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www.ildialogo.org IL CONTRIBUTO MILLENARIO DEI MONACI NELLA GENESI DEL CONCETTO DI COSTITUZIONE,DI GIANFRANCO MAGLIO

IL CONTRIBUTO MILLENARIO DEI MONACI NELLA GENESI DEL CONCETTO DI COSTITUZIONE

LEGGENDO, MEDITANDO, PREGANDO, LAVORANDO


DI GIANFRANCO MAGLIO

( A cura di Carlo Castellini)


DAI CONTRIBUTI DELL'AGORÀ DI FONTE AVELLANA 2013.
IL CONCETTO DI COSTITUZIONE NELLA SUA EVOLUZIONE STORICA.
Quando ssi parla di Costituzione, si fa riferimento, e lo dice l'espressione stessa, a qualcosa di fondamentale per una società umana, a un nucleo di principi che sono, appunto, costitutivi per la vita in comune. Che natura hanno tali principi? Certamente giuridica per il valore intrinsecamente cogente di tali norme, così da richiedere ai consociati un obbligo di osservanza. Prima però di assurgere a valore giuridico si tratta quasi sempre di norme o regole che una certa società esprime storicamente, in quanto orizzonte normativo riconosciuto e condiviso. Le norme costituzionali è proprio a tale orizzonte essenziale che guardano, per poter assicurare a un ordinamento quella stabilità e certezza di cui ha bisogno. I giuristi parlano di Costituzione materiale quando intendono riferirsi a tali principi. Nessuno gruppo umano è perciò privo di una sua Costituzione, a prescindere dal fatto che si sia elaborato o meno un atto formale, sulla base delle norme sulle fonti di produzione giuridica che un ordinamento si è dato. Noi siamo abituati a parlare di Costituzione formale, poiché tale è la natura dei moderni documenti costituzionali, espressione del cosiddetto STATO DI DIRITTO.
In realtà l'orizzonte costituzionale inteso come organizzazione sostanziale di una società civile, è sempre presente nella storia politica e sociale dell'umanità. Il grande problema al quale l'idea costituzionale cerca di rispondere è il rapporto tra AUTORITÀ E LIBERTÀ: la ricerca di un equilibrio virtuoso e esigente del libero sviluppo umano e il necessario costituirsi di un potere autorevole, che non dovrebbe mai farsi autoritario, a sua volta espressione della struttura antropologica dell'uomo, ontologicamente aperta alla relazionalità proprio per la sua intrinseca insufficienza. All'interno di questa originaria socialità e ineliminabile intersoggettività, non c'è esperienza umana che possa prescindere dalle “regole”, ossia da norme organizzative e di orientamento capaci di dare a tale esperienza senso e significato. A tale proposito ALAIN SUPIOT afferma:”Ogni essere umano viene al mondo confidando in un senso, il senso di un mondo a lui preesistente, in grado di conferire significato alla sua esistenza”.
Egli precisa poi la specifica modalità attraverso la quale opera il diritto, cioè il collegamento tra la dimensione biologica e quella simbolica, costitutive dell'essere umano, poiché l'uomo è e resta un animale metafisico. Qui la funzione del diritto, come complesso di regole significanti, esprime tutta la sua forza e imprescindibilità istituendo la ragione.
Tale meccanismo, che conferma quello che di norma si definisce il fondamento ontologico del diritto, ci consente di riflettere sul tema della regola in senso lato e su quello del valore costitutivo di quelle regole essenziali che definiamo costituzionali, in quanto esprimono un'eticità immanente sul piano individuale e sociale.
L'ottica moderna interpreta la forza delle norme come espressione di un potere coattivo (imperativismo), capace di obbligare con la minaccia della sanzione; mentre le norme costituzionali sarebbero semplicemente le regole formali di funzionamento di un ordinamento – pensiamo, ad esempio, alla concezione normativistica di KELSEN -, capaci quindi di attribuire legittimità al sistema normativo.
Non è questa la strada per comprendere il vero valore dei principi costituzionali e il senso profondo di quell'idea costituzionale che, in ogni tempo, si sforza di definire e interpretare il rapporto dell'uomo con i suoi simili nel difficile e dialettico rapporto tra autorità e libertà, i due poli dell'esperienza giuridica ai quali sopra abbiamo fatto riferimento.
Per molto tempo le regole del vivere sociale hanno assunto un prevalente valore etico, espressione di un'idea di giustizia quale ordine oggettivo che gli uomini riconoscevano anzitutto nel loro cuore. Non è casuale che nella filosofia politica greca è forte la convinzione che l'ordine della polis sia conseguenza dell'armonia dell'anima, tanto che se si ammala l'anima di chi governa, vittima della sete di potere e di ricchezza tradotte in arbitrio e prepotenza, si ammala anche lo Stato.
Sullo sfondo vi è la certezza che che lo scopo della politica è il bene, non quello individuale, bensì il BENE COMUNE. Le leggi sono intese quali strumenti per conseguire tale bene e dunque rappresentano lo sforzo umano teso a rendere possibile quella che sarà definita la VITA BUONA dei cittadioni.
Lo STATO è inteso, come è stato giustamente osservato, quale CORPO VIVENTE, con le evidenti conseguenze che tale paradigma comporta nell'interpretazione dei fenomeni politici e sociali. Se il corpo umano può vivere bene e in salute rispettando alcune fondamentali regole, altrettanto il corpo sociale (STATO), può conservarsi e svilupparsi se attua le proprie regole, e in primo luogo la propria COSTITUZIONE.
Non è casuale che quando ARISTOTELE propone la forma migliore di governo deLla polis, parli propria di “politeia”, termine che nella traduzione significa proprio costituzione, a indicare che la necessità che le regole costituzionali si facciano governo effettivo della comunità. In pratica la costituzione migliore è quella che attuando principi di uguaglianza ed equità, anche intervenendo in senso correttivo, favorisce la stabilità del sistema di governo, ne evita le frequenti degenerazioni e mira a perseguire le finalità di armonizzazione del corpo sociale, in nun quadro di bene comune.
Tali principi ritornano nell'esperienza politica dei ROMANI, capaci di elaborare un concetto più maturo di COSTITUZIONE (CONSTITUTIO), alla luce della distinzione tra DIRITTO PUBBLICO E diritto privato e di una nuove ed essenziale caregoria, i NATURALIA IURA, cioè i diritti, diremmo oggi, veramente costituzionali, che vanno riconosciuti ad ogni uomo in quanto propri della sua natura umana e che, conseguentemente , non possono essere disconosciuti o negati dal diritto positivo, rappresentando un limite per ogni legislatore e il nucleo essenziale di ogni costituzionalismo.
La diffusione del cristianesimo favorisce una profonda e radicale meditazione sulla natura del potere dell'uomo sull'uomo, sul suo significato alla luce della Scrittura e all'interno di una nuova filosofia della storia, che esprime e sviluppa il disegno della Provvidenza. All'interno della ribadita socialità originaria dell'uomo, ogni Costituzione tenta di attuare una comunione, regolando i rapporti intersoggettivi sulla base di due fondamentali valori: il rispetto della dignità creaturale dell'uomo e l'esigenza della giustizia. Si tratta di un processo difficile, storicamente segnato dalle insufficienze umane e dalla ricorrente tendenza del potere a farsi assoluto e arbitrario, calpestando così i valori sopra descritti e negando l'idea stessa della Costituzione.
Il cristianesimo offre un contributo perenne al fondamento dei NATURALIA IURA individuati dai Romani, in particolare il concetto di PERSONA UMANA. In tal senso si potrà interpretare l'idea stessa di costituzione quale riconoscimento e attuazione dei valori della persona che, come chiarirà TOMMASO D'AQUINO, è un tutto che non si esaurisce nella comunità umana, ma sempre la trascende con la sua irriducibile singolarità.
E' evidente che il significato di tale affermazione : nessun potere umano o organizzazione politica o struttura di governo può asservire totalmente l'uomo, obbligarlo a rinunciare a quei valori che lo rendono uomo e lo costituiscono nella sua specifica dignità. (GIANFRANCO POSTAL).



Sabato 31 Gennaio,2015 Ore: 18:04
 
 
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