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www.ildialogo.org Che fare,di Giorgio Langella

Che fare

di Giorgio Langella

Una riflessione sulla situazione disperante del nostro paese


01 aprile 2014
I dati ISTAT sono la fotografia di una crisi occupazionale che peggiora di mese in mese. A febbraio 2014 il tasso di disoccupazione a livello nazionale ha raggiunto il 13%, con un incremento di 1,2% da febbraio 2013. I lavoratori iscritti nelle liste di disoccupazione sono 3.307.000 (+8mila rispetto a gennaio e +272mila rispetto a febbraio 2013). È la situazione peggiore dal 1977. Gli occupati sono 22.216.000 (-39.000 rispetto a gennaio e -365.000 su base annua). Gli inattivi sono in totale 14.365.000. I giovani disoccupati (con età compresa tra i 15 e i 24 anni) sono 678.000 che corrisponde al 42,3% degli occupati (923.000). Un anno fa i giovani occupati erano 1.031.000 e i disoccupati 651.000. Se si fa il confronto rispetto a 10 anni fa la situazione del lavoro giovanile risulta molto peggiorata. Nel febbraio del 2004 i giovani occupati 1.716.000 e 518.000 chi cercava lavoro.
I grafici che seguono (fonte ISTAT) mostrano l'andamento del mercato del lavoro negli ultimi dodici mesi.
Di fronte a questo disastro il presidente del consiglio dei ministri, quel Matteo Renzi che non perde occasione per dimostrare tutta la sua supponente arroganza, ha dichiarato che il dato della disoccupazione è “sconvolgente” e che c'è “bisogno di correre”. Ma correre dove? E per che cosa? Per le “riforme” naturalmente. Riforme istituzionali prima di tutto. E, allora, si prevede la trasformazione del Senato in un luogo dove circa 150 “non eletti” avranno ben poco da fare. E, contemporaneamente, la trasformazione della Camera dei deputati in un insieme di personaggi che si troveranno là perché nominati da qualche oligarca dei maggiori partiti, grazie a un premio di maggioranza enorme e a soglie di ingresso talmente alte che impediranno a milioni di elettori di essere rappresentati in Parlamento. E si continua con “modifiche” costituzionali che prevedono l'istituzionalizzazione della “ghigliottina” ovvero di quel “decisionismo” messo in pratica recentemente dalla presidente della Camera Boldrini per impedire il dibattito parlamentare e costringere a votare entro una data certa i vari decreti presentati dal governo senza alcuna modifica. Bisogna “correre” per approvare il “jobs act” ovvero quel decreto legge (già firmato da Napolitano) che rende ancora più precario il lavoro e, di fatto, smantella lo statuto dei lavoratori e i diritti in esso contenuti.
Bisogna fare in fretta, sostiene Renzi, e agisce per trasformare la nostra democrazia in qualcosa d'altro. Un qualcosa che, secondo lui, deve essere più “agile” di adesso ma che significa, nei fatti, rendere inutili gli organismi di controllo istituzionali e limitare il diritto all'opposizione e al dissenso. È qualcosa di molto simile al programma della P2 e si resta increduli (e sinceramente amareggiati) che questa deriva autoritaria sia diretta da un partito, il PD, che dovrebbe richiamarsi a ben altri valori e principi. Ma “bisogna correre”, per garantire la governabilità a un insieme di personaggi mediocri, a “statisti” improvvisati che si accordano con pregiudicati come l'ex cavalier Berlusconi per “cambiare il paese”. In peggio.
Intanto Marianna Madia, giovane ministro della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione, ci fa sapere che i lavoratori statali più anziani potrebbero essere messi in prepensionamento e che, questo, potrebbe dare lavoro ai giovani. Una soluzione raffazzonata e in linea con quelle di vecchi metodi, di chiara matrice assistenzialista e democristiana, che prevedono l'elargizione caritatevole di qualche beneficio. Una soluzione che trasforma il diritto sacrosanto alla pensione dopo 40 anni di lavoro in un privilegio per qualcuno con il pericolo di mettere dipendenti privati e pubblici in conflitto tra loro. Ma non sarebbe meglio cancellare la (contro)riforma sulle pensioni voluta dal governo Monti, votata da chi lo sosteneva (PD e l'allora PDL innanzitutto) e conosciuta con il nome dell'allora ministro Elsa Fornero? Non lo si dovrebbe fare velocemente, visto i disastri che ha provocato e che i dati diffusi dall'ISTAT impietosamente confermano? La cancellazione di quella controriforma, che non ha distrutto migliaia di potenziali posti di lavoro e che costringe i lavoratori anziani a restare al loro posto (con mille difficoltà quando va bene) o ad essere espulsi dal mondo del lavoro senza garanzie né futuro, sarebbe forse non sufficiente ma sicuramente necessaria. Almeno per iniziare a cambiare le cose. Ma, di questo, la maggioranza in parlamento non parla. Non è all'ordine del giorno. Come non è “in agenda” lo studio di una modifica sostanziale degli orari di lavoro. Perché se il lavoro non c'è (e, come si vede dai dati, manca da tanti anni) non è per una contingenza negativa che passerà. È una crisi strutturale del sistema capitalista che bisogna capire e risolvere non con qualche pannicello caldo, ma cambiando sistema.
Intanto Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli e vicesegretaria del PD, lancia avvertimenti al presidente del Senato Grasso che ha osato criticare nella forma e nella sostanza la proposta del governo sulla trasformazione del Senato in una sorta di consiglio d'amministrazione aziendale formato da rappresentanti nominati dagli enti locali.
Stiamo assistendo al malinconico (e pericoloso) tramonto della democrazia.
In questa situazione è allarmante il torpore dei sindacati confederali e la loro timidezza (e lentezza) nel promuovere iniziative anche conflittuali nei confronti di un governo che ormai ha ben poco di democratico e progressista.
E altrettanto allarmante è la debolezza della sinistra italiana, mai come ora divisa e parcellizzata.
Renzi e il presidente Napolitano, che non perde occasione per chiedere le “riforme” istituzionali, ci dicano perché vogliono cambiare la Costituzione e la struttura dello Stato in senso autoritario. E ci spieghino come possono pensare di affrontare il problema occupazionale colpendo i diritti dei lavoratori e dei pensionati. Forse pensano di sviare l'attenzione e comprare il consenso promettendo qualche decina di euro in busta paga (ma non nelle pensioni più basse) o di risolvere tutto con qualche frase d'effetto e qualche presentazione pubblicitaria.
Tutte le proposte, le promesse e le decisioni di questo governo (voluto e supportato dal presidente della repubblica) sembrano essere “buttate là” alla rinfusa. Purtroppo non è così. Seguono un preciso disegno destabilizzante e reazionario e hanno un qualche fascino propagandistico e un grande impatto nei confronti di una popolazione stanca, stremata e rassegnata. Ma servono solo a tentare di stabilizzare un sistema sempre più beceramente liberista e imporre bisogni che non sono reali con l'arma del ricatto e le capacità proprie dell'imbonitore.
La realtà è quella descritta dai dati ISTAT che non sono “sconvolgenti” e che non dovrebbero stupire chi governa il paese. Perché basta andare nelle zone industriali del paese per rendersi conto come la desertificazione industriale sia avanzata. Basta guardarsi intorno per vedere cosa è successo grazie all'incapacità dei capitalisti nostrani, alla loro fame di profitto, alla loro voglia di “delocalizzare” l'attività produttiva per assicurarsi maggiori utili e possibilità di sfruttamento. In tutti questi ultimi decenni quelli che hanno avuto (e hanno) il bastone del comando non hanno fatto nulla per impedire quello che è accaduto e che continua a succedere. Adesso vogliono farci credere che, con uno stato più autoritario e un insieme di leggi che cancellano garanzie per chi lavora o accede al mondo del lavoro, si possa risolvere la situazione.
Non credetegli perché mentono. E lo sanno.
Giorgio Langella



Mercoledì 02 Aprile,2014 Ore: 17:41
 
 
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