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www.ildialogo.org Le sole larghe intese possibili,<em>di Michele Di Schiena</em>  

Le sole larghe intese possibili

di Michele Di Schiena  

da Adista Segni Nuovi n. 17 del 04/05/2013


Pochi giorni prima di essere rieletto alla Presidenza della Repubblica – caso unico nella storia italiana – con i voti pressoché unanimi di Partito democratico, Popolo della libertà e Scelta civica e con l’opposizione di Sinistra ecologia libertà e MoVimento 5 stelle, Giorgio Napolitano aveva rievocato la stagione delle “larghe intese” fra democristiani e comunisti. Le larghe intese tra la Dc di Moro e il Pci di Berlinguer furono possibili, alla fine degli anni ‘70, perché da una parte c’era un Partito comunista che confermava la sua vocazione democratica alzando la bandiera della “questione morale” e di una maggiore equità sociale e prendendo le distanze dal comunismo sovietico nella convinzione che esso avesse perso la sua originale “forza propulsiva”; dall’altra una Democrazia Cristiana a trazione progressista il cui elettorato era costituito, nelle sue espressioni di base, da un popolo in sostanza socialmente non dissimile da quello comunista per le esigenze che avvertiva e le domande che avanzava. La tendenza al riavvicinamento tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, avviata nel 1976 e denominata “compromesso storico”, durò poco e si concluse col IV governo Andreotti (in carica dall’11 marzo 1978 al 31 gennaio 1979) ma ebbe il merito di fronteggiare la crisi economica del tempo e la grave situazione che stava vivendo il Paese sul fronte dell’ordine pubblico a causa del terrorismo.
Il presidente Napolitano ha rievocato quell’esperienza politica definendola giustamente un atto di coraggio, ma i tempi sono cambiati, come anche molto diversi sono i protagonisti di quella inedita operazione politica. Non sembra oggi perciò praticabile un governo di larghe intese se con esso si intende un patto politico sostanzialmente centrato su un accordo di collaborazione governativa tra il Pd e il Pdl dal momento che questo secondo partito, come peraltro esplicitamente riconoscono tutti i suoi stessi esponenti, si identifica con le idee, le scelte e i comportamenti del suo indiscusso leader, Silvio Berlusconi. Un partito che nelle ultime elezioni politiche ha ottenuto senza dubbio un consistente consenso (pur avendo perso la metà dei suoi elettori del 2008), ma che le altre formazioni politiche presenti in Parlamento e i rimanenti tre quarti del corpo elettorale che le esprimono considerano largamente responsabile della tragica crisi economica che attanaglia il Paese e privo di qualsiasi credibilità interna e internazionale per le note vicende giudiziarie del suo leader e per i tanti comportamenti del medesimo ritenuti non in linea col disposto costituzionale per il quale «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore».
Certo il centrosinistra non è stato in questi anni esente da alcuni errori ed abusi, ma si è trattato di comportamenti mai avallati dai gruppi dirigenti e sempre da questi e dal suo elettorato duramente censurati, sicché fare di ogni erba un fascio, secondo una consuetudine da qualche tempo invalsa fra alcuni osservatori, significa offendere la verità e correre in soccorso della peggiore politica. Ma c’è di più perché a tutto ciò si aggiunge l’impedimento costituito dall’insuperabile incompatibilità tra la cultura e le scelte programmatiche del centrosinistra e le linee di intervento e le proposte del centrodestra, piegate queste ultime nell’immediato ad esigenze propagandistiche, ma sostanzialmente in linea con i dettami di quel radicale neoliberismo inaugurato nel periodo a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 negli Stati Uniti da Reagan e in Inghilterra dalla Thatcher. Una dottrina economico-politica iperliberista della quale il Cavaliere ha dato in Italia durante i suoi mandati di governo una rozza e sgangherata interpretazione tale da giustificare l’adozione di provvedimenti motivati dal perseguimento di interessi personali o comunque di parte.
Il centrosinistra guidato dal candidato premier Bersani non potrà mai fare, pena il suo definitivo disfacimento, alcun accordo di governo, più o meno organico, con “questo” centrodestra, ma le larghe intese da più parti auspicate sarebbero ben possibili, anche nella legislatura in corso, fra le altre forze politiche presenti in Parlamento. E ciò a condizione che il centrosinistra e queste forze si ritrovino su come fronteggiare i problemi di fondamentale rilievo: quello della moralizzazione della vita pubblica che richiede immediate ed efficaci misure e quello delle riforme da portare avanti nell’economia a livello nazionale ed europeo, fermo restando che le innovazioni istituzionali richiedono, per la loro natura, il coinvolgimento di tutte le espressioni parlamentari. Per quanto riguarda la politica economica occorre partire da un progetto che punti al superamento del “pensiero unico” neoliberista che è la causa in Italia, in Europa e nel mondo di quell’impoverimento di massa e di quella scandalosa crescita delle disuguaglianze sociali che sono sotto gli occhi di tutti. Occorre convincersi e convincere la gente che i guasti e le iniquità cui quotidianamente assistiamo sono in larga misura provocati da quell’iper liberismo che, facendosi potere dominante, distrugge la solidarietà, abbatte le protezioni per i più deboli, assolutizza il mercato, rende servile il lavoro e mercifica la vita.
Un sistema che costruisce l’economia a misura degli interessi delle multinazionali e dei poteri forti servendosi di alcune agenzie di rating, incanalando nel modo più conveniente il flusso dei capitali e utilizzando la regolazione dei tassi e l’oscillazione di borsa. La sinistra non può più avere tentennamenti sul versante della politica economica dal momento che questo sistema, oltre a essere considerato disumano da autorevoli cattedre religiose e morali nonché rifiutato da sempre più diffusi movimenti di opinione e di protesta, è ormai oggetto di severe e motivate critiche da parte di autorevoli economisti: dallo statunitense Paul Krugman, premio Nobel per l’economia 2008, che definisce un grave errore dei governi europei il taglio indiscriminato della spesa pubblica con l’aumento delle imposizioni fiscali, al sociologo tedesco Ultrich Beck, docente della London School of Economics, secondo il quale «il progetto liberista è fallito e si fa sempre più strada il richiamo alla responsabilità statale», fino all’altro premio Nobel 2001 per l’economia, Joseph Eugene Stiglitz, che ritiene le politiche monetarie deflazionistiche non rispondenti alle esigenze delle economie dei Paesi in difficoltà e, parlando dell’Italia in una recente intervista, ha consigliato di rendere il nostro sistema bancario più efficiente per stimolare la crescita, di passare al setaccio le voci della spesa pubblica e di aggredire i sistemi di corruzione «di cui Silvio Berlusconi è una manifestazione», aggiungendo che ogni democrazia ha bisogno di compromessi e che nell’attuale situazione italiana la convergenza più naturale è quella tra Pd e MoVimento 5 Stelle.
Sappiamo bene che i due consoli con potere assoluto del MoVimento 5 Stelle, Grillo e Casaleggio, sono nemici giurati della convergenza auspicata da Stiglitz, un economista peraltro da loro considerato validissimo e autorevole punto di riferimento. Ma non vi è dubbio che tra larga parte dell’elettorato del Partito democratico e del MoVimento 5 Stelle vi sono sensibilità e valutazioni convergenti sia sul tema della moralizzazione della vita pubblica che su quello delle innovazioni che in Italia e in Europa vanno portate avanti per una incisiva riforma della politica economico-finanziaria. In questo difficile momento della vita politica del nostro Paese, impedire una simile convergenza sul piano parlamentare significa accrescere il peso politico del berlusconismo, spingere ad intese contro natura il centrodestra e il centrosinistra per meschini interessi elettorali, rendere indispensabili il ricorso a ravvicinate elezioni politiche che, nella confusione generale, potrebbero segnare un ennesimo successo della peggiore politica facendo naufragare ogni speranza di cambiamento e di ripresa.

* Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione

Articolo tratto da
ADISTA
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Sabato 04 Maggio,2013 Ore: 17:29
 
 
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