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www.ildialogo.org Un lavoro quotidiano da compiere,di Luca Servodio e Mario Ferdinandi

66° della Resistenza
Un lavoro quotidiano da compiere

di Luca Servodio e Mario Ferdinandi

Il carattere di massa e popolare che ebbe la lotta partigiana – scriveva Pietro Secchia – in Italia diede ad essa una particolare impronta progressiva e sociale che la caratterizza e distingue nettamente dal primo Risorgimento. Per quanto anche allora gli uomini del popolo abbiano scritto, con le loro gesta eroiche, pagine gloriose in tutte le guerre e le insurrezioni per l'indipendenza dell'Italia, e specialmente nelle leggendarie imprese garibaldine, non c'è dubbio però che le masse lavoratrici e popolari furono in gran parte assenti e tenute lontane dal movimento per l'unificazione del nostro paese. Proprio per questo il primo Risorgimento fu rachitico, stentate e limitate le sue riforme; la rivoluzione borghese fini in un compromesso e non riuscì a portare a fondo la lotta contro il feudalesimo. La borghesia italiana non seppe muovere le masse popolari, non seppe alleare a sé i contadini ed i lavoratori del nord e del sud, ebbe sin da allora paura delle masse popolari, non vi fu di conseguenza una rivoluzione nazionale. Lo Stato nazionale venne costituito egualmente, ma proprio perché ciò avvenne più con le guerre, con le alleanze con lo straniero, con i compromessi ed i trattati diplomatici che non con la partecipazione delle larghe masse (l'epopea garibaldina ebbe proporzioni limitate), non vi fu rivoluzione nazionale. Il Risorgimento, come scrive Antonio Labriola, è stato «una rivoluzione democratica non compiuta ed ha lasciato il paese nella corruttela e nel pericolo permanente». Tuttavia l'unità d'Italia fu realizzata, lo Stato nazionale venne costituito, e noi non neghiamo alla parte più cosciente della borghesia la funzione dirigente che allora ha avuto, anche se ne mettiamo in luce i limiti, le grettezze, le paure. Ma nell'epoca nostra il nerbo principale della Resistenza e della guerra partigiana furono ovunque la classe operaia e le masse popolari, anche se in ogni paese il movimento ebbe caratteristiche proprie.”.
Quest'anno la celebrazione del 25 Aprile cade in concomitanza ai 150 anni dell'unità d'Italia. Ma più che celebrare il giorno della Liberazione dal nazi-fascismo, l'attuale situazione politica ci fa pensare agli albori di una nuova dittatura. Poiché la storia si scrive negli anni, è sempre difficile avere uno sguardo lucido sul presente. Ma non è difficile notare lo stallo che attanaglia la politica e le istituzioni italiane. Il g8, la sconfitta delle forze di opposizione, lo svuotamento delle piazze: questi gli eventi che hanno permesso all'attuale destra eversiva di riverberare i soprusi e le vessazioni che ora, anno 2011, sono diventate la base di una nuova dittatura, che alla xenofobia violenta (lega, fn) ha assommato il potere vessatorio dei mercati della grande industria, nonché la manipolazione totale della cultura e della comunicazione. Nell’Italia attuale dove gli imprenditori preferiscono scegliere la strada della flessibilità o della delocalizzazione, imboccando la “via bassa” dello sviluppo, basata sul contenimento dei costi (bassi salari e flessibilità) non si dà ossigeno ai settori industriali e non si danno risposte ai bisogni e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. I riflessi sociali di queste scelte sono gravi, in particolare nel Mezzogiorno. Il potere d’acquisto di salari e pensioni si riduce e la povertà cresce espandendosi dentro il mondo del lavoro. La questione abitativa (caro affitti e sfratti) è diventata sempre più grave e l’occupazione perde qualità, imposta dal lavoro precarizzato, dequalificato e sottopagato. I giovani sono i più colpiti, privi di tutele e diritti sul lavoro ed espropriati di un’istruzione pubblica e di massa che diventa, al contrario, merce al servizio delle imprese. È giunto il momento di riedificare il nerbo principale della Lotta di Liberazione, la connessione sentimentale, culturale e umana con la classe operaia e le masse, in grado di farsi carico dei loro bisogni e individuare le risposte pertinenti del popolo. Il secondo risorgimento richiama nell’attualità i grandi valori dell’antifascismo e della democrazia, in una situazione molto difficile per l’Italia, non solo per la crisi economica e sociale, ma anche per i pesanti attacchi all’ordinamento democratico e costituzionale, il dilagare del razzismo e dell’omofobia, da parte di una classe dirigente, avviata all’imputridimento. Oltre mezzo secolo è trascorso da quel 25 Aprile, per i comunisti e non solo, assumendo un valore di ricorrenza non formale, rappresenta un punto di partenza per rinnovarsi e contribuire al rafforzamento dei connotati sociali, politici e culturali di massa. “Essi sono morti senza retorica, – scriveva Pietro Calamandrei – senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere”. Con la stessa semplicità e come lavoro quotidiano, dobbiamo difendere la Carta Costituzionale e la nostra Repubblica, da coloro che quotidianamente, cancellano il diritto al lavoro stabile e all’istruzione di massa, annientano il pensiero, mettono in discussione il sistema sanitario nazionale (chiudendo ospedali), equiparano i repubblichini di Salò ai Partigiani e tendono a ricostruire il partito fascista.
 Il fascismo è stato male assoluto, povertà, guerra, negazione di diritti e di libertà, crimini, torture e stragi di civili. È stato trasformismo e deprezzamento del senso di Patria. La liberazione, prima ancora che un fatto politico è stato un bene fisico, sensuale: una liberazione dei sensi, ha riguardato l’aria, il cibo, i colori, la forma dei corpi. La lotta antifascista ha ridato la libertà, l’indipendenza e dignità all’Italia, in quanto, erano trascorsi più di vent'anni di dittatura e si era consumata una sconfitta militare nella più sanguinosa guerra che la storia dell'umanità avesse mai conosciuto e di cui lo stesso fascismo italiano fu corresponsabile. Nell'aprile del 1945 le organizzazioni partigiane portarono a compimento la liberazione di tutto il territorio nazionale dai tedeschi occupanti e dagli ultimi fascisti loro alleati. Gettarono le basi del nuovo Stato, di un'Italia diversa in cui gli stessi valori che avevano ispirato la Resistenza e la lotta contro il nazifascismo, i valori della democrazia, della libertà, della giustizia e della solidarietà, fossero posti alla base della nuova società cui la maggioranza degli italiani aspirava. La Costituzione rappresenta il frutto della straordinaria lucidità e lungimiranza dei membri dell'Assemblea Costituente. L’Italia divenne un laboratorio, nel quale la forza dei partiti di massa, la centralità di un Parlamento eletto col sistema proporzionale, vero specchio del Paese, un crescente ruolo dello Stato nell’economia e un alto grado di partecipazione democratica, pose le basi di sviluppi che soprattutto la guerra fredda, implicando il blocco del sistema politico, impediva. La classe dirigente dell’epoca, guidò (anche grazie ai comunisti, pur stando all’opposizione), un lavoro di elaborazione, dibattito e iniziativa politica su varie riforme (dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale all’equo canone, dalla “giusta causa” nei licenziamenti allo Statuto dei lavoratori), insistendo sulla necessità di garantire ai lavoratori e alle loro rappresentanze un ruolo di controllo e gestione nei vari enti da riformare o da istituire – istituti previdenziali, collocamento, unità sanitarie locali, RAI-TV ecc. È una linea che si affiancava a quella del decentramento democratico e allo sviluppo delle autonomie locali (dalle Regioni ai consigli di quartiere), in una strategia che si poteva definire di democratizzazione avanzata dello Stato e della società, e che ha avuto nella programmazione democratica dell’economia la sua proposta generale relativa allo sviluppo del Paese. Una battaglia che non riesce a vincere e, tuttavia, molte delle riforme varate in quegli anni e poi durante la solidarietà nazionale trovano la loro incubazione anche in quel lavoro politico fatto di elaborazione organizzata, mobilitazione di massa, attenta iniziativa parlamentare, che si seppe sviluppare in quella fase.
Questa ricorrenza, deve consentire di recuperare la democrazia di massa e la verità storica. La nostra società, perdendo cultura, memoria storica, morale, cessa di essere civile e moderna. Le forze sane e democratiche del paese devono ridiventare ambienti pedagogici e culturali, per formare le nuove generazioni, attraverso un confronto che va coltivato, messo in rete, condiviso e contaminato affinché si costruisca un nuovo senso comune e un nuovo costume. Noi saremo ai posti di Gennaro Capuozzo (12 anni), Cleonice Tomassetti (32 anni, staffetta, incinta e fucilata a Fondotoce), Giovanni Pesce, Luigi Longo, Ferruccio Parri, Arrigo Boldini, Alessandro Natta ed Emilio Sereni, a presidiare la nostra bella Italia. Grazie a loro, conosciamo la coerenza e la dignità, imparato l’umiltà e anche la rivoluzione.
 
Luca Servodio,
esponente provinciale del Cantiere Irpino per ricostruzione del Pc/Federazione della Sinistra
Mario Ferdinandi,
ufficio stampa Cantiere Irpino per ricostruzione del Pc/Federazione della Sinistra
 


Sabato 23 Aprile,2011 Ore: 18:23
 
 
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