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www.ildialogo.org POPOLO E COSTITUZIONE DOPO IL REFERENDUM,di Raffaello Saffioti

UN CONTRIBUTO ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE DEI “COMITATI PER IL ‘NO’” DEL 21 GENNAIO 2017 A ROMA
POPOLO E COSTITUZIONE DOPO IL REFERENDUM

RISPONDERE ALLA DOMANDA DI PARTECIPAZIONE DELLA SOCIETA’ CIVILE. VERSO UNA NUOVA STAGIONE POLITICA?


di Raffaello Saffioti

Credo che la vera democrazia possa essere frutto soltanto della nonviolenza.
GANDHI

La nonviolenza: stile di una politica per la pace.
PAPA FRANCESCO
LA VITTORIA DEL “NO” AL REFERENDUM CI INTERROGA
Qual è il senso profondo del voto referendario del 4 dicembre 2016, con il 70% dei votanti?
Il popolo italiano chiamato a votare sulla Costituzione ha dato una risposta chiara con la sua partecipazione. Quella risposta è anche una domanda che ci interroga tutti, Comitati, partiti, cittadini. I partiti stanno dimostrando di non sapere o di non volere comprendere il valore del risultato del Referendum.
Il tema fondamentale da affrontare rimane quello della democrazia, della sovranità popolare.
Nella campagna referendaria si è sviluppato un dibattito che deve continuare per rispondere alla domanda “Come cambia la democrazia” che è anche il titolo di un libro di recente pubblicazione[1].
CHI SIAMO NOI?
OLTRE IL MODELLO “PARTITO” PER UNA NUOVA STAGIONE POLITICA
Anna Falcone ha detto:
“Siamo un’organizzazione plurale e democratica: decideremo insieme su come proseguire e su quali priorità. […] Siamo tutti consapevoli dei limiti del modello partito che si è sviluppato a dispetto del ‘metodo democratico’ sancito dalla Costituzione […]. Quanto alla società civile, il salto di qualità sta nell’annullare la separazione fra società civile e società politica: la democrazia partecipativa impone un impegno costante di tutti e la fine della delega di potere in bianco che metta nelle mani di pochi le decisioni sul futuro di tanti. Penso sia già emersa una forte volontà di partecipazione, che può convogliarsi in una nuova stagione di attivismo politico, ma serve, adesso, dimostrare di saperla coniugare con un altrettanto grande senso di responsabilità. Sono processi che richiedono tempo e impegno da parte di tutti. Eppure, mai come adesso, è necessario che questo salto di qualità si realizzi.
[…] Noi cercheremo di trasformare questa vittoria in un nuovo inizio per la ‘discesa in campo’ non di singoli leader, ma dei cittadini tutti, i veri protagonisti di questa vittoria e gli unici che possono animare, insieme, una nuova stagione politica”[2].
Anna Fava, curatrice del volume di Salvatore Settis Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla (Einaudi, 2016), ha scritto nel capitolo col titolo “Difesa dei diritti, difesa della Costituzione”:
“Oggi la partecipazione alla vita politica garantita dalla Costituzione può essere articolata anche attraverso la creazione di nuovi istituti della democrazia, corpi intermedi che rispondano al bisogno di democrazia radicale che in tutto il mondo sta emergendo dalla società.
… Queste possibilità sono contenute in nuce nella Costituzione, che rappresenta una riserva di potenzialità politiche che attendono solo di essere dispiegate. Perché ciò possa accadere la cultura della Costituzione, i suoi principi, la sua storia, le lotte che l’hanno prodotta e quelle a cui essa a sua volta ha dato slancio devono fuoriuscire dal recinto dello specialismo per divenire sapere comune, alfabetizzazione civile”.
ALDO CAPITINI: IL POTERE DI TUTTI (OMNICRAZIA)
Appare quanto mai attuale il pensiero profetico di ALDO CAPITINI (1899-1968), padre della nonviolenza in Italia. Serve richiamarlo in questo dopo-Referendum.
Capitini nel secondo dopoguerra ha coniato il termine “omnicrazia”, proponendolo sia con gli scritti che con l’azione. L’omnicrazia non si contrappone alla democrazia, ma ne rappresenta il suo sviluppo e compimento secondo l’articolo 3 della Costituzione che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Capitini ha scritto:
“Ognuno deve imparare che ha in mano una parte di potere, e sta a lui usarla bene, nel vantaggio di tutti; deve imparare che non c’è bisogno di ammazzare nessuno, ma che, cooperando o non cooperando, egli ha in mano l’arma del consenso e del dissenso. E questo potere lo ha ognuno, anche i lontani, le donne, i giovanissimi, i deboli, purché siano coraggiosi e si muovano cercando e facendo, senza farsi impressionare da chi li spaventa con il potere invece di persuaderli con la libertà e la giustizia, e l’onestà esemplare dei dirigenti.
E’ un errore pensare che basta che uno molto bravo (e chi lo giudica?) o un gruppo di pochi vada al potere anche con la violenza, riesca a cambiare tutto in bene. Noi non ci crediamo. Bisogna prepararci tutti al potere per il bene di tutti, cioè per la loro libertà, per il loro benessere, per il loro sviluppo”[3].
Democrazia diretta.
“A noi interessa una società in cui il potere politico non venga affidato a poche persone, che lo esercitano lasciando all’oscuro la massa della popolazione. Ci interessa una società in cui non esistano sudditi, ma cittadini i quali verificano l’operato dei loro rappresentanti politici, discutono insieme ad essi le deliberazioni da prendere, criticano e fanno proposte, sostituiscono i dirigenti quando questi si dimostrano incapaci e disonesti. In altre parole, ci interessa una democrazia diretta, contrassegnata da una cosciente partecipazione popolare alla vita politica e da un vigile controllo dal basso negli organi di autogoverno e di decentramento del potere.
[…] Perché il potere sia di tutti occorre che sia concesso agli elettori il diritto di revocare la loro fiducia a tutti gli eletti nelle pubbliche amministrazioni, prima della scadenza del loro mandato”[4].
“I partiti esistono per il ‘potere’, per acquistarlo o per sostenerlo. Da ciò la loro ragione d’essere e tutti i loro limiti, il machiavellismo, la disciplina interna, le gelosie, il settarismo, il patriottismo di partito. La conquista del potere è l’assoluto per il partito. Il partito è il mezzo e il potere è il fine. Ma qui sorgono gravi difficoltà. Può il mezzo essere diverso dal fine?”[5].
“Il mio ideale è quello di un popolo che non ha bisogno di partiti politici (con la chiusura e il non riconoscimento dei propri limiti e della propria insufficienza), ma che trae le sue idee ed esplica la sua attività in libere associazioni culturali, tecniche, morali, religiose, seguendo e partecipando alla libera stampa, solo all’avvicinarsi delle elezioni potrebbero formarsi comitati per la designazione di uomini e per la lotta”[6].
“Considero utile il Parlamento, ma mi preme dire che esso ha bisogno di essere integrato da moltissimi centri sociali, assemblee deliberanti o consultive in tutta la periferia. Questa integrazione è dal basso. Il Parlamento, che è dal basso per la sua derivazione dall’elezione, rischia tuttavia di diventare ‘dall’alto’, cioè dalla capitale, da un cerchio di conoscenze speciali e di interessi riservati a pochi. Bisogna che siano tanti gli enti locali deliberanti in assemblea, da costituire il necessario contrappeso e correttivo. E poiché anche al livello degli enti locali può ripetersi l’indurimento delle posizioni ‘dall’alto’, è necessario costituire centri sociali, periodici e aperti, nei quali si dibattano tutti i problemi a cominciare da quelli amministrativi. […] Il centro sociale periferico (consiglio di quartiere, di frazione, di villaggio, di borgata) è uno degli strumenti per dare un potere a tutti”[7].
UNA PROPOSTA DI RANIERO LA VALLE
In questo dopo-Referendum conviene riprendere una proposta di RANIERO LA VALLE, tratta da un suo discorso a Lucca, il 26 maggio, durante la campagna referendaria:
Ha detto:
“Ci sarebbe una bella riforma da fare”
“Si dice però che la Costituzione era invecchiata. […] Va bene, allora cambiamola. Ma si tratta di una Costituzione, cambiamola dunque per farci grandi cose, per esempio mettiamoci che la pace non è solo un diritto, ma anche un dovere, come sta scritto nella Costituzione della Colombia. Mettiamoci che nei bilanci pubblici le spese sociali, le spese per la scuola, le spese per la sanità, non devono mai scendere sotto una certa soglia, devono crescere man mano che si riducono le spese militari, quelle della burocrazia e altre spese improduttive. Mettiamoci il diritto di cittadinanza. Mettiamoci che le banche servono agli Stati e non gli Stati alle banche. Mettiamoci che l’euro non vuol dire che non siamo più sovrani sulle decisioni dell’economia e della finanza. Mettiamoci che a Bruxelles decidono i popoli e non le Troike. Mettiamoci un’Europa unita nella giustizia e nel diritto, non nelle lacrime e il sangue dei disoccupati e dei poveri. Mettiamoci che tutti hanno diritto di asilo, i bambini nelle scuole e i profughi in Europa. Mettiamoci, come voleva fare Dossetti alla Costituente, che lo Stato riconosce come originario l’ordinamento giuridico internazionale, in modo che non soccomba alla sovranità degli Stati. Mettiamoci, come chiedeva lo stesso Dossetti, il diritto alla resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti costituzionali oppure mettiamoci, come è già scritto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ‘la ribellione contro la tirannia e l’oppressione’”.
“Le alternative ci sono”
“Ciò che il popolo sovrano deve stabilire è che non è vero affatto che non ci siano alternative, ma che siamo noi stessi che le dobbiamo determinare.
Certo in un sistema giunto a questo grado di desertificazione della democrazia, è difficile vedere alternative già pronte. Ma la decisione da prendere è appunto di ripopolare il deserto, di ripiantare gli alberi divelti, di irrigare le terre inaridite, il che vuol dire il ritorno dei cittadini alla politica, la reinvenzione dei partiti o di altri strumenti di partecipazione e di intervento, l’attivazione di nuovi coinvolgimenti di classi e culture diverse, la creazione di laboratori, scuole e centri di formazione politica; vuol dire riconoscere che un ciclo si è chiuso ma solo perché se ne deve avviare uno nuovo; ma per questo occorre rimettersi in movimento, pensare cose non ancora pensate ma anche osare cose già pensate e non attuate. Non è vero infatti che in questi anni si sia fermata la riflessione, siano mancate l’analisi e le proposte di nuove prospettive politiche e costituzionali; basta pensare agli sviluppi della teoria del diritto e della democrazia di Luigi Ferrajoli, che già hanno avuto importanti influenze in America Latina. Si tratta di rifondare la democrazia, dare nuove regole al potere, dare nuovi diritti e compiti ai cittadini, sapendo, come diceva Dossetti alla fine della sua vita, che ‘la crisi globale nella quale siamo immersi non può guarirsi in pochi anni o con qualche trovata di qualche sistema elettorale, può guarirsi con un grande sforzo collettivo di rieducazione e di riattivazione di tutto il tessuto sociale, prima che dell’espressione politica’.
Questo è il significato, ma anche il programma d’azione, del nostro No nel referendum”.
REVISIONE DELL’ARTICOLO 52 DELLA COSTITUZIONE
L’articolo 52 della Costituzione è anacronistico e va sottoposto a revisione.
La difesa della patria e la risoluzione dei conflitti internazionali vanno perseguiti con mezzi nonviolenti, coerenti con il principio del ripudio della guerra, affermato nell’articolo 11 della Costituzione stessa.
Il militarismo è incompatibile con il principio del ripudio della guerra, posto tra i principi fondamentali della nostra Costituzione. Il ripudio della guerra dovrebbe comportare, di conseguenza, anche il ripudio dell’esercito.
Ricordiamo quanto hanno scritto Gandhi e Capitini sulla coerenza tra mezzi e fini.
Lo sviluppo della democrazia dovrebbe aggiungere al metodo democratico il metodo nonviolento, a partire dal basso.
Capitini ha scritto:
“Negli ultimi decenni usi cospicui di tale metodo sono state le lotte per la liberazione dell’India e dei negri degli Stati Uniti. Le tecniche del metodo nonviolento insegnano il valore della collaborazione e della noncollaborazione, del consenso e del dissenso, diffondendo a tutti i cittadini la convinzione che si può sempre fare qualche cosa, e che si debbono attuare larghe solidarietà, infondono in tutti i cittadini la persuasione di possedere un potere di influenza, di controllo e di azione sulla società, e preparano perciò la trasformazione della società di pochi in società di tutti”[8].
“E’ chiaro che bisogna arrivare a moltitudini che rifiutino la guerra, che blocchino con le tecniche nonviolente il potere che voglia imporre la guerra. L’Europa ha sofferto per non aver avuto queste moltitudini di dissidenza assoluta, per esempio riguardo al potere dei fascisti e dei nazisti. L’omnicrazia deve prender corpo anche in questo modo: nella capacità di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti; ma questa capacità delle moltitudini ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo”[9].
LA NONVIOLENZA: STILE DI UNA POLITICA PER LA PACE” (PAPA FRANCESCO)
Ora ci soccorre nel dibattito anche Papa FRANCESCO col suo Messaggio per la cinquantesima giornata mondiale della Pace.
Il Papa, nel Messaggio rivolto con gli auguri di pace “ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle varie espressioni della società civile”, ha scritto:
“Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.
[…] Questo è anche un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo: applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità. Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo». Operare in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare che davvero l’unità è più potente e feconda del conflitto. Tutto nel mondo è intimamente connesso. Certo, può accadere che le differenze generino attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in contrasto».”[10].
E’ da sottolineare la novità del Messaggio, espressa fin dalle parole del suo titolo. Per la prima volta la “nonviolenza” è entrata in un testo ufficiale del magistero cattolico che unisce al valore religioso quello politico.
IL RAPPORTO TRA POPOLO E DEMOCRAZIA
E’ il caso, inoltre, di introdurre nel dibattito del dopo-Referendum, per elevarne il livello e allargarne la prospettiva, il discorso che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti al 3° Incontro Mondiale dei Movimenti popolari il 5 novembre 2016.
Papa Francesco ha detto:
“Dare l’esempio e reclamare è un modo di fare politica, e questo mi porta al secondo tema che avete dibattuto nel vostro incontro: il rapporto tra popolo e democrazia. Un rapporto che dovrebbe essere naturale e fluido, ma che corre il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile. Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle. I movimenti popolari, lo so, non sono partiti politici e lasciate che vi dica che, in gran parte, qui sta la vostra ricchezza, perché esprimete una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione sociale alla vita pubblica. Ma non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola […].
Vorrei sottolineare due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere.
Primo: non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agroecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali … fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle ‘politiche sociali’, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema.
Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le ‘macrorelazioni’, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera, non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.
Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.
Sappiamo che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema.
L’inequità è la radice dei mali sociali» (Esort. Ap. Evangelii gaudium, 202). Per questo, l’ho detto e lo ripeto, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli, nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Discorso al II incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). […] Questo è il primo rischio: il rischio di lasciarsi incasellare e l’invito a mettersi nella grande politica.
Il secondo rischio, vi dicevo, è lasciarsi corrompere. Come la politica non è una questione dei ‘politici’, la corruzione non è un vizio esclusivo della politica. C’è corruzione nella politica, c’è corruzione nelle imprese, c’è corruzione nei mezzi di comunicazione, c’è corruzione nelle chiese e c’è corruzione anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. E’ giusto dire che c’è una corruzione radicata in alcuni ambiti della vita economica, in particolare nell’attività finanziaria, e che fa meno notizia della corruzione direttamente legata all’ambito politico e sociale. […] La misura è molto alta: bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà. Questo vale per i politici ma vale anche per i dirigenti sociali e per noi pastori”[11].
METTERE IN DISCUSSIONE L’ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE
Abbiamo il coraggio di mettere in discussione l’articolo 7 della Costituzione e sostenere il superamento del regime pattizio per i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica?
Una spinta ci viene dal convergere di due movimenti, religioso uno, provocato dal Concilio Vaticano II (1962-1965), sociale l’altro, provocato dal Referendum costituzionale.
Ormai è possibile ipotizzare l’intesa tra le parti per il superamento di questo regime, convergendo ragioni evangeliche, da parte della Chiesa, ragioni costituzionali, da parte dello Stato.
Sono proprio i movimenti storici che attraversano sia la Chiesa cattolica che la società italiana che rendono superato il regime pattizio affermatosi con i Patti Lateranensi del 1929, pur dopo le modifiche successive.
Il Concilio Vaticano II ha operato un rinnovamento della Chiesa ed anche dei suoi rapporti col mondo contemporaneo con uno dei suoi documenti, la costituzione pastorale “Gaudium et spes” (1965).
Per quanto ci interessa, in essa leggiamo:
“Capitolo IV – La vita della comunità politica
76. La comunità politica e la Chiesa
[…]Gli apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell’esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre.
Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero nuove disposizioni”.
La posizione anticoncordataria non è nuova, né nella Chiesa, né nello Stato e nella società. Ora è il momento di rinnovarla, sull’onda del Referendum e dell’azione riformatrice di Papa Francesco.
Basta qualche richiamo. In un dibattito parlamentare, in Senato Raniero La Valle disse:
“Il Concilio non elude il problema del rapporto tra Stato e Chiesa; lo risolve proponendo non la via concordataria, ma la via della ‘concordia’ che altro non è che il regime di una piena ed effettiva libertà religiosa”[12].
Oscar Luigi Scalfaro: “Sono sempre stato contrario al Concordato. Un Concordato infatti ha ragione d’essere tra Chiesa e Stato quando lo Stato non rispetta nella sostanza i valori della democrazia. […] Ma in un paese democratico le ragioni dello status concordatario vengono meno”[13].
L’era della Chiesa costantiniana e del suo potere temporale dovrebbe essere già finita[14].
Il rinnovamento conciliare non può essere ignorato.
Il Vangelo per la Chiesa, la Costituzione per lo Stato e la società, rendono ormai insopportabili i privilegi concordatari della Chiesa cattolica: a proposito di esenzioni fiscali per fini di religione e di culto, per il matrimonio concordatario, per i cappellani negli ospedali, nelle carceri e nelle forze armate, per l’esenzione dei chierici dal servizio militare.
Nell’Italia del Concordato la libertà religiosa rappresenta una sfida, anche per la democrazia[15].
Va fatto valere con forza il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, posto dall’articolo 3 della Costituzione, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Se si è aperta una “nuova stagione politica”, l’Assemblea nazionale dei Comitati per il No può raccogliere questa sfida alla democrazia?
Roma, 11 gennaio 2017
Raffaello Saffioti
Comitato “Insieme per la Costituzione” di PALMI
Centro Gandhi – PALMI

raffaello.saffioti@gmail.com



NOTE

1 AA.VV., Come cambia la democrazia, Assisi, Cittadella editrice, 2016, pp. 130.
Il libro raccoglie i contributi di vari autori, pubblicati dalla rivista della Pro Civitate Christiana “Rocca” nel corso della campagna referendaria.
2 Dalla intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena, in MicroMega online, 28 dicembre 2016.
3 ALDO CAPITINI, Il potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 152-153.
4 Dal mensile “Il potere di tutti, fondato e diretto da ALDO CAPITINI, Anno I, N. 1, gennaio 1964, p. 1.
5 ALDO CAPITINI, Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950, p. 130.
6 ALDO CAPITINI, Nuova socialità e riforma religiosa, cit., p.32.
7 ALDO CAPITINI, Il potere di tutti, cit., pp. 88-89.
8 ALDO CAPITINI, Teoria politica e struttura sociale dell’omnicrazia, pp. 47-48.
9 ALDO CAPITINI, Il potere di tutti, cit., p. 68.
12 Dal documento di “Noi Siamo Chiesa” del 18 febbraio 1999, col titolo “A 70 anni dai Patti Lateranensi A 15 anni dal Concordato del 1984”( http://www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/movimento/PattLat.htm)
13 Ibidem.
14 M.-D. CHENU - M. PESCE, La fine dell’era costantiniana, Morcelliana, 2013.
15 Leggere: il settimanale “Adista”, n. 37, 29 ottobre 2016, “La sfida della libertà religiosa nell’Italia del Concordato”.



Mercoledì 11 Gennaio,2017 Ore: 21:33
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
Mauro Matteucci Pistoia 11/1/2017 22.00
Titolo: Ma il 4 dicembre 2017 c'èstato un referendum costituzionale?

Carissimo Raffaello, come è tua consuetudine, richiami ai grandi maestri senza fare distinzioni - bastano le citazioni di Aldo Capitini e di papa Francesco - indicando valori alti in un momento di grave caduta etica. Certamente il voto del 4 dicembre ha significato presa di consapevolezza critica da parte di tanti cittadini. Ma ancora una volta la politica - o meglio, la cosiddetta tale - fa finta di niente ignorando e calpestando il voto di milioni di elettori che hanno difeso i pilastri della Costituzione che si volevano abbattere. Purtroppo oggi il no della Consulta al referendum sull'art.18 dà un altro colpo alla volontà di partecipazione esplosa meravigliosamente il 4 dicembre. I diritti negati, lo schiavismo imperante sui posti di lavoro, i salari da fame e via sfruttando, gridano al cielo. Per questo non dobbiamo cedere a tanta arroganza e indifferenza. Con amicizia, Mauro

 
Autore Città Giorno Ora
CENTRO GANDHI ONLUS Pisa 12/1/2017 10.28
Titolo:Un programma per il movimento per la pace e l'omnicrazia.
Un lucido vademecum per la nostra azione politica dei prossimi mesi. Tutto il movimento per la pace e la nonviolenza ne prenda nota !
Autore Città Giorno Ora
Antonio D'Agostino Vibo Valentia 12/1/2017 22.40
Titolo:Da una delle tante periferie italiane in lotta.
Un unico filo risso lega il pensiero e l'azione di questi grandi pensatori di ieri e di oggi. Raffaello Saffioti ce li ripropone con la solita sapiente e accurata selezione. E con l'empatia comunicativa di chi ne ha dato testimonianza nel suo percorso di  vita. In essi c'è la forza motrice per l'avvio di una rivoluzione dal basso e nonviolenta per battere l'imperante pensiero unico, opprimente e liberticida.
Autore Città Giorno Ora
giulia guzzo San Giovanni in Fiore (CS) 14/1/2017 14.24
Titolo:leggendo....Raffaello
Credo che sia uno dei lavori più belli e interessantiche abbia fin qui scritto Raffaello. Il rapporto  tra le istituzioni e i cittadini,è ormai a rischio,vista  la  classe dirigente sempre più protesa verso la difesa delle banche, delle grandi aziende, della guerra. La Democrazia è in crisi...la partecipazione pure . La vittoria del NO non è bastata , deve continuare percè non è cambiato niente. ci troviamo difronte a un governo Reni bis.

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