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www.ildialogo.org Una Costituzione da cambiare o da attuare?,di Elio Rindone

Referendum Costituzionale
Una Costituzione da cambiare o da attuare?

di Elio Rindone

Vademecum sulla riforma costituzionale in vista del referendum di dicembre.
La possibilità di approvare o bocciare una riforma costituzionale non è una responsabilità da prendere sottogamba: sono in gioco i nostri diritti, perché è proprio nella Costituzione che essi trovano la loro tutela giuridica. La nostra attuale Costituzione, per esempio, afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, che occorre rimuovere gli ostacoli di carattere economico che ostacolano il pieno sviluppo della persona umana, che vanno create le condizioni perché il diritto al lavoro divenga effettivo, che l'informazione deve essere libera e pluralistica, che la retribuzione dei lavoratori deve essere tale da assicurare un'esistenza dignitosa, che il sistema tributario deve essere informato a criteri di progressività. Consigliabile, dunque, aprire bene gli occhi.
Il compito di tradurre in atto tali principi, che sono enunciati nella prima parte della nostra Costituzione, è affidato dalla sua seconda parte a un insieme di organi che hanno poteri ma anche limiti ben precisi: parlamento, governo, presidente della Repubblica. Infatti, il criterio cui si ispira l'ordinamento della nostra Repubblica è quello, proprio di tutti gli Stati liberal-democratici, della separazione e del bilanciamento dei poteri: è la soluzione proposta dai pensatori politici della modernità per evitare quell'accentramento del potere che nega o mette in pericolo i diritti dei cittadini. La riforma su cui saremo presto chiamati a esprimere il nostro decisivo giudizio tocca proprio questa seconda parte, e la domanda che dovremmo porci, a mio parere, è la seguente: la nuova architettura dello Stato accrescerà o no la possibilità dei cittadini di controllare i governanti perché questi facciano gli interessi di tutti e non quelli dei cosiddetti poteri forti? In altre parole: i diritti enunciati nella prima parte della Costituzione saranno ugualmente garantiti o saranno lasciati più facilmente all'arbitrio di un certo politico autoreferenziale?
Per provare a rispondere a tale domanda la prima cosa da fare, ovviamente, è quella di esaminare gli articoli della nuova Costituzione e, poiché si tratta di questioni abbastanza complesse, credo che la soluzione migliore sia quella di studiarli con l'aiuto degli esperti. Ebbene, il giudizio dei maggiori costituzionalisti italiani è stato praticamente unanime: la riforma non migliorerebbe ma peggiorerebbe la vita dei cittadini. Certamente possono sbagliare, ma mi sembrerebbe una scelta di buon senso quella di tenere in qualche considerazione il parere dei competenti.
Una seconda cosa, ed è quella che mi accingo a fare, è quella di inquadrare il proposito di riforma costituzionale nel suo contesto. L'attuale ceto politico, infatti, non è certo il primo che ha sentito l'esigenza di cambiare la Costituzione. Anzi, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, le iniziative in tal senso sono state numerose: dalla Commissione Bozzi a quella De Mita-Iotti a quella D'Alema, dalla riforma del governo Berlusconi bocciata dal referendum popolare ai progetti del governo Letta. Ora, non mi sembra fuori luogo chiedersi: è davvero il cambiamento della Costituzione che i cittadini chiedono ai governanti? O chiedono piuttosto creazione di nuovi posti di lavoro, maggiori stanziamenti per sanità e scuola pubblica, lotta alla corruzione e all'evasione fiscale? E queste politiche sono ostacolate dall'attuale Costituzione o dal ceto politico che, pur con casacche di diverso colore, esercita da decenni il potere? Ebbene, la mia ipotesi è proprio questa: i ripetuti tentativi di cambiare la Costituzione mirano a ridurre gli spazi di controllo popolare al fine di blindare il potere di un ceto politico che potrà senza troppi rischi continuare ad attuare politiche anti popolari. Attraverso una rapida ricostruzione storica, che non volendo dare nulla per scontato prenderà le mosse da nozioni elementari, cercherò quindi di giustificare questa mia ipotesi.
Che cos'è una Costituzione?
È la legge fondamentale che stabilisce l'organizzazione di uno stato e i diritti e i doveri dei cittadini, che possono stare assieme pacificamente proprio perché il patto costituzionale contempera i loro differenti interessi. Dato che stabiliscono le finalità e i principi basilari che riguardano le relazioni tra gli associati, i compiti dei governanti e le modalità con cui si prendono le decisioni, le costituzioni di solito hanno una lunga durata (quella americana, per esempio, è del 1787).
Da cosa nasce l'esigenza di una Costituzione?
Dalla necessità di limitare il potere dei governanti e garantire i diritti dei cittadini (il potere di un sovrano assoluto come Luigi XIV, per esempio, non ha limiti). E non si tratta di una conquista fatta una volta per tutte, perché la tendenza dei governanti all'accentramento del potere, stando alle testimonianze storiche, sembra irresistibile: come notava Montesquieu, è sempre necessario che "il potere arresti il potere" per evitarne gli abusi. Occorre, quindi, essere consapevoli che i governanti per certi aspetti sono la controparte dei governati.
Qual è la garanzia contro gli abusi del potere?
È, appunto, la divisione, proposta dai pensatori liberali, dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, a cui si potrebbe aggiungere la necessaria indipendenza di un quarto potere: quello dell'informazione.
Chi approva la Costituzione?
Di solito un'assemblea costituente, in cui trovano spazio le diverse idee e i diversi interessi. I parlamenti normalmente procedono solo a delle revisioni, non a cambiamenti così radicali da configurare una nuova Costituzione. Poiché devono garantire tutti gli associati, le costituzioni dovrebbero essere approvate a larga maggioranza, perché una maggioranza ristretta potrebbe portare alla sopraffazione delle minoranze. I governi, quindi, che rappresentano una parte, seppur maggioritaria, del parlamento, dovrebbero astenersi quando si discutono modifiche costituzionali.
Le Costituzioni possono essere modificate?
Sì ma, per evitare che una maggioranza improvvisata possa cambiarle senza un'adeguata riflessione, alcune costituzioni, come la nostra, sono rigide, cioè prevedono procedure più complesse per introdurre dei mutamenti. Poiché le Costituzioni mirano a limitare il potere, esse di solito nascono da un'iniziativa popolare, magari dopo una rivoluzione. L'esigenza di modificare le Costituzioni già in vigore, invece, è di solito avvertita da chi ha il potere, e storicamente è dimostrato che lo scopo del cambiamento è quello di ridurre gli spazi di partecipazione popolare: basti pensare ai plebisciti voluti da Napoleone I e Napoleone III.
Le modifiche della Costituzione devono avvenire nel rispetto delle regole?
La risposta sembra ovvia: è proprio il rispetto delle regole che evita gli abusi di potere. Può capitare, però, che anche i principi più evidenti non trovino riscontro nella realtà. In casi simili, (un arbitro che non fischia falli da rigore e, per esempio, lascia addirittura modificare la Costituzione da un parlamento eletto con una legge incostituzionale) soltanto cittadini informati e consapevoli possono denunciare la gravità di forzature, apparentemente solo formali, ma che in realtà possono compromettere la sostanza stessa della vita democratica. Non dimentichiamo quanto abbiamo osservato: il potere tende spesso a sottrarsi al controllo dal basso.
Passando all'Italia: prima dell'unità c'erano Stati costituzionali?
Sì: nel 1848 il clima rivoluzionario induce Ferdinando II di Borbone, Carlo Alberto di Savoia (dopo l'unificazione lo Statuto albertino viene esteso a tutta l'Italia), Leopoldo II di Toscana e Pio IX a concedere uno Statuto (quando una Costituzione è elargita dall'alto si chiama appunto così). Ben diversa da questi Statuti, frutto di una gentile concessione, è la Costituzione della Repubblica romana, approvata da un'Assemblea costituente nel luglio del 1849, poco prima della resa alle forze francesi inviate dal futuro Napoleone III in soccorso di Pio IX. Espressioni di questa Costituzione, ispirata da Mazzini, si ritrovano quasi alla lettera nella nostra Costituzione.
Nell'Italia monarchica qual era il sistema elettorale e chi aveva diritto di voto?
È importante occuparsi dei sistemi elettorali, perché la partecipazione dei cittadini alla gestione del potere passa attraverso il diritto di voto. I sistemi elettorali sono fondamentalmente due, e hanno effetti ben diversi. Nell'Italia monarchica si comincia a votare col sistema maggioritario (il candidato che ha un voto in più viene eletto e gli altri voti vanno al macero) e il suffragio (maschile) è su base censitaria: nel 1861 il 2% della popolazione aveva il diritto di voto, nel 1882 il 7%, nel 1912 il 25%. Risultato: i liberali (di destra o di sinistra) avevano sempre la maggioranza assoluta.
Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919 (e poi nel 1921) si passa, invece, al sistema proporzionale (i seggi si assegnano in base alla percentuale di voti ottenuti da ciascuna lista) e al suffragio universale maschile. Risultato: i liberali perdono la maggioranza assoluta e si registra il successo di socialisti e popolari di don Sturzo. Forse non è un caso che già nel 1922 si verifichi un fatto eversivo come la Marcia su Roma. E nel 1923 viene subito approvata una nuova legge elettorale (Acerbo, dal nome del proponente), proporzionale con premio di maggioranza: la lista che raggiunge il 25% dei voti ottiene 2/3 dei seggi. Nel 1924 si registra così la vittoria delle liste nazionali composte da fascisti, liberali e cattolici conservatori, che porterà presto all'istaurazione del regime fascista.
Cosa avviene alla caduta del fascismo?
Nascita della repubblica. Un'assemblea costituente, eletta nel 1946 col sistema proporzionale e a suffragio universale, anche femminile, approva a larga maggioranza, grazie all'intesa tra le forze liberali, democratico-cristiane e social-comuniste, la Costituzione repubblicana, che entra in vigore il primo gennaio del 1948.
Quali sono le caratteristiche essenziali della Costituzione repubblicana?
Separazione dei poteri, libertà d'informazione (ma in questo campo siamo agli ultimi posti in Europa!), pluripartitismo. La nostra repubblica è una democrazia parlamentare: la sovranità appartiene al popolo, che elegge i suoi rappresentanti in parlamento. Mentre il fascismo ha concentrato il potere nel governo e nel suo capo, ora l'organo centrale è appunto il parlamento, composto di due camere che esercitano la funzione legislativa (bicameralismo paritario), entrambe elettive ma differenziate (il senato, ovviamente non più di nomina regia, è eletto su base regionale e richiede un'età più elevata per l'elettorato attivo e passivo). Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato: non dovrebbe intervenire nelle scelte politiche ma dovrebbe garantire il rispetto della Costituzione. E non rientra fra le sue competenze, per esempio, quella di chiedere al parlamento di impegnarsi per cambiare la Costituzione. Il potere esecutivo spetta al consiglio dei ministri, il cui presidente dirige la politica generale e coordina l'attività dei ministri; il governo per operare deve avere e conservare la fiducia di entrambe le camere, ciascuna delle quali può sfiduciarlo. Se, al contrario, il parlamento fosse asservito al governo, salterebbe la separazione dei poteri. Anche negli USA (c'è il presidenzialismo ma il congresso può avere una maggioranza di colore contrario a quello del presidente) e in Francia (c'è il semipresidenzialismo, ma anche qui il parlamento può essere di colore diverso da quello del presidente) il parlamento è in qualche modo un contropotere. Il potere giudiziario appartiene alla magistratura, che costituisce un ordine auto-nomo e indipendente da ogni altro potere. I giudici sono soggetti soltanto alla legge e non dipendono dal governo ma dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Come si eleggevano i parlamentari dal 1948 al 2005?
Nell'Italia repubblicana si vota all'inizio col sistema proporzionale. Si tentò di modificare la legge elettorale nel 1953 con una legge (truffa), che attribuiva un premio di maggioranza: il 65% dei seggi alla coalizione che raggiungeva il 50% dei voti. Nessuna coalizione raggiunse, però, quella soglia e in seguito la legge fu abolita. Il sistema proporzionale, quindi, rimase in vigore sino al 1994, quando in seguito ai referendum Segni si votò (e poi anche nel 1996 e nel 2001) con un sistema (mattarellum) maggioritario per tre quarti e proporzionale per un quarto. L'obiettivo (fallito) era quello di garantire la stabilità dei governi, difficile da ottenere col proporzionale.
Come si eleggono i parlamentari dal 2006?
Nel 2006 (e poi nel 2008 e nel 2013), invece, si votò con una nuova legge (porcellum) voluta dal governo Berlusconi: sistema proporzionale con liste bloccate e premio di maggioranza senza soglia minima (55% seggi) alla coalizione più votata. Neanche il porcellum, però, ha garantito la stabilità dei governi, sia perché le coalizioni erano poco omogenee e costruite solo per vincere le elezioni, sia perché al senato il premio di maggioranza va attribuito regione per regione, e quindi può accadere che nessuna coalizione raggiunga una sicura maggioranza.
Come si eleggeranno i parlamentari dal 2016?
L'attuale governo ha fatto approvare (anche ponendo la fiducia, e cioè prendere o lasciare; unici precedenti legge Acerbo e legge-truffa) una nuova legge elettorale (italicum) che vale solo per la Camera dei deputati: il partito che raggiunge il 40% dei voti ottiene 340 seggi (invece di 252), pari al 55% del totale. Se nessuna lista raggiunge quella soglia, le prime due vanno al ballottaggio e, senza alcuna soglia, chi vince ottiene il premio di maggioranza.
L'elettore può esprimere due preferenze, una per genere, tra i candidati non capilista, perché i capilista sono invece bloccati (quindi circa due terzi dei deputati saranno scelti dai partiti). C'è una soglia di sbarramento al 3% e la legge è entrata in vigore il primo luglio 2016, una volta approvata la riforma costituzionale che modifica il senato, al quale viene tolto il potere di dare la fiducia. Così chi rappresenta magari solo una minoranza di elettori potrà controllare facilmente la Camera, grazie al premio di maggioranza: ci saranno adeguati contrappesi al potere di chi ha vinto le elezioni? Ora si dice che questa legge elettorale va cambiata, ma per capire le intenzioni dei riformatori non bisogna dimenticare che italicum e nuova costituzione sono stati concepiti come tasselli di un unico progetto.
Come cambierà il Senato (che non viene abolito)?
Composizione. Il numero dei senatori (che non riceveranno alcuna indennità aggiuntiva ma saranno coperti dall'immunità) passa da 315 (più i senatori a vita) a 100: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal capo dello Stato per 7 anni. Lavorare come consigliere o sindaco e intanto fare il senatore forse non sarà facile. Elezione. I senatori saranno eletti non più durante le elezioni politiche ma dagli organi delle istituzioni territoriali, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi. E cioè: saranno scelti dai consiglieri regionali o dai cittadini? Di seguito il nuovo articolo costituzionale.
Art 2: Il Senato è composto di novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e di cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica. La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua in proporzione alla loro popolazione. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi. Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci, nonché quelle per la loro sostituzione, in caso di cessazione dalla carica elettiva regionale o locale. I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio.
Poteri. Il Senato potrà legiferare su alcune materie assieme alla Camera ma in una varietà di ipotesi che renderà molto complicato il processo legislativo; eleggerà 2 giudici costituzionali (pur essendo composto da 100 senatori, mentre i 630 deputati potranno eleggerne solo tre) e parteciperà all'elezione del presidente della repubblica, ma non potrà più dare o togliere la fiducia al governo (che sia proprio questo il motivo del suo ridimensionamento?).
Chi ha approvato la nuova legge elettorale e la riforma costituzionale?
Un parlamento eletto con una legge che la Consulta (13/1/2014) ha dichiarato incostituzionale, perché, col premio di maggioranza senza una soglia minima, provoca un'eccessiva sovra rappresentazione della coalizione vincente e perché, con le liste bloccate, toglie all'elettore la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti. L'attuale parlamento eletto con una legge incostituzionale avrebbe dovuto (a parere di eminenti costituzionalisti, ma non di Napolitano e Mattarella) essere sciolto al più presto, perché la maggioranza parlamentare che sostiene il governo è drogata dal premio di maggioranza, e quindi non rappresenta affatto la maggioranza degli elettori. E invece, per quanto possa sembrare incredibile, ha dato la fiducia a due governi intenzionati a modificare la Costituzione. È accettabile che una profonda revisione, o addirittura una nuova Costituzione, sia approvata da un parlamento, almeno politicamente, delegittimato? Forse siamo già fuori da una democrazia costituzionale.
Quali sono le ragioni a favore del cambiamento?
1. Dopo decenni di tentativi andati a vuoto, per la prima volta si riesce finalmente ad approvare una riforma costituzionale.
2. La riforma non tocca la prima parte della Costituzione ma solo la seconda, per rendere più semplice e veloce il processo legislativo.
3. La sera delle elezioni, come in altri Paesi europei, si conoscerà il vincitore, che potrà governare da solo senza dover fare delle alleanze.
4. L'Italia avrà governi stabili, che durano l'intera legislatura grazie alla solida maggioranza alla Camera, la sola da cui dipende la fiducia.
5.La riforma del Senato avvicina l'Italia ad altri Paesi europei.
6. Il processo legislativo sarà semplificato, perché una legge non dovrà essere approvata nella stessa versione da due camere.
7. Ci sarà un contenimento della spesa, per la riduzione del numero dei senatori, che non avranno un ulteriore stipendio.
8. Questa riforma non sarà perfetta ma almeno fa uscire il Paese dalla palude dell'immobilismo: se fallisse anche questo tentativo, il governo sarebbe costretto a dimettersi, l'Italia perderebbe la sua credibilità in Europa e si cadrebbe dalla padella nella brace.
Quali sono le ragioni contrarie?
1. Non è vero: non è la prima volta, perché la riforma costituzionale voluta dal governo Berlusconi è stata approvata dal parlamento, e non è entrata in vigore solo perché bocciata dagli elettori col sostegno di tanti politici che ora appoggiano la nuova riforma.
2. La prima parte della Costituzione può essere modificata anche senza toccare i suoi articoli. Infatti, dipende dall'organizzazione dei poteri dello Stato, il cui equilibrio viene ora alterato, che quei diritti vengano realmente tutelati e non restino solo enunciazioni di principio. Se non è il parlamento, rappresentante della volontà degli elettori, che controlla il governo ma viceversa, si verifica una concentrazione di potere che mette a rischio i diritti di tutti. Una legge elettorale che dà il potere a una lista che rappresenta una minoranza dei cittadini potrà infatti, in mancanza di adeguati contrappesi, più facilmente privilegiare gli interessi dei pochi a danno dei molti.
3. Negli altri Paesi europei il partito che vince può non avere la maggioranza per governare da solo (come il primo governo Cameron o l'attuale governo Merkel) ed essere costretto a cercare alleanze in parlamento; con l'italicum, invece, non solo restano gli stessi profili di incostituzionalità del porcellum ma saltano anche i principi fondamentali della democrazia, perché la sera delle elezioni si saprà quale minoranza potrà governare indisturbata per cinque anni.
4. I governi saranno ultra stabili, perché ci sarà un eccessivo accentramento del potere: infatti, grazie al premio di maggioranza, il capo del governo, in qualche modo scelto direttamente dagli elettori, controllerà la sola Camera che dà la fiducia; inoltre, potrà condizionare la scelta del presidente della Repubblica e dei giudici della Consulta; ancora, se vince un buon politico potrà governare bene, ma se vince un pessimo politico che succederà? Una Costituzione deve prevedere anche questa eventualità, limitando i poteri dei governanti.
5. La somiglianza col ruolo del senato in altri Paesi è solo apparente, perché la Germania è uno Stato federale e in Francia i senatori sono eletti da 150 mila consiglieri regionali. In particolare, nel sistema federale tedesco il Bundesrat è costituito dai rappresentanti dei Governi dei Länder che debbono votare secondo le indicazioni di tali governi, e non da sindaci e consiglieri regionali, che possono votare secondo le indicazioni dei rispettivi partiti.
6. L'iter legislativo non sarà più semplice ma più complicato, dato che il senato non è abolito (come non sono state abolite le province ma solo l'elezione dei consiglieri provinciali) ma conserva una sua competenza legislativa; e non è vero che oggi l'attività legislativa sia troppo lenta (col governo Letta, rimasto in carica dal 28 aprile 2013 fino al 22 febbraio 2014 per un totale di 300 giorni, ovvero 9 mesi e 25 giorni, sono state approvate 35 leggi. Col governo Monti dal 16 novembre 2011 al 21 dicembre 2012 ne sono state approvate 44. Col governo Berlusconi IV, rimasto in carica dall'8 maggio 2008 al 16 novembre 2011 ne sono state approvate 230. Grosso modo con gli ultimi tre governi è stata approvata una legge ogni 10 giorni, considerando tutti i 365 giorni dell'anno).
7. La riduzione della spesa non è un motivo per cambiare una Costituzione, e comunque i risparmi saranno irrisori perché il senato manterrà alcune funzioni e perché i nuovi senatori avranno un rimborso spese per viaggi e soggiorno a Roma. Per abbattere davvero i costi del Parlamento, bastava dimezzare il numero dei senatori e dei deputati (da 945 a 470) per mantenere un equilibrio fra i due rami, e dimezzare pure gli stipendi (ogni parlamentare costa oltre mezzo milione l'anno). O cancellare il Senato, anziché mantenerlo con minori poteri e con spese ancora esorbitanti rispetto al suo peso; inoltre, sull'abolizione del bicameralismo paritario c'era un ampio accordo, ma la maggioranza parlamentare ha rifiutato di discutere sia le proposte migliorative che le critiche di noti costituzionalisti, bollati come gufi e professoroni.
8. Non c'è governo la cui tenuta sia tanto importante da poter essere barattata con un cambiamento in senso peggiorativo della Costituzione. Approvare la riforma per evitare le conseguenze delle possibili dimissioni del governo sarebbe una pessima scelta. Chi non si lascia vincere dalla paura di cadere dalla padella nella brace, chi ha coraggio e fiducia nel futuro, chi è disposto a impegnarsi per allargare invece di restringere gli spazi di partecipazione democratica potrà serenamente bocciare il disegno oligarchico che ispira la riforma. Il 5 dicembre potrebbe così diventare non un punto di arrivo ma un punto di partenza per cambiare davvero la politica italiana nel senso di una maggiore realizzazione dei principi enunciati nella nostra attuale Costituzione.
In conclusione: una riforma per i cittadini o per la casta?
In sostanza, le modifiche approvate forse non mirano a ridurre, come si vuol far credere, il potere della casta ma, al contrario, a blindarlo, in continuità con precedenti tentativi, come quello bocciato dal referendum del 2006. In effetti, la riforma attuale non appare in contrasto ma piuttosto in continuità con quella del governo Berlusconi del 2005 (tranne che per l'eccessivo ruolo, allora voluto dalla Lega, delle regioni), perché porta a compimento il disegno di rendere inamovibile il governo: forse non è un caso che sia stata partorita dall'accordo Renzi-Berlusconi noto come 'Patto del Nazareno'. Quella riforma, infatti, prevedeva il rafforzamento del ruolo dell'esecutivo, attraverso l'indicazione diretta del primo ministro da parte del corpo elettorale. Ora lo stesso obiettivo si raggiunge mediante un ballottaggio che fa del vincitore il capo del governo e il dominus della Camera.
Una riforma che unisce o che divide?
Merita di essere ricordato, a questo punto, l'intervento in aula del futuro capo dello Stato, allora on. Mattarella, durante il dibattito sull'approvazione di tale riforma elaborata dal centrodestra: "Ancora una volta, in questa occasione emerge la concezione che è propria di questo governo e di questa maggioranza, secondo la quale chi vince le elezioni possiede le istituzioni, ne è il proprietario. Questo è un errore. È una concezione profondamente sbagliata. Le istituzioni sono di tutti, di chi è al governo e di chi è all'opposizione. La cosa grave è che, questa volta, vittima di questa vostra concezione è la nostra Costituzione" (20/10/2005).
Non meno interessante l'intervento in Senato di un altro futuro capo dello Stato, il senatore Napolitano, che giudicava inaccettabile "una soluzione priva di ogni razionalità del problema del Senato, con imprevedibili conseguenze sulla linearità ed efficacia del procedimento legislativo; [...] il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell'ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente ad un'idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici. La rottura che c'è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l'approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale" (15/11/2005).

 



Lunedì 21 Novembre,2016 Ore: 15:49
 
 
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