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www.ildialogo.org ELEZIONI REGIONALI IN CAMPANIA: ANATOMIA DI UN VOTO,di Nino Lanzetta

ELEZIONI REGIONALI IN CAMPANIA: ANATOMIA DI UN VOTO

di Nino Lanzetta

Su dieci elettori, cinque non sono andati a votare: la metà. In Irpinia l’astensione è stata del 53%, oltre la metà degli aventi diritto. La volta scorsa era stata del 38%. La prossima crescerà ancora se, nel frattempo, e nulla lo lascia sperare, le cose non cambieranno. Dei cinque elettori che sono andati a votare, tre hanno espresso un voto antisistema, votando M5S, o hanno votato la lista autonoma e quella della sinistra radicale. Solo tre su dieci hanno votato per i partiti che, tradizionalmente, rappresentano, ormai da decenni, il sistema politico e di potere campano, dividendosi tra il PD (20,2%) e le sue liste satelliti e F.I: (18,4%) e le sue liste satelliti. La candidata del M5S, ha ottenuto il 17, 52% - secondo partito in Campania, dopo il PD. Sinistra e Lavoro il 2,32% che non fa storia come la lista civica, con appena lo 0,63%. Ha vinto De Luca del Centro sinistra, con il 41,14%, battendo Caldoro, del centro destra- governatore in carica- che ha ottenuto il 38,37%.

Cosa dire di questo voto? E, soprattutto, in che misura è stato espresso coscientemente e razionalmente senza condizionamenti di natura economica, psicologica, superficiale o di acquisizione al sistema?
Innanzitutto la maggioranza che non è andata a votare – che è bene ricordare- è composta di tanti ex elettori di sinistra che non si sentono rappresentati dal PD di Renzi e non credono nel partito di Vendola che non ha saputo proporre un programma di valori e uomini alternativi, ha espresso un voto contro l’attuale politica delle chiacchiere, dei media e dei Twitter e contro tutti i partiti tradizionali.
In Campania nulla cambia sotto il sole e i si può ancora dire, con Carlo Levi, che Cristo si è fermato a Eboli!
A quelli che non sono andati a votare, non si può muovere nessuna accusa di disfattismo o di scarso senso civico perché anche la manifestazione di non voto è diritto e perché nessun partito, compreso il M5S – che è il classico movimento antisistema, è stato considerato degno di voto. Questa maggioranza di astensionisti non contro il sistema politico –che non ha votato Grillo o Salvini- non gioca allo sfascio; è solo arrabbiata e vorrebbe che in Italia le cose cambiassero nel senso dei valori sanciti dalla nostra Costituzione che, avvertono, molti- Renzi in testa- ritengono un inutile orpello e si accingono a cambiare. E’ compito della sinistra raccogliere la sfida, organizzarsi, senza le solite divisioni e frazionismi, e intercettare le istanze che vengono dalla massa, dando loro adeguata rappresentanza.
Alcune riflessioni, oltre che opportune, appaiono doverose, se si scorrono i nomi degli eletti, quelli dei candidati, il tipo di campagna elettorale e di linguaggio, gli apparentamenti, il trasformismo imperante, il clientelismo dilagante, il vero e proprio voto di scambio in molte situazioni (non a caso la Procura di Napoli sta indagando in questa direzione), l’arroganza di certi personaggi e la faccia tosta di altri che ripetono le più palesi banalità senza minimamente arrossire.
Primo: una naturale ripulsa per la politica, i partiti ed il loro modo di esprimersi e comunicare, che ha reso sostanziale un allontanamento, specie dei più giovani e giovanissimi, dal modo di far politica e dai partiti come sono venuti a configurarsi.
Secondo: un progressivo e costante allontanamento dal Pd di elettori, soprattutto giovani, pensionati insegnanti, impiegati, che hanno sempre votato a sinistra e molti provengono dalle fila del PCI, PDS e la loro contemporanea ripulsa per quelle liste della sinistra, retaggio del vecchio frazionismo ideologico e che non si sono sapute rinnovare nei programmi e nei fini soprattutto, per quanto riguarda la funzione da attribuire al lavoro e allo stato sociale nell’epoca della globalizzazione, selvaggia e senza regole, che ha fatto scomparire dal processo produttivo, che ha caratterizzato la civiltà contemporanea, l’elemento lavoro, lasciando al solo capitale la piena e incontrollata libertà di movimento senza alcun contrappeso né tutela dei i diritti delle persone né per l’ambiente e l’eco sistema.
Terzo: una frattura, sempre più profonda ed incomunicabile, tra chi esercita il suo diritto di voto e chi si estranea completamente, ritenendo che il suo voto del tutto superfluo e non in grado di modificare il sistema fino a quando le condizioni rimarranno quelle del passato.
Passando, poi, ad esaminare il comportamento di chi esprime il voto, è opportuno sottolineare che non tutti lo fanno in piena libertà e con cognizione di causa, cioè in piena “scienza e coscienza”, ma molti più per amicizia personale che per concezione politica. E’ un voto che, spesso, si dà alle persone e non alle idee, fondato sul concetto –tutto meridionale - dell’amicizia personale, o alla ricerca della benevolenza di una persona influente sulla quale poter contare per ottenere un “favore”. Io ti voto, o tu mi dai il voto, per amicizia personale, perché ti ho fatto o ti aspetti un “piacere”, per avere un “amico” o un referente che, all’occorrenza, ti possa aiutare. Non si spiegherebbe altrimenti i tanti voti presi da candidati che cambiano bandiera da un giorno all’altro, che si comportano come “proprietari” di voti a prescindere, solo per il posto che occupano e che permette loro di avere una clientela numerosa ed affezionata. Anche se, poi, non dovessero essere eletti, tuttavia i partiti, che occupano le istituzioni, li ripagano in ordine di carriera, incarichi, consulenze, posti pubblici. Queste persone sono sempre sulla scena fin che possono e ne escono solo per vecchiaia, o perché la loro parte politica perde il potere, e non sono stati in grado di riciclarsi al momento giusto.
In questa situazione, storicamente stabilizzata da decenni, da noi, in Campania, in queste ultime elezioni regionali, è successo ben altro. Ha vinto, infatti, un candidato che, si sapeva, non potesse governare per la legge Severino perché condannato in primo grado per abuso d’ufficio. Si è sofisticato moltissimo – come don Ferrante con la peste- che aveva i requisiti di candidabilità, che aveva vinto le primarie, che era stato un bravo sindaco e che sarebbe potuto essere anche un bravo governatore. Per questo la situazione della Campania è assolutamente anomala e, come se non bastasse, aggiunge altri problemi ai moltissimi incabcreniti, invece di risolverne. De Luca ha vinto perché conosceva bene il retroterra culturale e socio-economico nel quale si è mosso con spregiudicatezza ed intelligenza, sfruttando a suo vantaggio persino quelle manchevolezze che avrebbero dovuto penalizzarlo. Si è attorniato di personalità chiacchierate, di “impresentabili” come egli stesso, per una vecchia questione, ancora in sospeso con la giustizia, della quale si proclama innocente ed ha rinunciato alla prescrizione e per la quale, ha perfino querelato la Bindi, (che sprezzantemente chiama Maria Rosaria, invece di Rosy) presidentessa della Commissione Antimafia che l’avrebbe diffamato includendolo nella lista nera a soli due giorni dal voto.
Per la legge Severino De Luca deve essere sospeso per diciotto mesi, in attesa del giudizio definitivo di assoluzione o di colpevolezza. Il problema, che si conosceva e che si continua a sottovalutare, è da quando decorre la sospensione che fa capo al Presidente del Consiglio Renzi? Secondo la Consulta la sospensione deve avvenire subito, ad horas, un minuto dopo che la Corte d’Appello del Tribunale di Napoli comunica i nomi degli eletti. Così anche secondo altri giuristi e l’avv. Pellegrino che ha presentato il ricorso, accolto dalla Corte. Non così secondo alcuni politici vicini a Renzi e uomini di governo, che hanno anche risposto ad alcune interrogazioni parlamentari ed altri, tra i quali, il giudice Cantone, capo dell’Anticorruzione, i quali sostengono che la sospensione decorra dopo che il Consiglio regionale abbia proceduto alla nomina degli eletti.
La differenza non è di poco conto: nel primo caso si avrebbe l’inattività del Consiglio e della Giunta ed il forzoso ritorno alle urna; nel secondo caso De Luca avrebbe la possibilità di nominare la Giunta ed un suo vicario e, conoscendo il personaggio, governare per interposta persona, tramite un uomo di paglia o una sua controfigura. In tutti e due i casi siamo al limite del paradosso, non molto lontano da quanto affermavano Berlusconi ed i suoi sodali che sostenevano – fra le proteste dei partiti dell’opposizioni, con in testa lo stesso PD e Renzi in prima persona- che il voto elettorale fungesse da vero e proprio lavacro e che, sostanzialmente, sancisse una specie di amnistia da tutti i reati.
Se Roma è stata la culla del diritto che gli antichi romani hanno codificato già due millenni fa, oggi che prevalgono i sofisti ed i garantisti, non a caso è diventata Mafia capitale! Con tutto il rispetto per illustri esegeti si può affermare, senza ombre di dubbio, che la norma, che si prefigge di vietare ai politici in debito con la giustizia, alcuna attività amministrativa, viene, di fatto, elusa permettendo loro alcune funzioni tra le più importanti, come la nomina della Giunta e di un vicario. Se poi si dovesse assistere ad un governo di fatto, attraverso una controfigura, di colui che la norma impedisce, il guasto sarebbe ancora più grave ed a nulla vale che ciò si rende necessario per un principio di continuità amministrativa, non sfuggendo a nessuno l’arroganza del potere che ha reso possibile simile situazione! L’amara realtà, in conclusione, è che una piccola minoranza (meno del 30%) condiziona in negativo la vita di una intera regione e, peraltro, con voti non sempre espressi con la percezione di quanto essi pesino concretamente nel degrado imperante contribuendo ad alimentare la peggiore classe politica italiana. Ed anche questo fa parte della questione meridionale!
NINO LANZETTA



Domenica 07 Giugno,2015 Ore: 11:40
 
 
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