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Art. 18 e “dintorni”….alla fine il cerino č rimasto al PD

Si legge oggi ( 21 marzo) su “ Il Sole 24 ore” –quotidiano della Confindustria – un articolo di fondo dal titolo “ infranto il grande tabù” . Sembra di capire che, “quasi, quasi”, si gioisca per la raggiunta libertà di licenziamento individuale. Si conclude così: “….toccherà a Pier Luigi Bersani spiegarlo a Susanna Camusso”.

Già! Nel gira e rigira del “vogliamoci bene” che c’è dal “Salvar l’Italia”, il cerino, alfine, è rimasto al PD.

A parte le spiegazioni da fornire al segretario generale della Cgil ne vedremo certamente delle belle all’atto del voto in Parlamento sulla cosiddetta “riforma del lavoro”.

Il dato certo è che tutti gli altri componenti della variegata  “comitiva” parlamentare che appoggiano l’attuale esecutivo quando si tratta di “dare addosso” all’operaio, alla classe…., pardon, al ceto dei lavoratori dipendenti, si trovano tutti bene allineati e coperti, privi di libertà di coscienza.

Poveri lavoratori. Non hanno più nessuno che in maniera omogenea, diretta e convinta li rappresenti concretamente in Parlamento. Per modalità di vita, per mestieri e distrazioni appartengono ad altri ceti.

C’era….forse c’è, in parte, chissà, il PD. A sentire le varie ali si rimane ben poco tranquilli. Chi tira a dritta e chi tira a manca. Grande è la confusione. Vedremo in corso d’opera.

Certo, però, che il dopoberlusconismo, con il “governo tecnico”, raggiunge vertici di obiettivi da calare sui redditi fissi, da sempre ricercati ma mai raggiunti.  

Dopo che, brillantemente, è stato aumentata consistentemente l’età pensionabile per uomini e donne e il gravame fiscale diretto e indiretto per il reddito fisso onesto e “fesso” dei lavoratori e pensionati,  avere fatto una piccolissima carezza ai patrimoni e ai capitali rientrati dall’estero ( se tutto va bene gli scudati se la cavano alla grande, per non dire di quelli che dormono nei paradisi fiscali ), mentre continua ad aumentare il debito nazionale, adesso hanno picconato gli ammortizzatori sociali e smantellato la certezza del diritto sociale, e umano, aggiungo,  nei luoghi di lavoro – art. 18 della Legge dello Statuto dei Lavoratori -, figlio,  già con la legge 64 del 1966 ( norme sui licenziamenti individuali),  dei valori della Costituzione.

Complici vari attori, politici e anche sindacali, grandi organi di informazione cartacei e televisivi, si è montata una grande sceneggiata, come se i destini del paese passassero dall’ infinitesima cruna dell’ago del licenziamento individuale senza giusta causa, cioè i mille casi o poco più che si registrano nel corso di un anno, per reale discriminazione, non veridicità dei fatti accusatori di natura “disciplinare” o delle ragioni “economiche” accampate, connesse alla revisione della dinamica produttiva e dell’organizzazione. Per queste tre motivazioni non dimostrate, quindi non esistendo la giusta causa, il pilastro di civiltà legislativa detto 18 comanda la reintegrazione del lavoratore. Questo  vige nelle aziende con più di 15 dipendenti. Nei luoghi di lavoro al di sotto di questo numero vale solo il risarcimento ( bisognerebbe ricostruire il tran- tran degli ultimi 40 anni per sforzarsi di capire le “ragioni” sulla differenza vigente sopra e sotto il tetto dei 15. In caso diverso, convalidata dal magistrato la giusta causa, al singolo lavoratore è stato sempre confermato il licenziamento, e basta. Questa norma, di giustizia e verità, frutto delle lotte dei lavoratori e dell’evoluzione democratica dell’Italia, è stato un pilastro fondamentale contro le discriminazioni di tutti i generi, l’arroganza e la prepotenza.

Buttata la maschera delle manfrine esce fuori l’inganno, enorme ed atroce. Spacchettando l’art. 18 in tre tronconi:  discriminazioni, disciplinari, economici, si compie un’opera di pura mistificazione, nel metodo e sul merito.

Sul metodo, chi mai, dei datori di lavoro, potendosi avvalere della presunta motivazione economica, sarà così fesso di giustificare l’atto con moventi che possono avere riferimenti discriminatori ( reintegro, anche sotto i 15 dipendenti, già in atto – legge n. 108 del 1990 -) e/o disciplinari ( reintegro o indennità), che prevedono il ritorno nel luogo di lavoro?  Con le nuove norme si paga solo un’indennità risarcitoria tra 15 e 27 mensilità.

Nel merito, specie nell’attuale di strutturale crisi economica e produttiva, quanti lavoratori e lavoratrici, saranno individualmente licenziati per motivazioni  economiche? Almeno fino a quattro unità per ogni realtà di lavoro sopra i 15 dipendenti è possibile farlo. Oltre questa soglia entrano in vigore i dispositivi sui licenziamenti collettivi.

Saranno tanti. Decine, centinaia, di migliaia? Chi? C’è un nesso tra allungamento dell’età pensionabile e licenziamenti individuali? Quanti lavoratori, i più deboli, i più facili da inserire nel libro nero, oltre che privati della dignità, saranno messi fuori, senza reddito e senza mai arrivare alla pensione? Compreso anche il settore pubblico, dato che l’art. 18 della Legge 300 vale per tutti i lavoratori. Su questo da parte del governo oggi ci sono state conferme e smentite. Incredibile e sconcertante !!! Non sanno neanche loro, gli artefici, come e dove applicare l’eventuale nuova legge.

Inoltre sui licenziamenti collettivi, con il progetto che sarà  a regime nel 2017, smantellando di fatto i periodi vigenti sulla mobilità, sarà proprio un disastro sociale e democratico epocale.

Nel perseguire questui loro obiettivi, a giustificazione formale,  i nostri studiosi e tecnici richiamano i sistemi vigenti in altri paesi europei. La Germania, in particolare. Ammesso e non concesso che sia così ( ma hanno un’altra metodologia globale non comparabile solo per singola voce, a partire dalle quantità lavorative e dalla decenza del posto di lavoro), dimenticano di indicare o legiferare su come si dovrebbero equiparare le retribuzione italiane a quelle tedesche, dato che nostre sono circa la metà. Su questo tutti zitti! I confronti valgono ad uso e costume di “convenienza”.

La Cgil dichiara di resistere e proclama anche lo sciopero generale. Bene. E’ l’unico baluardo di resistenza. La manifestazione nazionale della Fiom ha mosso le acque avvelenate.

Sulle posizioni acquiescenti degli altri soggetti sindacali che ormai da anni non stupiscono più, e sui dirompenti contenuti  risolutivi della materi trattate, basta citare la figura di gigante democratico fatta da Pier Carniti, “antico” segretario generale della Cisl, con le dichiarazioni pronunziate lunedì sera nella trasmissione televisiva del giornalista Gad Lerner. Altro che salamelecchi e biascichii, tipiche dei servi.

Le parole non bastano, serve la lotta sindacale e democratica.

I lavoratori italiani sono davanti ad un bivio storico, per i loro diretti, vitali e immediati interessi. Perdere l’appuntamento sarebbe catastrofico per loro stessi, sul piano materiale e morale; per la dignità umana e civile di uomini e donne, coscienti di non essere sudditi.  

domenico stimolo  



Giovedě 22 Marzo,2012 Ore: 14:47
 
 
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