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www.ildialogo.org TORNA L’ICI. ANCHE PER LA CHIESA CATTOLICA? STORIA DI UN’ESENZIONE VENTENNALE,Da ADISTA NOTIZIE N. 89 del 03 Dicembre 2011

TORNA L’ICI. ANCHE PER LA CHIESA CATTOLICA? STORIA DI UN’ESENZIONE VENTENNALE

Da ADISTA NOTIZIE N. 89 del 03 Dicembre 2011

36411. ROMA-ADISTA. «L’esenzione dall’Ici delle abitazioni principali costituisce una peculiarità, se non vogliamo chiamarla anomalia, del nostro ordinamento tributario»; rispetto agli altri Paesi europei, «l’Italia è caratterizzata da un’imposizione sulla proprietà immobiliare che risulta al confronto particolarmente bassa», per cui «intendiamo riesaminare il peso del prelievo sulla ricchezza immobiliare». Non ha usato giri di parole il neo-premier Mario Monti quando, lo scorso 17 novembre, ha chiesto, e ottenuto, la fiducia al Senato: tornerà l’Ici anche sulla prima casa – sebbene, forse, si chiamerà in maniera diversa – e presumibilmente verranno innalzati i valori catastali delle abitazioni oppure direttamente le aliquote.

500 milioni all’anno di tasse non pagate

Una misura necessaria, sostengono i ministri del governo “tecnico”, per tenere sotto controllo il bilancio dello Stato e per dare un po’ di ossigeno alle casse dei Comuni che, dall’abolizione dell’Ici, sono stati i più colpiti, con il conseguente taglio dei servizi sociali. E chissà se stavolta, dopo un ventennio di esenzioni, a pagare l’imposta saranno anche gli enti ecclesiastici proprietari di immobili: si potrebbero recuperare almeno 500 milioni di euro all’anno di tasse non versate, secondo le prudenziali stime dell’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani). Il gruppo Re (Società per azioni fondata nel 1984 da Vincenzo Pugliesi e Francesco Alemani Molteni che offre consulenza e servizi immobiliari, finanziari e gestionali soprattutto agli organismi della Chiesa italiana) ha infatti calcolato che la Chiesa – attraverso una miriade di enti, confraternite, istituti religiosi, capitoli e diocesi – è padrona del 20% del patrimonio immobiliare italiano (v. Adista n. 39/07). Solo a Roma, dove maggiore è la presenza ecclesiastica, il radicale Maurizio Turco ha contato oltre 23mila immobili di proprietà di 2mila enti ecclesiastici, alcuni creati ad hoc per mimetizzarli meglio: “Propaganda Fide” (ovvero la Congregazione vaticana per l’Evangelizzazione dei Popoli), per fare un unico esempio, utilizza 48 diverse denominazioni sociali – tutte però con lo stesso codice fiscale – per “mascherare” le sue proprietà e dare meno nell’occhio.

Un’esenzione ventennale

La storia dell’esenzione Ici per gli immobili di proprietà ecclesiastica è piuttosto travagliata. Venne introdotta fin da subito, nel 1992, con la nascita dell’imposta. A metà anni ’90 il Comune dell’Aquila avviò un contenzioso contro l’Istituto delle Suore Zelatrici del Sacro cuore e gli intimò il pagamento dell’Ici per alcuni immobili usati come casa di cura per anziani e pensionato per studentesse universitarie. Ne scaturì una battaglia di ricorsi e contro-ricorsi fra le religiose e l’amministrazione comunale che, dopo un conflitto legale durato quasi dieci anni, vinse: la Corte di Cassazione stabilì che l’attività delle suore non era né di culto né benefica – come prevedeva la legge – ma commerciale, dal momento che le anziane e le studentesse l’ospitalità la pagavano. A soccorrere le zelatrici caparbie, e con loro tutti gli altri enti ecclesiastici proprietari, provvidero subito gli zelanti Berlusconi e Tremonti, al governo nel 2005, che modificarono la legge e salvarono suore e religiosi: erano esentati dall’Ici gli immobili di proprietà ecclesiastica in cui si svolgevano anche attività commerciali purché «connesse a finalità di religione o di culto» (v. Adista nn. 61, 69, 71 e 77/05).

L’anno successivo, appena vinte le elezioni, Prodi e Bersani provano – anche perché l’Europa si stava interessando al caso e sta tuttora indagando sulla questione che si configurerebbe come improprio aiuto di Stato – ad abolire l’esenzione ma alla fine, anche per le proteste di una parte del mondo cattolico, partorirono una soluzione di compromesso: sono esentati dall’Ici gli immobili di proprietà ecclesiastica (e degli enti «senza fini di lucro») destinati al culto e allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive purché «non abbiano esclusivamente natura commerciale» (v. Adista nn. 53/06; 49 e 81/06). Il «non esclusivamente» sanò alcune situazioni limite, ma mantenne intatti i privilegi delle migliaia di conventi trasformati in alberghi, case di riposo, cliniche e scuole private, tanto che lo stesso Bersani, l’inventore della formula avverbiale, la scorsa estate, quando infiammava la campagna sui privilegi economici della Chiesa, ammise che la norma lasciava spazio ad una «casistica di confine» (v. Adista n. 62/11).

Sembrava che l’esenzione potesse scomparire nel 2014, quando sarebbe stata introdotta l’Imu (Imposta unica municipale), la nuova tassa “federalista” pensata da Tremonti nel 2010 ma, in seguito alle vibranti proteste della Cei, venne subito ripristinata (v. Adista n. 81/10). Ad eliminare ogni ambiguità ci hanno provato di nuovo i Radicali che a settembre hanno presentato un emendamento ad una delle tante manovre economiche del governo Berlusconi-Tremonti: «L’esercizio a qualsiasi titolo di un’attività commerciale, anche nel caso in cui abbia carattere accessorio rispetto alle finalità istituzionali dei soggetti e non sia rivolta ai fini di lucro comporta la decadenza immediata dal beneficio dell’esenzione dell’imposta». Caritas salve – anche per far dormire sonni tranquilli al direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che urlò subito «vogliono tassare la beneficenza» – ma conventi-alberghi sottoposti alla normale tassazione riservata agli enti commerciali. L’emendamento, ovviamente, fu bocciato.

Il governo tecnico eliminerà il privilegio?

Chissà se adesso, con la complicità della crisi e il sostegno dell’Europa, il presidente del Consiglio sarà in grado di mettere mano alla normativa e abolire il privilegio per gli enti ecclesiastici. Ammesso che voglia farlo, dovrà però vedersela con alcuni dei suoi ministri: Andrea Riccardi, fondatore e leader della Comunità di sant’Egidio, che è di casa in Vaticano (fra i più grandi proprietari immobiliari, anche in territorio italiano), e soprattutto Lorenzo Ornaghi, ministro della Cultura e, da 10 anni, vicepresidente del Consiglio di amministrazione del quotidiano della Cei Avvenire e rettore dell’università Cattolica di Milano, che è esente dal pagamento dell’Ici. Anche perché Monti lo ha detto: dovrà contribuire soprattutto chi finora «ha dato di meno». (luca kocci)

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail info@adista.it Sito www.adista.it



Martedì 29 Novembre,2011 Ore: 19:07
 
 
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