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www.ildialogo.org Calipari e… il silenzio delle poltrone,di Tusio De Iuliis

Calipari e… il silenzio delle poltrone

di Tusio De Iuliis

Pubblichiamo, e ringraziamo l'amico Tusio per avercelo inviato, un suo vecchio articolo del 02 Novembre 2007 quanto mai attuale
Quando Nicola Calipari veniva assassinato sulla strada che da Baghdad porta all’aeroporto, molti non ebbero dubbi e ancora meno ne avevano quelli che conoscevano e conoscono l’Iraq.
Un assassinio a freddo commesso con l’unico intendo di mandare un messaggio preciso al governo italiano (amico) e a tutti quelli che avevano intenzione di aprire dialoghi con rapitori o resistenti.
Calipari sapeva molto bene, come sapeva il Governo italiano (ma anche l’opposizione liberista e no) che se timori o motivi di paura dovevano o potevano esserci in quella operazione di salvataggio della Sgrena, questi erano rappresentati solo dall’esercito americano.
Calipari conosceva benissimo questo pericolo, a tale punto che, sapeva di tutti i rischi che avrebbe corso per ogni minuto in più passato in Iraq e quindi, tutti i pericoli in più che ci sarebbero stati nell’andare presso la nostra Ambasciata o all’hotel Palestina.
Calipari prese la decisione più normale e convincente, quella che anche noi avremmo preso al suo posto: evitare di rifugiarsi in ambasciata o in un hotel e andare invece di corsa verso l’aeroporto così da restare sotto il mirino americano il meno possibile.
Quella strada che come me molti lo hanno percorsa centinaia di volte, non è così sconosciuta né strana.
Ma gli americani sapevano e conoscevano…, dalla partenza da Roma, al momento in cui il suo aereo si posava sulla pista dell’aeroporto di Baghdad, fino al colpo fatale e l’assassinio.
Tutto ha funzionato perfettamente, tutto era “sotto controllo” e, questa volta, i tragicomici fallimentari piani come spesso si rivelano quelli americani, hanno funzionato perfettamente.
Ogni passo, ogni metro, ogni respiro di Calipari era controllato dal comando americano.
Questo basterebbe a fare capire più di ogni cosa.
Quando il corpo di Nicola Calipari era ancora caldo, centinaia di sindaci e migliaia di assessori si sono sfrenati in una vomitevole e rinnovata “danza macabra”; nel fare conferenze, mostrare le proprie indignazioni, fare appelli e soprattutto innalzare monumenti, intitolare strade, ville, giardini, parchi, biblioteche, targhe e, chi più ne ha più ne metta.
Un “vizietto” molto italico che “ripaga” sempre, ma che ha trascinato e intrappolato anche sindaci e uomini sinceri.
E loro non hanno perso l’occasione, hanno sfoggiato tutto il meglio del loro repertorio
E allora ? Via con le fanfare, le bande, i militari sugli attenti…
Un palcoscenico insperato e inatteso di straordinaria retorica..
Un’altra occasione ghiotta per apparire, bestemmiare parole di ringraziamento, persino addolorati e piangenti con le fasce tricolori a tracolla.
Facce di roccia, imperturbabili nei loro travestimenti da scena di dolore, di sorriso, di noia, di sofferenza, di pietà…
E se nella mia città, Pescara, certamente insuperabile in questo nuovo sport “politico istituzionale” e, in migliaia di piccoli comuni le piazze si sono riempite di ufficialità, ma anche di tanta gente onestamente colpita e… non necessariamente di destra o di sinistra, filoamericani o antiamericani, ignoranti o intellettuali, cattolici, ebrei o musulmani, “rivoluzionari” e “liberisti”; poco importa: c’era tanta gente e c‘erano purtroppo anche loro (ormai onnipresenti), quelli con le facce di bronzo e le fasce tricolori.
Nessuno di loro si è mai sognato, non di erigere un monumento (nemmeno a pensarlo), ma di dire anche una semplice e sola parola di pietà per le donne, i bambini, per uomini e anziani assassinati e trucidati dentro le moschee di Falluja e dell’Iraq o per i giovani studenti e contadini sgozzati ogni giorno a centinaia lungo le strade di Baghdad o di Baquba o di Samarra grazie ai consigli del sig. Negroponte; tanto meno avranno mai un monumento quei bambini “mostruosi” ridisegnati nel dna dalle nostre bombe all’uranio.
 
 
E se in Italia c’è un proliferare di monumenti e medaglie quasi come una moda esasperata e ossessiva, nessun sindaco o assessore si sognerà mai di dedicare un monumento alle vittime della  fame o alla sete di milioni e milioni di africani; né mai oseranno, seppur nascosto dalle acque, erigere un monumento sul più grande cimitero di donne, bambini e uomini ignoti immoralmente esposti alla fame dei pesci nei fondali di Otranto o in quelli dello Ionio.
E ora ? Ora che la terza corte d'assise di Roma ha dichiarato il difetto di giurisdizione e disposto il non luogo a procedere per Mario Lozano, l'ex soldato Usa che fece fuoco contro l'auto sulla quale viaggiava Nicola ?
La “giustizia” della nostra repubblica; quella italiana, quella nata dalla resistenza, quella della “italianità”, dell’onore e dell’orgoglio italiano, del made in Italy, della ferrari o delle coppe, del calcio o del ciclismo, della moda o dello stile, dagli abiti al caffè, dagli spaghetti e ai maccheroni; quella “giustizia” rigorosa e severa con i “ladri” di mele, quanto imbarazzata verso i poteri forti; tremolate e genuflessa toglie la maschera e riconosce il diritto di vita e di morte dei “padroni” sui servi.
E se ieri, si scatenava su tutte le furie il nostro, piccolo, mediocre, grassottello e flaccido ministro delle giustizia che inveiva contro tutto e tutti ma soprattutto contro taluni magistrati.
Se ieri, appena ieri, si infuriavano come bestie, i dell’Utri, i Berlusconi, i D’alema, i Fassino e tanti, tantissimi altri ancora; oggi c’è un silenzio di tomba, nessuno parla, nessuno del potere va oltre…, se non con la magistralità della loro rituale apparente amarezza.
La signora Calipari non dovrebbe e non deve restituire nessuna medaglia, suo marito è stato un eroe, non perché sancito da qualcuno o dagli stessi che oggi girano le spalle e cuciono le labbra, ma dalla gente .
Nicola Calipari è stato un eroe, (per quanto amerei un Paese senza questa necessità), non per caso o per errore, né perché ucciso da fuoco amico (quello era fuoco nemico).
E’ un eroe Nicola Calipari, perché del suo possibile assassinio era semplicemente cosciente e consapevole.
Ora, dopo quell’11 di settembre, in Italia come nel resto del modo si viaggia veloci da una emergenza all’altra, da un gossip all’altro, da una volgarità all’altra, dove, dalle menzogne nascono solo guerre e profonde insanabili divisioni e odi e, dalla verità, quasi sempre nasce la denigrazione e l’isolamento e non la pace
Afferma la Sgrena: «Penso che questa decisione sia incredibile e che sia ancora una volta l’accettazione dell’arroganza degli Stati uniti».
No! Non è né incredibile, né è l’accettazione di una prepotenza.
E’ la conseguenza naturale di un percorso; non dell’arroganza di un Paese, ma la pianificazione devastante di una nuova tragica nazistificazione del mondo.
Un nazismo moderno che non usa più forni crematori, ma embarghi; che non ha bisogno di lager, ma stringe nella morsa della fame e in serragli immensi, paesi e interi continenti; che attraverso le multinazionali affama e rapina le ricchezze dei popoli e delle nazioni; che inventa e alimenta guerre, lotte civili, stragi sanguinose; che protegge criminali di guerra e i crimini contro l'umanità commessi da servitori zelanti; che sorreggono governi corrotti o li ricattano con l'indebitamento; che sono infine, i soli venditori di armi e i primi pacificatori.
Un governo, quello americano, con alle spalle gli interessi di mafie ben più potenti e organizzate.
Si cavalcano i morti con una indifferenza disarmante, si cavalca la rabbia e l’indignazione, la paura della gente e la sua disperazione.
Questa, è la vera grande tragedia della nostra epoca; l’epoca di un decadentismo che mi fa tremare e di un populismo grottesco, tanto imbecille quanto tragicamente vigliacco.
Eravamo nel 1999 penso, quando il nostro primo ministro D’Alema, scendeva le scalette dell’aereo che lo aveva portato negli Usa, in quello stesso momento una corte militare americana, pronunciava la sua sentenza di assoluzione per i due piloti responsabili dell’uccisione di 22 persone sul Cermis.
Ci si sarebbe aspettato una dichiarazione indignata, una forte protesta casomai risalendo sull’aereo per tornare in Italia, oppure non so che cosa; niente di tutto questo, ma una semplice, spaventosa quanto umiliante dichiarazione: “noi non giudichiamo le sentenze”.
Così pure un silenzio inesorabile è sceso sul giudizio accomodante che la banda Taormina ci ha prima fatto ingoiare e poi digerire nell’ultima, definitiva e tombale “verità” sulle “vacanze” a Mogadiscio di Ilaria e Hrovatin. 
C’è un’aria triste e preoccupante che attraversa la nostra epoca e il mondo, un’aria di un nuovo rigenerato e offensivo makkartismo che dovrebbe preoccuparci quanto e non di meno dell’irrazionalità prima di pochi, ora sempre più generalizzata.
C’è una follia che ci attraversa tutti, nessuno escluso e… la strada peggiore la stiamo già percorrendo.
Non amo e non mi convincono le etichettature fuorvianti, non mi convincono anzi, mi fanno anche paura: destra, sinistra, centro, bianco, rosso, nero, verde, ecc.; sono spesso, quasi sempre, labili pretestuosità infantili, alibi adolescenziali dove generalmente si nasconde la propria fragilità politica e culturale se non subdole ambizioni senza contenuti.
Contano le esistenze preziose e le esperienze vissute e non immaginarie, di uomini e donne vere.
Contano il fare, il pensiero e le azioni del singolo rivolte agli altri e con gli altri e, non le vuote parole di oziosi oratori imbecilli.
Il resto è solo rumore di cimici.
Ora per Calipari e, come lui, per i tanti, tantissimi, troppi, morti “eliminati” da fuoco “amico”, nessun sindaco con la fascia a tracolla invia telegrammi seppur inutili alla Casa “bianca”, né spiega alla gente della sua città, perché Nicola Calipari ucciso due volte, è per due volte eroe.
Spoltore, 02 novembre 2007
Tusio De Iuliis


Martedě 21 Dicembre,2010 Ore: 16:23
 
 
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