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www.ildialogo.org Una storia di ordinario malaffare...,di Giorgio Langella

Una prassi troppo usata nel "nostro ricco nordest".
Una storia di ordinario malaffare...

di Giorgio Langella

 10 maggio 2012

Se passate in viale S. Lazzaro, a Vicenza, potete vedere una piccola tenda sul marciapiedi, qualche striscione e due automobili coperte di bandiere. Quelle automobili sono la casa di tre lavoratori che protestano. Sono Amir, Urim e Zlatko, tre trasportatori, ex dipendenti della De Boni Trasporti. Hanno lavorato, non sono stati pagati, sono stati licenziati. I loro nomi “tradiscono” la loro provenienza. Sono nati, infatti, in Macedonia e in Serbia. In paesi che la Nato (e l’Italia) hanno bombardato non tanti anni fa. Sono venuti in Italia per lavorare, dopo aver subito una guerra devastante e disastrosa. Hanno trasportato le nostre merci per mantenere le loro famiglie, per crescere dignitosamente i figli. Adesso sono là, al bordo di una strada molto trafficata. Sono, letteralmente, sul lastrico ma stanno lottando. Chiedono di essere pagati per il lavoro svolto. Un diritto che viene loro negato da un “imprenditore, Massimo Dal Maso, titolare della De Boni Trasporti, di una carrozzeria e della Aurora Assicurazioni che ha la sede proprio là dove c’è la tenda. La gente passa, qualcuno si ferma, legge gli striscioni e i cartelli, ascolta la loro storia. Forse prende coscienza che in Italia (e anche a Vicenza) la loro situazione non è “un caso isolato” ma la “normalità diffusa”. Ci sono tanti lavoratori “spremuti” e “gettati via” senza neppure essere pagati.

“Siamo trattati peggio dei cani” dicono i tre lavoratori guardando negli occhi l’interlocutore. “Se fossimo cani abbandonati qualcuno si muoverebbe. Ci verrebbero ad aiutare. Ci darebbero da mangiare e, anche, una casa … ma siamo lavoratori licenziati e, allora, dobbiamo aspettare per ottenere quello che ci spetta.”

Zlatko, Amir e Urim vogliono solo avere quello che hanno guadagnato con il loro lavoro (circa 4.000 euro a testa). Quello che gli spetta. Non un euro di più, non un euro di meno. “Solo soldi nostri” ripetono. Quei soldi che Massimo Dal Maso dice di non avere. Eppure arriva, posteggia la sua Porsche e sale nel suo ufficio. Eppure, con il carburante contenuto nelle cisterne della sua ditta di trasporti potrebbe saldare il debito che ha con i lavoratori. Ma Dal Maso posteggia, passa e sorride. Le difficoltà dei lavoratori, la loro esasperazione non lo toccano. Sono “un fastidio”. Si ha la sensazione che casi come questo siano, per il Dal Maso, un’abitudine.

Intanto Urim, Zlatko e Amir raccontano di non poter mantenere i figli. “Noi possiamo resistere senza mangiare, ma i nostri bambini come fanno?” La loro è una realtà pesante. Ridotti alla povertà perché un padrone molto più ricco di loro “non ha i soldi per pagarli”. Scuse miserabili e inammissibili in un paese civile.

Intorno alla tenda si parla, si raccontano storie di sfruttamento, si capisce che la vicenda di sfruttamento dei tre lavoratori della De Boni è abituale in un territorio ricco come quello vicentino. Ce ne sono centinaia di casi come questo. Di padroni senza scrupoli che sfruttano la situazione di bisogno e solitudine dei lavoratori. Isolano e dividono i lavoratori che, da soli, sono deboli e non riescono (o non sanno) neppure protestare. Così accettano il sopruso perché è quasi impossibile ottenere giustizia in tempi ragionevoli. In questi casi tutto si dilata. Le istituzioni, a partire dalle amministrazioni locali, quando ci sono dimostrano la loro impotenza. Prendono tempo, non possono agire (sostengono). Parlano di “aiuti” ed è praticamente “elemosina”. Ma Zlatko, Urim e Amir non vogliono qualche euro per “tirare avanti”, vogliono solidarietà e vedere riconosciuto il loro diritto a essere retribuiti per il lavoro svolto. Niente di più, niente di meno.

La sensazione è che quando c’è di mezzo un “padrone” e la sua arroganza sia molto difficoltoso ottenere giustizia.

A vedere queste cose si dovrebbe riflettere sulla profonda disuguaglianza di una società che permette di non pagare i lavoratori e colpisce con severità chi, magari, protesta e urla la sua rabbia. Una società dove sono garantiti maggiormente quelli che non pagano e gettano sul lastrico lavoratori e famiglie, piuttosto che chi rivendica un diritto costituzionale.

Di fronte a queste cose cresce quel senso di frustrazione, di impotenza ed esasperazione che ci rende sudditi.

Venerdì i lavoratori della De Boni Trasporti saranno dal prefetto. Non è la prima volta. Precedentemente, proprio in prefettura, era stato raggiunto un accordo col Dal Maso per i pagamenti. Una piccola rata ogni mese fino al saldo del debito. Un accordo puntualmente disatteso e, di fatto, stracciato dal padrone. Questo ha portato i lavoratori a protestare giorno e notte in quella tenda e nelle due automobili trasformate in scomodi letti. È una lotta difficile ed estenuante, supportata da sindacalisti della CGIL, da qualche presenza di altri sindacati come USB e CUB, dai partiti della Federazione della Sinistra (PdCI e PRC), dalla parrocchia di S. Lazzaro, da qualche cittadino che si ferma e ascolta una storia di “ordinario sfruttamento”. Una storia come tante, una storia alla quale qualcuno (ancora troppo pochi) non vuole abituarsi.

I lavoratori della De Boni Trasporti non si sono abituati e non si rassegnano. “Dal Maso, questa volta, ha sbagliato persone perché noi andremo fino in fondo. In una maniera o nell’altra vinceremo perché la ragione è dalla nostra parte” dicono “siamo uniti e nessuno tradirà il compagno”. Lottano a testa alta con dignità. Danno una lezione a tutti quelli che girano la testa dall’altra parte, a chi ha perso qualsiasi speranza e si rassegna a subire tutto. Solo con la lotta si possono cancellare le ingiustizie. E, anche su questo, hanno ragione.

11 maggio 2012 ore 14.45

è finita da poco la riunione dei lavoratori della De Boni Trasporti in prefettura.

Il sedicente “imprenditore” Massimo Dal Maso, presente all'inizio della riunione con i rappresentanti della CGIL, è uscito prima che i lavoratori entrassero. È uscito sorridendo. Aveva un sorriso sprezzante e provocatorio. L'atteggiamento di uno al quale non importa nulla dei lavoratori, dei loro problemi, di quello che ha provocato non pagando quello che doveva. I lavoratori lo hanno visto passare, si sono scostati. Non hanno accettato alcuna provocazione. Loro sono dalla parte della ragione e questa è la loro forza. Una trentina di persone (soprattutto compagne e compagni dei sindacati e della Federazione della Sinistra) che stavano dando solidarietà ai lavoratori hanno visto quel sorriso di scherno e si sono ulteriormente indignate.

Il prefetto, secondo quanto riferito da sindacalista della CGIL D'Angelo e dai lavoratori stessi, ha promesso che farà di tutto per fermare Dal Maso a partire dalla settimana prossima. Intanto farà in maniera che i tre lavoratori ricevano circa 400 euro a testa per poter vivere, con qualche problema in meno, la settimana prossima. L'impegno è anche di trovare presto per ognuno di loro un posto di lavoro e perché i comuni di residenza si attivino nei loro confronti.

Una vicenda che, finalmente, fa intravedere uno spiraglio di luce anche se i lavoratori non hanno nessuna intenzione di abbandonare la lotta. L'attenzione quindi resta alta. E resta anche l'amaro in bocca vedendo l'atteggiamento di sedicenti imprenditori (veri e propri padroni e truffatori) abituati a utilizzare il lavoro altrui senza pagarlo.

Un'arroganza e una protervia che deve e può essere fermata dalla lotta, dalla determinazione dei lavoratori e dalla solidarietà di chi non si gira dall’altra parte.



Sabato 12 Maggio,2012 Ore: 00:44
 
 
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