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www.ildialogo.org GIORNALISMO, COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE: STRUMENTI E PRESTIGIO DEL POTERI FORTI OD OCCASIONE DI CRESCITA CIVILE E COLLETTIVA.,di CARLO CASTELLINI

GIORNALISMO, COMUNICAZIONE E INFORMAZIONE: STRUMENTI E PRESTIGIO DEL POTERI FORTI OD OCCASIONE DI CRESCITA CIVILE E COLLETTIVA.

di CARLO CASTELLINI

INTERVISTA-DIALOGO CON ERNESTO MIRAGOLI, TITOLARE DEL SITO WWW.WEBALICE.IT.
 
Evito i soliti preamboli e parto dalla situazione attuale: che significato hanno i vari tentativi delle varie cordate di acquisire giornali o case editrici? Avere maggiore potere o prestigio per fare che cosa? In che senso possono condizionare le scelte politiche e sociali di un'intera popolazione sempre più rassegnata e sottomessa?
Il significato è molto chiaro, fin troppo semplice: acquisire un brand o un’intera azienda significa allargare la propria quota di mercato ed il proprio fatturato. Non solo. Per gruppi o aziende che macinano utili l’acquisizione di altre aziende che magari sono decotte ed in crisi finanziaria significa abbattere gli utili e pagare meno tasse. Tutto questo non vale solo per il mondo editoriale, ma per tutto il mondo che gira attorno all’economia produttiva e commerciale. Se il cor business dell’azienda è la comunicazione è evidente che l’acquisizione di quell’azienda pone un problema di libertà per quanto riguarda l’informazione. Mi spiego: se una grande azienda produttrice di vernici in Lombardia acquista un’altra azienda produttrice di vernici in Campania è evidente che acquisisce una nuova fetta di mercato per sviluppare ed accrescere il proprio fatturato. E la cosa finisce qui. Al massimo può esserci un problema di concorrenza per altre aziende del settore. Ma se si tratta di comunicazione (quotidiani, rotocalchi, tv, radio, social…) allora il problema è diverso perché l’editore può governare ed influenzare una bella fetta dell’opinione pubblica.
In specie: come giudichi l'operazione di URBANO CAIRO che, a detta di MONICA SETTA, la quale afferma di conoscerlo bene, è imprevedibile, orgoglioso, ascolta tutti ma decide da solo ? A me sembra però che l'attuale assetto di LA-7 goda di uno staff di giornalisti preparati e rispettati, come ENRICO MENTANA, PAOLO CELADA, GAIA TORTORA, ALESSANDRA SARDONI, e altri; si tratta non solo di un'operazione economica ma sembra che ci creda: cosa dici?
Urbano Cairo è un imprenditore che è nato nel mondo della comunicazione e che ha imparato molto da Silvio Berlusconi con il quale collaborò, tanto è vero che – come il suo “insegnante” – si è anche preso una squadra di calcio.
Monica Setta ha ragione: Cairo ascolta tutti, ma decide da solo. Come Berlusconi, come Agnelli, De Benedetti e via elencando.
Tutti gli imprenditori che hanno segnato la storia della nostra economia sono abituati a comportarsi così.
Cairo nel suo staff ha giornalisti seri e preparati come quelli che hai citato. E’ stato bravo a procurarseli lasciando loro l’autonomia che essi pretendono. Anche qui ha imparato da Berlusconi che, a suo tempo, quando Il Giornale di Montanelli versava in difficoltà economiche, entrò come azionista e rispettò – fino a quando gli convenne – gli accordi presi con il vecchio Indro: “Tu – disse Montanelli a Berlusconi – fai l’imprenditore, fai quadrare i conti. Noi facciamo il giornale”. In seguito – 1994 – Berlusconi fece quel famoso raid nella redazione del Giornale senza avvertire Montanelli il quale se ne andò e fondò La Voce.
Fino a quando Cairo rispetterà il suo ruolo di imprenditore (adesso ha la maggioranza anche nel Corsera) avrà una bella squadra. Se vorrà intervenire sul modo di fare notizia dei vari Mentana, Celada ecc. la musica cambierà.Il vero problema è capire cosa c’è nella testa di Urbano Cairo. Vuole solo fare l’editore o intende diventare un forte manipolatore dell’opinione pubblica? Tempo qualche mese e lo scopriremo.
Il massimo sarebbe che dietro quest’operazione ci sia la politica renziana. Suggerisco di tenere d’occhio il Corriere e i media di proprietà di Cairo per vedere lo spazio che danno al referendum.
Parlando di CAIRO, mi sembra comunque difficile ipotizzare oggi l'esistenza coerente di un editore puro: troppi problemi connessi in gioco?
Sì, hai ragione: troppi sono gli interessi in gioco.
In questo mondo un Pannunzio, un Longanesi, un Einaudi e tanti altri editori noti e meno noti che hanno fatto la storia editoriale del nostro Paese non ce la farebbero a vivere. Gli editori di una volta erano editori puri nel senso che sapevano coniugare lo spirito imprenditoriale (pubblicare per far soldi) a quello culturale (pubblicare per far cultura). Fino a quando sono riusciti a farsi rispettare dalla politica ce l’hanno fatta. Poi hanno preferito cedere piuttosto che lasciarsi condizionare.
La politica dell’ultimo periodo della prima repubblica (craxismo e DC da De Mita in poi) ha capito che l’unico modo per continuare ad accrescere consensi era quello di mettere le mani sui media ed iniziarono le lottizzazioni: Rai Uno era Dc, Rai Due era socialista (Mentana iniziò a Rai Due), Rai Tre era comunista e via dicendo.
Non solo. L’editoria è andata in completa crisi finanziaria ed è nata la legge sull’editoria che distribuisce fondi ai media. La legge in sé è positiva perché lo Stato assicura i fondi affinchè un quotidiano sopravviva. Non importa se quel quotidiano sia di destra o di sinistra. Importa che via sia un’informazione pluralista. Purtroppo, però, sappiamo come sono andate e come vanno le cose.
Mi ha colpito il fatto e il modo del cambio di guardia tra EZIO MAURO E MARIO CALABRESI alla guida de LA REPUBBLICA. Un laicissimo giornale che sceglie come direttore un moderato cattolico come MARIO CALABRESI: la storia di suo padre ha avuto un qualche peso nella formazione della sua personalità almeno come immagine? Cambio di testimone tipo? Compromesso storico ideale? O quale altra cosa?
Penso che Mario Calabresi abbia avuto l’assist del cognome che porta per partire nel mondo dei media, ma poi i gradi se li sia guadagnati sul campo.
Non credo che si tratti di cambio di testimone o di compromesso storico.
Penso, piuttosto, che si tratti di favore dovuto all’attuale presidente del consiglio.
Il gruppo di De Benedetti ha sempre saputo gestirsi bene: con la mano sinistra scrive qualcosa di sinistra e con la destra accarezza chi è al potere, a meno che al potere non vi sia Silvio Berlusconi.
Ezio Mauro (professionista che iniziò proprio come reporter negli anni delle Brigate Rosse e poi seguì le vicende russe di Gorbaciov) non fu mai tenero verso Berlusconi e alla Proprietà del gruppo editoriale serviva una persona così. Adesso non serve più.
Mario Calabresi è perfetto. E’ di mezza età, è moderato, scrive bene, ha saputo vivere nel tempo politico del cosiddetto centro destra e sa vivere in questo limbo politico. Il che fa di lui un buon giornalista. Non so quanto sia libero. Ma di giornalisti liberi ne conosco pochi. Vittorio Feltri è uno di questi. Marco Travaglio (e la sua squadra de Il Fatto Quotidiano) è un’altra voce libera. Mi viene in mente Gianantonio Stella, ma poi…fatico a trovar altri nomi.
Il mio elogio va comunque al gruppo editoriale de IL FATTO QUOTIDIANO, che con ANTONIO PADELLARO, MARCO TRAVAGLIO, PINO CORRIAS E PETER GOMEZ ha dato vita ad una iniziativa editoriale nel mondo dell'informazione unica nel suo genere: poche pagine, pochi abbonati, nessun editore economico, nessun padrino politico, ma ottima preparazione culturale e attenzione giornalistica: cosa pensi?
Beh…dicendomi queste cose fai piovere sul bagnato. Compro ogni giorno Il Fatto quotidiano come compravo ogni giorno Il Giornale di Montanelli e poi La Voce.
Non so se conosci l’aneddoto. Un giovanissimo Marco Travaglio fu presentato da Arpino a Montanelli il quale – umorale com’era – lo squadrò e gli disse di mandargli qualcosa che non avrebbe comunque pubblicato su Il Giornale. Travaglio scrisse e, dopo qualche articolo, Montanelli si congratulò con Arpino perché gli aveva presentato Travaglio. Qualcuno aggiunge che lo stesso Indro disse che avrebbe visto bene Travaglio come suo successore a Il Giornale. Poi successe quello che sappiamo. Berlusconi entrò a gamba tesa, Montanelli ed una bella squadra di giornalisti se ne andarono e fondarono La Voce che non riuscì a vivere neanche un anno e furono tutti a spasso. Nacque l’esperienza del Fatto Quotidiano e Padellaro volle che Travaglio si impegnasse a scrivere un articolo ogni giorno.
Il Fatto è un giornale libero, che non deve nulla a nessuno, che vive di pubblicità e di soldi che gli vengono dai lettori. Ha solo un limite – che è lo stesso che aveva Il Giornale prima che entrasse Berlusconi - : avendo pochi soldi a budget non può permettersi inviati e questo lo penalizza sulla globalità dell’informazione. Ecco perché chi compra Il Fatto deve poi abbinarvi un altro quoitdiano.
La nascita anche di una casa editrice collaterale che intende dare nuovo impulso alla cultura e alla comunicazione come CHIARELETTERE ne è una prova; libri di denuncia coraggiosa, cose che non si vedono nelle grandi case editrici come MONDADORI, RIZZOLI ed altre più blasonate: maggiore qualità e quindi maggiore informazione non al servizio del potere?
Sono parzialmente d’accordo.
Chiarelettere è una casa editrice libera per quanto riguarda condizionamenti economici e di potere, ma a me pare molto orientata verso un tipo di giornalismo quasi da gossip. Non la paragonerei alle grandi case editrici che sono anche molto paludate. Ti dirò che compro libri editi da Chiarelettere, ma non più con l’assiduità di prima. Spesso ho la sensazione che vogliano fare cassetto e che il titolo promette molto di meno del contenuto del libro.
Sto guardando con sempre maggiore interesse a La nave di Teseo, la casa editrice che Elisabetta Sgarbi (andandosene da Bompiani) con Andreose, Lio, Umberto Eco ecc. ha fondato lo scorso anno. E’ presto per parlare, ma già i titoli indicano qualcosa.
Il vero problema dell’editoria italiana è che la distribuzione è in mano ai grandi editori. Un libraio non mette sullo scaffale il libro edito da un editore locale perché non c’è il battage pubblicitario che gli fa guadagnare soldi.
C’è anche da osservare che non esistono più veri librai, ma commercianti di libri. Vendono libri come i negozi di biancheria intima vendono mutande. Anzi: il negoziante di mutande è più esperto perché conosce la sua merce e sa consigliare cercando il compromesso che vuole il cliente in un rapporto qualità/prezzo.
I librai non sanno nemmeno cosa stanno vendendo. Se cerchi un libro guardano sul computer e, se l’hanno, ti dicono che lo trovi su quello scaffale, se no te lo ordinano. Non ti sanno consigliare.
Ma il giornalismo più impegnato e più rispettoso del lettore e del cittadino ritengo sia quello praticato dallo staff di MILENA GABANELLI che con REPORT, non ha nessuna paura di mettere il dito nella piaga del Potere e dei Potenti, e della corruzione politica dello Stato e della Chiesa: essa tiene un buon rapporto con i Lettori cui invia una periodica lettera; perchè è così difficile esportare questo genere di giornalismo che dovrebbe essere la regola? Di fronte ad una massa di giornalisti che sono pagati dai loro padroni? Problema morale o problema economico? Cosa pensi?
Penso che non posso che essere d’accordo con te.
Penso anche che la tua domanda sul motivo per cui è così difficile fare un giornalismo alla Gabanelli sia retorica perché ti dai già la risposta alla domanda successiva: i giornalisti sono pagati e fanno quel che dice il padrone.
E’ un problema economico e, quando si tratta di soldi (non poi tanti!), il problema morale non se lo fila nessuno.
Ma non ti arrabbi quando senti espressioni come queste: Avvenire, il giornale dei vescovi; Il Sole 24 ore, il giornale della confindustria; Il Giornale, della famiglia Berlusconi…e via dicendo?
Come è possibile che si cataloghi l’editoria?
Perché accettiamo passivamente una cosa del genere?
Tu scrivi per questo giornale on line, Il Dialogo, che è libero, non vuole essere condizionato e il suo direttore sa benissimo la fatica che si fa a far quadrare i conti.
C’è un’altra cosa che mi scoccia. I grandi gruppi possono bucare la notizia, sparare menzogne, calunniare ad oltranza e tutto passa tranquillamente perché sanno che se qualcuno fa causa bisogna poi che abbia i soldi per andare fino in fondo. I piccoli editori debbono stare attenti perché basta una parola in più che offenda il potente che si vedono recapitare accuse che pretendono risarcimenti per migliaia di euro che metterebbero in ginocchio la casa editrice. E’ libertà questa?
Come contrappeso a Milena Gabanelli abbiamo un BRUNO VESPA, che rappresenta un po' l'altra faccia del potere politico; la gente non ha gradito per nulla l'intervista concessa al figlio di TOTO REINA, ancora in carcere. Era troppo evidente il tentativo di fare un grosso colpo; sarà poi ROBERTO SAVIANO a fornire le chiavi di lettura di questo maldestro tentativo, di fare accreditare da parte dei nuovi rampolli
la presenza di una nuova mafia, rappresentata dal figlio, che vorrebbe distinguersi da quella tradizionale quella del padre in carcere. In realtà sotto sotto si è avvertito un maldestro tentativo per poter allentare la rigidità del carcere duro, quello imposto dalla Legge di GIOVANNI FALCONE. Cosa pensi della vicenda?
Sai quando ho spento “Porta a porta” e ho deciso che non avrei visto mai più nemmeno una puntata? Quando il maggiordomo (e non giornalista) Bruno Vespa ha invitato Silvio Berlusconi per illustrare il suo programma di governo. Vedevo questo signore genuflesso al nuovo potere. Ho chiuso. Per me Bruno Vespa non esiste per cui non so nulla dell’intervista al figlio di Rijna se non per aver letto qualcosa in giro.
Ti dirò che Bruno Vespa non fa da contrappeso a Milena Gabanelli perché Vespa sta alla pulce come la Gabanelli sta al leone.
Bruno Vespa è il tipico giornalista dell’ultimo periodo della prima repubblica a cui accennavo sopra. Un lacchè al servizio del potere, uno che quando era direttore del TG1 pensò che la vera innovazione sarebbe stata chiamarlo Telegiornale1 e dire chiaro e tondo che il suo editore di riferimento era la Dc, non il popolo italiano che pagava il canone e quindi anche il suo stipendio.
Purtroppo di vespe brune è pieno il mondo del giornalismo.
Faccio fatica a pensare MONICA MAGGIONI e ancor più la BIGNARDI, alla guida di un Consiglio di amministrazione della Rai, del direttore DELL'ORTO, dotati di un grande potere di scelta e di condizionamento politico e cultuale di un'intera generazione. I cittadini però hanno le mani legate, dovrebbero invece avere maggiore potere per incidere sulla qualità dei programmi di informazione e formazione; troppo alto il prezzo del canone di fronte a risultati molto mediocri: cosa dici?
La Rai dovrebbe affittare per dieci anni l’azienda ad un imprenditore che la sappia gestire.
Ci sarebbe il tempo per far decantare tutto il politicizzato che c’è dentro, mandare in pensione alcuni giornalisti, lasciare a casa quelli che non lavorano ma sono pagati ugualmente e, dopo dieci anni, quelli che pagano il canone – e solo loro – dovrebbero poter diventare azionisti di una public company e scegliere il consiglio di amministrazione tramite votazione nei capoluoghi di regione. Ma una cosa del genere non la pensa nessuno di quelli al potere perché se no non saprebbero come continuare a perpetuarsi a carico del contribuente e non la vuole nessun giornalista Rai perché se no non saprebbe come campare.
Pubblicità e disinformazione: sono in evidente contrasto per conflitti di interesse. Da una parte AMADORI, quello dei polli, si fa una bella pubblicità in tivù con i suoi prodotti, e la MILENA GABANELLI che nelle sue inchieste fa conoscere all'opinione pubblica le schifezze e le frodi nell'allevamento e trattamento dei suoi animali; pubblicità che lui si paga, ma a scapito di comportamenti immorali: cosa dire?
Distinguerei le due cose.
La pubblicità tiene in piedi tutti i media e, se non è offensiva della morale, è buona cosa perché è un modo per finanziarsi senza dipendere da nessuno. Se è ingannevole vi è un garante che può e deve intervenire. Non solo: non è obbligatorio seguire la pubblicità, né acquistare i prodotti pubblicizzati. Se il fruitore dell’apparecchio televisivo non ha senso critico non è un problema del pubblicitario o del proprietario dei media, ma della stupidità della massaia che corre a comprare la merce di Amadori.
Report fa giornalismo d’inchiesta, fa reportage. Per questo si chiama report. Milena Gabanelli, da vera giornalista curiosa e professionale, si è detta: “Andiamo a vedere come questo Amadori gestisce il suo business”. E ha fatto il servizio. Avrebbe potuto fare la stessa cosa per Tod’s, per Buitoni, per Armani…
Il vero problema è che la Gabanelli si sarà beccata una causa con richiesta di risarcimento e Amadori continua il suo business perché Report non lo vede quasi nessuno.
GILBERTO SQUIZZATO nel suo libro LA TV CHE NON C'E' ha portato la sua attenzione sul problema della gestione dell'azienda Rai e della sua conduzione economica, politica e culturale; in esso aveva avanzato proposte di qualità per riformar la Rai in senso molto moderno; con iniziative di qualità che partivano da dentro la Rai non con commesse da fuori; GIUSEPPE GIULIETTI e ROBERTO NATALE, sono anche loro d'accordo su come sottrarre la Tivù di stato allo strapotere della politica. Cosa si può fare di diverso?
Squizzato ha avuto coraggio perché, lavorando in Rai, ha denunciato il potere e le storture e spero per lui che non rischi nulla. Che la Rai abbia in seno capacità e forze per produrre programmi senza commissionarli fuori (scandalose sono le spese per format tipo “Che tempo che fa” o “Porta a porta”) è vero. Ma è altrettanto vero che non è così perché la politica ha pilotato le cose in modo che vadano come stanno andando.
Per sottrarre alla politica lo strapotere in Rai non vedo altre soluzioni che quella a cui ho accennato sopra: una public company con azionisti i cittadini. Ma questo lo deve fare la politica. E siamo al gatto che si morde la coda.
D'altra parte non a caso è nato il gruppo combattivo e intelligente di ARTICOLO 21, che come ricorda lo stesso titolo, allude alla difesa della libertà d 'informazione, dichiarata nella nostra COSTITUZIONE. Prima avevamo grosso modo una divisione semplificata: la prima Rai era in quota alla Dc, la seconda vedeva la presenza del Psi, e la terza rete, era la cosiddetta rete della sinistra, coniugata nelle sue varie facce. Dal marasma generale però si salvano alcune rubriche di informazione e cultura, che si sono venute affermando su buoni livelli di comunicazione e di idee: alludo alla rubrica di CORRADO AUGIAS prima e di CONCITA DE GREGORIO attuale che si chiama IL PANE QUOTIDIANO; non è lunga, è allestita bene, e offre effettivamente ogni giorno incontri, idee, iniziative, libri e persone che lasciano un buon segno di sé: non trovi?
Purtroppo non posso risponderti adeguatamente. Forse non sai che sono un pessimo fruitore di programmi televisivi. Progressivamente ho abbandonato i talk show che erano le uniche trasmissioni che seguivo. Preferisco un libro o seguire sul mio Ipad un concerto di musica classica.
Un'altra rubrica di buon livello, mi sembra per certi versi, OMNIBUS DI LA-7, che ha portato una certa dorma di approfondimento delle notizie quotidiane, altrimenti poco assimilate o portate agli ascoltatori con troppi filtri... Allo stesso modo vorrei sottolineare la positività della rubrica di BALLARO' prima solo di GIOVANNI FLORIS, titolare di un giornalismo molto sofisticato prima, ora in condivisione con MASSIMO SEVERO GIANNINI,che sviluppa se ho ben capito l'aspetto politico delle notizie: sei d'accordo? E tornato su temi di grande attualità e vicinanza alla gente (Pensioni, nuove povertà, banche, lavoro, ecc.). Cosa dici?
Se non ho letto male mi pare che Ballarò salti.
Floris ha traslocato.
In ogni caso fatico a seguire questi programmi perché hanno un tema, ma non lo sviscerano mai a fondo perché invitano un mare di esperti che si interrompono a vicenda, a volte si insultano e non riesco mai a farmi un’idea chiara.
Per me il mondo dei talk show o degli approfondimenti di temi con inviti a più voci è finito da un pezzo. Michele Santoro lo ha capito prima di tutti.
Un'isola felice , degna di essere menzionata, all'interno del grande oceano dell'informazione credo che meriti la rubrica di informazione storica RAI STORIA, condotta da Massimo Bernardini, che riprende temi culturali e personaggi storici collocati nella loro epoca, e commentati da esperti preparati come, Perfetti, De Luna, Sabbatucci, Alessandro Barbero: questa rubrica ha il grande merito di far conoscere in maniera documentata personaggi ed epoche storiche, ma anche aggiornando i libri di testo delle scuole ormai superate, con curiosità e particolarità rese evidenti da nuovi studi effettuati. Una televisione usata per far crescere. Cosa dici?
Verissimo. I canali cosiddetti minori della Rai sono i miei preferiti.
E siamo arrivati al punctum dolens della informazione Vaticana, le cui leggi ferree impediscono qualunque tipo di penetrazione: allora nascono le varie fughe di notizie di ogni genere, che toccano i palazzi vaticani, le guardie svizzere, gli scandali dei prelati, ben coperti, ma soprattutto le FINANZE VATICANE, E allora è d'obbligo citare la VIA CRUCIS e le inchieste di GIANLUIGI NUZZI ED EMILIANO FITTIPALDI, accusati prima e poi prosciolti, perchè in fondo non hanno commesso reato. Certo che se ricordiamo che LÀ VERITA' VI FARA' LIBERI DEL Vangelo di Giovanni, non può entrare a nessun titolo nelle mura vaticane. Cosa sta cambiando con il vento di FRANCESCO? E chiedo scusa della mia ignoranza: ma cosa sono queste lobbies di omosessuali? In che cosa condizionano la Chiesa e le eventuali scelte pontificie?
Nuzzi e Fittipaldi, secondo me, hanno fatto il loro mestiere.
Magari un po’ troppo, ma è così che si fanno gli scoop. Accusare un giornalista di aver fatto il proprio mestiere, magari un po’ d’assalto, non è corretto. Processarlo ancor meno e sono contento che siano stati assolti.
I corvi Paolo Gabriele, mons. Balda e la dr.ssa Chaouqui sono i veri colpevoli della situazione. Avrebbero potuto denunciare le cose al papa ed essere più riservati con i giornalisti.
Papa Francesco – come il suo predecessore – vuole trasparenza. Avrà certamente letto tutto l’incartamento raccolto in sei scatoloni bianchi che Benedetto XVI gli ha passato quando è andato a trovarlo a Castelgandolfo dopo l’elezione e si saranno consultati. Credo che papa Benedetto abbia mollato il servizio pastorale proprio per questo: ha ritenuto di non aver la forza di gestire il cammino di trasparenza che si era imposto fin da quando – come cardinale – denunciò la sporcizia nella chiesa.
A proposito di sporcizia vengo alle lobbie di omosessuali in Vaticano.
Non ho notizie di prima mano per assicurare che esistono davvero, ma potrebbe darsi che esistono e, se esistono, è naturale che siano una specie di confraternita segreta in cui i membri si spalleggiano reciprocamente per sostenersi nella carriera e coprire le magagne.
Forse non riescono a condizionare le scelte pontificie, ma riescono a governare un pezzetto di chiesa.
Ma mi chiedo: il problema sono le lobbie omosessuali?
Che m’importa dei gusti sessuali dei prelati?
Il problema vero sono le lobbie che non dovrebbero esistere da nessuna parte e, meno che meno, in una realtà che ha come missione l’annuncio evangelico e non il potere.
A tale proposito come giudichi il cambio di testimone tra padre FEDERICO LOMBARDI e il Nuovo direttore della Radio Vaticana BURKE e la nuova vice direttrice di origine spagnola? Cambio fisiologico o c'è dell'altro? Spagnolo NAVARRO VALLS JOAQUIN, spagnola la vicedirettrice; piccoli rampolli dell'OPUS DEI?
Ti dirò che quando ho letto che c’è ancora di mezzo l’Opus Dei mi sono un po’ scoraggiato, ma conviene aspettare Burke alla prova dei fatti.
Non mi sono esaltato per le quote rosa alla vicedirezione perché non m’interessa se la vice direttrice sia una donna. Mi interessa che sappia far bene il suo mestiere.
Ho visto i curriculum di entrambi e non mi sembrano particolarmente degni di rilievo. Ho pensato male, lo riconosco, e ho dedotto che papa Francesco abbia ceduto su questo fronte per non cederne un altro che ritiene più importante.
Però…aspettiamo. Vedremo.
Padre Lombardi, da buon gesuita, ha gestito bene la comunicazione e non credo che andrà in pensione. Forse il papa – in accordo con Spadaro – ritiene che possa dare un servizio migliore collaborando come opinionista a La Civiltà Cattolica che, si dice, mai come durante il pontificato di Francesco sia di diretta emanazione pontificia. Come saprai l’organo dei gesuiti è sempre rivisto dalla Segreteria di Stato prima di essere dato alle stampe, ma adesso si dice anche che Spadaro vada direttamente dal papa con il manoscritto.
Termino con le ultime domande: non ti sembra che l'informazione religiosa sia ancora troppo appiattita su rubriche standard in cui il Popolo di Dio parla troppo poco, e vengono monopolizzate solo alcune figure istituzionali? Per es. A SUA IMMAGINE condotta da LORENA BIANCHETTI, ma anche FRONTIERE DELLO SPIRITO, di canale Cinque; rubriche e informazioni dedicate ai MIRACOLI o alla vita di PADRE PIO; ma le problematiche del Popolo di Dio oggi non arrivano mai a toccare veramente la gente.....! Basta la deformazione di tante verità nei filmati di DON MATTEO,.......SONO FICTION rassicuranti, ma anche molto deformanti. Eppure i programmi della LUXE sono legati a quel LUCA BERNABEI, nipote di ETTORE, specializzato in colossal biblici. Non è così? Come cambiare rotta?
E se ti facessi una domanda io?
Perché ci sono questi programmi e non altri?
Perché questi programmi affrontano argomenti soft e non altri?
Perché non c’è uno spazio di riflessione e di dibattito con movimenti ecclesiali come Noi siamo chiesa, i preti sposati, le comunità di base?
Risposta: perché anche l’informazione religiosa non è informazione tout court, ma formazione pilotata, messaggio che chi è al potere religioso intende far passare ai fruitori dei programmi.
La rotta si cambia solo se chi è al potere ha voglia di cambiarla.
Nel caso concreto: il segretario della Cei, mons. Galantino, potrebbe farlo.
Non lo fa.
Domanda: non lo fa perché non ci pensa, non gli interessa o perché non ha voglia di farlo?
Ma soprattutto come combattere questa concentrazione di potere a tutti i livelli che ci toglie anche la libertà di informazione?
Scusa, ma posso risponderti solo genericamente. Non seguo un solo programma di questi che mi hai elencato. Credo che anche questi siano lottizzati. Diverso è il discorso delle fiction su argomenti religiosi. Vedo che fanno audience e una fiction si fa per questo: si fa audience e si attira pubblicità, cioè soldi. La considerazione da fare è che in un mondo che vuole essere secolarizzato, che è cattolico solo di nome, quando si parla di miracoli, di don Matteo, di madre Teresa e via dicendo l’audience si impenna. Se poi si fanno trasmissioni su apparizioni della Madonna, nessuno tiene più nessuno.
Bernabei è stato il primo a fare quello che poi hanno fatto altri fino a Vespa e Fazio: uscire dalla Rai, creare una società di produzione, produrre programmi sul sicuro da vendere alla Rai. Ha fiutato l’affare. Ha fatto il suo dovere di imprenditore.
In molti – a cominciare dalla commissione di vigilanza – avrebbero potuto stoppare questo andazzo. Non l’hanno fatto. Perché?
Ci sono domande che non hanno risposta perché a noi comuni mortali è consentito capire e vedere fino ad un certo punto.
Dici che la concentrazione di potere ci toglie anche la libertà di informazione.
E’ vero. E’ sempre stato così fin dai tempi del Minculpop in Italia e dei vari minculpop esteri.
Lo sappiamo.
Lo sappiamo, ma non vigiliamo. Prendiamo per oro colato quello che ci viene ammannito dai media. L’unico modo per ribellarsi a questo andazzo è essere critici e non passivi fruitori.
GRAZIE PER LE RISPOSTE E LA DISPONIBILITA'
CHE CI HAI SEMPRE REGALATO PER IL SITO WWW.ILDIALOGO.ORG.



Lunedì 25 Luglio,2016 Ore: 19:00
 
 
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