- Scrivi commento -- Leggi commenti ce ne sono (0)
Visite totali: (317) - Visite oggi : (1)
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori Sostienici!
ISSN 2420-997X

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito

www.ildialogo.org Appunti per un intervento al congresso CGIL di Vicenza,di Giorgio Langella

Appunti per un intervento al congresso CGIL di Vicenza

(e che non è stato possibile fare)


di Giorgio Langella

13 marzo 2014
Marzo 1944.
In piena occupazione nazifascista i lavoratori del nord Italia scesero in sciopero generale organizzati dal partito comunista clandestino. Era passato solo un anno dai primi grandi scioperi dei lavoratori delle industrie che rivendicavano pane, pace e lavoro. Fu così, nelle fabbriche in sciopero, nelle montagne, nelle campagne, nelle città, con la Resistenza armata che nacque la nostra Costituzione.
Gennaio 1979.
Guido Rossa, comunista, operaio, sindacalista, militante del PCI, fu ucciso dalle brigate rosse perché lottava in prima linea contro il terrorismo che, di fatto, si opponeva al progresso della classe lavoratrice che, con le lotte, aveva conquistato pezzi di democrazia previsti dalla Costituzione e si proponeva come classe dirigente del paese.
Febbraio 1984.
Con il decreto di S. Valentino, il governo Craxi decretò, di fatto, l'abolizione della scala mobile, un meccanismo che permetteva ai lavoratori di recuperare in busta paga (con un ritardo di qualche mese) l'aumento del costo della vita. Contro questo decreto si schierò il Partito Comunista che, sotto la guida di Enrico Berlinguer (che sarebbe scomparso a Padova nel giugno dello stesso anno, colpito da malore durante un comizio per le elezioni europee), iniziò la lotta e organizzò una campagna referendaria per ripristinare quella conquista del movimento dei lavoratori. Con questa netta e chiara presa di posizione a favore dei diritti dei lavoratori il PCI si espose alle feroci critiche di chi governava il paese e di quei sindacati che accettavano le imposizioni governative. Ci furono spaccature a sinistra, tra i grandi sindacati (CGIL ufficialmente per il ripristino della scala mobile, CISL e UIL dall'altra parte), all'interno della CGIL stessa e del Partito Comunista con posizioni di vero e proprio boicottaggio da parte di autorevoli esponenti del PCI. Ricordiamo tra questi l'attuale presidente della repubblica Giorgio Napolitano. La divisione a sinistra ebbe come risultato una sconfitta del movimento dei lavoratori che segnò una svolta epocale in senso contrario agli interessi dei lavoratori. Fu una sconfitta che può essere, a ragione, considerata l'inizio di quella deriva verso posizioni sempre più moderate che sembra non avere fine. Prese piede il concetto della sostanziale accettazione del modello capitalista “trionfante” e di una politica che aveva come obiettivo principale l'occupazione di posti di potere e non la realizzazione di un progetto che portasse benessere e progresso alla collettività. I partiti furono trasformati, da dirigenze mediocri e corrotte, in comitati elettorali e gruppi d’affari, la politica diventò soprattutto una maniera di fare carriera e occupare le istituzioni. Si avverò quanto denunciato dal PCI e dal suo segretario nazionale Enrico Berlinguer che indicavano la “questione morale” come la vera emergenza democratica del nostro paese. Confindustria, governo, sindacati compiacenti sostennero che l'abolizione della scala mobile avrebbe risolto i problemi del paese, portando benefici e benessere ai lavoratori e al sistema produttivo. Nulla si realizzò e, per i lavoratori, iniziò un periodo buio con la diminuzione dei diritti, del lavoro e del potere d'acquisto dei salari. Nello stesso tempo i profitti dei padroni crebbero, iniziarono le delocalizzazioni e gli investimenti produttivi vennero, in gran parte, trasferiti nelle speculazioni finanziarie.
Aprile 1984.
Enrico Berlinguer scriveva: “Attraverso alcune delle «riforme» di cui si sente oggi parlare si punta a piegare le istituzioni, e perciò anche il parlamento, al calcolo di assicurare una stabilità e una durata a governi che non riescono a garantirsele per capacità e forza politica propria. Ecco la sostanza e la rilevanza politica e istituzionale della «questione morale» che noi comunisti abbiamo posto con tanta decisione. Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi – la mafia, la camorra, la P2 – che hanno inquinato e condizionato tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l'esistenza stessa della nostra Repubblica. Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l'introduzione di congegni e meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero formalmente l'equilibrio, la distinzione e l'autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni”.
In quegli anni molti hanno resistito, si sono opposti al “sentire comune” e alla “paura”, hanno alzato la testa e hanno lottato. Hanno fatto qualcosa che, oggi, è sempre più complicato fare. Qualcosa che, oggi, non è più “di moda”. Allora sono stati coerenti con i propri ideali (e con le proprie ideologie) avendo l'obiettivo di trasformare la società. Dopo la sconfitta del 1984, le fila di chi ha continuato a lottare si sono sempre più assottigliate. Ha vinto il crescente conformismo, l'accettazione della debolezza e delle divisioni della sinistra e del movimento dei lavoratori. Ha vinto l'arroganza di una esigua minoranza (quel 10% di ricchi che possiedono la maggioranza della ricchezza del nostro paese) che impone la propria legge fatta di prevaricazioni, privilegi, censure, speculazioni ...
Oggi.
È stata approvata alla Camera una legge elettorale antidemocratica e palesemente incostituzionale. Una legge che fissa un premio che permetterà a una minoranza di ottenere la stragrande maggioranza dei seggi in Parlamento. Una legge che impedisce agli elettori di esprimere una preferenza dal momento che ci saranno liste bloccate decise dalle segreterie dei partiti o dai capi delle coalizioni. Una legge che prevede soglie di sbarramento per i partiti e le coalizioni “minori” talmente alte (8% per i partiti che si presenteranno da soli e 12% per le coalizioni) che non permetteranno a milioni di cittadini di essere rappresentati in parlamento. Una legge che sarà valida solo per la Camera dei deputati perché il Senato, come hanno concordato Renzi e Berlusconi, verrà cancellato. Una legge che è un attacco brutale alle fondamenta di quella società equa, giusta e solidale che fu progettata dalle madri e dai padri costituenti. Un progetto che fu difeso e solo in parte attuato grazie alle conquiste ottenute con le grandi lotte del secondo dopoguerra per il diritto al lavoro (garantito a tutti, sicuro e giustamente retribuito), per un stato sociale universale, per i diritti civili.
Oggi.
Il “Testo Unico sulla Rappresentanza” sottoscritto da Confindustria e dai segretari di CGIL, CISL e UIL “normalizza” i rapporti nel mondo del lavoro e, di fatto, tende a eliminare qualsiasi conflitto. Lo fa fissando regole poco democratiche che appaiono in contrasto con i principi costituzionali. Anche in questo caso (come per la legge elettorale concordata tra Renzi e Berlusconi) si fissano soglie sotto le quali viene esclusa la rappresentanza sindacale e vengono previste sanzioni (pecuniarie e di limitazione dei diritti sindacali) a chi si opporrà agli accordi firmati dalla maggioranza (50% + 1) delle organizzazioni sindacali firmatarie del “Testo Unico”. La consultazione tra i lavoratori, per approvare o meno gli accordi firmati, viene svilita lasciando un potere decisionale alle dirigenze sindacali. Il “Testo Unico” è un accordo tra privati (confindustria e sindacati maggiori), che consolida l'ormai consumata prassi di avere un ristretto gruppo di persone più o meno qualificate che decide cosa fare e come soffocare il dissenso e il conflitto. La decisione dei sindacati maggiori di firmare un accordo così costruito risulta incomprensibile se non si inquadra in un tentativo di omologazione al modello liberista imposto dalla controparte e nel tentativo di trasformare le organizzazioni sindacali maggiori in strutture che forniscono servizi ai propri iscritti e che si mobilitano solo per condurre trattative improntate al contenimento della sconfitta in misura sempre meno accettabile. Il conflitto e la lotta per la conquista del progresso e l’universalità dei diritti viene svilito e relegato a un ricordo del passato. Qualcosa che non è più di moda e che non conviene fare.
Oggi.
Il tasso di disoccupazione continua a crescere raggiungendo una percentuale che sfiora il 13%. Sono circa 3.300.000 i lavoratori disoccupati e altrettanti gli “scoraggiati” (chi è, cioè, senza lavoro ma, non trovandolo da troppo tempo, non lo cerca più e non compare nelle liste di disoccupazione). Il tasso di disoccupazione giovanile si avvicina al 45%. Le fabbriche chiudono e delocalizzano senza che il governo agisca. Le proposte dei vari governi hanno sempre l'obiettivo di aumentare la flessibilità e di ridurre i diritti dei lavoratori. Il modello di sviluppo liberista, infatti, porta fatalmente alla precarizzazione del lavoro. I lavoratori sono considerati merce, “risorse” che possono essere sostituiti con quelle che “costano meno”, parti del macchinario, ingranaggi, cose … mai persone che hanno il diritto di vivere dignitosamente lavorando. Il “jobs act” di Renzi prevede contratti a termine sempre più lunghi e senza “causale”, maggiore flessibilità in uscita (ovvero possibilità di licenziamento senza regole), la demolizione (di fatto) dello Statuto dei Lavoratori, la diminuzione del periodo di copertura della cassa integrazione ... È un'ulteriore umiliazione della classe lavoratrice. Un ridimensionamento inaccettabile dei diritti di chi lavora.
Oggi.
Oltre 200 RSU autoconvocate chiedono la cancellazione della controriforma Fornero sulle pensioni. Una legge che, di fatto, impedisce ai giovani di accedere a posti di lavoro occupati da lavoratori anziani costretti a lavorare fino a 67 anni e oltre, anche se hanno versato contributi per ben più di 40 anni. Una legge che ha visto una troppo timida opposizione sindacale con tre ore di sciopero. Una “mobilitazione” simbolica che non ha prodotto alcun risultato se non quello di accettare la volontà del governo Monti e della maggioranza che lo sosteneva (PD e PdL). Contro questa legge incivile e iniqua che ha contribuito a trasformare il diritti al lavoro in privilegio e che ha aggravato la disoccupazione in un periodo di drammatica crisi occupazionale, sta crescendo l'embrione di un movimento che deve avere il massimo appoggio sindacale e politico. In questa battaglia i comunisti devono essere in prima fila, protagonisti di quella che è una lotta giusta per il ripristino di elementari diritti conquistati dal movimento dei lavoratori quando era più forte e meno diviso. Dobbiamo essere consapevoli che nessuno regalerà nulla a nessuno e che la lotta sarà difficile e dura. Soprattutto perché bisogna ricostruire, su basi solide e rispettose delle identità di ognuno, quell'unità che la sinistra e il movimento sindacale hanno perso in cambio di una litigiosità trasformatasi in torpore utile a quel capitalismo cialtrone che ha affossato il paese divorandone la ricchezza. Una situazione che si trascina da decenni e che ha, di fatto, permesso di rassegnarsi ad accettare il declino industriale del paese e la cancellazione di diritti fondamentali per chi vive del proprio lavoro.
Oggi, subito. Senza aspettare domani. Bisogna ricominciare a lottare. È necessario.
Giorgio Langella



Sabato 22 Marzo,2014 Ore: 18:27
 
 
Ti piace l'articolo? Allora Sostienici!
Questo giornale non ha scopo di lucro, si basa sul lavoro volontario e si sostiene con i contributi dei lettori

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF -- Segnala amico -- Salva sul tuo PC
Scrivi commento -- Leggi commenti (0) -- Condividi sul tuo sito
Segnala su: Digg - Facebook - StumbleUpon - del.icio.us - Reddit - Google
Tweet
Indice completo articoli sezione:
Politica

Canali social "il dialogo"
Youtube
- WhatsAppTelegram
- Facebook - Sociale network - Twitter
Mappa Sito


Ove non diversamente specificato, i materiali contenuti in questo sito sono liberamente riproducibili per uso personale, con l’obbligo di citare la fonte (www.ildialogo.org), non stravolgerne il significato e non utilizzarli a scopo di lucro.
Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.
Per tutte le NOTE LEGALI clicca qui
Questo sito fa uso dei cookie soltanto
per facilitare la navigazione.
Vedi
Info