lettura, ci parla di una successione profetica, un’investitura con un rito quasi magico, segno dell’antichità del racconto. I riti si evolvono, le liturgie cambiano perché sono legate strettamente alla psicologia della persona e quindi si esprimono attraverso le sensibilità dei tempi. E’ assurdo pensare che una liturgia sia immobile ed è fuori della storia chi si appella al passato in nome della tradizione come se le generazioni successive non abbiano nulla da dire di proprio. Appellarsi all’immutabilità, per es., della Messa di Pio V (1570) significa assolutizzare un momento storico che è relativo per definizione, per natura e per grazia, a scapito di altri che hanno eguali condizioni e diritti.

Abituarsi al cambiamento dovrebbe essere una ovvietà per chi crede in un Dio che ha assunto le categorie della storia per essere sempre nostro contemporaneo. Anche oggi non siamo lontani dai tempi di Elia ed Eliseo perché il confronto è tra la religione della magia e la fede dell’incontro e delle scelte consapevoli. La religione relega Dio nell’immutabilità della mondo divino che bisogna accaparrarsi a forza di riti, offerte e sacrifici rivelando così il volto di un «dio» mercantile, assetato di rituali sanguigni, sadico perché gioisce della sofferenza degli uomini di cui è antagonista. Questo «dio» deve essere esorcizzato, conquistato, comprato attraverso lo scambio di qualcosa in cambio di qualcos’altro.
La fede invece esprime la nudità di Dio che si dichiara impotente di fronte alla dignità delle creature che riconosce come figli e ai quali si rapporta in quanto Padre. La fede è fiducia e relazione di sentimenti e si fonda sulla gratuità della libertà, espressa nella coscienza individuale che svela sempre e comunque la nudità dell’uomo. Dio e l’uomo nel rapporto di fede sono nudi entrambi perché nessuno ha qualcosa da dare che non sia la propria vita. Nella fede non vi è calcolo o criterio di utilità perché ambedue, Dio e l’uomo, sono consapevoli del rischio dell’incontro fondato sulla disposizione del cuore, i condizionamenti della vita, le difficoltà della storia, la lentezza del cammino, l’autenticità della ricerca. Per la religione è vero ciò che è utile, per la fede è utile solo ciò che è vero.
Ognuno di noi porta in sé una perla, un tesoro nascosto che si chiama «vocazione» cioè compito, funzione, ruolo, scopo, prospettiva, progettualità, dimensione della vita. Essa non è appannaggio di preti e religiosi, perché se facciamo parte della «chiesa», che significa «chiamata da…»[1]siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Eliseo fa un taglio netto con la sua vita e segue il suo maestro per prenderne lo spirito, il compito e la fatica. Non c’è vocazione che non esiga una scelta, una svolta, un discernimento tra ciò che deve accadere e ciò che effettivamente viviamo. Ogni vocazione è una proiezione sul futuro, non un rannicchiarsi sul passato. Non si è chiamati per essere i custodi di una Chiesa-museo, ma siamo «convocati» per progettare un futuro e lavorare all’impianto del Regno che viene. La vocazione è un’avventura, cioè una realtà che accade ogni giorno., noi siamo «chiamati» per grazia battesimale a corrispondere a quell’immagine di Dio impressa in noi che lo Spirito del Risorto cerca con il nostro consenso di mettere sempre a fuoco perché corrisponda perfettamente all’originale, in forza del principio «
Il vangelo descrive una situazione opposta a quella della 1a lettura: quattro comportamenti negativi. Un paese nemico che si rifiuta anche di incontrare Gesù e tre persone che con motivazioni diverse si defilano, come lascia intendere il racconto. L’elemento che accomuna questi quattro atteggiamenti è uno solo: tutti hanno paura di mettersi in discussione. I Samaritani sono prevenuti perché essendo nemici giurati dei Giudei fanno di ogni erba un fascio e non si domandano chi è questo Giudeo che, contro ogni logica, chiede di entrare nel loro paese. Essi perdono soltanto una occasione perché chiusi nei confini del loro passato, perdono di vista lo stesso presente e futuro. I tre anonimi che comunque sono chiamati o si offrono, di fronte alle difficoltà non vogliono perdere le loro sicurezze: la garanzia di vita, il padre, sebbene sia morto, e la famiglia come sicurezza affettiva.
Come uscirne fuori? La risposta è nella 2a lettura che ci offre il grido di Paolo che è anche la sintesi di tutto il suo «vangelo»: «Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù … Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà» (Gal 5,1.13). Il messaggio centrale di Paolo è tutto qua: Gesù che ci ha liberati dalla religione del dovere e dello scambio (preghiere e offerte in cambio di protezione, benedizioni, assistenza) e ci ha proiettati nella dimensione della libertà, l’unico ambito che può sperimentare l’incontro come «camminare verso… qualcuno», come desiderio di incontrare qualcuno, come passione d’amore. Senza libertà non può esserci amore e senza amore la libertà è annaspare nel vuoto. La libertà è il fondamento dell’amore e l’amore è il contenuto della libertà. L’una e l’altro formano il segreto della vita e della vita di fede.
Chi ama non ha paura di essere libero, chi è schiavo invece spesso desidera la libertà come licenziosità di fare ciò che vuole, rinnovando così il peccato di Àdam. Chi ama serve la libertà di amare e chi ama scopre la gioia di servire come dimensione di libertà e di donazione. Solo chi è libero sa regalare la propria libertà alla persona che ama, diventando così la persona che sperimenta nello stesso tempo la dipendenza più radicale come dimensione della libertà più totale. Chi invece è gretto fa sempre calcoli e studia le convenienze utili al proprio tornaconto perché l’unica dimensione che consoce è la relazione di prostituzione che è basata sul principio della reciprocità e della soddisfazione vicendevole. Chi è libero e amante, al contrario, è capace dio buttarsi nella mischia perché sa che l’amore e la libertà sono il fratello e la sorella che lo guidano alla pienezza della vita. Anche in Dio. Invochiamo lo Spirito che ha parlato nei profeti facendo nostre le parole dell’antifona d’ingresso (Sal 47/46,2): «Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia».
Spirito Santo, tu ispirasti Elia nella scelta del suo sostituto il profeta Eliseo,                        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ispirasti Eliseo a lasciare tutto per seguire il profeta Elia,                Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ispirasti i profeti Elia ed Eliseo a seguire la Parola+ di Dio,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’eredità che il Padre ci ha dato attraverso il Signore Gesù,                    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu non ci abbandoni nel sepolcro e alla corruzione della banalità,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu indichi il sentiero della vita perché giungiamo alla gioia piena,                  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la libertà data da Cristo e nella quale vogliamo restare ben saldi,          Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu scrivi nei nostri cuori la legge dell’Agàpe che realizza la libertà,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu alimenti in noi i desideri dello Spirito per vivere da figlio di Dio,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu addolcisti l’indurimento del volto di Gesù che va’ a Gerusalemme,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu purifichi le ragioni della vocazione dei discepoli del Signore,                    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sveli a ciascuno lo spessore profetico della propria chiamata,                    Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu vieni sempre in aiuto della nostra debolezza e della nostra paura, Veni, Sancte Spiritus.
Noi siamo chiamati. Io sono chiamato. Io sono chiamata. Avere coscienza della propria vocazione significa che non esistiamo per noi stessi, ma «viviamo per…»; ogni vocazione è una proiezione.  Ognuno di noi è indispensabile nel piano del Regno di Dio e nessuno può prendere il posto di un altro. Se la Chiesa è una costruzione che si edifica ogni giorno, ognuno di noi è una pietra che è sostegno, mentre è sostenuta dalle altre. Nessuno è utile nel regno di Dio, ma ciascuno è indispensabile alla sua riuscita e se uno soltanto viene meno alla sua vocazione, il Regno ritarda, difetta, rallenta e infine resta più povero. Possa lo Spirito darci l’orgoglio di essere uomini e donne necessari e invochiamo dalla Santa Trinità le forze commisurate per vivere nella fedeltà alla vocazione che abbiamo ricevuto:

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

Essere chiamati significa essere in relazione con qualcuno che chiama: tra i due sta «il nome» che viene pronunciato. Noi siamo chiamati per nome perché non siamo presenze indistinte: nella Chiesa non esiste la categoria sociologica della «gente» o della «folla»; in essa può esserci soltanto «il popolo» e «l’assemblea», cioè realtà ben definite da una propria identità sempre percepibile. La nostra assemblea liturgica è l’espressione del popolo di Dio sparso in tutto il mondo, di cui noi qui ed ora costituiamo il «sacramento» di redenzione. Siamo giunti a questo altare rispondendo alla chiamata dello Spirito che ci convoca per attuare il nostro mandato profetico di celebranti dell’alleanza nuova ed eterna del Cristo. Noi oggi siamo nel mondo e siamo il mondo che rappresentiamo e di cui ci facciamo carico. Con questi sentimenti entriamo nelle viscere del perdono di Dio
Signore, che hai chiamato Elia ed Eliseo, perdona le nostre infedeltà alla tua chiamata,                  Kyrie, elèison!
Cristo, che ci chiami ad essere veri, liberaci dalle schiavitù che ci opprimono,                                Christe, elèison!
Signore che chiami all’amore come dimensione di libertà, perdona i nostri egoismi,                        Pnèuma, elèison!
Cristo che quando chiami esigi una svolta radicale, perdona temporeggiamenti e paure,                 Christe, elèison!
Dio onnipotente che attraverso il profeta Elia sceglie il profeta Eliseo, ci rafforzi nella libertà del Vangelo perché consapevoli della nostra chiamata battesimale possiamo impegnarci alla costruzione del Regno che viene nella pace e nella libertà. Egli per i meriti dei profeti, dell’apostolo Paolo e per i meriti del popolo di Dio, abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI…
e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo,  Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo: [breve pausa 1-2-3]
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
Preghiamo (colletta). O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri, sostieni la nostra libertà con la forza e la dolcezza del tuo amore, perché non venga meno la nostra fedeltà a Cristo nel generoso servizio dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo.., tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Liturgia della Parola
Prima lettura 1 Re 19,16b.19-21. C’è qualcosa di spietato nella vocazione di Eliseo che mette in evidenza il carattere di irrevocabilità della sua chiamata. Il racconto è molto antico perché ha ancora tracce di magia (ad es. nel potere del mantello). Nel suo nucleo originario potrebbe risalire addirittura al sec. IX o VIII a. C. Eliseo è un ricco possidente e viene scelto da Elia attraverso il rito del mantello che indica segno di possesso (cf Dt 23,1; 27,20; Rt 3,9; Ez 16,8)[2]«più servi, ma amici» (Gv 15,15).. Eliseo non può sottrarsi a questa investitura che lo consacra servo del profeta. Non c’è nulla di romantico nella vocazione di Eliseo, ma tutto è radicale ed estremo perché essa esige un taglio netto con il lavoro, l’ambiente e i propri progetti. Anche Gesù sarà esigente con i discepoli che si sceglierà, ma a differenza di Elia non li consacra
Dal primo libro dei Re 1 Re 19,16b.19-21
In quei giorni, il Signore disse a Elìa: 16 «Ungerai Eliseo, figlio di Safat, di Abel-Mecolà, come profeta al tuo posto». 19 Partito di lì, Elìa trovò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. 20 Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: «Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò». Elìa disse: «Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te». 21 Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con la legna del giogo dei buoi fece cuocere la carne e la diede al popolo, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio. - Parola di Dio.
Salmo responsoriale 16/15, 1-2.5; 7-8; 9-10; 11. Vi sono cinque salmi (dal 56/55 al 60/59) che in ebraico hanno l’indicazione della recitazione: «Miktam» che significa «a bassa voce» perché la loro recita ad alta voce poteva suscitare la rabbia dei pagani durante la dominazione ellenistica. Il Talmud (trattato Sotà10b) fa derivare l’etimologia da «mach - umile» e «tam - integro», quasi a dire che solo l’umile può vivere l’integrità del cuore. Vogliamo vedere in questa «rubrica» che fa parte della Parola di Dio, un insegnamento: la preghiera non può mai essere occasione di violenza o di odio; essa deve essere rispettosa della sensibilità degli altri, anche a costo di tacere o pregare «a bassa voce». Non è ostentando che si diventa più credenti, ma compiendo l’agàpe che si fa carico del limite e delle insufficienze altrui. Dietro l’invito del salmista, celebrando l’Eucaristia, poniamo la nostra vita nelle mani del Signore (v. 5).
Rit.Sei tu, Signore, l’unico mio bene.

1. 1 Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
2 Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
5 Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.Rit.
2. 7 Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
3. 9 Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
10 perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Rit.
anche di notte il mio animo mi istruisce.
8 Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare. Rit.
4. 11 Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra. Rit.

Seconda lettura Gal 5,1.13-18. Vera conclusione dottrinale, il capitolo 5 della lettera i Gàlati è una sintesi delle motivazioni portate da Paolo per radicare nei credenti di Galàzia comportamenti adeguati alla libertà a cui li ha introdotti il suo Vangelo. Non si è liberi per «fare quello che si vuole», ma si è liberi di «obbedire» alla verità di se stessi che l’annuncio del Vangelo ha messo in evidenza. La libertà per Paolo è la capacità di amare camminando in mezzo agli ostacoli senza lasciarsi mai condizionare. Cristo ci ha liberati anche dalla religione, intesa come «obbligo» (vv. 14.18) per introdurci in una dimensione di fede dove l’incontro e la relazione non sono immuni dalle tensioni e dagli scontri (v. 15), ma hanno in sé una forza interiore che tutto recupera e tutto ricostruisce. Ogni volta. Sempre.
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Gàlati Gal 5,1.13-18
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. 13 Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. 14 Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». 15 Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! 16 Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. 17 La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. - Parola di Dio.
Vangelo Lc 9,51-62. Con il brano proposto dalla liturgia, inizia la sezione del 3° vangelo che si concluderà in 18,9-14, con la parabola del pubblicano e del fariseo che si recano al tempio. Questa sezione descrive un «viaggio» che Gesù compie da Nazaret/Cafarnao a Gerusalemme, diventando lo schema stesso del vangelo che Lc presenta come la «sequela del discepolo» dietro il maestro Gesù. Lungo questo viaggio, Lc inserisce avvenimenti e fatti che logicamente sono fuori di qualsiasi contesto storico. Il v. 51, il primo del brano odierno forma così una solenne introduzione a tutto il blocco che subito dopo è segnato sia dal rifiuto dei Samaritani (vv. 52-53) sia dall’incomprensione dei discepoli che credono di andare alla conquista (v. 54), sia infine dal facile entusiasmo di chi crede diventare discepolo sia una scelta indolore e senza tagli (vv.56-62). Si diventa discepoli solo se si risponde ad una chiamata di condivisione di vita che comporta anche disagi, rotture e incomprensioni. Per diventare discepoli bisogna prima arrivare alla mèta che è Gerusalemme, sperimentare la morte e solo dopo essere avvolti dallo Spirito di Pentecoste si può entrare nella dimensione di testimoni della Risurrezione.
Canto al Vangelo
Alleluia. Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta: / tu hai parole di vita eterna. Alleluia.
Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,51-62
51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52 e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55 Si voltò e li rimproverò. 56 E si misero in cammino verso un altro villaggio. 57 Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58 E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60 Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61 Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». - Parola del Signore.
Spunti di omelia
La decisione di dirigersi decisamente in direzione di Gerusalemme è la «svolta» che segna la vita di Gesù in Lc e anche il 3° vangelo perché con il brano di oggi comincia la sezione che va sotto il titolo di «viaggio». Traduciamo in modo letterale il primo versetto, il v. 51: «Avvenne poi quando furono riempiti/compiuti completamente i giorni della sua assunzione/innalzamento [al cielo], egli indurì/irrigidì la faccia [decidendo] di partire verso Gerusalemme». Ancora una volta ci troviamo di fronte al verbo del compimento biblico, qui costruito con un prefisso «syn-pleròo» che rafforza e quasi raddoppia il senso base del verbo: «ri-empio completamente/ com-pleto/av-vicino». Esprime un compimento senza ritorno, irreversibile, espresso anche plasticamente dall’indurimento della sua faccia.
In Lc però vi è anche l’intenzione di richiamare la figura del «Servo di Yhwh» che dice: «Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso» (Is 50,7). Già all’inizio del viaggio verso Gerusalemme sappiamo che le coordinate della città santa saranno quelle della missione del Servo di Yhwh: immolazione, sopruso, morte e glorificazione. Indurire la faccia è un gesto che facciamo quotidianamente quando, dopo avere tergiversato alquanto, decidiamo di prendere una decisione: stringiamo i denti e tendiamo i muscoli facciali, accompagnandoli con una stretta dei pugni.
Si direbbe che Gesù adesso intraveda il suo destino, conosca la sua conclusione: potrebbe scappare, tornare indietro, andare per altra via, invece «indurì la faccia per partire verso Gerusalemme», la città del destino di Dio e dell’uomo, la città della pienezza dell’umanità in contraddizione. Il compimento, la pienezza si ha solo a Gerusalemme che è il simbolo della mèta di ogni vita e di ogni percorso. In questo brano vi sono molte reminiscenze che richiamano il vangelo di Giovanni: il compimento del tempo (cf Gv 13,1); l’innalzamento di Gesù al cielo che Gv chiama con un termine specifico, «glorificazione» (cf Gv 7,39; 12,16.22; 12,32; 13,31-32; cf Zc 12,10) e la decisa volontà di Gesù di non sottrarsi alla sua missione (cf Gv 18,4; 19,11). Questo versetto è centrale non solo nel vangelo di Lc, ma in tutta la rivelazione perché qui ci viene prospettata in anteprima che il destino di Gesù è la morte: è il mistero di Dio.
Solo quando Dio muore, l’uomo lo può incontrare perché un Dio disteso in un corpo inanimato non fa paura e non suscita terrore: la debolezza di Dio diventa il sostegno della forza dell’uomo. Ognuno di noi ha un proprio percorso da realizzare e maturare e lungo questo cammino incontra persone, instaura relazioni, conflitti, forse anche guerre, ma è un cammino che ciascuno deve compiere da sé: nessuno può sostituire alcuno.
Spesso noi credenti siamo presuntuosi e diamo per scontato che nel nostro percorso di fede siamo cristiani e agiamo di conseguenza. Istintivamente ci collochiamo nel NT, mentre forse siamo ancora distanti da quella nostra Gerusalemme che ci aspetta perché si compiano i giorni della nostra fede e della nostra scelta irreversibile. Gerusalemme non è solo una città. Essa è un simbolo del progetto di vita di ciascuno di noi nel tentativo di realizzare anche la dimensione vocazionale che lo Spirito ha deposto in noi. In questo senso Gerusalemme è la misura della nostra verità, il luogo geografico della fede che verifica la corrispondenza della nostra vocazione con la nostra realizzazione. Gerusalemme è il metro dell’alleanza tra Dio e noi. E’ necessario che ciascuno di noi salga a Gerusalemme per conoscere la dimensione della propria fede e del proprio destino.
Per il fatto che siamo nati cristiani e siamo stati battezzati nella fede della Chiesa, nel Nome della santa Trinità, non significa che siamo cristiani. Per il fatto di partecipare all’Eucaristia, non significa che siamo cristiani. Per il fatto che uno è prete, religioso, sposato in chiesa, non significa che è cristiano. Per il fatto che uno è credente e praticante assiduo, non significa che è cristiano. Essere cristiano credente significa avere incontrato Gesù di Nazareth, averne accolto il messaggio evangelico e averne scelto la proposta di vita che ha come dimensione il regno di Dio abitato dai poveri, come legge l’agàpe di fraternità e come metodo la testimonianza con la nostra debolezza nella potenza dello Spirito del Risorto.
La domanda è: a che punto sono della mia storia della salvezza? Può darsi che oggi io sia con Àdam ed Eva, ribelli nel giardino di Eden. Oppure con Caino che uccide il fratello. Oppure con Làmech maciullato dalla vendetta. Sono in attesa del Messia con i profeti oppure sono nella notte di Giuda il traditore? Sprofondo con Pietro nella inconsistenza del mio essere, oppure sono Giovanni ai piedi della croce per farsi carico della Madre? No! non è scontato essere cristiani, nemmeno dopo una intera vita dedicata alla religione, ai riti e alle regole. Per essere cristiani bisogna incontrare Gesù, toccarlo, vederlo, ascoltarlo, seguirlo, sceglierlo e rischiare con lui l’avventura di Gerusalemme dove c’è la risposta ad ogni domanda. Noi non ci rendiamo conto che non vi sono due strade uguali per arrivare a Dio, ma esistono tante strade quante sono le persone e questo ci impegna in una costante ricerca e pazienza: se le strade sono tante, la modalità è una sola: noi possiamo credere solo al «modo di Gesù Cristo». Possiamo/dobbiamo condividere con gli altri il nostro percorso, le fatiche, le paure, le speranze e a nessuno possiamo/dobbiamo imporre il nostro modo di credere.
I Samaritani vogliono fare proprio questo: essi prima ancora di conoscerlo, lo rifiutano. Ne hanno sentito parlare, sono gelosi perché per tradizione sono nemici giurati dei Giudei e quindi nel loro fondamentalismo di inimicizia perdono l’occasione di sperimentare che esiste un Giudeo diverso. Essi perdono l’occasione di incontrare un loro amico, un Giudeo che quando deve paragonare Dio a qualcuno, non lo paragona ad un altro Giudeo, ma proprio ad un Samaritano (Lc 10,30-37) e quando deve elogiare la fede di qualcuno non elogia la religiosità di un Giudeo, ma il comportamento di un Samaritano (Lc 17,12-18) e se ha sete in una giornata afosa, non chiede acqua ad un suo simile, ma addirittura ad una donna samaritana (Gv 4,26).
La risposta dei discepoli è peggio dell’atteggiamento dei Samaritani perché essi non vorrebbero fare prigionieri, dal momento che non sono coscienti di andare a Gerusalemme, ma ad una traversata di successi. Essi non ammettono la sconfitta. Gesù con estrema pazienza insegna loro che il Regno di Dio non è appariscente, non raccoglie vittorie, ma colleziona rifiuti fino alla fine, quando gli uomini finalmente capiranno: o almeno si spera che capiscano. Di fronte all’insuccesso e al fallimento non ci si può rassegnare, bisogna solo avere pazienza e prendere il lato umano della realtà. Tutto può fallire, anche tante volte: bisogna con l’aiuto di Dio ricominciare sempre, ripartire. La pazienza cristiana ha un solo obiettivo: ricucire, ricucire sempre senza mai stancarsi, anche quando siamo stanchi e distrutti.
Come si riesce in questo cammino faticoso verso Gerusalemme? La risposta è al v. 56: «E si misero in cammino verso un altro villaggio» che significa andare verso un nuovo orizzonte, cambiare direzione, cercare altri motivi, verificare altre ragioni. Dentro di noi c’è sempre un samaritano che rifiuta e c’è sempre un altro villaggio da raggiungere. Per conoscere l’uno e l’altro bisogna interrogare lo Spirito Santo, cioè vivere abitualmente la dimensione di Dio.
Dopo questi incidenti, Gesù fa tre esperienze di adesione a lui, ma nessuna è libera perché ciascuno ha un proprio disegno condizionando la disponibilità appena offerta. Uno che dicesse ad un’altra persona: ti amo a condizione che… ha già dichiarato finito uno pseudo-amore che non è nemmeno cominciato. Le risposte di Gesù alle tre tipologie di discepolato hanno in comune una sola esigenza: chi decide di seguire Gesù deve fare vita comune con lui: nella provvisorietà (cf Lc 9,58), nella priorità (cf Lc 9,60), nell’affettività (cf Lc 9,61-62). Le difficoltà nel seguire Gesù è lo stile di vita povera che rende liberi dalle cose, dalla famiglia, dagli affetti. Tutto diventa relativo perché il credente assume in sé lo stato di vita del Figlio che avendo messo il Padre prima di ogni cosa, corre verso Gerusalemme, incurante di ogni ostacolo di qualsiasi genere.
Al tempo di Gesù ogni scuola rabbinica aveva regole precise e ciascuna si distingueva per la maggiore o minore severità. Nel brano di oggi, Gesù si presenta come un rabbino molto esigente perché ai suoi discepoli non chiede atteggiamenti servili o di obbedienza, ma chiede la vita e la chiede intera, senza sconti (cf Lc 9,58. 60. 62). In questo Gesù è diverso da Elia che permette ad Eliseo di andare a salutare i suoi (cf 1Re 19,20).
L’assolutezza di Gesù, che apparentemente può sembrare intolleranza intransigente, ci apre ad un approfondimento ancora più decisivo. Gesù ha detto «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me» (Mt 10,37) che nel passo parallelo di Luca suona in modo diverso: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere un mio discepolo» (Lc 14,26). Nessuno di noi è in grado di amare qualcuno con quella gratuità che è propria dell’amore, ma tutti aspiriamo all’amore come risposta ai nostri bisogni. Da questa ambiguità nascono le crisi, i disaccordi, le separazioni, i conflitti e perfino le guerre. Gesù dà la soluzione: chi ama Dio riceve la forza di amare al modo di Dio e scopre nell’altro la propria carne, partecipe della stessa vita di Dio. Amare gli altri in Dio è l’unico modo per vivere la pienezza dell’amore e sperimentare la gratuità di essere amati. Se io amo Dio e l’altro ama Dio e tutti e due ci rispecchiamo in Dio che diventa la sorgente e il fondamento dell’amore, nella relazione tra noi non vi potrà mai essere conflitto o limite o paura o odio. Noi sperimentiamo la nostra incapacità di amare quando pretendiamo di amare con le nostre sole forze e ci accorgiamo di non poterne portare la leggerezza perché istintivamente cerchiamo il nostro interesse. Solo il Dio di Gesù Cristo ci insegna ad amare senza confini, senza limiti e sempre gratuitamente. Quella che sembrava intolleranza diventa la severità dell’amore che quando è esigente diventa libero perché l’amore gratuito è fonte di liberazione che genera sempre discepoli, uomini e donne liberi.
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[breve pausa 1-2-3]
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.  [breve pausa 1-2-3]
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e da la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti.         [breve pausa 1-2-3]
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
Preghiera universale [intenzioni libere]
Preghiamo (sulle offerte).O Dio, che per mezzo dei segni sacramentali compi l’opera della redenzione, fa’ che il nostro servizio sacerdotale sia degno del sacrificio che celebriamo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA II (detta di Ippolito, prete romano del sec. II)
Prefazio del Tempo Ordinario IX (2° dello Spirito Santo): La missione dello Spirito nella Chiesa
Il Signore sia con voi.                         E con il tuo spirito.  In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.                    E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
«Disse il Signore ad Elia: “Ungerai Eliseo figlio di Safat come profeta al tuo posto”» (1Re 19,16).
 
In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi.
Elia, passando vicino ad Eliseo, gli gettò addosso il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, entrando al suo servizio (cf 1Re 19,19-20.21).
 
Con la potenza del tuo Santo Spirito le assicuri il tuo sostegno, ed essa, nel suo amore fiducioso, non si stanca mai d’invocarti nella prova, e nella gioia sempre ti rende grazie per Cristo Signore nostro.
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore. Kyrie, eleison, Christe, elèison, Pnèuma, elèison!
 
Per mezzo di lui cieli e terra inneggiano al tuo amore; e noi, uniti agli angeli e ai santi, proclamiamo la tua gloria:
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio di Elia ed Eliseo. Kyrie, eleison, Christe, elèison. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Christe, elèison, Pnèuma, elèison!
 
Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventino per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.
La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima: la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice (Sal 19/18,8).
Egli, offrendosi alla sua passione, prese il pane e rese grazie, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse:  PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro,perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa (Sal 16/15, 9-10).
Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice e rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Il Signore è la nostra parte di eredità e nostro calice: nelle sue mani è la nostra vita» (Sal 16/15,5).
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Noi siamo stati chiamati a libertà perché mediante la carità siamo a servizio gli uni degli altri (cf Gal 5,13).
MISTERO DELLA FEDE.
Celebriamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione e attendiamo il tuo ritorno. Maranà thà! Vieni, Signore!
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, ti offriamo, Padre, il pane della vita e il calice della salvezza, e ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
 «Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”» (Gal 5,14).
Ti preghiamo per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo.
«se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri» (Gal 5,15).
Ricordati, Padre, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra: rendila perfetta nell’amore in unione con il Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, le persone che amiamo e che vogliamo ricordare… e tutto l’ordine sacerdotale che è il popolo dei battezzati.
«Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9, 51).
Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che affidiamo alla tua clemenza…. ammettili a godere la luce del tuo volto.
Quale gioia, quando mi dissero: "Andremo alla casa del Signore!". 2 Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme, città di Dio, nostra Madre (cf Sal 122/121,1-2).
Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria.
«Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62).
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio, Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo, 
ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit?abed re?utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear?a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta?alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

Antifona alla comunione (Cf. Lc 9,51): Gesù mosse decisamente verso Gerusalemme incontro alla sua Passione.
Dopo la Comunione
Da Le età della vita spirituale di Paul Evdòkimov
L’umiltà insegna a “essere come se non si fosse”, a “non sapere ciò che si è”. “Inchinarsi davanti alla maestà divina è la vittoria più grande”, osservava profondamente san Bernardo. L’amore di Dio esclude la compiacenza verso se stessi. Alla domanda di sant’Antonio di mostrargli un modello di pietà, l’angelo condusse sant’Antonio verso un uomo che era tutto umiltà. Quest’uomo presentava nella sua preghiera al cospetto di Dio tutti gli uomini e pensava che non esisteva nessuno tanto peccatore come lui. [...] L’umiltà vive un altro aspetto della “comunione dei santi”: la “comunione dei peccatori”. Un folle di Cristo pronunziò morendo queste sole parole: “Che tutti siano salvati, che tutta la terra sia salvata”. Un altro, all’estremo del disprezzo e delle persecuzioni, afferma di non aver mai incontrato un uomo veramente malvagio. Oggi, nei paesi in cui si vive sotto il segno della croce e del silenzio, l’umiltà si trasforma nella spiritualità dei martiri. La sua grandezza risplende in meravigliose dossologie; rende grazie a Dio anche per le sofferenze e la persecuzione e rimette i demoni nelle mani di Dio. Al limite del sopportabile l’uomo non può che dire “gloria a Dio”, e raddoppiare la sua preghiera per i viventi e per i morti, per le vittime e per il carnefice. È allora che egli sposa il cuore di Dio e comprende l’indicibile.
Preghiamo. La divina eucaristia, che abbiamo offerto e ricevuto, Signore, sia per noi principio di vita nuova, perché, uniti a te nell’amore, portiamo frutti che rimangano per sempre. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Benedizione e saluto finale
Il Signore che ha scelto in Eliseo, il successore del profeta Elia, ci colmi della sua grazia.   Amen!
Il Signore che ci ha convocato alla mensa della libertà e del servizio, ci doni la sua pace.              
Il Signore che ci guida alla Gerusalemme della volontà di Dio, ci consacri nella fedeltà.                       
Il Signore che ci chiama alla missione del regno, ci ridoni lo spirito di servizio e di profezia.         
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.                                                             
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.                                                 
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                                                Amen!
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Nota: Domenica 13a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 27/06/2010 – San Torpete – Genova
1.      Sabato 26 giugno 2010, ore 17,30 la IV stagione (2009-2010) de «I Concerti di San Torpete» chiude con un concerto per violini (Fabrizio Cipriani, Davide Monti), viola (Guido De Vecchi), violoncello (Marcello Scandelli), violone (Maurizio Less), clavicembalo (Paola Cialdella).
2.      La V stagione (2010-2011) de «I Concerti di San Torpete» riprenderà sabato 11 settembre alle ore 17,30 con un concerto dedicato alle «Sonate per flauto di Giuseppe Sammartini».
La chiesa di San Torpete
resterà aperta fino a domenica 25 luglio.
Dal 25 luglio al 10 settembre invece resterà chiusa.
Faremo alcuno lavori e io sarò impegnato in alcuni lavori urgenti editoriali che ho rimandato, rimandato e rimandato.
La chiesa riapre sabato 11 settembre per il concerto d’inizio della V edizione dei Concerti di San Torpete.


[1] Sull’etimologia di «chiesa» e sul significato del verbo greco «ek-kalèo» cf gli spunti di omelia della Domenica di Pentecoste-C.
[2] Per i poteri magici connessi col il mantello cf 2Re 2,13-14; Lc 8,44.


Giovedì 24 Giugno,2010 Ore: 15:02
 
 
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