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www.ildialogo.org IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI,

II NATALE – 2 gennaio 2011
IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM


Gv 1,1-18
[ In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. ]
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
[ Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. ]
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.  
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Nel prologo al suo vangelo Giovanni riassume e formula tutto il contenuto della sua opera. Quindi sono diciotto versetti preziosi e molto molto ricchi. Per comprenderli iniziano dall'affermazione clamorosa che l'evangelista mette alla fine del prologo. Scrive l'evangelista “Dio nessuno lo ha mai visto”. Questa è un'affermazione grave, perentoria, che, tra l'altro, contraddice la stessa Bibbia, perché nella Bibbia si afferma che Mosè ed altri personaggi hanno visto Dio.
Giovanni non è d'accordo, “Dio nessuno lo ha mai visto”. Pertanto le descrizioni che si sono fatte di Dio, anche da parte di Mosè, sono limitate, sono incomplete, a volte devianti, o addirittura false. Quindi Dio nessuno lo ha mai visto. “Il figlio unigenito”, unigenito nel senso dell'unicità di questo figlio, “che è Dio”, che è Dio lui stesso, “ed è nel seno del Padre”, cioè nella piena intimità del Padre, “è lui che lo ha rivelato”.
Con questa affermazione l'evangelista conclude il prologo invitando quindi a porre tutta l'attenzione sulla figura di Gesù. Cosa vuole dire che Dio nessuno lo ha mai visto e solo il figlio ce lo ha rivelato? Che Gesù non è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Se noi diciamo che Gesù è uguale a Dio significa che abbiamo un'immagine, un'idea di Dio.
Ebbene l'evangelista ci invita a sospendere questa immagine e a centrare tutta la nostra attenzione su Gesù. Tutto quello che vediamo in Gesù questo è Dio. Quindi non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù, e molte immagini e molte idee su Dio, vedendo il comportamento e l'insegnamento di Gesù, inevitabilmente verranno a cadere.
Quindi l'evangelista ci invita a porre tutta l'attenzione su Gesù perché in lui si manifesta Dio. E proprio perché in Gesù si manifesta la divinità, e andiamo a ritroso in questa lettura del prologo, c'è stato bisogno di una nuova relazione tra gli uomini e Dio. Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una relazione tra i servi e il loro Signore, basata sull'obbedienza; ebbene Gesù, che non è il servo di Dio, ma il figlio di Dio, propone una nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, non basata sull'obbedienza, ma sulla somiglianza e l'accoglienza del suo amore.
Ecco perché allora nel versetto che precede l'evangelista ha scritto “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità”, 'grazia e verità' è un'espressione che indica l'amore fedele, l'amore vero, “vennero per mezzo di Gesù Cristo”. Quindi una nuova relazione non più basata sulla legge, ma sull'accoglienza del suo amore.
E, sempre andando a ritroso nella lettura di questo prologo, scrive l'evangelista “dalla sua pienezza”, cioè dalla pienezza di questo uomo nel quale si manifesta la condizione divina, “noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Cosa vuol dire l'evangelista? E' il dinamismo della vita del credente e della comunità cristiana.
All'amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato ai fratelli, questo è il dinamismo di crescita dei credenti. Più sarà grande la risposta di questo amore al fratello e più, a sua volta, sarà grande da parte di Dio la risposta del suo amore. Quindi più noi comunichiamo quest'amore ai fratelli e più da Dio riceviamo amore. Questo in un crescendo senza fine.
Questa crescita nell'amore è quello che realizza l'individuo e il credente. E, andando ancora indietro saltando qualche versetto, l'affermazione importante dell'evangelista che “il Verbo', 'il Verbo' significa la parola creatrice, la sapienza creatrice “si fece ...”, l'evangelista non scrive che si fece uomo, ma usa il termine carne che indica l'uomo nella sua piena debolezza.
Il progetto di Dio non si realizza in un superuomo, difficile da imitare, soltanto da ammirare, ma si realizza nella debolezza umana. Questo vuol dire che Dio si manifesta nell'umanità. Più l'uomo diventa umano più manifesta il divino che è in lui. E questo Verbo che si fece carne, questo progetto di Dio, che si fa carne, è la pienezza dell'amore di Dio che si manifesta in un uomo che diventa l'unico vero santuario dal quale si irradia l'amore del Padre.
E questo Verbo che si è fatto carne, si è fatto uomo nella sua debolezza, scrive l'evangelista, “E' pieno, di grazia e verità”, cioè completo. La caratteristica che distingue Gesù è l'amore fedele. L'amore quando è vero? Quando è fedele. E questo Verbo che si è fatto carne, che si è fatto uomo, ci rimanda allora all'inizio del prologo, dove l'evangelista scrive, “In principio era il Verbo”.
Giovanni prende le distanze dalla teologia del libro del Genesi, dove si affermava che “In principio Dio creò il cielo e la terra”. No, l'evangelista non è d'accordo,in principio, prima ancora di creare il cielo e la terra, c'era questo Verbo, cioè questa parola creatrice, sapienza creatrice, una parola che ha un progetto e, prima ancora della creazione, questo progetto interpellava Dio.
E qual'era questo progetto? Donare all'uomo la condizione divina. Questo è il progetto di Dio sull'umanità, quindi possiamo definire il prologo l'inno d'amore di Dio per tutta l'umanità, l'inno dell'ottimismo di Dio. Dio è talmente innamorato degli uomini che, prima ancora di creare il mondo, aveva il progetto di dare agli uomini la sua stessa condizione, la condizione divina.
E per questo, proprio al centro del prologo, quindi il versetto più importante di tutta questa composizione, l'evangelista scrive che “Mentre questo progetto venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto”, questo è un monito sempre presente per tutte le comunità, “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.
Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, accogliendo Gesù come progetto d'amore di Dio per la propria esistenza. Questo fatto di poter diventare figli di Dio a chi accoglie Gesù, significa che Dio non assorbe quindi l'uomo, non lo distoglie o lo distrae dagli altri, è un Dio che potenzia l'uomo, gli comunica la sua stessa capacità d'amore perché con lui e come lui vada verso gli altri.

La novità portata da Gesù è che non si vive più per Dio, ma si vive di Dio. Questo è il prologo di Giovanni, quindi un inno all'ottimismo di Dio sull'umanità e una proposta per ogni uomo di diventare figlio di Dio. Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, per una scelta continua e quotidiana dell'amore fedele come quello che il Padre ci comunic



Venerd́ 07 Gennaio,2011 Ore: 14:45
 
 
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