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www.ildialogo.org   LETTERA APERTA AL PRIMO CITTADINO PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO,di<br />Assunta Daniela Veruschka Zini

  LETTERA APERTA AL PRIMO CITTADINO PRESIDENTE GIORGIO NAPOLITANO

di
Assunta Daniela Veruschka Zini

La concezione dell’intellettuale che vive su un’isola deserta, nelle catacombe, nella sua torre d’avorio, di mattoni o di altra cosa, o ancora su un iceberg in mezzo all’oceano, che porta il suo talento, come il gobbo la sua gobba, suggerisce una serie di immagini, certamente, seducenti, ma che dissimulano una visione romantica del creatore, sterile e, mortalmente, pericolosa.

Fintanto che il mio cuore non cederà, prenderà il partito del debole.
Tale è il ruolo di una coscienza che non è impegnata da alcun interesse personale in interessi di partito.

Perché nessuno si inganni, avverto che non è un manifesto.

Primo Cittadino Presidente,

nel suo intervento del 5 maggio 2010 – in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario della partenza dei Mille – ripreso, insieme ad altri, nella pubblicazione “Per l’Unità d’Italia. Verso il 150° anniversario della fondazione dello Stato nazionale”, dopo aver constatato che la voce del popolo era, sovente, soffocata e rischiava di farsi sentire troppo tardi, Lei ha aggiunto:

L’Unità d’Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l’intreccio di componenti moderate e componenti democratico-rivoluzionarie. Fu davvero una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l’attraversarono.

Le tensioni non mancarono anche alla vigilia della decisione di salpare da Quarto per la Sicilia: non mancarono in Garibaldi i dubbi sulle possibilità di riuscita dell’impresa; non mancarono le preoccupazioni e le riserve di Cavour per una spedizione guidata da Garibaldi, i cui svolgimenti e le cui ricadute potessero sfuggire al controllo politico e diplomatico del massimo stratega del processo unitario. Pesarono, e non poco, diffidenze e rivalità personali nel cui giuoco era ben presente anche Vittorio Emanuele. Al fondo, era in questione, o così sembrava, l’egemonia, l’impronta - moderata o democratica - del movimento per l’Unità e della costruzione del nuovo Stato che ne sarebbe scaturito. Ma su tutto prevalsero le ragioni dettate dallo sviluppo degli avvenimenti, gli imperativi del processo storico, con cui tutti i protagonisti della causa italiana dovettero fare i conti.”


Primo Cittadino Presidente,

mi permetta di fare uso, per la prima volta, di questa libertà democratica, che Lei ha, pubblicamente, riconosciuto, benché sia, io, appena in grado di scrivere qualcosa di utile.

E mi permetta di usare di questa libertà democratica – che impegnò tutte le forze vive del Paese, pubbliche e private, civili e militari, laiche e religiose – rivolgendomi, direttamente, a Lei, Primo Cittadino Presidente.


Primo Cittadino Presidente,

le riflessioni che seguono non sono né satira né processo e, poiché hanno carattere pubblico, ho ritenuto di dare alla presente la diffusione che merita. Sono, molto semplicemente, il risultato della mia preoccupazione quotidiana, degli interrogativi che ne conseguono.
Ragione per cui, preferisco optare per un linguaggio scevro da ogni ipocrisia e da ogni lusinga.

Primo Cittadino Presidente,

io sono di quelli che accorda importanza alla necessità di vedere i problemi dell’Italia, risolti dagli Italiani.

È per questo che ho scelto di restare nel mio Paese e, ogni volta, che me ne è stata data l’occasione, non ho, mai, mancato di portare il mio, seppur modesto, franco e leale contributo alla sua elevazione. Questa opzione non è sinonimo di rassegnazione, trova il suo fondamento nell’Amore, nel profondo attaccamento al mio Paese e nell’adesione al modello di società, che la Costituzione propone al Popolo Italiano.

Io sono convinta, come molti altri Italiani, che nessuna società possa vivere senza un ideale che la ispiri, né una conoscenza chiara dei principi che la guidano. Ho notato che i periodi di grande civiltà sono, proprio, quelli in cui queste due condizioni sono, intimamente, riunite.
Gli Italiani provano un bisogno legittimo di comprendere.

Gli Italiani vogliono sapere secondo quali principi siano governati e verso quale avvenire si avviino.

Primo Cittadino Presidente,

la Democrazia è una cosa che non si impone, è una pianta libera che cresce sui terreni fertili, nell’aria salubre.

Non mette radici sulle barricate.

Vi è, immediatamente, calpestata ai piedi del vincitore, quale che sia.

Le idee sono più potenti delle baionette.

Noi lo sappiamo, adesso!


Primo Cittadino Presidente,

l’ideologia rende sordi e ciechi.

Rifiuta di ascoltare ciò che non entra nel suo universo settario.

Gli uomini sono, in larga parte, sordi e ciechi ai problemi del mondo; fintanto che non cadono sulle loro teste, non se ne preoccupano. Non vedono neppure che hanno una incidenza diretta sulla loro vita.

In quanto entità sociale, il Popolo è inevitabilmente diviso, marcato dall’interdipendenza delle funzioni socio-economiche; gli interessi delle sue parti non sono gli stessi. Ciò non toglie che abbia interessi comuni, quali il bene pubblico, l’interesse generale, la solidarietà, il vivere bene insieme nella prosperità, la sicurezza e la pace.

È la Democrazia, in quanto struttura di espressione e di conciliazione, che fa emergere le finalità comuni, il progetto di Società.

La Democrazia non è una esigenza che noi dovremmo attenderci dalla Società o dallo Stato; è, innanzitutto, una esigenza interiore.

E io voglio credere che questo Paese conti ancora uomini sensati, che provino dolore e sconcerto nel vedere dei banditi ammantarsi del suo nome.

L’unità politica nel pluralismo non è un multiculturalismo di coesistenza, di coabitazione di comunità separate alla salsa anglosassone. Non è neppure l’assimilazione delle sottoculture alla salsa leghista, né l’integrazione alla moda socio-liberale.

L’unità politica vuole che tutti cooperino in relazione, contribuiscano al bene comune sulla base di leggi comuni, di principi comuni: neutralità dello Stato e laicità, risoluzione dei conflitti attraverso la discussione e la mediazione, ricerca della giustizia, interesse generale, mutuo rispetto, osservanza della legge “veramente democraticamente” elaborata.

Ne siamo molto lontani!


Primo Cittadino Presidente,

l’ambizioso programma di sorveglianza aerea, il cui centro di comando e controllo operativo dell’AGS [Alliance Ground Surveillance] è installato nella base aeronavale di Sigonella, in Sicilia, contribuisce alla pace o, al contrario, intensifica i conflitti e mette in pericolo le Democrazie in Europa?

Nel 2012, l’Italia è avanzata al X° posto tra i Paesi con le più alte spese militari del mondo, rispetto all’XI° del 2011. Lo documenta il SIPRI, Stockholm International Peace Research Institute, [books.sipri.org], l’autorevole istituto internazionale, che ha sede a Stoccolma e che ha pubblicato, il 15 aprile scorso, gli ultimi dati sulla spesa militare mondiale.

La spesa militare italiana ammonta, su base annua, a circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro, equivalenti a 70 milioni di euro di danaro pubblico, sperperati, ogni giorno, in forze armate, armi e missioni militari all’estero.

Mentre la cassa… integrazione, se non sarà rifinanziata, sarà vuota a settembre…
È possibile considerare tali preparativi militari senza concepire le più grandi inquietudini?

Se non ci conducono alla guerra, è alla bancarotta e alla rovina che ci condurranno e giorno verrà in cui gli Italiani saranno un popolo di mendicanti davanti a una fila di caserme!


Primo Cittadino Presidente,

a eccezione dei giocatori impenitenti, gli uomini non amano il rischio. Se non possono eliminarlo, perché è onnipresente in tutte le attività umane, possono, almeno, cercare di limitarlo. È, così, che una buona parte degli sforzi dell’uomo, attraverso i secoli, è consistita nell’affrancarsi dai rischi che la natura imponeva. Per questo, ha diversificato le sue attività, al fine che la sua sorte fosse meno dipendente dalle alee climatiche o dai capricci dell’ambiente naturale; ha sviluppato straordinarie tecniche di sicurezza; ha migliorato le sue tecniche di informazione.

Malauguratamente, l’epoca moderna ha visto apparire un rischio maggiore, quello creato dall’azione discrezionale degli Stati, particolarmente pericoloso, in quanto è impossibile da aggirare e da assicurare, diversamente dalla maggior parte dei rischi.

Si subisce il potere di coercizione statale.


Non vi è, così, alcun modo per proteggersi dal rischio di nuove norme e di aumenti fiscali.

Il professor Mario Monti aveva promesso, nel programma illustrato al senato, il 17 novembre 2011, una grande riforma fiscale, destinata a ripristinare “Rigore, crescita ed equità” [youtube.com], per raggiungere il pareggio di bilancio, nel 2013.

Ora, per quanto io scruti, non vedo proprio questa grande riforma, tutt’al più qualche misura cosmetica, destinata a gettare fumo negli occhi agli ingenui che siamo noi Italiani, la cui voce è incalzata in periodo elettorale e inascoltata il resto del tempo.

Non vi è dubbio che, sul piano del comportamento, il professore incarnava, in modo evidente, una rottura con il suo predecessore, quel presidente dal parlare volgare e dagli atteggiamenti da capo clan, che un ego ipertrofico – al limite del patologico – ha portato a molti eccessi.

Ma questa rottura si è limitata agli aspetti comportamentali.

Per ciò che atteneva alla politica, corre l’obbligo di riconoscere che il nostro Paese restava sulla stessa linea liberista, soggetta ai dictat di una Unione Europea, così tanto al servizio dei banchieri e degli industriali e così poco al servizio dei Popoli.

Le sue scelte economiche, per compiacere i mercati e le agenzie di rating, lo hanno condotto, principalmente, alla regressione sociale per tentare di trovare i miliardi che mancavano e ciò, mentre, anno dopo anno, la pauperizzazione crescente fa lievitare, in modo drammatico, il numero degli Italiani in situazione di povertà effettiva.

Gli Italiani si sentono abbandonati dalla politica e consegnati ai soli appetiti di una oligarchia vorace e senza scrupoli.

Gli Italiani soffrono di questa disumanizzazione.

Gli Italiani sono esasperati di essere considerati dei numeri o dei casi da gestire.


Primo Cittadino Presidente,

la crisi ha fatto emergere una nuova classe sociale: il precariato. In latino, precarius vuol dire "ottenuto per preghiera". Nella sociologia attuale, è una persona sospesa tra la prosperità e la povertà, sprovvista di sicurezza materiale e, costantemente, minacciata dal crollo del suo status sociale.

Arruola giovani senza la prospettiva di un impiego stabile e di una vita dignitosa. L’Italia ha, infatti, il numero più elevato in Europa di giovani disoccupati.

Nel 2012, sono stati stati contati 2 milioni e 250mila (il 23,9%, praticamente uno su quattro) e in un anno sono cresciuti di 100mila unità.

I giovani sono le principali vittime della crisi economica.

Nel filo degli anni, hanno perduto sicurezza materiale e status sociale, si ritrovano emarginati e ne imputano la responsabilità agli stranieri.

Questa popolazione è una vera manna per i partiti estremisti e un vero pericolo per l’attuale modello di società. Se il precariato rappresenta una minaccia, di certo, non sotto forma di dimostrazioni, anche se si faranno più numerose, nei prossimi anni. Il vero pericolo è, giustamente, l’ascesa di populisti antiimmigrati e antieuropei, sostenuti da una parte crescente della popolazione.

Ciò non presagisce nulla di buono per l’Italia!

Tenuto conto della debolezza della politica di fronte alla crisi sociale, non si tratterà più, allora, di interessi nazionali, ma di interessi generazionali: i conflitti si giocheranno, sul piano interno, tra giovani e vecchi.

Oggi, la classe politica che invecchia dell’Italia difende, innanzitutto, gli interessi della propria generazione, ciò che non fa che aggravare la frustrazione dei giovani disoccupati.


Primo Cittadino Presidente,

le misure di austerità e la moltiplicazione dei licenziamenti generano condizioni socialmente e umanamente insopportabili.

Se il suicidio resta un fatto sociale, che non può spiegarsi solo per ragioni economiche, l’ampiezza della crisi attuale si rivela, nondimeno, essere un fattore aggravante. Nel quadro che emerge dal Rapporto Osservasalute 2012, alla sua decima edizione, presentato il 29 aprile scorso, a Roma, negli ultimi quattro anni, in Italia, i suicidi, dovuti a motivazioni economiche, sono aumentati del “20-30%”, mentre “restano piccoli i numeri totali dei suicidi”: Con la complicità dell’attuale fase di complessità sociale ed economica, è, anche, aumentata la sofferenza mentale degli Italiani che fanno ricorso, sempre più frequentemente, agli antidepressivi per sedare angosce e disagi.

E, le donne si confermano le maggiori consumatrici!


Primo Cittadino Presidente,

la politica non è che un ramassis de blagues écœurant.

Non offre niente di nuovo.

La sua irrimediabile miseria mi ha riempito di amarezza, fino dalla mia giovinezza.

Così, ora, non ho alcuna disillusione.

Ma non è disprezzando la sua miseria che ne contemplo la distesa.

Io ho la netta sensazione che questa classe politica non piaccia più, sia nei comportamenti sia nelle decisioni.

I risultati delle ultime elezioni dimostrano la resistenza passiva degli Italiani.

La lista delle trasgressioni della politica è lunga!

La crisi finanziaria internazionale non è una fatalità.

Questa crisi non è certo una catastrofe naturale.

Non è una sanzione divina.

E, non è neppure una maledizione satanica, ma affonda le sue radici nelle condotte e nelle incapacità umane.

La crisi è scoppiata perché le banche hanno agito con cupidigia, provocando derivati finanziari altamente speculativi e pericolosi. Ma niente sarebbe accaduto se la politica avesse delimitato il perimetro di azione delle banche.

La politica ha lasciato fare.

La politica ha permesso alle banche di non inscrivere tutte le operazioni in bilancio.

La politica ha ammesso che le banche non disponessero di fondi propri a sufficienza di fronte ai rischi che avevano assunto.

E gli Italiani dovrebbero pagare per le banche?

In una intervista del 9 settembre 2009 all’autorevole quotidiano della finanza e dell'economia a stelle e strisce The Wall Street Journal, Lloyd Blankfein, amministratore delegato della Goldman Sachs, che ha avuto una responsabilità diretta nella crisi economica, aveva detto, letteralmente:

I’m doing God’s work.” [blogs.wsj.com]
Avrà finito di fare il lavoro di Dio?


Primo Cittadino Presidente,

vi è una varietà considerevole di problemi che richiedono una soluzione immediata.

E il rischio di vedere, sempre più, cadere l’Italia nel baratro della povertà esiste e non è mai stato così elevato!

La lotta tra capitale e lavoro sta impoverendo il nostro mercato, ostacolando lo sviluppo delle nostre fabbriche e, per poco che durino, faranno abbassare i salari, abbassando la domanda.
Io non sono una esperta in questioni economiche e finanziarie e neppure una adepta del complotto permanente, ma mi chiedo:

E se la crisi finanziaria non servisse che a smantellare gli ultimi servizi pubblici e a addomesticare i salariati?

È dall’inizio della crisi finanziaria che ho il sospetto, forse, naïf, che questa crisi non abbia che due vere funzioni, due grandi obiettivi:

- indurre i Paesi, che ne forniscano ancora, a smantellare, definitivamente, gli ultimi servizi sociali, a venderli, che si tratti di trasporti, di distribuzione di energia, di poste, di salute, di assistenza sociale, ecc. Una vendita che li renderebbe, miracolosamente, redditizi a spese del “servizio” reso. La privatizzazione e la riduzione del deficit fanno parte delle condizioni – di fatto, esigite – per aiutare Paesi o garantire i loro debiti. Nelle condizioni imposte, io non ho sentito parlare – probabilmente non sono stata abbastanza attenta – di aumento di esazioni per le imprese o le banche, imposto dalla Banca Centrale Europea, dal Fondo Monetario Internazionale o dalla Riserva Federale Americana;

- indurre i salariati ad accettare sempre più elasticità e sempre più flessibilità, per riprendere quelle parole strane che caratterizzano, in effetti, un nuovo diritto di licenziamento più “spiccio”. E sempre meno assistenza sociale e cassa integrazione.

Primo Cittadino Presidente,

è necessario che lo Stato faccia economie, vere economie e non sulla pelle degli Italiani.

Iniziamo dal vertice, che dovrebbe, per primo, dare l’esempio!

A tout seigneur, tout honneur!”

Una legge sul non-cumulo dei mandati, applicato a tutti gli eletti è divenuta una urgente necessità. Non solo per allineare il nostro Paese alla maggior parte dei nostri vicini e, così, far tacere i giustificati sarcasmi di cui siamo oggetto, ma, soprattutto, perché una tale misura sarebbe percepita dagli Italiani come la prima tappa di una indispensabile riforma delle nostre istituzioni e della modernizzazione della vita pubblica.

Parimenti, è divenuto necessario chiarire la situazione dei politici rispetto a eventuali sospetti giudiziari.


Primo Cittadino Presidente,

i Suoi Concittadini debbono poter partecipare alla costruzione di nuovi modelli di vita e giungere così a realizzare una società più giusta e più fraterna.


Primo Cittadino Presidente,

ascolti la voce dei Suoi Concittadini, diffidi di coloro che cercano, sempre, di favorire il capitale finanziario e di imporre i propri interessi economici, politici e militari a scapito della vita umana.

Sono gli stessi che distruggono l’ambiente e le libertà cittadine e che generano la fame, la povertà e l’emarginazione.


E questo è, proprio, tutto, Primo Cittadino Presidente.


Roma, 23 maggio 2013



Assunta Daniela Veruschka Zini
Copyright © 23 maggio 2013




Venerdì 24 Maggio,2013 Ore: 17:03
 
 
Commenti

Gli ultimi messaggi sono posti alla fine

Autore Città Giorno Ora
rosanna rossi cagliari 25/5/2013 08.02
Titolo:senza titolo
cara Daniela, se solo la metà deigli argomenti da te trattati , andassero in porto, l'Italia sarebbe una nazione diversa. Se poi, invece fossero tutti, sarebbel'Italia che vorrei
Grazie per avermi mandato questo tuo appello al Presidente Napolitano
Un abbraccio , Rosanna.

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