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ISSN 2420-997X

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www.ildialogo.org Domenica 5a di Pasqua C -2 maggio 2010,di don Paolo Farinella, prete

Domenica 5a di Pasqua C -2 maggio 2010

di don Paolo Farinella, prete

Domenica 5a di Pasqua C -2 maggio 2010
 
MEMORIA DI SAN TORPETE
 
L’«ACCADEMIA DEI VIRTUOSI»
 
ensemble della Scuola Giuseppe Conte
 
e Cappella Musicale della Parrocchia di San Torpete
 
esegue
 
MISSA BREVIS IN SI MINORE(TWV 9:14)
di Georg Philipp Telemann (1681-1767)[1]
 
Direttore: M°. Luca Franco Ferrari
 
Daniela Lavagna, Contralto
 
Coro:
Iolanda Barbieri, Laura Basso, Flavia Boero, Enza Buonajuto
Alberto Cerin, Luana D’Alessio, Marta De Cecco, Alessandra Gattino
Mariella Giarrizzo, Antonella La Capria, Domenica Luzio, Patrizia Melo
Didi Milano, Marina Mucci, Lodovica Raggi, Raffaella Romano
Viviana Scandurra, Gianna Tonetto, Cinzia Vassallo
 
 
Massimiliano Patetta, violino I
Fabio Francia, violino II
 
 
Nicola Paoli, violoncello
Federico Bagnasco, violone
Roberto Salsedo, organo
 
Ingresso:  George Philipp Telemann (1681-1767)
Choral manualiter CHRISTUS, DER UNS SELIG MACHT
 
Introduzione alla liturgia
Il tempo che intercorre tra Pasqua e Pentecoste è idealmente collegato al tempo che intercorse tra la Pasqua di liberazione dall’Egitto e l’arrivo al monte Sinai dove Israele riceve la Toràh. Nella domenica 5a dopo Pasqua-C abbiamo nel vangelo un piccolo indizio che vedremo subito. Tra Pasqua e Pentecoste corrono cinquanta giorni, cioè sette settimane di giorni che possiamo collegare alla quarantena che Mosè trascorse sul monte Sinai per ricevere sia la Toràh scritta che la Toràh orale. In forma sintetica noi diciamo che sul monte Sinai fu stabilita l’alleanza tra Dio e il suo popolo nel segno visibile delle dieci parole che sono i comandamenti. Dieci comandamenti come dieci sono le volte che in Gen 1 ricorre il verbo «disse» pronunciato da Dio per creare il mondo. Dio ha creato il mondo con dieci parole, così pure dieci sono le «generazioni-toledòt» dei Patriarchi, elencate nel libro della Genesi e infine dieci sono parole (comandamenti) con lo stesso Dio crea Israele e lo costituisce «popolo e nazione».
Gesù nel vangelo di oggi parla di un solo comandamento, quindi di una sola «parola» che non riguarda il comportamento, ma l’essenza stessa della vita umana: l’amore. Vivere è amare e senza amore c’è solo la tenebra e la desolazione. Nella logica della incarnazione del Lògos e quindi della rivelazione «nuova», Dio non ha più bisogno di pronunciare dieci parole. Ne basta una soltanto: «Dio è Amore» (1Gv 4,8). E’ sufficiente prendere coscienza di questa realtà per conoscere la verità di Dio; basta ripetere e rendere visibile questo amore per rendere riconoscibile e credibile Dio. Il termine comandamento è impegnativo perché indica la caratteristica normativa della volontà di Dio sia nell’AT che nel NT: è una legge, cioè una regola, una norma, un criterio, un metodo. Senza di esso nulla può coesistere.
Nella 1a lettura degli Atti abbiamo un elenco di città e villaggi visitati da Paolo nel suo 1° viaggio missionario. Questo arido elenco di città è rivelatore della straordinaria ricchezza della vita di fede perché ci insegna che nessuno di noi è estraneo alla propria geografia che invece condiziona la nostra crescita, il nostro sviluppo e la nostra fede. Potremmo dire da un punto di vista teologico che non è indifferente alla qualità della nostra vita cristiana, la «geografia della fede». Qual è la nostra geografia? Quali sono i posti che sono stati decisivi per la vita di ciascuno? Qual è il luogo fisico, materiale che fu testimone di un sentimento, di una decisione, di un fallimento, di una tragedia, di un cambiamento, di una conversione? Per ogni atto interiore dell’anima c’è un luogo preciso che possiamo e dobbiamo cogliere, pena la perdita di una parte importante della nostra vita.
Quando una coppia è in crisi, prima di sedersi sul malessere dovrebbero fare una visita ai luoghi del loro primo incontro, ai luoghi dell’innamoramento e poi riparlare della crisi: la visita ai luoghi e la memoria che conservano spesso dànno una nuova prospettiva. Come sa il profeta Osea (v. c. 2), la geografia fissa i movimenti dell’anima e del cuore. Noi portiamo sempre dentro di noi i luoghi che abbiamo vissuto, abitato, amato, odiato, temuto, desiderato perché noi siamo la nostra geografia e Dio era già lì ad aspettarci prima ancora che noi vi giungessimo perché uno dei Nomi con cui la tradizione giudaica chiama Dio in sostituzione dell’impronunciabile Yhwh, è appunto «Il Luogo-Ha-maqòm». Se Dio è il «Luogo» significa che si può abitare, cioè sperimentare come Gesù invita a fare i due discepoli del Battista i quali «videro dove abitava» (Gv 1,39). L’Eucaristia è il «Luogo» e l’ultima tappa geografica dove noi facciamo la sintesi della storia e della geografia della nostra fede. Qui veramente possiamo incontrare Dio che si fa prossimo: Parola, nutrimento, bevanda e speranza compiuta. Di tutto questo mediteremo domenica prossima.
Anche la 2a lettura, un brano dell’Apocalisse, parla di «dimora» e quindi un posto reale e vivibile, con una particolarità: essa è « Dimora di Dio» e si muove dal cielo verso la terra per fare da cornice ad una relazione sponsale. Per l’Apocalisse è la versione nuova della tenda del convegno che accompagnava la peregrinazione di Israele nel deserto: Dio è accessibile nella dimensione familiare di una casa, di una dimora. Narra il Midrash alla Genesi che La «Dimora/Shekinàh» si allontanò dalla terra e salì al cielo ad ogni generazione di peccatori, ma ridiscese e si stabilì sulla terra ad ogni generazione di Giusti[2]. Nelle nostre mani è la presenza o l’assenza di Dio nella storia.
Non tutto ciò che è reale è visibile e per questo viviamo nel regime «sacramentale» che è un modo per vivere senza limiti di spazio e di tempo la relazione fondamentale che nell’Eucaristia trova il suo punto di arrivo e di partenza: la Parola come luogo della conoscenza e il Pane e il Vino, alimenti ordinari dell’umanità, come luogo della incarnazione del Lògos che definitivamente ancora la Dimora sulla terra e alla speranza degli uomini. Egli è «già» qui, ma «non ancora» da noi profondamente incontrato perché siamo in attesa dello Spirito che c’insegnerà ogni cosa (cf Gv 14,26), quello Spirito che noi invochiamo ogni domenica affinché ci guidi e ci sostenga in questo cammino verso la «dimora» di Dio con noi.
 
Spirito Santo, tu disegni la geografia del vangelo guidando i passi di Paolo e Bàrnaba,        Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu animi gli apostoli perché sappiano rinsaldare la fede dei credenti, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la guida della Chiesa attraverso coloro che chiami al servizio,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu riporti sempre Paolo e Bàrnaba all’origine che è la comunità,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il contenuto della relazione di Paolo e Bàrnaba alla comunità, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la misericordia di Dio che si fa grazia e tenerezza consolante,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu ispiri i popoli di ogni lingua e nazione a lodare il Signore Dio,                   Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la bontà che il Padre nel Figlio sparge sull’umanità intera,                     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la visione che apre ai cieli nuovi e alla nuova terra del Risorto, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la nuova Gerusalemme che scende dal cielo, come una sposa, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la dimora di Dio con noi perché abiti in cuore di ogni vivente, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la mano di Dio che asciuga ogni lacrima di chi è nel dolore,     Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei al novità di Dio che rinnova tutte le cose e il cuore di ciascuno,           Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu glorifichi il Figlio davanti al Padre e il Padre nella vita del Figlio,  Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei la gloria del Figlio che il Padre effonde nei cuori di chi crede, Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’Amore che unisce il Padre al Figlio e il Figlio al Padre,                       Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei l’amore che immerge noi nel Padre per mezzo del Figlio,                      Veni, Sancte Spiritus.
Spirito Santo, tu sei il comandamento dell’amore che ci svela discepoli del Signore,           Veni, Sancte Spiritus.
 
Ognuno di noi ha bisogno di uno spazio vitale per essere ed esprimere se stesso. E’ uno dei diritti fondamentali della persona. Non tutti oggi possono esercitare questo diritto allo spazio e al tempo come dimensione spirituale. Molte persone, molti popoli non solo hanno negato questo diritto, ma anche la possibilità di accedervi perché in lotta per la sopravvivenza. Non ci può essere incontro con Dio se prima non c’è un incontro con se stessi, nella consapevolezza del proprio stato e della propria condizione. Vogliamo chiedere al Signore che ci dia sempre la coscienza del nostro limite e anche della nostra abbondanza perché ciò di cui abbondiamo è un furto a coloro che mancano del necessario. Entriamo in questa dimensione di condivisione della dignità nel Nome della Trinità
 

(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.

 
Invochiamo il perdono di Dio per tutte le nostre omissioni, per tutte le nostre insufficienze, per ogni volta che pensiamo di non essere in grado di realizzare l’immagine che Dio ha impresso nella nostra anima. Noi sappiamo che la presenza dello Spirito Santo in noi ci dà la garanzia della nostra autenticità e anche del diritto di accedere al perdono di Dio. Lo facciamo per i meriti di Gesù Cristo che ha dato se stesso per noi, come continua a fare oggi nella Santa Eucaristia.
 
[Alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]
 
 
[Seduti]Cappella Musicaledi George Philipp Telemann
 
Missa Brevis TVWV 9:14
KYRIE
Per contralto, coro, due violini e continuo
 
[Se non c’è la Cappella si proclamano le seguenti invocazioni]
 
[Signore, per tutte le volte che non abbiamo saputo riconoscere la tua presenza,                              Kyrie, elèison.
Cristo, Agnello di Dio, fondamento della Dimora celeste che discende sulla terra,              Christe, elèison.
Signore, per tutte le volte che abbiamo anteposto le nostre convenienze al tuo comandamento,      Pnèuma, elèison.
 
Dio onnipotente che ha guidato Paolo e Bàrnaba per il territorio della Turchia antica fino alla Siria, a piantare l’evangelo delle Genti, per i meriti dei santi Apostoli e le sante Apostole di tutti i tempi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna. Amen.]
 
 
Cappella Musicaledi George Philipp Telemann
 
Missa Brevis TVWV 9:14
GLORIA
Per contralto, coro, due violini e continuo
 


Gloria in excelsis Deo
GLORIA A DIO NELL’ALTO DEI CIELI…
Et in terra pax hominibus bonæ voluntatis.
e pace in terra agli uomini di buona volontà.
Laudamus Te, benedicimus Te, adoramus Te, glorificamus Te,
Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti adoriamo, ti glorifichiamo,
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam, Domine Deus, Rex cœlestis, Deus Pater omnipotens.
ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa, Signore Dio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente.
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe,
Signore, Figlio Unigenito, Gesù Cristo, 
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris:
Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del padre:
Qui tollis peccata mundi miserere nobis;
tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi;
Qui tollis peccata mundi suscipe deprecationem nostram,
tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica;
Qui sedes ad dexteram Patris miserere nobis.
tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi
Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus,
Perché tu solo il Santo, tu solo il Signore,
Tu solus Altissimus, Jesu Christe,
tu solo l’Altissimo: Gesù Cristo,
Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
con lo Spirito Santo, nella gloria di Dio Padre. Amen.

 
Preghiamo (colletta). O Dio, che nel Cristo tuo Figlio rinnovi gli uomini e le cose, fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità, per amare te e i fratelli come tu ci ami, e così manifestare al mondo la forza rinnovatrice del tuo Spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima lettura At 14,21-27. Negli anni 45-48 d.C. Paolo insieme a Bàrnaba intraprende il 1° dei suoi tre viaggi apostolici. Egli percorre la parte orientale e meridionale dell’attuale Turchia e alla fine ritorna in Siria, ad Antiochia, da dove era partito. Sembra un testo arido, ma l’elenco delle città espone la geografia del vangelo che al tempo di Paolo era fiorente, mentre oggi restano solo alcune pietre come mute parole. Paolo ha a cuore l’organizzazione ordinata di ogni comunità affidata ad «anziani», ma l’ultima parola è de la comunità dalla quale Paolo e Bàrnaba sono mandati. L’organizzazione non è in funzione di se stessa, m, ridotta al minimo essenziale, dove tendere a rafforzare la comunità che vive in mezzo a difficoltà e prove. Per Paolo la grande consolazione consiste nel fatto che i Pagani accolgono il Vangelo che è il Cristo Gesù.
 
Dagli Atti degli apostoli At 14,21-27
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba 21 ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, 22 confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». 23 Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. 24 Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia 25 e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; 26 di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. 27 Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. - Parola di Dio.
 
Salmo responsoriale 145/144, 8-9; 10-11; 12-13. Il salmo 145 è un salmo alfabetico ed è un centone di altri salmi, centrato sulla lode a Dio che si trova come apertura e chiusura dell’intero salmo. E’ l’ultimo del salterio che i rabbini attribuiscono a Davide. Il v. 8 è ispirato a Es 34,6-7 dove sono elencati i tredici attributi di Yhwh[3]. L’Eucaristia che offriamo con la Chiesa per il mondo è la «lode» per eccellenza perché non offriamo olocausti o parole, ma il Figlio stesso che diventa Parola di redenzione e di benedizione. Entriamo in questa lode per diventare noi stessi inno reale del Dio vivente.
 
Rit.Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

1. 8 Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
9 Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Rit.
11 Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. Rit.
3. 12 Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
2. 10 Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
13 Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni. Rit.


Seconda lettura Ap 21,2-5a. Il testo di oggi riprende un’idea cara al Giudaismo della diaspora. Ispirandosi a Is 6 dove il profeta vede il Tempio celeste di Dio, il Talmud elabora un’idea di città santa «che scende dal cielo» (Yerushallaim shel maalàch): Dio si dichiara così solidale con il suo popolo esiliato che giura di non entrare nella Gerusalemme celeste prima di avere varcato la soglia di quella terrestre ricostruita (bTanhuma 5a). Nell’apocrifo di Enoch (90,28-29) e 4 Esdra (7,26; 10,54) si parla espressamente di una Gerusalemme celeste che scende dal cielo alla fine dei tempi. Il rito di Pasqua e di Yom Kippùr termina ogni anno con l’augurio «l’anno prossimo a Gerusalemme» (Hashanàh haba’ah Birushalàim). Abbiamo già ricevuto la città santa che per noi è questo altare da cui scende per noi «il Pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51). Qui è l’anticipo e il germe della nuova creazione.
 
Dal libro dell’Apocalisse di Giovanni apostolo Ap 21,2-5a
Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate». 5a E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». - Parola di Dio.
 
Vangelo Gv 13,31 -33a.34-35. Brano dei discorsi di addio che contengono in qualche modo il testamento proprio di Gesù[4]. L’amore di cui parla Gesù non è un suggerimento o una esortazione. Esso è un «comandamento nuovo» (entolê kainê) a riprova che Gesù parla con la stessa autorità di Yhwh che ha dato i dieci comandamenti a Israele come cornice e prospettiva di vita. Gesù non si colloca sul piano morale, ma il termine greco «entolê» esprime qui la missione degli apostoli come continuità di quella sua (cf Gv 10,18; 12,49-50; 14,31). La «novità» non riguarda il culto, ma «l’Agàpē» che diventa così la struttura stessa della Chiesa, l’unica istituzione che può testimoniare il volto di Dio che «è Agàpē» (1Gv 4,8). Esso costituisce l’ambito in cui può essere glorificato Dio e il Figlio. L’ Agàpē è la vera manifestazione e rivelazione di Dio e noi ne siamo i garanti solo ne siamo i testimoni credibili attraverso il «segno» di una vita d’amore.
 


Canto al Vangelo Gv 13,34.
Alleluia. Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: / come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Alleluia.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 13,31 -33a.34-35
31 Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32 Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33 Figlioli, ancora per poco sono con voi. 34 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35 Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». - Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
Affinché la «glorificazione» avvenga, è necessario che Giuda esca dal cenacolo. Non può esserci gloria dove c’è il tradimento e non può esserci cenacolo, cioè condivisione e intimità, dove c’è stata volontà di abbandono. Giuda rappresenta la visione parziale della storia della salvezza perché probabilmente con il suo gesto di tradimento voleva forzare la mano e costringere Gesù a manifestarsi. La logica di Giuda non è però la logica di Dio e mai come adesso: «8I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. 9Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,8-9). Ci vuole un certo contegno anche nei momenti tragici della vita: non può esserci Giuda quando il Signore deve annunciare la novità del comandamento: l’amore esige sempre aria pulita.
Nel brano del vangelo odierno, per cinque volte ricorre il verbo «glorifico – doxàzō» e per quattro volte il tema dell’«amore – agapàō/agàpē»[5]. In tutto il vangelo su un totale di 42 occorrenze, troviamo il verbo e il sostantivo ben 14 volte solo nei discorsi di addio (cc. 14-16) che è una insistenza martellante. Da un punto di vista letterario la questione è delicata perché significa che Gv attribuisce grande importanza a questi due temi che nel contesto della fine della vita di Gesù che può essere il suo testamento spirituale. Andiamo per ordine.
Il verbo «glorificare», in italiano deriva dal latino «gloriam fàcere – rendere gloria/onore» a qualcuno. Nel greco del NT, specialmente in Gv, il termine «dòxa» traduce l’equivalente ebraico «kabòd» che nella radice fondamentale (kbd) contiene l’idea di «essere pesante/consistente». Le lingue semitiche sono lingue descrittive di ciò che esiste in natura, non sono speculative o astratte. Per l’orientale un uomo esile o una donna magra non valgono nulla, sono essere inconsistenti, senza «gloria» perché «senza peso». L’uomo onorabile deve essere «pesante», cioè deve avere una sua esistenza consistente e visibile: per questo il banchetto del faraone o del re è sempre imbandito con «grasse vivande» (cf Is 25,6; Ne 8,10; Gb 36,16). Nel sec. I, una donna in procinto di sposarsi veniva ingrassata perché la sua dote era in proporzione al peso, cioè alla sua gloria, alla sua consistenza.
Quando si parla di «gloria di Dio» s’intende che Dio è la persona che possiede la consistenza al massimo grado e quindi è l’essere più «pesante» che si possa immaginare. La sua esistenza è talmente solida che la sua stabilità è il fondamento dell’esistenza di tutto il creato. Come Creatore Dio ha l’essere più pieno e più sicuro. In Gv la «glorificazione» del Figlio significa accedere alla consistenza del Padre, cioè partecipare alla sua natura divina e condividerla nell’eternità. L’espressione «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31) significa che l’ora della morte è la rivelazione definitiva della vera identità del Figlio che manifesta a sua volta la natura, la consistenza del Padre: il Figlio e il Padre sono una cosa sola. Per Gv la glorificazione del Figlio sulla croce corrisponde alla teofania di Yhwh sul Sinai:
-         là Dio era invisibile al popolo; qui Dio è spalancato allo sguardo di tutti.
-         là il popolo è ai piedi del monte; qui non tutti sono in grado di capire.
-         là Dio parla attraverso il profeta Mosè; qui si manifesta direttamente e lui stesso si fa «Lògos».
-         là la natura partecipa alla gloria di Dio; qui la natura si oscura in segno di lutto per la morte di Dio.
Per vedere Dio bisogna contemplare la croce e tutto il suo obbrobrio perché Dio può essere visto solo nella scandalo e nell’annullamento della dignità del Figlio. Gli occhi della natura difficilmente sanno vedere Dio in un crocifisso, solo la grazia e lo sguardo della fede sa oltrepassare la cortina dell’orrido per vedere la visione di un Dio annientato e per questo e solo per questo «glorioso».
La croce è l’albero della gloria che domina nel nuovo giardino di Eden. L’ora della morte in croce coincide con il massimo di gloria, cioè di essere consistente e solido. E’ il paradosso del Dio di Gesù Cristo.
In quest’ottica, si comprende anche la seconda parte del brano di oggi dove parla di «comandamento nuovo». Gesù dà un comandamento come Yhwh dava i comandamenti ad Israele, le dieci parole del Sinai. Un comandamento nuovo significa andare oltre il precedente e Gesù poteva essere accusato di apostasia: il suo linguaggio è inaudito. Chi può arrogarsi il diritto di parlare di «nuovo» comandamento? Eppure Gesù non dà solo «un comandamento nuovo», ma addirittura egli viene a portare «una nuova alleanza» (Lc 22,20; 1Co 11,25; ecc. cf Ger 31,31). Il contenuto di questo comandamento è l’agàpē cioè l’amore senza corrispettivo.
Solo nel contesto della «nuova alleanza», Gesù può lasciare come testamento «un comandamento nuovo» perché nell’economia antica l’agàpē era limitata al «prossimo» ( cf Lv 19,18), cioè a coloro che fanno parte di una struttura affettiva all’interno di una rete sociale che si chiama popolo di appartenenza. Il prossimo nel contesto di Levitico è il prolungamento sociale del proprio essere. Amare il prossimo diventa così una norma legale e una regola morale: non si può essere israeliti senza amare gli altri israeliti.
Con Gesù questo confine salta perché l’amore per il prossimo diventa «il sacramento» missionario con cui i discepoli dopo la risurrezione rendono visibile Gesù risorto. In sostanza l’agàpē che ci lascia Gesù nel suo testamento ha lo stesso valore sacramentale dell’Eucaristia. Non è un caso che Gv sostituisce il racconto dei sinottici che riportano la narrazione dell’istituzione dell’Eucaristia con la lavanda dei piedi che è il gesto di agàpē del Maestro che dà l’esempio nella sua missione di servizio. L’Agàpē è il nuovo volto del Signore risorto. Dopo la risurrezione non si ama per benevolenza, per dovere, per necessità o per obbligo. Nella nuova alleanza si ama perché «Dio è Amore/Agàpē» (1Gv 4,8). Nient’altro. La missione della Chiesa nel mondo è solo questa: portare a tutti l’amore di Dio, rendere visibile in tutti l’amore che vi è seminato e facilitarne la condivisione e la testimonianza. Un missionario non impianta strutture di assistenza, di sostegno allo sviluppo, di crescita sociale e civile per fare proseliti o per rendere appetibile la sua chiesa. Sarebbe un atto di prostituzione. Un missionario fa tutto quello per rendere visibile Dio che è amore attraverso l’amore di chi crede, dicendo a chi riceve che egli è così importante da mandare un messaggero speciale per lui.
Viviamo in un tempo in cui altre preoccupazioni predominano dentro e fuori la Chiesa: molti sono proiettati verso sedicenti progetti culturali per dare alla società una impronta «cristiana», come se potessero tornare i tempi passati e non si accorgono che così facendo riducono lo scandalo del crocifisso e l’irrazionalità dell’agàpē in un fatto esteriore di cultura e di atteggiamento che oggi sono e domani scompariranno. Il mondo di oggi affogato nell’odio e nelle guerre, è orfano di amore e noi non sappiamo dare che surrogati nemmeno allettanti. L’Eucaristia esige che torniamo alla sorgente della vita e della missione che è solo il comandamento di Gesù: amatevi perché Dio è solo Amore e alla fine della vostra storia sarete pesate sulla bilancia dell’amore. Amare è più importante di credere e sperare (1Cor 13,13) perché la fede e la speranza finiranno, mentre l’Amore è il Nome eterno di Dio.
 
PROFESSIONE DI FEDE
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre?                                              Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna?                                                   Credo.
Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa è la fede nella quale siamo stati battezzati e siamo rinati. Questa è la fede che noi ci gloriamo di professare, in Cristo Gesù nostro Signore. Amen
 
Preghiera dei Fedeli [Intenzioni libere]
 
LITURGIA EUCARISTIACA
Scambio della pace. Prima di presentare le offerte all’altare, ascoltiamo la Parola del Signore: «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Questa Parola è per noi un comandamento perché nessuno può celebrare il Signore nell’Eucaristia senza avere partecipato il perdono che abbiamo ricevuto. Lasciamo convertire dalla grazia di Dio.
 
La Pace del Signore sia con Voi       E con il tuo Spirito
Scambiamoci un gesto sincero di pace e di accoglienza.
 
Invochiamo il dono della pace che ci siamo scambiati su di noi, sulle persone che amiamo, che ci fanno soffrire, sulle nostre famiglie, sulla Chiesa e sul mondo, dicendo tutti insieme:
 
Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi do la pace, vi do la mia pace”, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
[La raccolta abbia un senso sacramentale di condivisione con la parrocchia che viene incontro a chi ha bisogno senza rumore]
 
[Seduti]  Cappella Musicale di George Philipp Telemann
 
Choral manualiter, HERLICH TUT MICH VERLANGEN
 
Presentazione delle offerte [la benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna.                         Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
 
Preghiamo (sulle offerte preparate). O Dio, che in questo scambio di doni ci fai partecipare alla comunione con te, unico e sommo bene, concedi che la luce della tua verità sia testimoniata dalla nostra vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.
PREGHIERA EUCARISTICA III
Prefazio Cristo sempre vive e intercede per noi
 
Il Signore sia con voi.             E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore, nostro Dio.        E’ cosa buona e giusta.
 
E’veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, proclamare sempre la tua gloria, o Signore, e soprattutto esaltarti in questo tempo nel quale Cristo, nostra Pasqua, si è immolato.
Paolo e Barnaba rianimavano i discepoli esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio (At14,21.22).
Egli continua a offrirsi per noi e intercede come nostro avvocato: sacrificato sulla croce più non muore, e con i segni della passione vive immortale.
Agnello di Dio che prendi su di te il peccato del mondo, dona a noi la vita. Osanna nell’alto dei cieli.
 
Per questo mistero, nella pienezza della gioia pasquale, l’umanità esulta su tutta la terra, e con l’assemblea degli angeli e dei santi canta l’inno della tua gloria:
Benedetto nel Nome del Signore colui che viene, il Santo d’Israele, nostro scudo. Osanna nell’alto dei cieli. Santo, santo, Santo sei tu, Signore, Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
 
Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.
Come i cristiani di Antiochia anche noi siamo riuniti nella santa Eucaristia, andiamo nel mondo a riferire quello che il Signore ha compiuto nella nostra vita (cf At 14,27).
 
Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo, perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri.
Buono sei, Signore, verso tutti, la tua tenerezza si espande su tutte le creature (cf Sal 145/144,9).
  
Nella notte in cui fu tradito, egli prese il pane, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzo, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO É IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
«Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli» (Sal 145/144,10).

Dopo cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:PRENDETE E BEVETENE TUTTI: QUESTO É IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI.
Nell’Agnello immolato, anche noi vediamo la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo (cf Ap 21,2).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
«Ecco io faccio nuove tutte le cose» dice il Signore (cf Ap 21,5a).
 
Mistero della fede.
Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta.

 
Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie questo sacrificio vivo e santo.
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (Ap 21,3).
 
Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito.
«E’ lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la Verità» (1Gv 5,6).
 
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio, con i tuoi santi apostoli, i gloriosi martiri, e tutti i santi, nostri intercessori presso di te.
«Il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui» (Gv 13,31).
 
Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il Vescovo Angelo, il collegio episcopale, il clero e il popolo che tu hai redento.
«Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi»  (Gv 13,32-33).
 
Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
«Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; [ricordiamo i nostri defunti]… concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene.
Tu, Signore, Dio nostro Padre, asciugherai ogni lacrima dai nostri occhi e non vi sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate nella novità del tuo Cristo (cf Ap 21,4).
 
Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te, Dio Padre onnipotente, nell’unita dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli.
Amen.
 
Padre nostro in aramaico o in greco:
Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli
Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non indurci in tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male. Amen!
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla comunione Gv 13,34: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi», dice il Signore. Alleluia.
 
 
Cappella Musicale: COMUNIONE: George Philipp Telemann
 
Geistliche Cantaten, EWIGE LIEBE
Per contralto, coro, violini e continuo
 
Dopo la comunione
Di Ernesto Balducci, Gli ultimi tempi [Fonte: «Giorno per giorno», Comunità del bairro del Goiás, Brasile]
Il cristiano è colui a cui preme non soltanto la liberazione di sé, ma la liberazione di tutti i fratelli, e non solo quelli della sua patria, della sua classe, ma di tutti gli uomini, anzi di tutte le creature del mondo, perfino delle creature inanimate e perfino dei fiori, dei fiumi, dei monti, della natura tutta. La caratteristica specifica dell’annuncio cristiano, che malamente definiamo annuncio religioso, è infatti la sua cosmicità. Questa è la natura della fede. Ecco perché il conflitto con i poteri è inevitabile, dato che la logica interna del potere è di custodire il mondo com’è, a vantaggio di coloro che lo posseggono. Nonostante tutte le simulazioni, i paternalismi, lo stato assistenziale, la logica interna al potere è la conservazione dell’ordine universale, che è invece un disordine spaventoso. Se lo guardiamo dal «centro» sembra un ordine, che si tutela con le armi, i missili, le flotte… ma se lo guardiamo dalla «periferia» è un disordine intollerabile. La fede pasquale ci porta dunque a rimettere insieme i due aspetti che noi tendiamo a separare: la sofferenza nell’impegno per la liberazione totale del mondo – questa è la croce – e la gioia della certezza che questa vittoria è stata ottenuta, che in Gesù Cristo questo trionfo è avvenuto e che a noi tocca realizzarlo nella vastità della storia, quale che sia la nostra collocazione nelle sue latitudini e longitudini.
 
Preghiamo. Assisti, Signore, il tuo popolo, che hai colmato della grazia di questi santi misteri, e fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto
Il Signore che invia gli apostoli nel mondo intero, ci benedica e ci protegga,                                               Amen.
Il Signore che determina la nostra geografia della nostra vita, ci custodisca nella sua gloria,                        Amen.
Il Signore che porta sulla terra la Gerusalemme celeste, pronta per le nozze, sia con noi,                            Amen.
Il Signore che asciuga ogni lacrima, consolando chi soffre in silenzio, ci rinnovi nel cuore,                       Amen.
Il Signore risorto che glorifica il Padre e da lui è glorificato, sia davanti a voi per guidarvi,             Amen.
Il Signore risorto che ci dà il comandamento dell’amore, sia dietro di voi per difendervi dal male, Amen.
Il Signore risorto che nell’amore rinnova tutte le cose, sia accanto a voi per confortarvi e consolarvi,        Amen.
 
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
sia con tutti voi e con voi rimanga sempre. Amen
 
Termina qui la celebrazione del sacramento dell’Eucaristia, inizia ora l’Eucaristia nella vita, portate a tutti frutti di risurrezione e di pace. Andiamo in pace.       Rendiamo grazie a Dio.
 
uscita: di George Philipp Telemann
 
Choral manualiter, SCHMUCKE DICH, O LIEBE SEELE
 
 
 
 
 
 
Appendice
Osare la speranza
di don Andrea Gallo[6]
 
«C’è una parola d’ordine che ci ha lasciato la Resistenza ed è sempre attuale: “Osare la speranza”. Il trasformismo è dilagante: leggi per interessi privati, legislazione xenofoba e razzista, la scuola al bando, il lavoro indifeso, senza futuro, la magistratura vilipesa, la sanità, la litigiosità dei partiti politici, le divisioni nei sindacati. Si vogliono uccidere le istanze collettive, l’essere insieme, l’essere in sé, cioè la coscienza critica. Si vogliono rendere invisibili tutti i diversi: migranti, zingari, handicappati, tossici, anziani, minori, malati mentali, prostitute, disoccupati. È la primavera del ’45 che ci deve stimolare.
Tutta la Resistenza non è venuta a “predicare” la verità, è venuta a testimoniarla. Fermi sulla sua verità storica, si potrà evidenziare il suo carattere di riconciliazione. Le vetrine della Resistenza sono giustamente mute a chi non le investe d’una partecipazione presente, qui e ora. Una partecipazione democratica sul lavoro, nei sindacati, nei partiti, nei quartieri, nei movimenti, senza avanguardismi, senza egemonie. Possiamo imparare dalla Resistenza, nell’esatta misura in cui desideriamo un domani con i grandi temi irrinunciabili: lo stato sociale, la cultura della pace».
 
 
 
 
 
 
 
_______________________________
© Nota: Domenica 5a del Tempo pasquale –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Genova, Paolo Farinella, prete 02/05/2010 – San Torpete – Genova
 


[1] Compositore e organista tedesco, Georg Philipp Telemann (1681-1767) alla sua epoca godette di fama notevolissima tanto da essere considerato uno dei maggiori musicisti tedeschi. Contemporaneo di Bach e Handel, a quest'ultimo fu legato da profondi e saldissimi vincoli, e fu lo stesso Handel a definirlo «amico fraterno» Iniziò la sua carriera musicale a Lipsia, dove fondò il celebre «Collegium Musicum» diretto anche da Bach nei decenni successivi, e operò nelle maggiori città musicali della Germania: Eisenach, Francoforte e Amburgo dove operò per circa quarantasei anni, fondando e dirigendo nel 1728 il Getreuer Musik-Meister, primo giornale tedesco di musica. Musicista facondissimo caratterizzato da una spiccata facilità compositiva e melodica, vanta una produzione enorme: è infatti autore di migliaia di composizioni che spaziano in tutti i generi della musica sacra e profana, distinguendosi nell’opera, nella cantata, nei concerti solistici e strumentali, oltre che nei brani sonatistici per violino e flauto e nella produzione per strumenti a tastiera come clavicembalo e organo, per il quale scrisse alcuni preludi al corale come quelli in programma nella esecuzione odierna.
 
[2] «Disse Rabbi Abba bar Kahana: “La base della Dimora era sulla terra. Quando il primo uomo peccò, la Dimora si trasferì al primo firmamento; peccò Caino: si trasferì al secondo firmamento; la generazione di Enosh: al terzo; la generazione del diluvio: al quarto; la generazione della divisione [= della torre di Babele]: al quinto; i Sodomiti: al sesto; e gli Egiziani ai giorni di Abramo: al settimo. E rispetto a ciò sorsero sette giusti, e sono questi: Abramo, Isacco, Giacobbe, Levi[2], Qehat[2], Amran, Mosè. Sorse Abramo, e la fece scendere al sesto; sorse Isacco, e la fece scendere dal sesto al quinto; sorse Isacco, e la fece scendere dal sesto al quinto; sorse Giacobbe, e la fece scendere dal quinto al quarto; sorse Levi, e la fece scendere dal quarto al terzo; sorse Qehat, e la fece scendere dal terzo al secondo; sorse Amram, e la fece scendere dal secondo al primo; sorse Mosè, e la fece scendere dall’alto al basso” (Genesi Rabbà [Genesi Grande] XIX, 7: è un commento esegetico giudaico al libro della Genesi).
[3] 1. Signore; 2. Eterno; 3. Dio; 4. Pietoso; 5. Misericordioso; 6. Longanime; 7. Ricco di benevolenza; 8. Ricco di verità; 9. Conserva il suo favore per mille generazioni; 10. Perdona il peccato; 11. Perdona la colpa; 12. Perdona la ribellione; 13. Colui che assolve
[4] C. Spicq, Agapè dans le Nouveau Testament: analyse des textes, Lecoffre, Parigi 1958-59, vol. III, 170-180.
[5] Su un totale complessivo di 167 occorrenze nel NT, il tema della glorificazione nel vangelo di Gv ricorre 42 volte (25 il verbo doxàzō e 17 volte il sostantivo dòxa), mentre nell’Ap il verbo si trova solo 2 volte e 15 il sostantivo; nulla invece nelle lettere. Il tema dell’amore (nel brano di oggi, si trova tre volte il verbo agapàō e una volta il sostantivo agàpē) su un totale nel NT di 320, solo nel IV vangelo ricorre 44 volte (37 verbo e 7 volte il sostantivo), mentre nell’Ap si trova 4 volte il verbo e 2 volte il sostantivo; nelle lettere giovannee 62 volte (44 volte il verbo e 18 volte il sostantivo). Complessivamente in tutta la letteratura giovannea il tema della «glorificazione» (verbo + sostantivo) ricorre 60 volte su un totale di 167 nel NT, cioè più di un terzo, mentre il tema dell’«amore» ricorre 102 volte su un totale di 320 nel NT, cioè circa un terzo. Queste statistiche sono importanti perché da sole testimoniano che i due temi sono «ostinati»: rivestono cioè una importanza molto profonda per Gv e a noi spetta scoprire e approfondire: per questo è necessario studiare la Scrittura.
[6] [Fonte: «Resistenza, 25 aprile 1945 – 2004», sul sito della Comunità di San Benedetto:]
http://www.sanbenedetto.org/index.php?option=com_content&view=article&id=35:resistenza-25-aprile-1945-2004&catid=21:interventi&Itemid=105


Mercoledì 28 Aprile,2010 Ore: 15:49
 
 
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