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www.ildialogo.org Fisichella e dintorni,di Gianfranco Monaca

EDITORIALE
Fisichella e dintorni

di Gianfranco Monaca

L'articolo è stato pubblicato su Tempi di fraternità di Novembre 2010. Ringraziamo la redazione per avercelo messo a disposizione.

Gentile dott. Augias,

Come cattolico ho apprezzato la lettera di Alberto Del Corona e la Sua risposta del 5 ottobre. Condividono questo mio parere gli amici che da quarant’anni pubblicano il mensile “Tempi di fraternità” (www.tempidifraternita.it) e con cui collaboro (a titolo di volontariato come tutti loro) da oltre dieci anni. Il nostro gruppo è uno dei tantissimi, nel pianeta cattolico, che non si scandalizzano più delle uscite di certi cattolici (vescovi e preti compresi) che per noi non corrispondono né allo spirito del Vangelo né alla dottrina cattolica espressa dal Concilio Ecumenico Vaticano II, e non corrispondono alla testimonianza resa ad altissimo prezzo da tanti vescovi e preti, oltre che da moltissimi laici che costituiscono la Chiesa del Silenzio, la Chiesa che convive da sempre con la Chiesa-azienda che ha prodotto i roghi degli eretici, le stragi delle Crociate, il genocidio degli ebrei e quello, colonialista, dei popoli condannati alla “salvezza” per mezzo di un “battesimo” forzato in nome di un “peccato originale” di stampo agostiniano. Apprezziamo molto il lavoro di chiunque si sforzi di difendere una laicità che riteniamo il dono più prezioso fatto ai credenti da un laico, Gesù di Nazaret, giustiziato come eversore di una religiosità sacralizzata dai dirigenti del suo stesso popolo e già combattuta dai Profeti d’Israele che hanno costituito - pagandone il prezzo fin d’allora - il filo rosso di una permanente fedeltà alla propria coscienza di uomini e di credenti.

Al dilà del baccano mediatico che suscitano battute come quella del vescovo Fisichella - cappellano del Parlamento italiano in grazia di qualche provvedimento di cui non siamo mai riusciti a trovare traccia, pur avendolo richiesto più volte ai presidenti della Camera in diverse legislature - a noi pare più clamoroso il silenzio del cardinale Martini che ammonisce: “Non è più il momento di distinguere fra credenti e non credenti, ma fra pensanti e non pensanti”.

Con vivi ringraziamenti. Gianfranco Monaca - Asti

di Gianfranco Monaca

L’antefatto è noto: un anziano imprenditore trafficante in politica, irritato per la piega che hanno preso i suoi affari nelle sedute parlamentari del 29 e 30 settembre, cerca di osten­tare sicurezza e allegria raccontando barzellette in un gruppo di ammiratori dotati della giusta dose di senso dell’umorismo per poterle ancora sop­portare facendo buon viso a cattiva sorte. Le bar­zellette prendono di mira gli ebrei e le donne, ar­gomenti molto originali per macchiette d’avan­spettacolo a corto di fantasia, con particolare ap­prezzamento per la vicepresidente della Camera dei Deputati (Rosi Bindi, a cui invidia giustamente l’intelligenza politica) e, per accentuare l’appa­rente spavalderia giovanilista (lui si considera un trentacinquenne, senza rendersi conto che questa è la migliore delle sue barzellette) conclude con una clamorosa bestemmia. Un servo infedele immortala la scena e la mette in rete suscitando un putiferio mediatico, non tanto per la bestemmia in sé quanto per essere stata pronunciata in pub­blico dal povero malcapitato. Un coro gregoria­no e polifonico di proteste tra l’andante con brio e il solenne maestoso unisce L’Osservatore ro­mano, Avvenire e Famiglia cristiana, in altre oc­casioni meno disposti all’unisono, soprattutto nei riguardi dell’anziano trafficante di cui sopra. Ma li sovrasta l’assolo di una voce indipendente che attira l’attenzione di tutti, come quando l’usciere del Pantheon aveva bloccato un concerto sinfo­nico (ricordate?) dicendo che lui aveva finito l’orario e doveva chiudere. Chi è questo usciere? Si chiama mons. Rino Fisichella, vescovo ben piazzato nella corsa verso le alte sfere vaticane, cappellano (si dice) del Parlamento (no, non di quello vaticano, che non è mai esistito, ma di quello italiano, che esiste ancora benché agonizzante), e non ha mai nascosto il suo amore per i peccatori ricchi e potenti, cercando sempre di salvare, “contestualizzando” con encomia­bile pietà, la retta intenzione di chi infrange materialmente co­mandamenti e precetti, soprattutto se la volontarietà e consa­pevolezza degli atti può essere diminuita da qualche vizio di consenso, connesso a circostanze come la demenza senile o la paura o l’ignoranza invincibile o l’obnubilamento mentale do­vuto a pulsioni erotiche; tutto secondo i più attendibili trattati di morale cattolica, in base ai quali da almeno una dozzina di secoli vengono dirette le coscienze: quelle dei seminaristi, dei crociati, dei giudici della Santa Inquisizione e del loro braccio secolare, dei conquistadores, dei cappellani militari e dei loro reggimenti, dei falangisti, delle SS, dei devoti in genere che sparano sui migranti e sui migratori, dei padroni che assumo­no in nero ma esigono di mettere un crocifisso negli uffici pubblici e dei mafiosi che esigono il pizzo ma mettono le im-maginette nei loro covi blindati. In sostanza, le coscienze del mondo occidentale di cui si vantano a tutti i livelli le “radici cristiane”. In particolare del popolo italiano, geograficamente il più vicino al “centro della cristianità” e storicamente il più controllato dall’autorità ecclesiastica. Girando il mondo, si può verificare che soltanto in Italia esiste la bestemmia tecnica­mente intesa come insulto verbale, orale o scritto, al nome di Dio e della Madonna. Anzi, in certe regioni assume forme ela­borate e particolarmente offensive tanto da riuscire inspiega­bili in bocca a persone normali: sono le regioni un tempo com­prese negli Stati Pontifici o in quelli amministrati da governi strettamente cattolici come le Tre Venezie dominate dalla di­nastia asburgica: comunque la bestemmia è innegabilmente un simbolo dell’unità d’Italia pur nelle sue diversità e il fede-raliamo della blasfemìa è una realtà assodata. Nella lingua di Voltaire è considerata “bestemmia”, pur non essendolo affat­to, l’espressione “sacré nom de Dieu” o semplicemente “nom de Dieu”; in quella di Nietzche, la massima “bestemmia” è la parola “cruzifix” solo per il tono con cui viene pronunciata, perché da sola non significa altro che “crocifisso” e appartie­ne al vocabolario corrente. Non parliamo poi degli elaborati e orribili insulti alla Madre di Gesù che sono una specialità esclu­siva della lingua di Dante e dei dialetti italiani, e ci aspettiamo di vederli insegnare come patrimonio linguistico nelle scuole in cui, quando avranno esaurito - oltre al medio - le restanti dita, imporranno come blasone nobiliare il sole padano.

Nell’Islam - ritenuto da molti la religione degli infedeli - la bestemmia non esiste per niente. Neppure gli ebrei “sanno” bestemmiare (discutono civilmente con Dio, quando non ne condividono le decisioni) come del resto gli olandesi. I fiam­minghi sono obbligati a far ricorso alla pur modesta blasfemìa dei vicini valloni, storpiata dalla pronuncia della lingua di Era­smo. L’università della bestemmia - finché è esistito il servi­zio di leva - è stata la caserma, ma dal punto di vista psicologi­co è stata, come la sigaretta e il postribolo, sintomo di rag­giunta maggiore età. Forse è per questo che abbiamo scarse capacità di realizzare un minimo di convivenza civile in as­senza di un colonnello. Insomma, mons. Fisichella, che queste cose le sa a memoria, e prevede, giustamente, di sentirsele dire da qualcuno, gioca d’anticipo. Sostanzialmente dice: perché volete infierire su quel povero vecchio? È un italiano vero, mica un tedesco, e per di più, quando gli cadono i freni inibi­tori, gli scappa (la parola sbagliata al momento sbagliato). Abbiamo affidato il problema a una commissione scientifica pontificia, ma finora non ha prodotto altro che una sorta di psico-pannolone di difficile applicazione: ‘Dovrebbe impara­re a star zitto’ hanno sentenziato: ma ormai è tardi.

Che un vescovo - a cui per di più è stata affidata la “nuova evangelizzazione” - si preoccupi di trovare circostanze atte­nuanti per i bestemmiatori incalliti allo scopo di proporre loro una conversione interiore globale e aiutarli a intraprendere un cammino di fede laicamente evangelica basata sull’incontro con Gesù di Nazaret piuttosto che con i pellegrinaggi di mas­sa, non solo avrebbe una sua logica, ma farebbe parte del suo compito pastorale.

Ma se lo facesse per non rischiare una prebenda, o una scuola cattolica, o per evitare una legge democraticamente votata da un popolo libero di pensare - e magari di sbagliare - da sé, con tutto il rispetto, quel pannolone se lo faccia produrre in serie per uso personale.

Infine, come il Concilio Vaticano II si era interrogato a pro­posito dell’ateismo contemporaneo, sarebbe opportuno che la Chiesa italiana si interrogasse sul perché la bestemmia in Ita­lia sia diventata un costume, magari l’unico e ingenuo stru­mento di lotta politica concesso ai poveri, per ribellarsi in qual­che modo ad un potere economico e politico spalleggiato per interessi temporalistici da un assurdo clericalismo analfabeta. Per il Piemonte, che peraltro può vantare l’impresa provvi­denziale di porta Pia, credo che questa ipotesi sia credibile.

Il Concilio aveva iniziato a individuare, tra le cause dell’atei­smo, la cattiva testimonianza storica della Chiesa gerarchica e, probabilmente per non correre rischi, a partire dagli anni Ottanta la curia romana guidata dal card. Ratzinger ha comin­ciato a imbavagliarlo. Così come per la pedofilia, si insiste sulla fellonìa dei singoli per evitare la scomodità di analizzare le cause strutturali del fenomeno, tanto più stupefacente in un paese in cui si fanno carte false pur di favorire l’educazione cattolica e l’insegnamento della religione a spese dello Stato (laico!).

Per dimostrare la sua sollecitudine pastorale, questa buro­crazia dell’ottopermille preferisce protestare contro il Nobel per la medicina conferito a Robert Edward (quello della fe­condazione in provetta) o condannare la memoria di un gran­de letterato come José Saramago. E poi dice il regime cinese. Ma mi faccia il piacere, mi faccia!

PS. A. Vorrei così aver motivato a sufficienza la mia lettera a Corrado Augias a proposito della sua rubrica su Repubblica del 5 ottobre 2010.

B. Mi è sorto il dubbio di aver esagerato nello scherzo parlan­do dell’attempato negoziante di poltrone in termini che po­trebbero apparire poco fraterni, ma mi sono dato una spiega­zione: sono più vecchio di lui e, forse, ho parlato per invidia. Me ne scuso. E mi scuso anche con “l’italiano medio” e con mons. Fisichella, per non aver imparato a bestemmiare, rima­nendo così al disotto di un giusto livello di patriottismo. Non tutti siamo perfetti.



Giovedì 04 Novembre,2010 Ore: 14:28
 
 
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