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www.ildialogo.org La lezione di Mandeville,di Elio Rindone

La lezione di Mandeville

di Elio Rindone

Non se ne può più: dai ceti inferiori si innalza sempre più rabbiosa e insistita la protesta contro l’illegalità e la corruzione, che sarebbero causa dello sfruttamento e della miseria dei più. Certo, nessuno nega che nel nostro Paese il numero dei disoccupati, e degli scoraggiati che neanche cercano più un lavoro, supera i cinque milioni, il 21% della forza lavoro, e che ci sono 4.742.000 di poveri «assoluti» e 8.465.000 di poveri «relativi», mentre l’1% della popolazione possiede il 20% della ricchezza nazionale. E con ciò?
Di cosa si lamentano, che cosa vogliono questi poveracci? Le società umane, in tutte le epoche e a tutte le latitudini, si sono sempre fondate sulla corruzione. Due testimonianze tra le mille possibili: il poeta latino Giovenale constatava, in una delle sue Satire, che “a Roma tutto ha un prezzo”; e lo scrittore russo Nikolaj Gogol’ ricordava che a un impiegato delle amministrazioni municipali del suo Paese non è mai conveniente presentarsi a mani vuote: “devi portare una pariglia di trottatori, o un calesse, o una pelliccia di castoro da trecento rubli” (Il diario di un pazzo).
Da che mondo è mondo, gli uomini tendono ad accumulare quelle ricchezze che rendono piacevole la vita e si sa che, come scriveva nelle sue Istorie fiorentine un acuto osservatore della realtà come Niccolò Machiavelli, c’è un solo modo per procurarsele: “Se voi noterete il modo di procedere degli uomini, vedrete tutti quelli che a ricchezze grandi e a grande potenza pervengono, o con frode o con forza esservi pervenuti”. E se tengono conto delle convenzioni morali, proseguiva Machiavelli, è solo per coprire sotto la veste di leciti guadagni ciò che è frutto di vere e proprie rapine: “quelle cose, dipoi ch’eglino hanno o con inganno o con violenza usurpate, per celare la bruttezza dello acquisto, quello sotto falso titolo di guadagno adonestano”.
E allora, che la piantino questi patiti della legalità, affetti da una patologia che non si sa se definire ipersensibilità etica, deformazione caratteriale o tic nervoso. Davvero credono che in una società che non si limitasse a proclamare il valore dell’onestà ma volesse costruirsi effettivamente su di essa, tutti starebbero meglio? Non si rendono proprio conto che tanta ingenuità e una così cieca voglia di cambiamento possono avere conseguenze sovversive, al punto da mettere in pericolo la sopravvivenza stessa della società!
Sì, perché sono, con tutta evidenza, dei poveri illusi, prigionieri della loro ignoranza. Infatti, già circa tre secoli fa un olandese intelligente e colto, Bernard de Mandeville, ha spiegato una volta per tutte che sopprimere l’avarizia, l’invidia, l’ambizione, la brama d’illecito arricchimento e tutte le altre passioni che i moralisti bollano come vizi che causano una diffusa illegalità porterebbe non a un’equa distribuzione della ricchezza ma a un generale impoverimento.
* * *
Nel poemetto satirico La favola delle api, il nostro autore mostra infatti che, piaccia o no, è inevitabile che i furbi abbiano la meglio sui creduloni, e che una società di onesti, si tratti di api o di uomini, è irrealizzabile perché è semplicemente contro natura. E ogni tentativo di contrastare la natura è vano e non può che avere effetti disastrosi.
“Milioni di api – scriveva con grande realismo il nostro Bernard – erano occupate a soddisfare la vanità e le ambizioni di altre api, che erano impiegate unicamente a consumare i prodotti del lavoro delle prime. Malgrado una così grande quantità di operaie, i desideri di queste api non erano soddisfatti. Tante operaie e tanto lavoro potevano a mala pena mantenere il lusso della metà [o meglio, direi oggi, della minoranza] della popolazione. Alcuni, con grandi capitali e pochi affanni, facevano dei guadagni molto considerevoli. Altri, condannati a maneggiare la falce e la vanga, non potevano guadagnarsi la vita se non col sudore della fronte e consumando le loro forze nei mestieri più penosi”.
E Mandeville non intende affatto nascondere l’immoralità dei privilegiati che vivono della fatica altrui, e cioè “cavalieri d’industria, parassiti, mezzani, giocatori, ladri, falsari, maghi, preti, e in generale tutti coloro che, odiando la luce, sfruttavano con pratiche losche a loro vantaggio il lavoro dei loro vicini, che non essendo essi stessi capaci d’ingannare, avevano fiducia nel prossimo”. Gli avvocati, per esempio, “preoccupati soltanto di ricavare degli elevati onorari, facevano di tutto per impedire che si appianassero le liti attraverso un accomodamento”; i medici trascuravano la loro disciplina ma con “sguardi gravi e un’aria pensosa riuscivano ad assicurarsi una grande reputazione”; tra i numerosi “preti di Giove, pagati per attirare sull’alveare la benedizione del cielo, ve n’erano ben pochi che avessero eloquenza e sapere. La maggior parte erano tanto presuntuosi quanto ignoranti”; dei ministri, poi, basti dire che “saccheggiavano impunemente le casse dello Stato che si erano industriati a riempire”.
Tuttavia, “pur essendo ogni ceto pieno di vizi, la nazione di per sé godeva di una felice prosperità. […] Tale era lo stato fiorente di questo popolo. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica”. Il Paese, dunque, era ricco e progredito non malgrado i vizi dei suoi abitanti ma, al contrario, proprio grazie ad essi: “la vanità, questa passione tanto detestata, dava occupazione a un gran numero di artigiani. La stessa invidia e l’amor proprio, ministri dell’industria, facevano fiorire le arti e il commercio. Le stravaganze nel mangiare e nella diversità dei cibi, la sontuosità nel vestiario e nel mobilio, malgrado il loro ridicolo, costituivano la parte migliore del commercio”.
Eppure – tale era la follia di quelle api – bastò una piccola crisi economica, con la conseguente contrazione dei consumi, che si cominciò ad accusare la corruzione come responsabile della diminuzione del benessere, e un insano desiderio si impadronì di milioni di cuori e presto trovò espressione in un urlo incontenibile: Onestà! Onestà! Sicché Giove, indignato, volle dare a quegli stolti una lezione esemplare: “da questo istante l’onestà s’impadronirà di tutti i loro cuori”.
Ovvie le conseguenze. Niente vanità, niente ambizione, niente lusso, niente sprechi: quindi crollo dell’industria, dell’artigianato e del commercio, e a seguire del valore delle case e delle terre. I nobili facevano a meno della numerosa servitù, mentre un solo impiegato svolgeva il lavoro che prima richiedeva una decina di burocrati. Nessuno rubava più, nessuno organizzava più ingegnose truffe, anzi “i debitori saldavano di propria iniziativa i loro debiti, senza eccettuare neppure quelli che i loro creditori avevano dimenticato, e si condonava generosamente a coloro che non erano in grado di soddisfarli”. Quindi, niente più processi: avvocati, magistrati, carcerieri e boia tutti a spasso. Inutile proseguire con la desolante descrizione delle tristi condizioni di vita di quelle api: in un alveare in cui una volta abbondava la ricchezza ora regnava non la vagheggiata giustizia ma una spaventosa miseria.
* * *
Ecco la lezione che dovrebbero comprendere quei cittadini indignati che, accecati dal miraggio dell’onestà, accusano i nostri governanti di non combattere la corruzione. E non si rendono conto che, al contrario, dovrebbero piuttosto ringraziare i partiti, di destra di centro e di sinistra, che negli ultimi decenni e sino a oggi, con sorprendente sintonia e ammirevole costanza, hanno approvato leggi che l’illegalità addirittura la favoriscono. Se il nostro Paese può essere annoverato ancora tra le grandi potenze industriali, è proprio grazie a quelle leggi – e vogliamo qui ricordarne almeno qualcuna – che sono non un titolo di vergogna ma di orgoglio per un ceto politico così competente e lungimirante.
Nel 1994 abbiamo un bel condono fiscale seguito da un condono edilizio. Nel 1995 si rende più difficile la custodia in carcere per i reati dei colletti bianchi e viene abrogata la norma che prevedeva l’arresto in flagranza del falso testimone, arma terribile nelle mani dei pubblici ministeri perché provocava le confessioni a valanga degli anni di Tangentopoli.
Nel 1997 viene depenalizzano il reato di abuso d’ufficio non patrimoniale: vengono così legalizzati i favoritismi, le lottizzazioni, i nepotismi, i concorsi truccati, le raccomandazioni nella pubblica amministrazione. L’abuso patrimoniale rimane reato, ma solo se commesso intenzionalmente: per punirlo, il giudice dovrà dimostrare che è stato commesso per favorire una persona e per danneggiarne un’altra. E la pena massima per quest’ultima fattispecie viene sensibilmente ridotta, con tre conseguenze: niente più custodia cautelare; niente più intercettazioni; termini di prescrizione dimezzati (da 15 anni a 7 e mezzo).
Sempre nel 1997 si decide di chiudere le supercarceri di Pianosa e Asinara, così come richiesto da mafiosi condannati a una detenzione inumana. Nel 1998 si approva invece una legge che risparmia il carcere a chiunque debba scontare meno di 3 anni: così alcuni imputati eccellenti di Tangentopoli non vanno in galera. Nel 2001 una nuova legge riduce sensibilmente i benefici per i mafiosi che collaborano con la giustizia e impone loro di raccontare ai giudici tutto ciò che sanno nei primi sei mesi di collaborazione. «Con questa legge», commenta l’allora procuratore di Palermo Piero Grasso, «al posto di un mafioso, non mi pentirei più».
Ancora nel 2001 si stabilisce che per commettere il reato di «dichiarazione infedele» delle tasse, il contribuente deve superare una certa soglia di non punibilità: e cioè 100 mila euro di imposta evasa; si abolisce inoltre la tassa di successione per i patrimoni superiori ai 350 milioni di lire, mentre fino a quella cifra l’imposta era già stata abrogata. Nel 2002 invece si alzano le soglie di non punibilità per il falso in bilancio delle società: 5 per cento del risultato d’esercizio e 1 per cento del patrimonio netto. Negli stessi anni nuovi condoni e scudi fiscali per il rientro dei capitali all’estero.
Nel 2004 si abbassano le aliquote fiscali per i redditi dei più abbienti (aliquota minima è ora del 23%, la massima del 45% e poi del 43%; sino al 1997 la minima era del 10% e la massima del 51%). Nel 2005 la legge ex Cirielli trasforma in arresti domiciliari la detenzione per gli ultrasettantenni e riduce la prescrizione per gli incensurati, portando così i reati prescritti da 100 a 150 mila all’anno. Si stabilisce inoltre che le confessioni religiose che hanno sottoscritto l’Intesa con lo Stato italiano non pagheranno l’Ici nemmeno sugli immobili a fini commerciali.
Nel 2006 si approva un indulto molto generoso: 3 anni di sconto di pena a chi ha commesso reati prima del 2 maggio di quell’anno, e lo sconto vale anche per i reati contro la pubblica amministrazione, compresa la corruzione giudiziaria. Nel 2008 si approva, nonostante gli allarmi della magistratura, una norma che consente la vendita all’asta di tremila immobili confiscati alle mafie, e che saranno di fatto acquistati da prestanome dei mafiosi; si approva, inoltre, un nuovo scudo fiscale e si abolisce l’Ici su tutte le prime case, anche quelle dei più ricchi.
Per non dilungarci troppo, veniamo agli anni più recenti. Nel 2014 diventano, a motivo della tenuità del fatto, semplici illeciti amministrativi quelli che prima erano reati penali, come l’abuso della credulità popolare o la bancarotta semplice e i delitti contro la pubblica amministrazione (dalla malversazione a danno dello Stato alla corruzione per l’esercizio della funzione, dalla rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio alla resistenza a pubblico ufficiale).
Nel 2015 è approvata la riforma dell’abuso del diritto, la cosiddetta elusione fiscale: il contribuente, cioè, che percepirà illeciti vantaggi dribblando le norme fiscali non sarà più raggiunto da una sanzione penale, bensì amministrativa; inoltre la soglia di non punibilità, per la dichiarazione infedele, viene portata a 150.000 euro di imposta evasa, e si consente l’uso del contante per operazioni sino a tremila euro. Sempre nel 2015 per il caso di omesso versamento dell’IVA la soglia minima di rilevanza penale è passata da cinquantamila a duecentocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta; inoltre diventa non punibile l’evasore già scoperto se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede all’integrale pagamento di quanto dovuto all’Erario: da questo momento in poi a pagare anche se non scoperti saranno, ovviamente, solo i masochisti! E, del resto, è sempre più difficile che gli evasori siano scoperti, perché negli ultimi anni i controlli si sono più che dimezzati.
Venendo ai nostri giorni, è stata abolita, anche per i più ricchi, la tassa (che era stata reintrodotta) sulla prima casa (l’IMU che aveva sostituito l’ICI), e si stanno approvando interventi per salvare banche e banchieri con i soldi, e si tratta di un bel po’ di miliardi di euro, di tutti i cittadini. E finalmente si sta riuscendo a limitare l’uso delle intercettazioni e la loro pubblicazione, che costituiscono un’insopportabile violazione della privacy. La legge-delega “per la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario”, da poco approvata, dà ampio mandato al governo perché adotti un decreto delegato che preveda l’obbligo per i magistrati di espungere dagli atti “comunicazioni e conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale”.
Ma non meno lodevole dell’approvazione di tali leggi è la perseveranza con cui vengono mantenute in vigore, nonostante il variare delle maggioranze di governo. E parimenti ammirevole è il rifiuto dei nostri parlamentari di varare i provvedimenti richiesti da certi magistrati che vorrebbero non solo il blocco della prescrizione sin dal momento del rinvio a giudizio, ma anche vantaggi per chi porta alla luce i reati, estendendo quindi l’istituto dei collaboratori di giustizia, e l’introduzione di operazioni sotto copertura, con finti corruttori che avvicinano i politici offrendo loro mazzette. Provvedimenti che, se fossero approvati, contrasterebbero davvero la diffusione della corruzione, e porterebbero quindi alla rovina del Paese.
Ciononostante, qualche processo ai colletti bianchi si fa, ed è giusto perché si dà così lavoro a magistrati e avvocati, ma raramente si arriva a una sentenza di condanna, grazie appunto all’opera dei nostri coraggiosi legislatori che tengono la barra dritta nonostante le accuse loro rivolte da noti giustizialisti come il pubblico ministero Nino Di Matteo, che non perde occasione per denunciare il fatto che “in Italia il quadro normativo in vigore garantisce a corrotti e collusi una sostanziale impunità”.
Grazie all’azione costante e capillare di una sana informazione, poi, l’opinione pubblica si è ormai liberata dal moralismo di quei bigotti che bollano come culto di Mammona il desiderio di ricchezze e vorrebbero che alla condanna penale si aggiungesse quella morale, con l’emarginazione sociale e la fine della carriera: al contrario, finalmente non ci si vergogna più di rubare e le pratiche illegali possono svolgersi con serenità e alla luce del sole.
* * *
A quelle api che, per la loro stoltezza, avevano meritato la punizione del sommo Giove, il saggio Mandeville rivolgeva in conclusione questo pressante invito: “Abbandonate le vostre lamentele, o mortali insensati! Invano cercate di accoppiare la grandezza di una nazione con l’onestà. Solo dei folli possono illudersi di godere dei piaceri e delle comodità della terra, di esser famosi in guerra, di vivere bene a loro agio e, nello stesso tempo, di essere virtuosi”.
Parimenti a noi non resta che augurarci che il Padreterno, da un lato, protegga i nostri buoni governanti e dia loro la forza di non cedere mai alle tentatrici sirene dell’onestà e, dall’altro, faccia rinsavire i maniaci della legalità o almeno li lasci blaterare senza accogliere le loro insensate richieste, perdonandoli perché non sanno quello che dicono e che fanno.



Venerdì 01 Dicembre,2017 Ore: 19:56
 
 
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