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www.ildialogo.org TRA INTEGRISMO PREDICATO E COMMISTIONI PRATICATE, STORIA DEI RAPPORTI TRA CL E POLITICA,da Adista Notizie n. 17 del 05/05/2012

TRA INTEGRISMO PREDICATO E COMMISTIONI PRATICATE, STORIA DEI RAPPORTI TRA CL E POLITICA

da Adista Notizie n. 17 del 05/05/2012

36657. MILANO-ADISTA. L’autista, le vacanze di lusso, i ristoranti esclusivi, le scarpe di coccodrillo, i voli in elicottero, le camicie griffate e stravaganti; ma anche la Regola benedettina, la cassa comune per fare la spesa a turno nella comunità maschile in cui vive, la liturgia delle ore, gli esercizi spirituali annuali a Rimini, anche la promessa di castità, un tempo. La vita di Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia da tempo nell’occhio del ciclone per i tanti inquisiti della sua Giunta e della maggioranza che lo sostiene, e ora anche per i suoi rapporti con l’imprenditore Pierangelo Daccò (che secondo le accuse gli avrebbe pagato viaggi, soggiorni e pranzi), rappresenta bene le contraddizioni che ha attraversato, sin dalla sua nascita, Comunione e Liberazione. L’integrismo religioso che si sposa con un atteggiamento spregiudicato in politica; la critica ai credenti che accettano di “mediare” con le culture diverse dalla propria e la disinvolta frequentazione di imprenditori, banchieri, finanzieri; la difesa ad oltranza del magistero ecclesiastico e le inchieste e le condanne che hanno coinvolto esponenti e cooperative della galassia ciellina; la critica alla secolarizzazione e la secolarizzazione più spinta dei propri costumi e della propria dimensione pubblica; il rigore evangelico predicato e il lusso praticato.

Roberto Formigoni, non a caso, è un ciellino della prima ora. Conosce don Luigi Giussani negli anni ’60, quando era nella sua Lecco e frequentava il liceo Manzoni. Come un altro ciellino doc, Angelo Scola, oggi arcivescovo proprio di quella diocesi, Milano, roccaforte della presenza ciellina e del governo di Formigoni. Il quale aderisce subito a Gioventù Studentesca, la prima “creatura” di Giussani; poi a Comunione e Liberazione. Nel 1970 entra nei Memores Domini, associazione laicale voluta da Giussani i cui membri vivono i “consigli evangelici” di povertà, castità perfetta e obbedienza.

A livello politico, Formigoni comincia a farsi largo attraverso il Movimento Popolare, creatura ciellina che avrà con la Democrazia Cristiana un rapporto apparentemente conflittuale e talvolta di aperta contestazione; nella pratica di costante fiancheggiamento. Il movimento nasce ufficialmente il 29 maggio 1975, grazie proprio a Formigoni e ad altri membri di Cl. Ma già l’anno prima, in occasione del referendum sul divorzio del 12 maggio 1974, i seguaci di don Giussani avevano fatto compattamente campagna per il sì, cioè per la soppressione della legge, contrapponendosi a quel vasto settore dell’associazionismo cattolico che, spesso in contrasto con i propri vertici nazionali, sosteneva invece le ragioni della legge Fortuna-Baslini, introdotta nel 1970.

Uguali e indistinti

Giussani, già nel febbraio del 1976, sottolineava che Mp era «un fatto politico più che un fatto ecclesiale»; nel maggio 1977, più chiaramente, insieme a Formigoni, inviava una lettera a tutti i responsabili di Cl, precisando che «il soggetto pubblico promotore di tutte le iniziative in campagna elettorale deve essere il Movimento Popolare, non Cl; ciò al fine di evitare gravi equivoci sulla natura ecclesiale del nostro movimento». Un mantra ripetuto anche recentemente dal card. Scola («Gli uomini che si sono giocati in politica portano lì la loro faccia e su questa base sono stati e saranno valutati dai cittadini», Corriere della Sera, 23/12/2011), e dal successore di Giussani, don Carron («non esistono candidati di Cl, non esistono politici di Cl. Questa cosa, prima si chiarisce, meglio è», Corriere della Sera, 16/1/2012) da sempre funzionale ad evitare polemiche interne e a scongiurare ricadute per le grane giudiziarie dei suoi membri, ma anche conseguenze dovute alle necessarie “mediazioni” che Mp avrebbe doveva fare per restare a galla nell’agone politico, smentendo così nei fatti la “purezza” rivendicata dalla propaganda ufficiale. E comunque, nell’università come nelle elezioni comunali, alle politiche come alle europee, Cl ha sempre fatto campagna elettorale a tappeto a favore dei “suoi”. Non solo esistono, e sono sempre esistiti, i candidati di Cl, insomma, ma essi venivano e vengono votati e fatti votare proprio perché appartengono al movimento.

Del resto, a confermare che la divisione tra dimensione politica ed ecclesiale è sempre stata solo teorica è la stessa Cl, che negli anni ’80 sostiene a gran voce, nella dimensione pubblica dell’azione cristiana, la cultura della “presenza”, intesa come protagonismo diretto dei cristiani, da cristiani, nella società secolarizzata, che non accetta la distinzione conciliare tra fede e impegno politico e che, soprattutto, si batte contro la cultura della “mediazione”, portata avanti a quel tempo dai “nemici” – l’Azione Cattolica – attenti alla formazione alla politica più che alla politique politicienne, e legati alla tradizione del cattolicesimo democratico più aperto, che preferiva la pratica del dialogo alle ambizioni egemoniche di una visione anacronistica di nazione cristiana. E che pensavano che la ricerca della sintesi politica non dovesse e non potesse escludere il contributo di culture e visioni del mondo diverse dalla propria.

All’ombra del Divo

Ma di compromessi, nonostante gli assunti e le affermazioni propagandistiche, Mp ne fa molti. Definiti inizialmente “gli extraparlamentari della Dc”, quel suffisso “extra” i membri del Movimento Popolare lo perdono presto, ed all’interno del partito conquistano rapidamente visibilità, spazio, candidature, incarichi. Dopo il suo primo test elettorale – le amministrative del 20 giugno 1975 (quelle in cui il Pci scavalcò per la prima volta nella sua storia la Dc), dove 5 ciellini furono eletti al comune di Milano, e diversi altri nel resto dell’Italia – Mp comincia infatti a crescere, pesca nuove adesioni dalla Cisl, dalle Acli e da altri ambienti dell’associazionismo ecclesiale, assume peso nelle assise e negli organismi dirigenti locali e nazionali del partito. Non può non accorgersene uno degli uomini più potenti della Dc, Giulio Andreotti, che con Cl condivide la spregiudicatezza politica, oltre che il pragmatismo celato dietro la formale osservanza del magistero della Chiesa e dei precetti evangelici. Integralisti a parole, sempre possibilisti nella concreta pratica dell’azione politica, i ciellini scelgono l’uomo di tutte le stagioni politiche, quello dei governi con i liberali e con i comunisti, delle amicizie e degli interessi trasversali, funzionali soprattuto al mantenimento del proprio potere.

Di Cl si era occupato il quindicinale andreottiano Concretezza con due lunghi articoli–inchiesta già nel 1976. È l’anno in cui la Stampa e il manifesto accusano Cl di essere finanziata dalla Cia. Ma la svolta arriva nel 1981, quando Andreotti benedice pubblicamente Formigoni e i suoi in una lunga intervista a Panorama. Andreotti diventa così l’ospite fisso dei meeting di Rimini, il nume tutelare dei seguaci di don Giussani all’interno della Democrazia Cristiana, l’idolo dei militanti e dei dirigenti di Cl, il direttore di una delle riviste d’area, 30giorni. Il suo seguito è tale che Marco Bucarelli, leader romano di Mp definisce Andreotti «l’unico leader che rappresenta l’anima popolare della Dc e non è contagiato da tentazioni laiciste». Nel maggio 1981, la Dc perde il referendum sull’aborto, Arnaldo Forlani si dimette dalla presidenza del Consiglio, complice anche il coinvolgimento di alcuni esponenti del governo nel caso P2, la Dc accetta per la prima volta dal dopoguerra di lasciare la guida del governo ad un non democristiano, Giovanni Spadolini, segretario del Partito Repubblicano. Espressione del possibile rinnovamento e modernizzazione della Dc appare allora uno storico esponente della corrente della sinistra di Base del partito, vicno all’area di Benigno Zaccagnini: è Ciriaco De Mita, che vince il XV Congresso del partito (maggio 1982).

Intorno alla candidatura di De Mita le tradizionali correnti del partito si scompongono parzialmente, e l’esponente dc è eletto con i voti di una una parte dei dorotei, dei fanfaniani e degli andreottiani. La linea è quella della competizione con il Psi all’interno della coalizione che diventa il pentapartito.

Gli esponenti di Comunione e Liberazione, sceguendo le indicazioni di Andreotti, a quel congresso votano De Mita. Ma l’idillio dura pochissimo, e il settennato di De Mita alla guida della Dc è caratterizzato da durissimi scontri proprio con i ciellini. Anche perché, nel 1986, ciellini ed andreottiani stipulano un patto precongressuale per sbarrargli la strada della riconferma a segretario. De Mita diviene così il bersaglio privilegiato dei corsivi e degli articoli del Sabato, settimanale nato nel 1979 come rivista cattolica indipendente, ma che di fatto – essendo stata fondata da Formigoni, scritta e diretta da ciellini duri e puri (e finanziata, tra gli altri, da Silvio Berlusconi) – difende la linea di Cl e del Movimento Popolare.

I nemici del Sabato

Sul fronte interno, Mp si caratterizza come una realtà in cui sono pochissimi a decidere (in ultima istanza sempre Formigoni), non ci sono elezioni interne, perché – spiegano i fedelissimi di don Giussani – il fattore che determina le scelte è sempre “l’amicizia”, non i rapporti di forza; e ciò che definisce l’amicizia, affermano i ciellini, non è il voto, ma il cammino comune che si compie. All’esterno, invece, i ciellini e il Sabato sparano a palle incatenate contro tutti i cattolici che non condivididevano le loro posizioni, o non conformavano la propria azione politica alla più rigida osservanza del magistero wojtyliano. Alcuni cattolici democratici (il caso più celebre è quello di Giuseppe Lazzati, attaccato dopo che era morto) vennero addirittura definiti “protestanti” per il semplice fatto che non ritenevano il loro cattolicesimo un’arma da brandire o un valore da imporre; da proporre, semmai, nel fecondo dialogo con le altre opzioni presenti nella società contemporanea. Tra i pezzi del Sabato, si distinguono in quel periodo, oltre agli editoriali di Giussani, i corsivi e gli articoli di Antonio Socci, Roberto Fontolan, Paolo Liguori, Alessandro Sallusti, Renato Farina. In funzione anticomunista e per supportare l’azione restauratrice di Wojtyla (entusiasta sostenitore, assieme al card. Ruini, di Cl per tutti gli anni ’80, soprattutto per contrastare l’egemonia conciliare dell’Azione Cattolica sul laicato cattolico del Paese, nelle parrocchie e nelle diocesi), il Sabato pubblica gli interventi dei dissidenti sovietici, ma soprattutto sostiene il sindacato polacco Solidarnosc.

Intanto, il XVII Congresso nazionale della Dc del maggio 1986 riconferma De Mita, questa volta a larga maggioranza. Ma i “franchi tiratori” in Parlamento fanno cadere il governo Craxi ed evidenziano i difficili rapporti tra la Dc di De Mita ed il Psi, e tra le stesse correnti democristiane. Si va alle elezioni anticipate, in programma per il 14 giugno. Una settimana prima del voto, 39 democristiani rendono noto un documento che si dissociava esplicitamente dalla politica demitiana. Tra queste, anche le firme di andreottiani e ciellini, che chiedevano la fine delle suggestioni bipolari di De Mita e la ripresa dei rapporti con il Psi. Anche in questo caso, i duri e puri che avevano criticato ogni cedimento della Dc alla cultura secolarizzata ed alle forze politiche laiche, si trovano a sponsorizzare apertamente l’alleanza con i socialisti. L’astro di De Mita tramonta lentamente, ma inesorabilmente. Il 13 aprile 1988 De Mita riesce a diventare presidente del Consiglio, ma resta in carica solo fino luglio 1989. Lo stesso anno viene sostituito alla segreteria della Dc da Forlani, sostenuto anche dai voti degli andreottiani e dei ciellini.

Intanto, dopo le politiche del 1987, Formigoni, già parlamentare europeo, viene eletto alla Camera dei Deputati. Nel Movimento Politico lascia il posto a Giancarlo Cesana.

Invitati alla mensa

Se la scelta di Andreotti e Craxi è per Cl lungimirante dal punto di vista della conquista di spazi politici, delle alleanze economiche ed imprenditoriali, dell’acquisizione di appalti per la galassia di aziende e cooperative nate sotto l’egida di don Giussani (sanità, scuola, trasporti, mense, banche ed assicurazioni, privato sociale ed assistenza,università, cultura), non altrettanto si può dire per quanto riguarda le sorti di Movimento Politico. Che infatti viene prima scosso alle fondamenta dallo scandalo sull’ appalto delle mense scolastiche romane che coinvolse il plenipotenziario di Mp a Roma (e vicepresidente nazionale) Marco Bucarelli, ed il luogotenente di Andreotti nella capitale, Vittorio Sbardella (lo scandalo porta alla caduta della giunta comunale guidata dal sindaco democristiano Pietro Giubilo). Poi, nel 1992, travolto da Tangentopoli assieme agli stati maggiori di Psi e Dc. Mp si scioglie ufficialmente nel 1993, anche a causa di un riassestamento di potere interno alle due anime di Comunione e Liberazione. A prevalere è infatti l’ala milanese, più religiosa e integralista, a scapito dell’ala romana, più politica e pragmatica. Esce inoltre sconfitta la linea di coloro che volevano Cl e le sue articolazioni come un grande serbatoio di voti democristiano, una vera e propria corrente politica organizzata, cui Formigoni e Sbardella avevano anche dato un nome, Alpoca (Alleanza Popolare per il Cambiamento). Anche il Sabato, da tempo in crisi, chiude i battenti.

Con lo scioglimento del Movimento Popolare e la dissoluzione della Dc, i ciellini inizialmente si posizionano dentro il rinato Partito Popolare. Poi, quando è chiaro che un centro autonomo dalla destra o dalla sinistra non ha più i numeri per essere determinante, si spostano in maggioranza a destra, nel Ccd di Casini o, come Formigoni, confluendo in Forza Italia. Non senza alcune eccezioni, però: fedeli alla “politica dei due forni” di andreottiana memoria, i ciellini dopo la diaspora democristiana si sono candidati un po’ in tutti gli schieramenti, pur mantenendo il cuore e l’asse dei loro interessi politici ed economici saldamente a destra, non disdegnano di candidarsi anche in liste di centro e di centrosinistra, a seconda della forza delle alleanze e degli schieramenti nelle diverse realtà locali.

Negli ultimi anni le inchieste sulle cooperative e sugli affari di Cl sono proseguite, soprattutto nella “periferia” dell’impero ciellino. Come quella della Procura di Bari, nel 2003, che riguarda La Cascina, la società che gestisce, in regime di monopolio, le mense di scuole materne e elementari nel barese, quelle dell’università e i pasti del Policlinico. Ai dirigenti ciellini vengono contestati, a vario titolo, i reati di truffa, falso e frode nelle pubbliche forniture. In primo grado finisce con 17 condanne.

Oggi, dopo gli ennesimi scandali che colpiscono il cuore del potere di Cl, qualcuno in Vaticano di certo sorride. Si tratta di quella parte di gerarchia ecclesiastica, segretario di Stato vaticano in testa, che tesse i suoi legami con il mondo politico-finanziario sotto l’egida dell’Opus Dei, un “sistema di potere” alternativo a quello di Comunione e Liberazione-Compagnia delle Opere e nei confronti del quale lo scontro, con la crisi che “morde” si sta facendo più aspro. Ne è un esempio lampante, lo scontro per l’acquisizione del San Raffaele, nel centro nevralgico, la Lombardia, degli interessi ciellini ed in un settore, la sanità, che insieme all’edilizia, ai servizi sociali e all’assistenza, costituisce l’attività prevalente delle cooperative che gravitano nell’orbita del movimento fondato da don Giussani. Un altro esempio è lo scandalo Viganò, che ha coinvolto pezzi importanti della Curia legati al card. Bertone. Rispetto ad esso, la bufera scatenatasi oggi contro Formigoni appare ad alcuni così il giusto contrappasso. (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Mercoledì 02 Maggio,2012 Ore: 16:23
 
 
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