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www.ildialogo.org Domenica 5a Quaresima –C– 21 marzo 2010 –,a cura di don Paolo Farinella, prete

Domenica 5a Quaresima –C– 21 marzo 2010 –

a cura di don Paolo Farinella, prete

Lentamente ci avviamo verso la notte santa di Pasqua. Oggi come pellegrini che tornano dall’esilio a casa, sostiamo all’oasi della 5a e ultima domenica di Quaresima-C, dove riceviamo le parole di consolazione del 2° Isaia che ci invita a guardare in avanti e in alto perché la Pasqua è vicina. Alla 1a lettura fa eco il vangelo odierno che è tratto da Giovanni, ma è un aggiunta posteriore, inserita malamente nel contesto del IV vangelo. Si tratta del rac­conto della donna accusata di flagrante adulterio da uomini che forse un momento prima erano stati con lei abu­sandone. Essi vogliono lapidarla in nome del formalismo della loro religione che consiste nell’eseguire alla let­tera i dettati della legge (cf Lv 20,10; Dt 22,22-24) senza domandarsi le ragioni e le cause della situazione che stanno giudicando. E’ il fonda­mentalismo: osservare ciecamente la legge materiale senza valutarne le condizioni e le circostanze collaterali, senza cuore. D’altronde anche da noi fino a poco tempo fa, i reati sessuali erano rubricati come reati contro la morale e non contro la persona.
            Una donna è stata «sorpresa in adulterio» (Gv 8,4). E’ lecito domandarsi come hanno fatto a co­glierla in flagranza perché vi sono solo due possibilità: o erano presenti e quindi complici o hanno sbirciato dal buco della serratura. In ogni caso co­noscevano bene l’indirizzo della donna. I difensori della morale pubblica pur di mettere Gesù in difficoltà non esitano a presentare la donna come un agnello sacrificale su cui scaricare le proprie colpe. La donna non si di­fende e si staglia come un gigante davanti ai suoi accusatori. Potrebbe fare i nomi dei suoi complici in adulterio, «cominciando dai più anziani» (Gv 8,9), ma non lo fa e si attorciglia nella vergogna della sua colpa resa pubblica per essere un monito esemplare: «I pubblicani e le prostitute gli hanno creduto» (Mt 21,32). L’autore lascia supporre che ce ne sarebbe per tutti: se la donna poteva cominciare ad accusare i suoi «giudici» dalla doppia morale «dai più anziani» significa che poteva proseguire fino ai più giovani, segno che la frequentazione era anche notoria.
Coloro che in pubblico difendono la morale e «i valori non negoziabili» o, se si vuole, «cattolici» e pretendono di punire l’adultera o le prostitute o i ladri o i clandestini sono gli stessi che in privato, clandestinamente frequentano le prostitute, rubano e vilipendono quei valori che dovrebbero difendere. Il vangelo di oggi ci dice che è intollerabile questa schizofrenia etica che è principio di deriva e di dissoluzione morale e sociale. Oggi, guardando all’«icona» della povera adultera, non pos­siamo non essere solidali con tutte le donne che in tutto il mondo sono vittime di violenze sessuali da quegli uo­mini che subito dopo ne decretano la condanna a morte, anche per lapidazione, purché si salvi la facciata esterna di una morale immorale. La donna potrebbe fare sue le parole del salmista: «Mi circondano tori numerosi, mi accerchiano grossi tori di Basan. Spalancano contro di me le loro fauci: un leone che sbrana e ruggisce. Io sono come acqua versata, sono slogate le mie ossa. Il mio cuore è come cera, si scioglie in mezzo alle mie viscere … un branco di cani mi cir­conda, mi accerchia una banda di malfattori» (Sal 22/21,13-15.17).
            L’insegnamento di Gesù a cui fa eco e da sponda la 1a lettura è semplice: la disperazione non è un senti­mento legittimo perché è estraneo al progetto di vita di ogni persona. Il motivo è elementare: di ciascuno di noi Dio si fa carico e quando sembra che tutto sia perduto perché la morte è nelle pietre che sono già nelle mani degli assas­sini, difensori di moralità effimere, allora e proprio allora si vede all’orizzonte la luce del silenzio di Dio che sembra assente, ma attira e chiama e difende e convoca all’appuntamento con la vita e con la salvezza. Gesù non condanna la donna, ma la protegge come persona e la salva dal moralismo degli amorali giudici improvvisati che esigono il rispetto pubblico della legge nello stesso momento in cui la disattendono in privato. Ieri come oggi. Gesù ri­manda quanti presumono di rappresentare Dio alla loro coscienza liberandoli dall’obbedienza passiva ed esteriore alla legge. Impone una riflessione, una valutazione, un giudizio su se stessi:
 
«41 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo?42 Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» (Lc 6,41-42).
 
Il brano della lettera di Paolo ai Filippesi si colloca in questo contesto e Paolo ci offre gli strumenti di valutazione e i criteri di discernimento. Forse in origine non faceva parte della lettera e potrebbe essere stato un biglietto autonomo come tutto il capitolo 3 che fu in seguito inserito nella lettera ufficiale. Paolo affronta il tema della sofferenza che può essere vissuta in due modi: passivo e partecipe. Il modo passivo significa subire i colpi della vita, scaricandone le conseguenze sugli altri e reagendo con fastidio e rabbia. Questo modo non solo vanifica la sofferenza nel senso che l’aggrava e le dà più spazio, ma annulla qualsiasi prospettiva di superamento. Il secondo modo è quello attivo: integrare la sofferenza nella vita e viverla come espressione della vita e come momento della fragilità/debolezza umana, trasformandola in punto di forza e di speranza. Come? Ricordando che nel pas­sato vi sono stati momenti sereni, gioiosi, anche felici, comunque belli. Se vi sono stati nel passato possono acca­dere anche oggi e domani, per cui nessuna condizione è definitiva e negativa.
Se la sofferenza è un dolore che appartiene alla vita, possiamo condividerlo con gli altri e in modo parti­colare, attraverso quel misterioso scambio che appartiene alla mistica del corpo ecclesiale, possiamo condividerlo con Gesù sofferente per amore e per accettazione. Con lui che ha redento la sofferenza e la morte possiamo essere vicini, anche se lontani, con quanti soffrono e patiscono sofferenze ingiuste per mano di altri esseri viventi o per mano di religioni che usurpano il nome santo di Dio. La sofferenza invece di essere buttata via come spazzatura inutile, diventa preghiera di offerta, strumento di comunione, mezzo di partecipazione al mistero della croce che illumina il senso della vita. Soffrire in comunione con Cristo significa raggiungere la «sublimità della cono­scenza» (Fil 3,8) della sua persona e della direzione della sua e della nostra vita.
Vivendo l’Eucaristia non adempiamo un rito, non osserviamo un precetto, ma compiamo l’atto d’amore più sublime che il nostro cuore possa immaginare: impariamo la conoscenza di Dio nella versione di Gesù Cristo, attraverso il quale apprendiamo a conoscere la misura della nostra stessa vita, nei momenti di sofferenza, di gioia e anche nella morte per essere come lui testimoni credibili della passione di Dio che arde per noi e si consuma fino a farsi Pane e Vino e Parola: una cosa sola comunione perfetta. Lo Spirito Santo che invochiamo con tutto l’anelito della nostra anima, ci apra a questa dimensione e ci mantenga su queste vette perché solo le aquile cer­cano le vette più alte. Entriamo nel «Santo dei Santi» con le parole del salmista che sta dalla parte dell’adultera (Sal 43/42,1-2): «Fammi giustizia, o Dio, difendi la mia causa contro gente spietata; liberami dall’uomo perfido e perverso. Tu sei il Dio della mia difesa».
 
Spirito Santo, tu apristi una strada nel mare e un sentiero nel Mar Rosso,                 Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu fai nuova ogni cosa facendola germogliare nella verità di Dio,                   Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’acqua viva che trasforma il deserto in fonte zampillante,                    Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu plasmi il popolo di Dio quando celebra la lode del Signore,                       Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu riconduci i prigionieri del male al porto della libertà dei figli,                     Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu infondi la coscienza delle grandi cose che il Signore fa per noi,                 Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu asciughi le lacrime quando seminiamo con timore e tremore,                     Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu rafforzi la gioia quando raccogliamo i frutti della tua presenza,                  Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la bilancia che pesa ciò che vale e ciò che occorre perdere,                  Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la fonte del discernimento  per scegliere la conoscenza,                        Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu ci modelli per renderci conformi alla volontà del Signore,             Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la perfezione santa che il Padre celeste riversa su di noi,                       Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei l’insegnamento che Gesù impartiva al popolo nel Tempio,                   Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei la speranza di di chi è condannato a morte in nome di Dio,                   Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu accompagnasti l’adultera, vittima del moralismo immorale,                        Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai aperto la coscienza di chi avevano abusato dell’adultera,                     Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu hai messo in fuga la volontà di morte di anziani e giovani              Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei  il perdono che  la donna ricevette  con la misericordia,                        Veni Sancte Spiritus!
Spirito Santo, tu sei lo Spirito di pace che nutre ogni persona di buona volontà,                  Veni Sancte Spiritus!
 
Una donna impaurita, forse vittima di un sopruso è lì muta davanti ai suoi accusatori. A lei non è lecito discol­parsi perché la legge degli uomini la considera colpevole… «a prescindere». Guardiamo in faccia il mondo e de­dichiamo questa eucaristia a tutte le donne che dovunque ancora oggi, a terzo millennio iniziato sono considerate inferiori a motivo di colpe ancestrali che fanno molto comodo ad un sistema di ordine sociale disumano. Ciò non significa rinascere un valore all’adulterio o al peccato di qualsiasi genere, ma significa soltanto riconoscere il valore della persona che deve essere salvata sempre e comunque come ci insegna Gesù nel brano i oggi. Per que­sto portiamo sull’altare tutte donne di tutto il mondo e con l’aiuto di Dio impegniamoci a realizzare l’orizzonte che ci offre san Paolo: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio né femmina perché tutti voi siete una cosa sola in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Lo crediamo tutti insieme
 
(ebraico)
Beshèm
ha’av
vehaBèn
veRuàch
haKodèsh.
Amen.
(italiano)
Nel Nome
del Padre
e del Figlio
e dello Spirito
Santo.
 
Il comportamento scandaloso di Dio è ancora una volta davanti a noi come misura del nostro vivere: Gesù non condanna, ma accoglie, libera la donna, ma inchioda gli accusatori al tribunale della loro coscienza. Nello stesso tempo Gesù non approva il peccato di adulterio che la Toràh paragona all’omicidio e per questo punisce con la morte (Lv 20,10). Egli dà la forza per acquisire la libertà di «non peccare più» (Gv 8,11). Neppure oggi Gesù ci condanna, ma ci accoglie perché riacquistiamo la libertà di essere veri, di essere noi stessi. Chiediamo perdono specialmente per le volte in cui disperiamo anche del perdono di Dio.
 
[Alcuni momenti effettivi e congrui di silenzio]
 
Signore, hai purificato Israele nel tempo dell’esilio, purificaci e perdona,                Kyrie, elèison!
Cristo, che hai salvato l’adultera rinnovando la sua coscienza, purificaci e perdona,           Christe, elèison!
Signore, che hai condannato gli ingiusti che si credono giusti, purificaci e perdona, Pnèuma, elèison!
Cristo, tu che hai accolto la donna con tenerezza e maternità, purificaci e perdona, Christe, elèison!
Signore, che hai rimandato la donna alla sua responsabile libertà, purificaci e perdona,      Kyrie, elèison!
 
Dio che inviasti un discepolo del profeta Isaia a consolare il tuo popolo schiacciato dal peso dell’esilio e che hai sostenuto Paolo nel discernimento tra la conoscenza di Cristo e le illusioni del mondo, per i meriti dei santi pro­feti che hanno tenuto viva la coscienza dell’alleanza tramandata dai santi Padri e dalle sante Madri d’Israele e della Chiesa, ci accoglie con la stessa tenerezza con cui il Figlio suo accolse l’adultera per annunciare ai peccatori e agli smarriti la mèta della libertà, abbia pietà di noi, perdoni i nostri peccati e ci dia la gioia della riconciliazione con lui e con i fratelli e le sorelle. Egli vie e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
Preghiamo (colletta). Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose, davanti a te sta la nostra miseria: tu che ci hai mandato il tuo Figlio unigenito non per condannare, ma per salvare il mondo, perdona ogni no­stra colpa e fa’ che rifiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
 
MENSA DELLA PAROLA
   Prima Lettura  Is 43,16-21. In una condizione di crisi e di depressione collettiva, il Deutero-Isaia, fedele alla sua mis­sione, infonde coraggio e prospetta un avvenire migliore, rimandando i suoi interlocutori agli avvenimenti del passato come il passaggio del Mare Rosso (vv. 16-17). Veramente il futuro è sempre dietro di noi, specialmente quando siamo presi dall’angoscia del presente e diventiamo ciechi in mezzo alla luce. Non c’è consolazione migliore che invitare a sperare in nuovo esodo: se ce n’è stato uno, ce ne può essere bene anche un altro. Se abbiamo incontrato Gesù Cristo nulla può spa­ventarci perché tutto è già accaduto ed è stato salvato.
 
Dal libro del profeta Isaia43,16-21
16Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, 17 che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un luci­gnolo, sono estinti: 18 «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19 Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. 20 Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. 21 Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». - Parola di Dio.
 
Salmo Responsoriale  126/125,1-6. Uno dei più bei salmi di tutto il salterio, il salmo 126/125 è un salmo di pellegrinag­gio, in cui il reduce scioglie un inno di ringraziamento perché si è capovolta la situazione di sofferenza che è stata tramutata nella gioia incontenibile del ritorno in patria, a Gerusalemme. Ancora una volta la fonte della gioia presente è la memoria del passato che diventa così una chiave per comprendere l’avvenire. La nostra chiave di lettura è il Figlio.-Lògos che nell’Eucaristia ci anticipa quello che sarà.

Rit. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
 


                       
2 Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
3 Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia. Rit.
 
3 4 Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
5 Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia. Rit.
 
4 6 Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. Rit.


 

Seconda Lettura  Fil 3,8-14. Probabilmente il capitolo 3° della lettera ai Filippesi non faceva parte della lettera, a cui forse è stato aggiunto in fase di redazione raggruppando biglietti diversi e vari di Paolo. Egli difende ancora una volta il suo ministero con argomenti consistenti: è in comunione con le sofferenze di Cristo (v. 10) per dare un senso escatologico alle sofferenze della vita. Sono queste che impediscono all’uomo di inorgoglirsi e di attendere il ritorno del Signore e vivere l’attesa somigliandogli (cf 1Ts 1,6; 2Ts 2,14-15). Per Paolo la sua sofferenza offerta a Cristo acqui­sta il valore di un magistero superiore a tutti i benefici che poteva avere come ebreo. Tutto è nulla davanti a Cristo crocifisso che non può mai essere ridotto ad ornamento estetico e polveroso di pareti, ma il sigillo della «teodrammatica»: l’impotenza di Dio che diventa salvezza del genere umano.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fil 3,8-14
Sorelle e Fratelli, 8 ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo 9 ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: 10 perché io possa conoscere lui, la po­tenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, 11 nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12 Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla per­fezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. 13 Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, 14 corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. - Parola di Dio.
 
Vangelo  Gv 8,1-11. Il brano del vangelo di oggi è stato inserito nel IV vangelo, ma non appartiene al suo autore per­ché non si trova nei codici più antichi. Si tratta di un’aggiunta posteriore, il cui stile è molto più aderente al vocabola­rio di Lc che nona quello di Gv. Il racconto potrebbe essere una degna conclusione del capitolo 21 di Lc che divente­rebbe così un midrash cristiano di Dan 13 dove una giovane donna è accusata e salvata dalle grinfie degli «anziani». Susanna è innocente, mentre la donna del vangelo è colta «in flagrante adulterio» (v. 4). Gesù non è venuto per i giusti, ma per i peccatori e per dare un supplemento di grazia a tutti i peccatori perché si salvino. Anche per noi c’è dunque speranza.
 
Canto al Vangelo 
Lode e onore a te, Signore Gesù! Ritornate a me con tutto il cuore, dice il Signore, / perché io sono misericordioso e pietoso. Lode e onore a te, Signore Gesù!
 
Dal vangelo secondo GiovanniGv 8,1-11
In quel tempo, 1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2 Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo 4e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8 E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». - Parola del Signore.
 
Sentieri di omelia
Nella breve introduzione al brano del vangelo abbiamo già accennato che il racconto odierno sicuramente non appartiene al IV vangelo, ma starebbe meglio alla fine del capitolo 21 del vangelo di Lc, di cui rispec­chia la mentalità, l’attenzione, la delicatezza, lo stile e l’impostazione teologica[1]. La fine del capitolo 21 di Lc e l’inizio del brano del vangelo di oggi sono identici. Li vediamo in sinossi:
 

Gv 8,1-2
Lc 21,37-38
1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi.
37b La notte, usciva e pernottava all’aperto sul monte detto degli Ulivi.
2 Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio
37a Durante il giorno insegnava nel tempio.
e tutto il popolo andava da lui. Ed egli si sedette e si mise a insegnare loro.
38 E tutto il popolo di buon mattino andava da lui nel tempio
per ascoltarlo.

 
Il contesto è quello di Pasqua che dà una luce particolare al senso di questo racconto. Infatti subito dopo ini­zia il capitolo 22 di Lc che si apre così: «Si avvicinava la festa degli Azzimi, chiamata Pasqua, 2e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano in che modo toglierlo di mezzo, ma temevano il popolo» (Lc 22,1-2) perché come abbiamo visto «il popolo andava da lui» (Gv 8,2). La condanna e la ventilata lapidazione della donna sono un anticipo della volontà di morte che nutre i sommi sacerdoti e gli scribi. Se il racconto dell’adultera fosse veramente di Lc e dovessimo collocarlo alla fine del capitolo 21 e immediatamente prima del capitolo 22 che svela la volontà di morte che circonda Gesù, la conclusione è chiara: l’adultera è imma­gine di Cristo che senza difesa va’ incontro a morte certa.
C’è un altro elemento che ci fa propendere per l’attribuzione a Lc del brano dell’adultera «tipo» di Gesù condannato a morte. Lo troviamo all’inizio di Lc 21, dove si narra della «vedova povera» che Gesù  contrappone «ai ricchi» che gettano nel tesoro del tempio del loro superfluo, mentre lei vi mette «due monetine», consapevole di «svuotarsi» di «tutto quello che aveva per vivere» (Lc 21,2.4), cioè tutta la sua vita. Il suo tutto è il suo nulla che diventava «il tesoro» di Dio che lo accoglie come il dono più grande, supe­riore a quello ricco e ampolloso dei benestanti che mettendo cifre ingenti per farsi vedere. Nel commento al vangelo di Mc 12,41-44 (corrisponde a Lc 21,1-4) della domenica 32a del tempo ordinario-B scrivemmo:
 
«Per Gesù è la vedova che rappresenta degnamente Dio e ne esprime il volto. Dio si è paragonato al seminatore, al vignaiolo, al pastore, e ora si paragona ad una donna per giunta vedova e addirittura povera. Il testo è imbarazzante per la nostra mentalità e la nostra religiosità. La vedova è “il sacramento” visibile dello “svuotamento” di Dio cantato da Paolo (cf Fil 2,5-11)» … Gli esegeti non mettono in luce con il dovuto rilievo l’aspetto rivoluzionario di questo brano di vangelo e cioè che nell’intenzione di Gesù la vedova rappresenta Dio e il suo agire perché nel venire incontro all’uomo, egli non ha dato del suo superfluo, ma si è svuotato di sé per darsi tutto a tutti (cf Fil 2,7-8; 1Cor 12,6). Il «sacramento» visibile della persona e dell’agire di Dio non sono i capi, Farisei o Scribi, che ufficialmente lo rappresentano, ma una donna con l’aggravante di essere vedova: una nullità radicale, appartenente ad una delle tre categorie di marginalità, tipiche dell’epoca: orfano, vedeva, straniero» (Omelia e Introduzione).
           
A conclusione di Lc 21 troviamo esattamente lo stesso scenario: la donna adultera è l’immagine di Gesù condannato a morte. In questo modo si ha quella che tecnicamente si chiama un «inclusione»: una donna che simboleggia Dio all’inizio e una donna che simboleggia Cristo alla fine del capitolo 21 di Luca: che danno unità tematica e teologica all’intero capitolo che a sua volta introduce Lc 22 con la volontà omicida «dei capi dei sacerdoti e degli scribi».
L’idea che un’adultera come la vedova povera possano essere «rappresentative» di Dio/Gesù più di coloro che lo dovrebbero manifestare istituzionalmente», cioè l’autorità, appare scandalosa alla mentalità di una religione di consumo; e lo è come sem­pre è scandaloso Gesù nelle sue parole, nei suoi gesti e nei suoi atteggiamenti. Non è un caso che i benpen­santi difensori della morale esteriore, che si scandalizzano sempre degli altri e mai della loro grettezza interiore, che sanno concepire solo un dio-fotocopia del loro modo di pensare, sono coloro che lo hanno crocifisso «poiché temevano il popolo» (Lc 22,2).
Gesù non si scaglia contro la prostituta come fanno i suoi accusatori e non fa proclami di principio, né si appella ai «valori non negoziabili» del suo tempo e non esige alcun valore come premessa e condizione della fede. Gesù vede la miseria della donna in balia di fauci feroci, non addossa pesi ulteriori al terrore che la sventurata porta dentro di sé, ma al contrario, rovesciando il perbenismo di facciata dell’alta società del suo tempo, si fa prossimo della prostituta come aveva insegnato nella parabola del samaritano: si accosta a lei e ne fascia delicata­mente le ferite (cf Lc 10,33-34), restituendola alla sua libertà: «Neanch’io ti condanno; và…», liberazione che poggia sulla sua dignità di persona: «e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
Compito della Chiesa, ieri come oggi, sull’esempio di Gesù non è gridare contro la società secolarizzata che non tiene conto di Dio, ma quello proprio di rendere visibile Dio attraverso un atteggiamento di misericordia ascoltando i bisogni e le fatiche degli uomini e delle donne di oggi che forse non tengono conto di Dio proprio perché non riescono a vederlo nelle parole, nei comportamenti e nelle azioni dei suoi rappresentanti e del popolo cristiano.
C’è un altro elemento che ci aiuta a capire come il brano dell’adultera sia più di Lc che di Gv: il ca­pitolo 21 di Lc ha molti riferimenti al capitolo 13 del profeta Daniele, di cui diventa così un midrash[2]. Daniele racconta di una donna, accusata ingiustamente di adulterio dai capi del popolo e salvata dall’intervento del giovane Daniele che fa confondere gli accusatori. Per l’autore del vangelo Gesù si presenta come il nuovo Daniele, il profeta del «Figlio dell’Uomo» che porta a compimento le «settanta settimane di anni» di attesa che si realizzano nella misericordia, caratteristica del Regno di Dio (cf Dn 7). La novità sta in questo: Da­niele giustifica un’innocente, Gesù salva una «peccatrice» colta in flagrante (cf Gv 8,4). L’anno di grazia annunciato nella sinagoga di Nàzaret si realizza perché i peccatori accorrono a lui (Lc 15,1-2) ed egli annuncia loro la prospettiva del nuovo Regno che è il perdono e la gratuità.
Se mettiamo a confronto i due racconti vi troviamo molte allusioni reciproche:
 

v.
Gv 8,1-2
v.
Dn 13
9
I vecchi accusano l’adultera
28
i due «anziani» accusano Susanna
3
L’adultera è posta «nel mezzo», alla gogna
30-33
Susanna è messa alla gogna in pubblico
5
Si richiede la pena di morte stabilita dalla Legge di Mosè (Lv 20,10; Dt22, 22)[3]
41
Susanna è condannata a morte in base alla Legge di Mosè (Lv 20,10; Dt22, 22)

 
Questa è la novità che porta Gesù: il giudizio di Dio è grazia, è accoglienza, è misericordia, è il volto nuovo del Dio della «nuova alleanza». Ora però si crea una situazione nuova che nessuno aveva previsto. Gli accusatori della donna adultera del vangelo sono i discendenti di quell’assemblea che aveva prima condan­nato e poi assolto Susanna (Dn 13,41.60). Gesù salva l’adultera da costoro che hanno dimenticato la miseri­cordia di Dio. Da un lato Susanna è il simbolo d’Israele e l’adultera è specchio dell’umanità schiacciata e depressa e dall’altro il Cristo è il nuovo Daniele che porta non un giudizio di condanna, ma l’abbondanza della misericordia perché ora non è più un profeta a prendere le difesa di un innocente, ma è Dio stesso a farsi carico della croce dell’umanità. Gesù è il cireneo (cf Lc 23,26) che «porta i pesi» dell’umanità intera, compiendo così la nuova Legge (cf Gal 6,2).
Susanna è immagine del «giusto» Israele che osserva fedelmente la Toràh e per questo è salvata, ma la sua «giustizia» è ancora legalistica perché si limita ad osservare le prescrizioni della Legge, mentre l’adultera è per l’autore la vera immagine della Chiesa perché, al di là del suo peccato e della sua condi­zione, accetta di restare sola con Gesù e di compromettersi nelle conseguenze di un incontro di vita: «“Nes­suno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv 8,10-11). Susanna è solo restituita alla sua famiglia e al suo onore, l’adultera è restituita alla sua coscienza e alla sua libera decisione di accettare il cambiamento di vita che le viene proposto con tenerezza: ora lei appartiene alla sua libertà. Daniele giudicava in base alla Legge che esamina i comportamenti, Gesù si appella alla coscienza e la proietta nel mistero di Dio che si incarna nella libertà di ciascuno. Tre donne dunque sono presenti nella penna dell’autore che riteniamo sia di area lucana: la vedova povera che offre liberamente la sua vita, Susanna innocente accusata di adulterio e l’adultera di fatto salvata per la sua libertà. Vangelo al femminile, espressione genuina del pensiero lucano. Tre donne «immagine» di Dio/Gesù perché il femminile è capace di accoglienza e di amore gratuito che solo in Dio trova confronto.
Il gesto di Gesù che scrive per terra (cf Gv 8,6) ha fatto scrivere fiumi di inchiostro. E’ solo un gesto spontaneo di uno che non volendo rispondere alla domanda trabocchetto degli accusatori, resta soprapensiero, facendo dei ghirigori nella sabbia, come se stesse prendendo tempo per preparare una risposta adeguata che arriva come un fendente: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Gli accu­satori hanno tre obiettivi:
a)      Essendo già famoso per essere un impuro che «accoglie i peccatori e mangia con loro» (Lc 15,2), se Gesù assolve la donna adultera per la quale è prevista la lapidazione (cf Lv 20,10; Dt 22, 22), si mette contro l’autorità della Toràh e può essere accusato di eresia.
b)     Se, al contrario, condanna a donna come prescrive la Toràh, egli perde la faccia davanti «al popolo».
c)      Infine potrebbe essere accusato d’insubordinazione presso i Romani che avevano avo­cato a sé lo «ius gladii» ossia il potere di eseguire esecuzioni capitali.
Gesù si trova nella stessa condizione di quando gli pongono il tranello se è lecito pagare o meno le tasse a Cesare (cf Lc 20,22): in qualsiasi modo avrebbe ri­sposto sarebbe stato in trappola. Ancora una volta con la sua perspicacia, sfugge Gesù alla tagliola del legalismo: «Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra» (Gv 8,6). Il gesto oltre ad essere come abbiamo visto un gesto anonimo per temporeggiare, potrebbe anche avere un significato più profondo.
Scrivendo per terra, Gesù si appella all’autorità della Scrittura che gli accusatori mani­polano a modo loro e precisamente al profeta Geremia: «O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano reste­ranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Si­gnore, fonte di acqua viva» (Ger 17,13). Il gesto di Gesù, muto e solenne, diventa così un gesto profetico come tante volte aveva fatto lo stesso Geremia che parlava attraverso i suoi gesti più che con le parole (cf Ger 27).
Scrivendo per terra, Gesù ri­corda a coloro che si arrogano il diritto di essere i mediatori della Scrittura che si sono allontanati dalla sor­gente della vita e si sono lasciati imprigionare dalle catene del legalismo e della materialità della Toràh. Quando la fede diventa religione è il principio della fine di ogni spiritualità e il fallimento di ogni religiosità perché si fonda solo sul materialismo della norma senza anima e senza nemmeno un corpo. Il compito della Chiesa è offrire sempre sorgenti di acqua viva perché tutti si possano dissetare nel faticoso e lungo cammino della vita, spesso segnato da prostituzioni e da peccato. Tutto deve concorrere a creare le condizioni per un incontro vitale e reale con il Signore che ama la vita e salva i suoi figli e figlie.
Tragico è l’epilogo del racconto: «se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani» (Gv 8,9): i più anziani (gr.: presbýteroi) che è una delle categorie presenti nel sinedrio, dunque coloro che dovrebbero essere il modello e l’esempio vivente perché svolgono il ruolo di «padri/antenati». Al contrario trascinano dietro di sé i giovani e li conducono alla rovina perché trasmettono se stessi e non il pensiero di Dio impedendo così a se stessi e agli altri di accedere alla tavola della misericordia[4]:
 
«“Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito”. Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argo­menti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca» (Lc 11,52-54).
 
Dopo che tutti, specchiati a tutto tondo nella trasparenza delle parole di Gesù, sono fuggiti, restano soli la donna e Gesù, una donna e un uomo in rappresentanza della nuova umanità. Gli apprendisti assassini trascinando la donna per usarla come tranello contro Gesù, «la posero in mezzo» (cf Gv 8,3; gr.: en mèsōi) e quando fuggono la lasciano lì: «Lo lasciarono solo, e la donna era là nel mezzo» (cf Gv 8,9: gr.: en mèsōi). Tutto il mondo e tutta l’umanità accolgono la novità: l’uomo che dona il perdono e la libertà e la donna che accoglie la libertà come frutto del perdono. «In mezzo» come l’albero della vita che sta «in mezzo» al giardino di Eden (cf Gen 2,9) e come Gesù è crocifisso «in mezzo» ai due ladroni, immagine di una umanità derelitta e che chiede di entrare nel Regno (cf Gv 19,18; Lc 23,39-43).
Vivere l’Eucaristia è partecipare al mistero di misericordia che si fa Pane e Vino, cioè alimenti di vita in vista di una pienezza di vita. Che altro è l’Eucaristia se non la permanente disponibilità di Dio a farsi mangiare per essere una sola cosa con noi? Ascoltando la Parola, mangiando il Pane e bevendo al calice, possiamo essere «altro» da colui che in questi segni «è significato, immolato e ricevuto»?[5]. Tornado a casa, portiamo nel cuore e nella prassi le parole ricreatrici di Gesù: nessuno ci ha condannato, pertanto andiamo in pace e non pecchiamo più.
 
Professione di Fede (rinnovo delle promesse battesimali)
Nella 5a domenica di Quaresima, sostiamo alla sorgente del nostro battesimo e rinnoviamo le promesse della nostra fede perché il nostro cammino verso la Pasqua sia segnato dalla fede che illumina i nostri passi e le nostre decisioni, in comunione con i cristiani che oggi in tutto il mondo rinnovano la stessa professione di fede.
 
Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credo.
Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, che nacque da Maria vergine, morì e fu sepolto, è risuscitato dai morti e siede alla destra del Padre? Credo.
Credete nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la ri­surrezione della carne e la vita eterna?     Credo.
 Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. Questa fede noi ci gloriamo di professare in Cri­sto Gesù nostro Signore. Amen.
 
Preghiera universale [Intenzioni libere]
MENSA EUCARISTICA
Presentazione delle offerte e pace. Entriamo nel Santo dei Santi presentando i doni, ma prima, lasciamo la nostra offerta e offriamo la nostra riconciliazione e concediamo il nostro perdono, senza condizioni, senza ragionamenti, senza nulla in cambio: lasciamo che questa notte trasformi il nostro cuore, fidandoci e affidan­doci reciprocamente come insegna il vangelo:
 
«Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24),
 
Solo così possiamo essere degni di presentare le offerte e fare un’offerta di condivisione. Riconciliamoci tra di noi con un gesto o un bacio di Pace perché l’annuncio degli angeli non sia vano.
Scambiamoci un vero e autentico gesto di pace nel Nome del Dio della Pace.
 [La benedizione sul pane e sul vino è tratta dal rituale ebraico]
 
Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane e questo vino, frutto della terra, della vite e del lavoro dell’uomo e della donna; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna. Benedetto nei secoli il Signore.
 
Preghiamo perché il nostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente.
Il Signore riceva questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
Preghiamo (sulle offerte):Esaudisci, Signore, le nostre preghiere: tu che ci hai illuminati con gli inse­gnamenti della fede, trasformaci con la potenza di questo sacrificio. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 PREGHIERA EUCARISTICA DELLA RICONCILIAZIONE Il
Prefazio proprio: La penitenza dello spirito
 
Il Signore sia con voi. E con il tuo spirito.    In alto i nostri cuori.    Sono rivolti al Signore.
Rendiamo grazie al Signore nostro Dio.                     È cosa buona e giusta.
 
È veramente giusto renderti grazie, è bello cantare la tua gloria, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno:
Tu, Signore, hai detto per mezzo del profeta Isaia: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19 Ecco, io faccio una cosa nuova» che germoglia nella santa Eucaristia (Is 43,16.18-19).
 
Tu hai stabilito per i tuoi figli un tempo di rinnovamento spirituale, perché si convertano a te con tutto il cuore, e liberi dai fermenti del peccato vivano le vicende di questo mondo, sempre orientati verso i beni eterni
Noi siamo il tuo popolo che hai plasmato per te e che convochi oggi a celebrare le tue lodi (cf Is 43,21).
 
E noi, uniti agli angeli e ai santi del cielo e della terra, proclamiamo senza fine l’inno della tua lode:
Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto nel nome del Signore colui che viene. I cieli e la terra sono pieni della tua gloria. Kyrie, elèison, Christe, elèison. Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo. Osanna nell’alto dei cieli. Christe, elèison, Pnèuma, elèison.
 
Noi ti benediciamo, Dio misericordioso, Signore del cielo e della terra, per Gesù Cristo tuo Figlio venuto nel tuo nome: egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace.
Nella santa assemblea, la nostra bocca si apre al sorriso e la nostra lingua si scioglie in canti di gioia (cf Sal 126/125,2).
 
Tutti ci siamo allontanati da te, ma tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo; con il sa­crificio del tuo Cristo, consegnato alla morte per noi, ci riconduci al tuo amore, perché anche noi ci doniamo ai nostri fratelli.
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte: nell’andare abbiamo seminato nel pianto, ora nel tornare a te veniamo con giubilo (cf Sal 126/125, 4-6).
 
Per questo mistero di riconciliazione ti preghiamo di santificare con l’effusione dello Spirito Santo questi doni che la Chiesa ti offre, obbediente al comando del tuo Figlio.
Noi riteniamo, Signore, che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, nostro Signore (cf Fil 3,8).
 
Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione, mentre cenava, prese il pane nelle sue mani, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E MAN­GIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.
Noi confessiamo che Gesù è il Signore e che tu, o Padre, lo hai risuscitato dai morti (cf Rm 10,9).
 
 Allo stesso modo, in quell’ultima sera egli prese il calice e magnificando la tua misericordia lo diede ai suoi discepoli, e disse: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA,VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PEC-CATI.
Noi crediamo nel Signore Gesù che ha dato se stesso per noi e per questo non siamo delusi (cf Rm 10,11).
 
FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.
Alziamo il calice della salvezza e invochiamo il tuo nome, Signore (Sal 116/115,13).
 
Mistero della fede.
Tu ci hai redenti con la tua croce e la tua risurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo.
 
Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio, noi ti offriamo, o Padre, il sacrificio di ri­conciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani.
Siamo stati conquistati dal Signore Gesù che celebra l’Eucaristia con noi e per questo dimenticando ciò che ci sta alle spalle e protesi verso ciò che ci sta di fronte corriamo verso il Regno per incontrare  te, Padre della Pace (cf Fil 3,12-14).
 
Accetta anche noi, Padre santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo, e nella partecipazione a questo convito eucaristico donaci il tuo Spirito, perché sia tolto ogni ostacolo sulla via della concordia, e la Chiesa risplenda in mezzo agli uomini come segno di unità e strumento della tua pace.
Tu, o Signore, non vuoi la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cf Ez 35,11; Gv 6,39).
 
Lo Spirito, che è vincolo di carità, ci custodisca in comunione con il nostro Papa …, il Vescovo …, il collegio episcopale, i presbiteri, i diaconi, le nostre famiglie… N.N. … i bambini nati nelle ultime e prossime ventiquattro ore, le persone che si amano, coloro che servono, quanti soffrono in ogni luogo e regione del mondo e tutto il popolo cristiano.
Scribi e farisei conducono una donna sorpresa in adulterio per mettere alla prova la tua misericordia, Signore, secondo la loro ingiusta giustizia  (cf Gv 8,4-5).
 
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli, che si sono addormentati nel Signore… N.N. … e tutti i defunti dei quali tu solo hai conosciuto la fede.
Il Signore Gesù, inviato da te, o Padre,  come ministro di misericordia, dichiara: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». (Gv 8, 6-7).
 
Tu che ci hai convocati intorno alla tua mensa, raccogli in unità perfetta gli uomini di ogni stirpe e di ogni lingua, insieme con la Vergine Maria, con gli Apostoli e tutti i santi nel convito della Gerusalemme nuova, per godere in eterno la pienezza della pace.
Ed ecco, si compie il vangelo della giustizia di Dio. Gesù disse alla donna: «Donna… nessuno ti ha con­dannata? Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,9-11).
 
[Dossologia conclusiva: il momento più importante dell’Eucaristia, il vero offertorio]
 
PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO, A TE, DIO PADRE ONNIPOTENTE, NELL’UNITÀ DELLO SPIRITO SANTO, OGNI ONORE E GLORIA, A TE, SANTA TRINITA’, UNICO DIO. PER TUTTI I SECOLI DEI SECOLI. AMEN.
 
Padre nostro in aramaico: Idealmente riuniti con gli Apostoli sul Monte degli Ulivi, preghiamo, dicendo:

Padre nostro che sei nei cieli

Avunà di bishmaià
sia santificato il tuo nome
itkaddàsh shemàch
venga il tuo regno
tettè malkuttàch
sia fatta la tua volontà
tit‛abed re‛utach
come in cielo così in terra
kedì bishmaià ken bear‛a.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Lachmàna av làna sekùm iom beiomàh
e rimetti a noi i  nostri debiti
ushevùk làna chobaienà
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori
kedì af anachnà shevaknà lechayabaienà
e non abbandonarci alla tentazione
veal ta‛alìna lenisiòn
ma liberaci dal male.
ellà pezèna min beishià. Amen!

 
Antifona alla Comunione (Gv 8,10-11): «Donna, nessuno ti ha condannata?». «Nessuno, Signore». «Nean­che io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più».
   
Dopo la Comunione [Fonte: da «Giorno per Giorno Lettere dal Goiàs, Brasile del 15.03.07]
Brano della lettera di Jon Sobrino gesuita al Superiore generale, padre Kolvenbach, dopo la con­danna della Congregazione della Dottrina della Fede di due suoi libri: Gesù Cristo liberatore e La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime, entrambi editi dalla Cittadella di Assisi.
 
«Non è facile dialogare con la Congregazione per la dottrina della fede. Talvolta pare impossibile. Sembra, infatti, che sia ossessionata a trovare ogni possibile limite o errore, o a ritenere tale ciò che può essere solo una concettualizzazione differente di qualche verità della fede. A parer mio, vi è qui, in buona misura, ignoranza, pregiudizio e ossessione di li­quidare la teologia della liberazione. Sinceramente non è facile dialogare con questo tipo di mentalità. Quante volte mi sono ricordato del presupposto degli Esercizi [ignaziani]: “Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l’affermazione del prossimo che a condannarla”. E, in questi giorni, ho letto sulla stampa un paragrafo del libro di Be­nedetto XVI, di imminente pubblicazione, su Gesù di Nazareth. “Credo che non sia necessario dire espressamente che questo libro non è affatto un atto magisteriale, ma solo l’espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Salmo 27). Pertanto chiunque ha la libertà di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpa­tia senza il quale non esiste comprensione possibile”. Personalmente offro al papa simpatia e comprensione. E mi au­guro con forza che la Congregazione [per la Dottrina] della Fede tratti i teologi e le teologhe allo stesso modo…
 
Preghiamo. Dio onnipotente, concedi a noi tuoi fedeli di essere sempre inseriti come membra vive nel Cri­sto, poiché abbiamo comunicato al suo corpo e al suo sangue. Per Cristo nostro Signore. Amen.
 
Benedizione e saluto finale
Il Signore che si è spezzato Pane di vita per noi, è con tutti voi.        E con il tuo spirito.
Il Dio che annuncia le novità del futuro, ci consoli con il calore della vita.
Il Dio che rinnova i cuori e il pensiero, ci colmi della novità della sua misericordia.
Il Dio che perdona la donna adultera, ci copra con la tenerezza della sua grazia.    
Il Dio di Gesù Cristo sia sempre davanti a noi per guidarci.        
Il Dio di Gesù Cristo sia sempre dietro di voi per difendervi da ogni male.
Il Dio di Gesù Cristo sia sempre accanto a noi per confortarci e consolarci.
                                             
E la benedizione dell’onnipotente tenerezza del Padre e del Figlio
e dello Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre.                         Amen!
 
La messa è finita come rito e inizia nella testimonianza della vita. Andiamo incontro al Signore nella storia.
Nella forza dello Spirito Santo rendiamo grazie a Dio e viviamo nella sua Pace.
_________________________
© Domenica 5a di Quaresima –C, Parrocchia di S. Maria Immacolata e San Torpete – Genova
L’uso di questo materiale è libero purché senza lucro e a condizione che se ne citi la fonte bibliografica
Parrocchia di S. M. Immacolata e S. Torpete – Genova Paolo Farinella, prete 21/03/2010
 
AVVISI
1.         Domenica 21 marzo 2010 ore 17,30-19,30 al Teatro San Giovanni Battista, via Oliva in Sestri Ponente Genova. Il Palco Popolare presenta “Bassi Fondi”, un viaggio negli inferni delle città, basata sull’espe-rienza del poeta Ivano Malcotti nelle zone più difficili di molte città italiane a contatto diretto con i protagonisti della notte, dello spaccio, della prostituzione, della clandestinità, della microcriminalità, del disagio e dell’emarginazione. Le confidenze, talune disumane dell’umanità della notte, saranno raccontate attraverso le poesie di Ivano Malcotti accompagnate dalle immagini, catturare nei ghetti e dalla musica di V. Incenzo. L’attore Antonio Carletti leggerà frasi raccolte dal popolo della notte, accompagnato dalle musiche dal compositore Bruno Bregliano. L’iniziativa è organizzata da Manuela Cappello, consigliere comunale indipendente al comune di Genova che ne cura la presentazione per proporre alla città «problemi scottanti» sulla situazione dei senza tetto e emarginati. Al termine seguirà la presentazione delle Associazioni che a Genova si occupano dei senza fissa dimora. 
 
2.         Mercoledì 24 marzo 2010, ore 17,00 (17,15) il prof. Vittorio Coletti, docente di Storia della lingua italiana all’università di Genova ci intratterrà su «L’Italiano e le altre lingue». In un mondo multiculturale e interconnesso, prendere coscienze che le lingue non nascono a caso,m ma sono anch’esse figlie e sorelle di qualcuno, ci aiuta ad vivere meglio le realtà che viviamo.
 
Il 24 marzo ricorre il 30 anniversario della morte di Mons. Oscar Arnulfo Romero vescovo martire delle Americhe Latine, convertito dal popolo. Noi lo ricorderemo domenica 28 marzo, domenica delle Palme e inizio della Settimana Santa.
 
3.         Venerdì 26 marzo 2010 ore 15,30 Aula Magna di Lettere all’Università di Genova in via Balbi con l’Avv. Alessandra Ballerini e il Prof. Nando Della Chiesa si parlerà di Diritti, Legalità, Sicurezza,
 
4.         Domenica 28 marzo alle ore 17,30, per la IV Stagione de «I concerti di San Torpete»  concerto per organo e tromba del duo Oliver Lakota e Stephan Kiessling da Vienna.
 
5.         Domenica 28 marzo – Domenica 4 aprile: settimana Santa secondo il seguente orario:
-        Giovedì  è Venerdì santi: ore 17,30: Messa della Cena e Liturgia della Croce.
-        Sabato Santo, ore 21,00: Veglia Pasquale con liturgia del Cero e del fuoco.
 
ESPOSIZIONE ICONOGRAFICA
6.         Martedì 4 maggio 2010 ore, 15,30, Chiesa di San Torpete, Piazza San Giorgio, inaugurazione dell’esposizione di «Icone», dipinte secondo le regole dell’ortodossia dal pittore genovese Alessandro Genta. Ore 17,00: presentazione della mostra da parte dell’Autore che spiegherà l’arte, la tecnica, i colori e il simbolismo. L’esposizione è aperta al pubblico, ad ingresso gratuito, da martedì 4 maggio a venerdì 14 maggio 2010, nei giorni di martedì – mercoledì – giovedì e venerdì dalle ore 15,30 alle ore 18,00.
 
SEGNALAZIONI
1.       Un libro di attualità in ristampa: Pasquale Quaranta (a cura di.), Omosessualità e Vangelo, Gabrielli Editori – via Cengia, 67 – 37029 San Pietro in Cariano (Verona) 2008. Storie d’amore e percorsi di vita con cui confrontarsi. Domande di donne e uomini. Franco Barbero risponde. Per saperne di più e per ordinarlo, v. il sito www.gabriellieditori.it, oppure al sito Internet Bookshop cliccando qui. 
 
2.       Gli amici della «Comunità Una» di Rivarolo Genova organizzano un MERCATINO DELL’USATO per SABATO 17 APRILE (re 10-12 e ore 14.30-19 e DOMENICA 18 APRILE - ore 9-12 e ore 14.30-17), con cui finanziano progetti di solidarietà con il Terzo Mondo (Tanzania: dispensario, pozzi, cisterne); que-st’anno vogliono aiutare il Cile e Haiti. Lo scopo del mercatino è vendere a prezzi bassissimi qualsiasi cosa che permetta alle famiglia di potere comprare in modo dignitoso senza dovere ricorrere a chiedere elemosine. Mi pare un metodo intelligente perché s’impegnano persone intelligenti che sentono il mondo come Patria.
A QUESTO SCOPO: si cerca tutto quello che non serve a voi (libri, giocattoli, bigotteria, stoviglie, bomboniere, dischi casalinghi, roba «de to’ nonna to’ pare to’ pare e to’ zia» purché in BUONO STATO. Ritiro a domicilio anche in grandi quantità. Chi può e vuole: contatti entro il 10 Aprile 2010 : Alessio 0107490-190 – Claudio 3388345329 - Silvia 0107172263.


[1] I codici minuscoli greci della «famiglia 13» [ abbrev. = f13] (13, 69, 124, 174, 230, 346, 543, 788, 826, 828, 983, 1689, 1709, ecc.) mettono espressamente il brano dell’adultera a conclusione di Lc 21.
[2] Dn 13-14 non si trova nella Bibbia ebraica, ma solo nella Bibbia greca detta Lxx che era la Bibbia usata dai primi cristiani come testo di riferimento per l’AT.
[3] L’adulterio è punito dalla Toràh con la pena di morte. Oggi questa affermazione potrebbe fare sorridere e potrebbe indurre a facili commenti sarcastici, segno ulteriore dell’ignoranza della Scrittura. Il motivo di questa condanna è semplice. Maschio e femmina non esistono separatamente, perché in base a Gen 1,27 essi formano una «persona» nuova, plurale che si chiama «coppia». Il testo biblico parla espressamente di «pungente» e «perforata» (maschio e femmina) che costituiscono l’immagine in cui Dio s’identifica, assumendo così la sessualità come dimensione della identità spirituale. Se l’uomo e la donna formano un «solo corpo» che vive e rappresenta l’«immagine» di Dio, l’adulterio è un assassinio di questo «solo corpo» perché spezza in due la personalità/immagine vivente, cioè la uccide e vi sostituisce una nuova metà che non corrisponde alla realtà. L’adulterio è un falso «vivente» che prova a rendere vivo ciò che ha ucciso. Per questo si applica la legge del taglione: «vita per vita, occhio per occhio» (Es 21,23-23).
[4] Coloro che esercitano un’autorità di qualunque natura sono credibili solo se i loro comportamenti sono in sintonia con le parole e i proclami perché il maestro non può non essere testimone di quello che insegna, vive e pretende dagli altri. Ciò vale per l’autorità della Chiesa che rischia di essere autoreferenziale cioè fine a se stessa. Vale anche, e forse a maggior ragione per coloro che governano, i quali sono portati in campagna elettorale a fare promesse sconnesse, illogiche, se non addirittura false, sapendo che la memoria degli elettori è molto corta. Un cattolico impegnato in politica deve essere rigoroso nella verità della sua azione che deve corrispondere alle sue parole, sapendo che il fine non giustifica mai i mezzi che si usano: essi devono essere sempre morali, coerenti, veri. Purtroppo, troppo spesso, molti cattolici impegnati in politica si schierano dalla parte di corrotti, corruttori, immorali perdendo di credibilità per loro e per quello che dicono di rappresentare.
[5] Cf Preghiera sulle offerte nell’Epifania del Signore.


Giovedμ 18 Marzo,2010 Ore: 10:51
 
 
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