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www.ildialogo.org Domenica 12a Ordinario – C – 20 giugno 2010 –,di Paolo Farinella, prete

Domenica 12a Ordinario – C – 20 giugno 2010 –

di Paolo Farinella, prete

Con la domenica 12a del tempo ordinario-C proseguiamo il cammino di formazione sul vangelo accompagnati dall’evangelista Luca che ci insegna a diventare discepoli di Gesù e a seguirlo nel suo «esodo» verso la città santa di Gerusalemme, che, come abbiamo visto domenica scorsa, è la città dei «destini di Dio e dell’uomo». Gesù è venuto per andare a Gerusalemme perché la città di Dio svela la vera identità di chi dice di credere. A Gerusalemme infatti cadono le maschere, i compromessi, le manipolazioni e le false intenzioni perché in essa tutto conduce alla verità: tutte le contraddizioni emergono senza pietà e l’anima resta nuda senza mediazioni.

Ogni ebreo, ovunque si trovi, conclude sempre il rito di Pasqua e di Yom Kippùr di ogni anno con l’augurio «l’anno prossimo a Gerusalemme» (Hashanàh haba’ah BirushalàimOgnuno di noi deve dirigersi verso Gerusalemme che prima di essere un luogo geografico è movimento del cuore, un atteggiamento spirituale che prende coscienza del «dove» esistenziale che interroga la fede. Dovunque ognuno di noi si trovi, deve domandarsi «Dove mi trovo?». In altre parole: quale è l’obiettivo della vita, lo scopo del vivere quotidiano? Che cosa dirige e coordina l’esistenza? ) perché Gerusalemme, specialmente se si è lontano, attira e attrae con la forza di Dio.
Da quando Gesù è risorto, i cristiani non hanno più «luoghi» da venerare e coltivare come indispensabili alla propria sopravvivenza sul modello di Ebrei e per i Musulmani che ogni hanno sognano il pellegrinaggio alla Mecca o al Muro del pianto. Per noi è «la corporeità risorta» del Signore il nuovo tempio che ci raduna in unità pur essendo in diaspora, perché possiamo visitare il tempi/corpo/umanità del Signore ovunque facciamo esperienza della sua umanità divina, condividendo con gli altri il nostro «esodo» verso la città di Dio. Più noi siamo umani, umanizzati e umanizzanti e più scopriamo la dimensione spirituale della nostra fede che ci fa incontrare efficacemente Gesù risorto.
Il profeta Zaccaria, vissuto nel sec. VI a.C., indirizza il nostro guardo verso un futuro che abbiamo già sperimentato: il discendente del casato di Davide, il Messia che egli sogna, noi lo abbiamo visto e contemplato nel «trafitto» del monte Calvario che ha attirato i nostri sguardi come aveva previsto Isaia (cf Is 53,2). Il profeta Zaccaria si ispira ad Ezechiele, il profeta dell’esilio. Il trapianto di spirito «riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione» (Zc 12,10) è con ogni evidenza ispirato al trapianto del cuore descritto da Ezechiele (cf Ez 36,16-20, qui 24-27, riportati in nota)[1]. La novità di questo trapianto riguarda il concetto di «conversione» che non è più una condizione previa per avere il perdono di Dio, perché essa è una iniziativa di Dio, è grazia gratuitamente concessa. Non ci si converte perché ci decidiamo di convertirci, ma siamo convertiti perché Dio si prende cura di noi e il suo Spirito ci apre al riconoscimento della sua azione e della sua presenza[2].
La conversione è una nuova creazione con gli stessi ingredienti della prima: acqua e spirito (cf Gen 1,1-2). L’accenno al «trafitto» è una interpretazione della Bibbia greca della Lxx che così mette il misterioso mediatore di Zaccaria con il personaggio altrettanto misterioso, il Servo Sofferente di Yhwh, che simboleggia in sé la sofferenza e il cammino di mediazione messianica del popolo di Israele (cf Is 52,13-53,12 e Gv 19,37)[3]Nella celebrazione dell’Eucaristia non facciamo altro che fissare lo sguardo sul volto di Dio manifestato in Gesù, innalzato sulla croce e imparare alla scuola della Parola a riconoscerlo e ad amarlo, lasciandoci amare..
            Il salmo responsoriale è un anelito, un desiderio struggente: aurora, desiderio, terra arida, acqua sono simboli dell’anima che cerca frastornata un punto di riferimento per non smarrirsi come Davide seguito dal figlio Assalonne nel deserto di Giuda. Il salmista si abbandona a Dio che elegge a suo scudo e protezione. Noi da parte nostra sperimentiamo la forza del cibo e del vino che ci garantiscono la Shekinàh di Gesù Signore che con noi, radunati in assemblea, condivide la sua vita e il sui progetto di Regno.
            Nella 2a lettura, Paolo raggiunge il vertice del suo «vangelo» che è lo sdoganamento della fede in Gesù da Giudaismo: non è necessario diventare prima Ebrei per essere Cristiani perché l’Ebreo Gesù ha operato una rivoluzione copernicana: non esiste più una salvezza per gli Ebrei e una per gli altri popoli perché Gesù ha abbattuto il muro di separazione che li divideva» (Ef 2,14) e ha spalancato le sue braccia dal trono della croce sul mondo intero: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
            Poiché del vangelo tratteremo nell’omelia, ora entriamo con fiducia nel cuore di Dio e lasciamoci convertire dalla grazia dello Spirito che ci abilita alla celebrazione del sacramento dell’amore che nutre la conversione e ci manda nel mondo ad annunciare il nuovo volto di Dio che è la misericordia. Invochiamo la presenza dello Spirito che opera in noi la nuova creazione, facendo nostre le parole del Salmista (Sal 28/27, 8-9): «Forza è il Signore per il suo popolo, rifugio di salvezza per il suo consacrato. Salva il tuo popolo e benedici la tua eredità, sii loro pastore e sostegno per sempre».
 
Spirito Santo, tu ti libravi sulle acque della creazione come principio di vita,                       Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu riversi su di noi la grazia della tua consolazione rinnovatrice,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu guidi il nostro sguardo verso il Cristo trafitto sulla croce,                Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei principio di conversione e pentimento per chi crede in Gesù,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu innalzi il Cristo crocifisso perché tutti possano contemplarlo,                    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu susciti il nostro desiderio di sete di Dio fin dall’aurora,                              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu disseti con l’acqua dei tuoi doni l’arsura del nostro cuore,              Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu vegli sul nostro lamento, quando invochiamo l’aiuto di Dio,                      Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’abito battesimale con cui ci rivesti del Cristo benedetto,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei principio e fine di libertà nella novità del Signore risorto,                     Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’eredità del patriarca Abramo che abbiamo accolto in Cristo,   Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il luogo solitario che accoglie Gesù orante nella Chiesa,                        Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ispiri in noi la risposta al Cristo che ci chiede se lo conosciamo,    Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai suggerito a Pietro di rispondere che Gesù è «il Cristo di Dio», Veni, Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei il Cireneo che porta con noi la croce per giungere alla risurrezione,      Veni, Sancte Spiritus!
 
Celebrare l’Eucaristia è immergerci nel sacramento della misericordia di Dio, le cui porte sono serpe aperte. Tutta l’Eucaristia, infatti, dal principio alla fine è una richiesta di perdono dal Kyrie iniziale all’Agnello di Dio e all’invocazione prima della comunione: «non sono degno». Ciò è possibile perché il primo effetto dell’Eucaristia è la conversione come dono preveniente che ci abilita a stare nella santa Assemblea per condividere il volto amabile e amato di Dio. Ognuno di noi diventa così profeta e specchio per gli altri. Se siamo chiusi in noi o se siamo solo pieni di noi stessi, noi impediamo agli altri di vedere la Gloria di Dio. L’Eucaristia non può essere un «rito» di religione, ma è «il luogo» dove sperimentiamo la nostra umanità che diventa «sacramento» della divinità di Gesù che svela la Paternità di Dio. Con la forza dello Spirito Santo, invochiamo la Santissimi Trinità su di noi e su tutta l’umanità:
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Se la conversione e il pentimento sono azioni di Dio, dati a noi senza nemmeno nostro merito, prendiamo atto che credere è un evento facile facile: basta abituarsi a sapere ricevere, aprendoci al dono e accogliendolo con gratitudine e non tenendolo solo per noi, ma condividendolo con gli altri. Non abbiamo paura dei nostri peccati, perché la misericordia e la grazia di Dio sono più grandi della nostra presunzione. Solo Dio è santo e coloro che si lasciano permeare dal suo Spirito. Riconosciamoci disponibili a lasciarci convertire.
 
[congruo esame di coscienza]
 
Signore, venga il tuo Spirito a convertire i nostri cuori e le nostre scelte,                  Kyrie, elèison!
Cristo, trafitto per noi sulla croce, fa’ che posiamo contemplarti nostro Redentore, Christe, elèison!
Signore, liberaci dal particolarismo della religione e rendici testimoni del tuo amore,           Pnèuma, elèison!
Cristo, solo tu puoi trapiantare i cuori di pietra in cuori di carne credibili e credenti,            Christe, elèison!
Signore, donaci il tuo Spirito perché possiamo confessare che «Gesù è Signore»,    Kyrie, elèison!
 
Dio onnipotente che ha creato l’universo con lo Spirito di vita e ricrea i nostri cuori con il dono della conversione, aprendoci alla conoscenza della Parola che si fa Pane e nutrimento, per i meriti dei santi profeti Zaccaria, Ezechiele e Geremia, ma specialmente per i meriti del Figlio unigenito trafitto che noi contempliamo sulla croce,
abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.
 
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI e pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. [breve pausa 1-2-3]
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre: tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica; tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. [breve pausa 1-2-3]
 
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo:  [breve pausa 1-2-3]
 
Gesù Cristo con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Fa’ di noi o Padre, i fedeli discepoli di quella sapienza che ha il suo maestro e la sua cattedra nel Cristo innalzato sulla croce, perché impariamo a vincere le tentazioni e le paure che sorgono da noi e dal mondo, per camminare sulla via del calvario verso la vera vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo. Per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Mensa della Parola
Prima lettura Zc 12,10-11; 13.1. Il profeta Zaccaria, uno dei dodici profeti minori, vive nel sec. VI a. C. A lui sono attribuibili i primi otto capitoli del libro che prende il suo nome, scritti probabilmente tra il 520 e il 518 a. C., mentre gli altri gli ultimi sei, che sono opera di più mani per stile e contenuto, sono opera di anonimi profeti redatti un secolo dopo e attribuiti a Zaccaria. Gli studiosi, infatti, citano questa sezione come «Secondo Zaccaria». Nella 1a parte il profeta annuncia un futuro splendido centrato sul culto del tempio che estende la sua santità a tutta la terra d’Israele fino a coinvolgere le nazioni pagane. Nella 2a parte a cui appartiene il brano della liturgia odierna vi si trovano immagini e pensieri che saranno presi dagli evangelisti e applicati direttamente a Gesù come l’arrivo del re Messia su un asino (Zc 9,9 con Mt 21,5; Gv 1215) il riferimento alle trenta monete gettate nel tesoro del tempio, gesto che farà anche Giuda dopo il tradimento (Zc 11,12-13 con Mt 27,3-10); il misterioso accenno a un personaggio trafitto che la tradizione cristiana identificherà nel Cristo crocifisso (Zc 12,1 con Gv 19,37). Da questo processo impariamo che la Scrittura deve essere letta e interpretata alla luce di tutta la Scrittura, in forza del principio che regola l’esegesi del «midràsh» secondo cui «la Scrittura si commenta con la Scrittura». Entriamo nello spirito del profeta e lasciamoci «possedere» dalla Parola dello Spirito.
 
Dal libro del profeta Zaccaria 12,10-11; 13.1
10Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito. 11 In quel giorno grande sarà il lamento a Gerusalemme, simile al lamento di Adad-Rimmon nella pianura di Meghiddo. 13,1In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità. – Parola di Dio.
 
Salmo Responsoriale 63/62 2-9. «Salmo. Di Davide, quando era nel deserto di Giuda». Il salmo è contemporaneamente una supplica, una lode, un ringraziamento, una richiesta di intervento contro i nemici sono i motivi che caratterizzano questa straordinaria preghiera, una delle più alte pagine della spiritualità biblica. La tradizione biblica lo attribuisce a Davide quando vagava nel deserto inseguito dal figlio Assalonne. Le immagini poetiche sono forti e intense perché nel deserto Davide si affida alla potenza di Dio. L’espressione «dall’aurora ti cerco» traduce il verbo ebraico «shachàr» che significa letteralmente «cercare intensamente», mentre il sostantivo significa «alba/aurora» con un riferimento al momento del giorno che sconfigge le tenebre della notte. La versione greca e latina vedono nel verbo ebraico un riferimento alla ricerca di Dio fin dalle prime luci dell’alba che si estende fino a sera «quando nel mio letto di te mi ricordo» (v. 7). Il fuggiasco nel deserto arido sperimenta la profezia di Amos: «verranno giorni … in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore» (Am 8,11). Ascoltiamo la Parola di Dio che è preghiera del cuore, acqua che disseta il desiderio di Dio.
 
Rit.Ha sete di te, Signore, l’anima mia.
 


1. 2 O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua. Rit.
2. 3 Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
4 Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode. Rit.
3. 5 Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
6 Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca. Rit.
4. 7 Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
8 a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene. Rit.


 

 
Seconda lettura Gal 3,26-29. I Gàlati, celti di origine, si installarono nell’Anatòlia centrale (oggi Turchia) fin dal sec. III a.C. La lettera ai Gàlati è sofferta e drammatica perché Paolo è costretto a fare l’apologia del suo apostolato, messo in dubbio da quelli della corrente di Gerusalemme facente a capo a Giacomo. Paolo non è accettato, ma è considerato estraneo perché non omologabile. La lettera di si dive in due parti nette: i primi due capitoli sono una appassionata autodifesa di Paolo davanti ai suoi detrattori; mentre gli altri capitoli (3-5) sono una esposizione dottrinale  del «vangelo di Paolo», motivo di delle polemiche: quale è il valore della Legge e della tradizione davanti alla novità di Cristo? Cristo deve essere sottomesso alle tradizioni oppure deve essere il contrario? I Giudei sono privilegiati davanti ai non Giudei? Paolo afferma la teologia della liberazione apportata da Cristo che ha eliminato ogni differenza perché ora la fede si fonda sulla coscienza individuale che liberamente aderisce alla proposta di vita che trova nella persona di Abramo il modello e l’anticipo. Cristo non chiude nel particolare dell’etnia e della religione, ma apre all’universale e alla condivisione che conducono alla unità del genere umano.
 
Dalla lettera di Paolo apostolo ai Gàlati 3,26-29
Fratelli e Sorelle 26Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, 27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. 28Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.– Parola di Dio.
 
Vangelo Lc 9,18-24. Il brano del vangelo di oggi contiene tre temi: la «confessione» di Pietro a Cesarea, di cui è Mt a conservare la versione originale (cf Lc 9,18-20; Mt 16,13-20; Mc 8,27-30)[4], il 1° annuncio della passione (cf Lc 9,21-22; Mt 16,21-23; Mc (,31-33) e le condizioni per seguire Gesù (cf Lc 9,23-24; Mt 16,24-25; Mc 8,34-9,1). Le tre tematiche sono state riportate sempre insieme in tutti e tre i vangeli sinottici, ma la versione di Lc non è buona per l’impostazione letteraria del suo vangelo che è strutturato come un unico viaggio dalla Galilea a Gerusalemme, per cui riporta i fatti al di fuori del loro contesto, perché li dissemina lungo il cammino. Probabilmente in origine, già in fase orale, la «confessione» di Pietro introduceva il discorso sulla «comunità/chiesa» (cf Mt 18), mentre il preannuncio della passione e le condizioni per seguire Gesù formavano la premessa al racconto della «passione». La «confessione» di Pietro si ripete oggi con noi che nella santa Eucaristia «confessiamo» che Gesù è il Signore: egli sceglie di andare a Gerusalemme, ben consapevole che vi troverà la morte, ma certo che è anche presente perché è il Risorto che la forza dello Spirito ci spinge a seguire e ad imitare. Come Elia, corroborati dal Parola, dal Pane e dal Vino (1Re 19,4-8), andiamo incontro all’umanità che ha sete di Dio (Sal 63/62,2) per condividere i semi di risurrezione.
 
Alleluia. Io vi ho chiamato amici, dice il Signore, / perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Luca 9,18-24
18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”. 19Essi risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto”. 20Allora domandò loro: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Pietro rispose: “Il Cristo di Dio”. 21  Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.22“Il Figlio dell’uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. 23Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. – Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
Nella 1a lettura, il profeta Zaccaria ci parla di una ripresa della creazione attraverso il tema dell’abbondanza dello «spirito» che diventerà anche «sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità» (Zc 13,1). Mentre nella creazione lo spirito di Dio che «aleggiava sulle acque» sconfiggeva il vuoto e la non vita (cf Gen 1,1-2), qui sono il peccato e l’impurità ad essere debellati, dando così un valore di «ri-creazione» al cambiamento che lo spirito di Dio opera. Ogni volta che compiamo un atto di conversione, noi realizziamo un momento creativo perché Dio pone una vita nuova. Nell’introduzione abbiamo riflettuto su questo concetto di conversione come azione di Dio e non frutto della nostra volontà e del nostro impegno che sono conseguenti alla gratuità di Dio. Prima siamo liberati e dolo dopo impariamo a vivere di libertà.
Nella 2a lettura San Paolo porta alle estreme conseguenze questo cambiamento/conversione operato attraverso la vita e le scelte di Gesù: non lo si incontra per restare come si era. Quando si incontra Gesù, bisogna prendere posizione perché la novità che porta è la libertà che non può essere «vivacchiata». Lo statuto della libertà è essenziale alla fede che è l’incontro tra due innamorati e come non può esistere amore imposto, perché sarebbe stupro, così non può esservi né fede né libertà imposte perché sarebbero schiavitù. In questo contesto, il salmo responsoriale ci indica il metodo: l’anelito e il desiderio come ricerca incessante di Dio.
Il vangelo a sua volta ci pone di fronte alla realtà che può apparire diversa per cui è essenziale il discernimento costante per sapere sempre dove siamo e che cosa viviamo. Il brano di oggi riporta quella che viene comunemente detta «la confessione di Cesarea»[5], presente in tutti e tre i «vangeli sinottici» e cioè Mt 16,13-20. (+21-23); Mc 8,27-30 (+ 31-33) e Lc 9,18-24. In tutti e tre i racconti, la professione di Cesarea è sempre legata all’annuncio della passione (cf Lc 9,22) e alla descrizione delle condizioni per seguire Gesù (cf Lc 23-26). Forse la collocazione più logica e storica sia quella di Mt che pone la «confessione di Pietro» all’inizio del quarto discorso, il «discorso missionario» (Mt 18,1-22), mentre le altre due situazioni, l’annuncio della passione e le condizioni per seguire Gesù erano poste all’inizio del racconto della passione del Signore (Mt 26,1-27,61)[6]. I tre racconti riportano una teologia cristologica «in crescendo», secondo lo schema dal meno al più, esposto nella risposta di Pietro alla domanda di Gesù: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Lc 9,20). Le risposte di Pietro sono:
1.      Mc 8,29: «Tu sei         il Cristo».
2.      Lc 9,20: «[Tu sei]       il Cristo di Dio.
3.      Mt 16,16: Tu sei          il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
In Mc si ha una «teologia bassa» perché l’identificazione di Gesù è solo sul piano messianico; quella di Lc è una teologia più elevata perché fa di Gesù non solo il Messia, ma lo pone sul versanti divino («di Dio»); la terza, quella di Mt è una «teologia alta», espressione di una chiesa ormai assestata che riflette sull’identità di Gesù oltre il puro messianismo perché lo identifica con «il Figlio del Dio vivente» che diventa così la risposta anticipata alla domanda cruciale del sommo sacerdote che interroga Gesù: «Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio”» (Mt 26,63), non lasciandoci scampo quanto agli eventi: Gesù fu condannato a morte per motivi religiosi e non per motivi politici.
Noi abbiamo appena proclamato la versione di Lc che tra le tre è la più scarsa sia perché, l’autore è preoccupato di concretare l’attenzione sua e dei suoi lettori sul viaggio di Gesù a Gerusalemme (cf Lc 9,51-18,14), organizzando attorno a questo schema letterario fatti e insegnamenti che così sono avulsi dal loro contesto proprio storico. Ne consegue che il capitolo 9 di Luca diventa una raccolta di materiale diversificato, un centone di notizie e temi che l’evangelista riceve dalle fonti: da una parte non può tacerle e dall’altra non sa come incastrarle nel suo schema, per cui finiscono qui a formare quasi una cerniera di passaggio tra la prima parte del vangelo e la seconda che comincia con il solenne inizio del «viaggio»: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51)[7].
In questo modo Lc si risparmia di parlare della vocazione di Pietro (cf Mt 16,17-19), della sua mancanza di fede e relativa risposta di Gesù (cf Mt 16,22-23); allo stesso modo omette le indicazioni geografiche poco assimilabili nel suo schema letterario di «viaggio». Egli concentra la sua attenzione sulla sofferenza messianica di Gesù, per cui la professione di fede di Pietro che in Mc è il fulcro del vangelo, perché forma lo spartiacque tra la prima e la seconda parte; e che in Mt ha rilievo importante per la sua portata teologica «alta», in Lc è un semplice ricordo di una tradizione che egli ha ricevuto e conserva nei suoi dati essenziali. Nonostante questa povertà propria, però, il racconto di Lc ha una sua dignità e deve essere letto e collocato nel contesto del suo vangelo, se vogliamo coglierne il senso.
            Da un punto di vista della formazione del testo, possiamo rilevare che in un primo momento Gesù intende ottenere dai suoi discepoli una affermazione sulla sua messianicità che per altro gli apostoli, attraverso Pietro, gli riconoscono perché scartano tutte le opinioni correnti: «Giovanni il Battista … Elia … uno degli antichi profeti» (Lc 9,19). Gesù però sa che questo riconoscimento è ambiguo perché comporta l’attesa di un messia violento e restauratore di un regno con confini ben delineati in contrapposizione con gli altri regni e le altre nazioni. Al tempo di Gesù, era forte l’idea che il Messia sarebbe venuto a mettersi alla testa di un popolo insorto per liberare la Palestina dai Romani e qualche gruppo, gli zeloti, p. es. si preparavano con le armi all’insurrezione. Gesù è cosciente di questo e impone il silenzio e pone la sua messianicità in un contesto di sofferenza fino alla morte che però non sarà l’ultima parola perché la morte sfocerà nella risurrezione del «terzo giorno» (Lc 9,22).
C’è un indizio di non poco conto che ci apre una prospettiva nella coscienza di Gesù e ci aiuta a capire come egli sia arrivato a formarsi la convinzione che la sua messianicità sarebbe di fatto fallita perché avrebbe intercettato «prima» la sofferenza e la morte. E’ un momento drammatico della vita di Gesù: «Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui» (Lc 9,18)[8]. Non è una annotazione di transizione, ma è una prospettiva teologica: Gesù prende coscienza della sua missione e delle scelte della sua vita nella preghiera che diventa così «il luogo fisico» del suo rapporto col Padre perché pregare è capire quale deve essere la direzione della vita verificata alla luce della Parola. In questo senso, come spesso diciamo, pregare è illimpidirsi lo sguardo per capire in quale direzione andare. La preghiera non è uno atteggiamento o una scansione del tempo, ma «uno stato» esistenziale indirizzato al senso della vita.
Gesù ha un obiettivo: compiere la volontà del Padre ed egli sa che questa volontà è un progetto di salvezza per tutta l’umanità e per ciascun uomo. Spesso si pensa che Gesù, essendo Dio – questa è la ragione – sappia sempre quello che deve essere e fare: se è Dio – si dice – sa tutto e quindi va sul sicuro: una sorta di super mago. Non è così perché Gesù è profondamente e realmente «uomo» e come ogni persona umana scopre il senso della vita vivendo la fatica della ricerca di senso. Se sapesse tutto «prima», sarebbe un finto uomo e la sua incarnazione sarebbe un inganno. Se così non fosse e avessero ragione i fautori della «divinità ad oltranza», non avrebbe senso che Gesù preghi perché, se è Dio, sarebbe inutile e anche una perdita di tempo; anzi peggio: la preghiera di Gesù sarebbe una finzione. Nei vangeli troviamo molto spesso Gesù in preghiera che è una costante della sua vita, perché egli come ciascuno di noi «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).
Lc è un autore attento perché ogni volta che Gesù deve prendere una decisione importante o si trova ad una svolta della sua vita, lo descrive sempre in preghiera (v. nota 8). Spesso per pregare Gesù sceglie luoghi solitari perché c’è bisogno di creare le condizioni adeguate per sapere scendere nel profondo pozzo della proprio coscienza che non può avvenire nel cicaleccio, nella dissipazione e nella confusione. Le cose importanti accadono sempre nel silenzio che è la condizione previa per non ingannarsi e non essere ingannati. Il silenzio denuda il cuore e svela le ragioni delle scelte. In questa ricerca di senso della propria vita, Gesù prega per la realizzazione della sua missione che, a questo punto, non vede in modo chiaro, e associa nella sua preghiera, anche i discepoli  condividano e illimpidiscano anch’essi lo sguardo della loro fede. La preghiera di Gesù non ha uno scopo morale: insegnare agli apostoli a pregare, anche se Gesù offre loro lo stile e le condizioni delle preghiera. Gesù dice dio più: egli prega per chiarire a se stesso ciò che deve fare e quali scelte deve compiere e quindi invita gli apostoli che la loro Chiesa dovrà pregare «ininterrottamente» (1Ts 5,18; cf Ef 6,18; Lc 22,46) per verificare il suoi cammino e la sua coerenza nella fedeltà al vangelo. La Chiesa deve testimoniare al mondo quali sono le ragioni che reggono le scelte di Gesù e quindi devono sperimentare quello che dicono. Ognuno, infatti, può testimoniare solo e soltanto ciò che ha sperimentato.
Qui si pone anche un problema di ordine teologico per quella porzione di teologia che vuole Gesù come un mago che conosce tutto e anticipa anche il suo futuro. Il ragionamento è il solito: se Gesù è Dio, la sua divinità domina la sua umanità e quindi è anche «onnisciente», egli conosce tutto e quindi anche l’avvenire suo e degli altri. Questa è la caricatura della divinità di Gesù e la negazione della sua scelta: «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio,ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Gesù in preghiera ci dice che è diventato «simile agli uomini» e come per tutti gli uomini anche per lui «vero uomo», il suo futuro non è in suo potere e al sua coscienza si forma attraverso gli incontri che vive e gli avvenimenti che sperimenta. Anche Gesù inevitabilmente deve cercare la volontà di Dio e il senso della sua vita. Esattamente come tutti, altrimenti sarebbe un fenomeno da baraccone, un uomo finto che imbroglia le carte. Poiché non in grado di vedere cosa succederà, prega e chiede al Padre aiuto e chiarezza: la preghiera diventa forza per affrontare l’incertezza e luce per illuminare i suoi passi, come è consapevole il salmista: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119/118,105).
Da un lato Gesù conosce le aspettative del suo popolo che attende un Messia della forza e della impietosa violenza che dovrebbe opporsi al potere di occupazione dei Romani, radunare Israele e andare alla riscossa della libertà e all’instaurazione del regno di Davide, lasciando dietro di sé una scìa di sangue e di morte. Egli non sa cosa deve fare e per questo va in luogo solitario e prega. Il testo non dice che Gesù pregasse «con» i discepoli, ma che i discepoli «erano con» lui. Vi sono momenti in cui è necessario non tanto restare soli, ma essere immersi nella «solitudine» esistenziale da cui nessuna compagnia può estraniarci perché certe dimensioni possono essere condivise solo nell’immensità dello Spirito di Dio. Gli altri possono intuire, posso assistere, possono partecipare, ma restano ai margini perché i destini della propria missione possono essere vissuti e contemplati solo nel cuore di Dio. In questo senso pregare è illimpidirsi lo sguardo per leggere la propria esistenza e la storia con gli occhi e la prospettiva di Dio.
Gesù non vuole essere un Messia di violenza e non vuole esaurire la sua azione in una dimensione politica perché non è venuto per prendersi una rivincita sugli uomini come dimostra il suo atteggiamento nei confronti del centurione romano (cf Mt 8,4-10). Egli vede la sua messianicità nella prospettiva della non-violenza e della dolcezza che si esprimono nella misura del perdono come dimensione della nuova giustizia (cf Mt 5,20; 6,1) che deve inaugurare il Regno che viene (Mc 11,10; Lc 17,20). Non è facile scegliere questa via perché significa porsi in opposizione alla mentalità corrente che porrà fine alla sua missione «prima del tempo» perché per evitare la violenza, egli la dovrà subire e per non uccidere sarà ucciso prima di avere compiuto la sua missione messianica. E’ a questo punto che Gesù si domanda quale senso abbia la sua vita: se deve morire prima ancora di arrivare ala compimento della sua missione, che Messia è? Non solo, ma la volontà di salvezza del Padre come può realizzarsi se egli no sarà in grado di portarla a termine?
La risposta di Gesù e come quella di Isacco: si abbandona alla volontà del Padre, anche se non capisce, nella certezza che il Padre nulla fa a caso. Se egli intraprenderà la via messianica della dolcezza e della tenerezza scatenerà «l’ira di Dio» e le forze del male si abbatteranno contro di lui e lo uccideranno, ma la morte subita non può essere l’ultima parola perché il Padre non può fallire il suo progetto di alleanza universale. In Gesù comincia a balenare l’idea di risurrezione: se Dio non può non realizzare il suo disegno di amore e se il Messia/Cristo viene ucciso, il Padre saprà superare la morte e farà compiere oltre la morte stessa la missione al suo Cristo e Figlio. Sì, Dio non abbandonerà il Cristo nella morte e non permetterà il «Santo subisca la corruzione» (At 2,27 che cita Sal 16/15,10; cf anche Sal 132/131,10). Egli interrogando gli apostoli vuole vedere fin dove essi possono giungere e vedendo che non sono molto distanti dall’opinion comune, pur avendo qualche elemento in più, decide di affrontare la passione e la morte da solo. Anzi fidandosi e affidandosi solo al Padre che lo farà «risorgere il terzo giorno» (Lc 9.22). Qui si trova la ragione per l’ipotesi che il testo, probabilmente in origine, era posto come introduzione al discorso sulla comunità come descritto da Matteo 18: Gesù muore, ucciso dal potere religioso per mezzo del potere politico, ma risorge nella «comunità/Chiesa» che, dopo la sua morte ne prolungherà l’azione. E’ la teologia della Chiesa-Corpo di Cristo-Capo (cf Ef 5,23; Col 1,18.24).
Lc si preoccupa della fede degli apostoli e così sintetizza alcune affermazioni di Gesù sulla sequela dette nel contesto del discorso ecclesiale (cf Mt 10,33.38.39) e le colloca qui che appaiono evidentemente fuori dal loro ambiente naturale (cf Lc 9,23-26): la misura della fedeltà della Chiesa/discepoli sarà il trattamento riservato dal mondo: se non avranno un trattamento diverso da quello del Maestro, avranno la certezza di essere fedeli nella verità del vangelo; se invece avranno un trattamento onorevole e di ossequio se non di complicità, sapranno che il tradimento è il loro pane quotidiana e la morte di Cristo sarà stata vana. Sofferenza e persecuzione sono intrinseche alla missione di testimonianza perché toccano interessi e abitudini e quindi suscitano reazioni scomposte fino alla persecuzione, fino alla morte.
A questo punto, dopo avere descritto il messaggio del brano, è importante collegarlo nell’insieme del vangelo e vedere così, anzi contemplare, la mente dell’autore e il piano del suo messaggio che supera il tempo per collocarsi in ogni tempo. E’ illuminante collocare Lc 9 (l’intero capitolo) con quanto precede e specialmente con l’inizio dell’attività pubblica di Gesù nella versione di Lc 4-5[9]. Il capitolo 9 di Lc si apre con la missione dei Dodici che l’autore mette in parallelo con la missione che Gesù ha ricevuto nella sua consacrazione nella sinagoga di Cafàrnao perché il compito della Chiesa è compiere la missione del Figlio, morto anzitempo:
 

Lc 4-5
Lc 9
14
Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito
1
Convocò i Dodici e diede loro forza e potere
18
Lo Spirito … mi ha mandato proclamare
2
li mandò ad annunciare
 
ai poveri il lieto annuncio
 
il regno di Dio
 
ai prigionieri la liberazione
 
e a guarire gli infermi.
 
e ai ciechi la vista;
 
 
22
«Non è costui il figlio di Giuseppe?»
9
Diceva Erode: chi è dunque costui
25-26
Moltiplicazione pani e olio della vedova di Zarepta
12-17
Missione degli apostoli e moltiplicazione pani
34
Indemoniato: Io so chi tu sei: il santo di Dio
20
«Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio»
35
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!»
21
ordinò loro … di non riferirlo ad alcuno
41
Da molti uscivano demòni, gridando: “Tu sei il Figlio di Dio!”. perché sapevano che era lui il Cristo.
35
E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto”.
 
Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare.
36
Essi tacquero e non riferirono a nessuno.
5,1
La folla fa ressa.
37
Una grande folla gli venne incontro.
5
Simone: “Non abbiamo preso nulla”.
40
I tuoi discepoli non ci sono riusciti.
6
Presero una quantità enorme di pesci
 
 
12
Il lebbroso si avvicina ed è più grande di Simone che allontana il Signore (v. 8).
48
Il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.

 
Da questa tavola emerge con chiarezza che la narrazione che riguarda i discepoli è costruito sullo stesso schema della descrizione che l’evangelista fa di Gesù: quasi che egli veda la sovrapposizione tra i due protagonisti. La vita della Chiesa non può che essere identica a quella di Gesù, se si discosta da questa, vive certamente la sua vita, ma non certo quella del Signore e in questo caso cessa di essere la «Chiesa di Cristo». Noi lo vediamo nella storia: quando la Chiesa si discosta dal vangelo, corre verso gli uomini di potere in cerca di protezione e si corrompe fino a perdere completamente la dignità di se stessa perché esercita la funzione di prostituta che si offre al migliore offerente o a più offerenti nello stesso tempo. Quando la Chiesa vive del vangelo, è perseguitata dal potere perché essa diventa una spina nel fianco della coscienza che il mondo del denaro e della corruzione non può tollerare perché il mondo ha bisogno di un «dio» che addormenti le coscienze, non di un vangelo che libera la libertà e la giustizia. Resta alla fine la domanda: «Chi è Gesù per noi? Per me?».
 
Professione di fede
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
[Pausa: 1-2-3]

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli. Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create. Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si é incarnato nel seno della Vergine Maria e si é fatto uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto. Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture; é salito al cielo, siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti. [Pausa: 1-2-3]
 
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica. Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati. Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.
 
Preghiera universale [intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidandoci reciprocamente come insegna il vangelo:
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 
[La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva il sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte). Accogli, Signore, la nostra offerta: questo sacrificio di espiazione e di lode ci purifichi e ci rinnovi, perché tutta la nostra vita sia bene accetta alla tua volontà. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III
Prefazio Ordinario 6: Il pegno della Pasqua eterna
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E’ veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, dal quale tutto l’universo riceve esistenza, energia e vita.
Nella santa Eucaristia, tu, o Padre, riversi su di noi  lo Spirito di grazia e di consolazione del Signore risorto  (cf Zc 12,10).
 
Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi, e un pegno della vita immortale,
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto colui che viene, nel Nome del Signore.
 
poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dai morte viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno.
Già volgiamo il nostro sguardo e innalziamo il nostro cuore al tuo Figlio e nostro Signore, trafitto sulla croce. Christe, elèison, Pnèuma, elèison! Kyrie, eleison! Christe, elèison! (cf Zc 12,10).
 
Per questo mistero di salvezza, insieme agli angeli e ai santi e alle sante del cielo e della terra, proclamiamo a una sola voce l’inno della tua gloria:
Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti. Kyrie, eleison! Christe, elèison! Pnèuma, elèison. Tutta la terra è piena della sua gloria. Osanna al Signore che viene (cf Is 6,3).

Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura.
O Dio, tu sei il nostro Dio, dall’aurora ti cerchiamo, ha sete di te l’anima nostra per contemplarti nel santuario e vedere la tua gloria (cf Sal 63/62, 2-3).
 
Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Il tuo amore di Padre vale più della vita per questo le nostre labbra canteranno la tua lode (cf Sal 63/62,4).
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Tu, o Dio, sei il nostro aiuto e noi esultiamo di gioia all’ombra dell’altare dove lo Spirito ha imbandito la Parola e il Pane, alimenti della Chiesa  (cf Sal 1,5.3).
  
Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Nel tuo corpo, Signore, noi siamo figli del Padre che in te ci ha liberato per la libertà (cf Gal 5,1).

Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Siamo stati battezzati nel Nome tuo, Signore, e ci hai riscatti con il tuo sangue(cf Gal 3,27).
 
 FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Per la Pasqua di risurrezione non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti noi siamo uno in Cristo Gesù (cf Gal 3,28).
 
Mistero della fede.
La tua morte annunziamo, Signore, la tua risurrezione noi celebriamo, la tua venuta noi attendiamo pellegrini nel mondo che tu ami.
 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
La santa Assemblea dell’Eucaristia è il luogo di comunione dove impariamo a pregare con il Signore Gesù (cf Lc 9,18).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
Il Signore Gesù pone anche a noi la domanda: chi dite che io sia? (Lc 9,18).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
I discepoli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto» (cf Lc 9,19).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, il clero, le persone che vogliamo ricordare …. e il popolo che tu hai redento.
Noi proclamiamo che Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (cf 1Cor15,22).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (cf Lc 9,14).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo …; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Per andare dietro al Signore, rinnegare se stessi, prendere la sua croce ogni giorno perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa sua, la salverà(Lc 9,23-24).
 
Dossologia[è il momento culminante dell’Eucaristia: il vero offertorio]
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo,  a te, Dio Padre onnipotente,  nell’unità dello Spirito Santo,  ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:
 

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione (Lc 9,24): «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».
 
Don Tonino Bello, Alla finestra la speranza.
[Fonte, Da Giorno per giorno - 23 Maggio 2010, Lettera della fraternità del Goiás-Brasile]
 
«Oggi, voglio parlarvi delle Pentecoste come “festa difficile”. Non perché lo Spirito Santo, anche per molti battezzati e cresimati, è un illustre sconosciuto. È difficile, perché provoca l’uomo a liberarsi dai suoi complessi. Tre soprattutto, che a me sembra di poter individuare così: 1. Complesso dell’ostrica. Siamo troppo attaccati allo scoglio, alle nostre sicurezze, alle lusinghe gratificanti del passato. Ci piace la tana, ci attira l’intimità del nido, ci terrorizza l’idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci sul mare aperto. Di qui, la predilezione per la ripetitività, l’atrofia per l’avventura, il calo della fantasia. Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci. 2. Complesso dell’una tantum. È difficile per noi sottoporci alla conversione permanente, amiamo pagare una volta per tutte. Ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. Il cammino come costume ci fa paura e affrontare il rischio di una itineranza faticosa e imprevedibile ci rattrista. Lo Spirito Santo ci chiama a lasciare il sedentarismo dei nostri parcheggi, ci obbliga a pagare, senza comodità forfetarie, il prezzo delle piccole numerosissime rate di un impegno duro ma innovatore. 3. Complesso, infine, della serialità. Benché si dica il contrario, noi oggi amiamo le cose costruite in serie. Gli uomini fatti in serie, i gesti promossi in serie. Viviamo l’esasperazione dello schema, l’asfissia dell’etichetta, C’è un livellamento che fa paura. L’originalità insospettisce, l’estro provoca scetticismo, i colpi di genio intimoriscono. Chi non è inquadrato viene visto con diffidenza, chi non si omogeneizza col sistema non merita credibilità. Di qui la protesta nei giovani e l’estinguersi della ribellione. Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all’accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere chi compone le ricchezze della diversità. Pentecoste vi metta nel cuore una grande nostalgia del futuro».
 
Dopo la comunione. Signore che ci hai nutriti al convito eucaristico, fa’ che riceviamo sempre quei beni che ci danno la vera vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che dona lo Spirito di consolazione, sia sempre con noi   Amen.
Il Signore che chiama converte e redime, vi benedica e vi consoli con lo Spirito del Risorto.
Il Signore che ci rende liberi, ci riveste con sua gloria dal trono della croce.
Il Signore che è trafitto e innalzato sul legno, ci consegna il vangelo della sua Pace.
Il Signore sia sempre davanti a noi per guidarci.
Il Signore sia sempre dietro di voi per difendervi dal male.
Il Signore sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.             Amen!
 
La messa come rito «è compiuta» nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
 
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© Nota: Domenica 12a del Tempo Ordinario –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 20/06/2010 – San Torpete – Genova
 


[1] «24Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. 25Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, 26vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. 27Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme» (Ez 36,24-27; cf M. Delcor, «Un probleme de critique textuelle et d’exégèse: Zc 12,10», in Rev Bibl 1951, 189-199). A sua volta Ez 36,25-27 è un richiamo di Geremia: «Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova … 33Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ger 31,31-34).
[2] Altre corrispondenze con Ezechiele: il lutto di Zc 12,10 è corrispondente al pentimento di Ez 36,21 e la sorgente di cui in Zc 13,1 è equivalente all’aspersione di Ez 36,25.
[3] Come si vede ci troviamo di fronte ad una teologia molto alta perché descrive la conversione o il pentimento come un dono di Dio e questo dipende dalle fede del Servo di Yhwh che offre gratuitamente se stesso. E’ il cuore dell’abisso di Dio, un amore a perdere senza scampo.
[4] Per il commento esegetico di Mt 16,13-20 v. Domenica 21a del tempo ordinario-A; per Mc 8,27-30 v. Domenica 24a del tempo ordinario-B.
[5] Due città portano il nome «Cesarea»: una, «Cesarea Marittima», si trova sulle rive del Mare Mediterraneo e fu costruita da Erode il Grande (73-4 a. C.) in onore di Cesare Augusto (63 a. C.–14 d. C.).  Essa fu la capitale della provincia romana di Giudea e Samarìa (At 12,19; 23,33; 25,1-6.13). Vi risiedeva ufficialmente il governatore romano, che andava a Gerusalemme solo se necessario e in occasione delle feste importanti, in modo particolare per la Pasqua: in questo caso aveva dimora nella fortezza Antonia sulla spianata nord del Tempio, nell’attuale II stazione della Via crucis presso lo Studium Biblicum Franciscanum. A Cesarèa Marittima, Pietro aprì il cristianesimo ai Pagani nella casa di Cornelio, liberandolo dal particolarismo giudaico (cf At 10). L’altra «Cesarea», a cui si riferisce il vangelo di oggi, è «Cesarea di Filippo», situata a nord della Galilea, nelle odierne alture del Gòlan, l’antica Iturèa, a km 150 da Gerusalemme e km 55 da Damasco. Vicino a Cesarea di Filippo, anticamente chiamata Fámium o Pánias, sgorgano le sorgenti del Giordano, dedicate al dio Pan che vi era venerato. Oggi si chiama Bánias. Nel 200 a. C. Antioco III il Grande (223-187 a.C.) l’annesse al regno greco selèucida che governava la Palestina.  Erode il Grande nel 20 a. C. vi eresse un tempio in onore di Cesare, ma la costruzione della città si deve al figlio, Filippo il tetrarca,  prozio di Salòme, figlia di Erodiade, sua moglie che lo abbandonò per sposare il cognato Erode Antìpa da cui pretese la morte di Giovanni Battista (cf Mc 6,17-29). Si chiama «di Filippo» per distinguerla dalla «Cesarea Marittima».
[6] B. Willaert, «La connexion littéraire entre la première prédication del passion e la confession de Pierre chez les synoptiques», in Eph. Th. Lov., 1956,24-45.
[7] «Prese la ferma decisione: il testo greco dice alla lettera “indurì il suo volto”, espressione che nei profeti indica l’attitudine ad affrontare con coraggio gli avversari, a motivo della parola di Dio» (Bibbia-Cei 2008, nota a.l.)
[8] Il vangelo di Lc riporta, più degli altri, molti riferimenti alla preghiera di Gesù, tanto che, isolando i singoli passi e mettendoli insieme, si potrebbe ricavare un autentico «vangelo della preghiera»: v. p. es.: Lc 3,21 (battesimo); Lc 5,16; 9,18; 11,1 (luoghi isolati); Lc 6,12 (notte in preghiera); Lc 9,28.29 (trasfigurazione) Lc 22,31.32 (prega su Pietro) Lc 22,41.44.45 (Getsèmani).
[9] Desumiamo lo schema, adattandolo alle nostre esigenze da R. Meynet, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, Edizioni Dehoniane, Roma 1994, 320-333.


Mercoledμ 16 Giugno,2010 Ore: 14:48
 
 
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