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www.ildialogo.org C.v.d.: come volevasi dimostrare,di Lidia Menapace

C.v.d.: come volevasi dimostrare

di Lidia Menapace

20 settembre 2012
Ho seguito anche oggi 20 settembre 2012 sul 3 il programma "cominciamo bene" (non ho potuto seguirlo per intero dal principio perché ero fuori casa). Era ancora sulle e dalle carceri. E questa volta sul lavoro in e dalle carceri. Era presente tra gli altri Vendola, molto ringraziato perché la Regione Puglia della quale è presidente è molto attiva nell'aiutare le ong che si occupano di fare impresa per il lavoro dei carcerati. Le carcerate che sono probabilmente le più attive, dato il tipo di prodotti in mostra, sono incluse nel linguaggio al maschile. I detenuti erano presenti, detenute non ne ho viste. Le persone che rappresentavano la amministrazione carceraria erano uomini, le persone che rappresentavano le ong per lo più donne: ma il linguaggio anche delle donne era compattamente al maschile. Mi sono dunque trovata davanti un pubblico "emancipato " e "riformista", quasi il meglio che si possa desiderare entro una cornice e un contesto capitalistico.
Che fare in quel contesto? riforme, ad esempio estendere e rafforzare lo stato sociale, finanziare i servizi al massimo, renderli fruibili dalla totalità della cittadinanza in questione. Abbattere i pregiudizi punitivi e lottare per il miglioramento delle condizioni, contro l'affollamento ecc. Era come sentire il segretario del Pd da Ballarò: se il capitalismo non fosse in crisi strutturale e globale, lui sarebbe il miglior Presidente del Consiglio o candidato a quella carica.
Ma il punto è proprio questo: siamo nella crisi capitalistica globale e strutturale: le riforme sono impossibili, il capitalismo non è più riformabile. E le persone migliori immaginano di uscire dalla crisi capitalistica ripristinando o addirittura allargando il capitalismo: tipica una intervenuta, che é dirigente di una grande area del volontariato sociale, che chiedeva di rendere il carcere adatto per orari e organizzazione all'organizzazione del lavoro data (anche col sindacato?). Le intervenute che sono tutte donne di grandi qualità (conosco la direttrice di "Ristretti" una bella rivista sul carcere) parlavano tutte di sè al maschile, e quindi escludevano le donne dalla loro attenzione, non le differenziavano. E quando nella seconda parte si è affrontato con grande umanità e senza pregiudizi la questione dell'affettività, fino alla sessualià, in carcere, la cosa è diventata ancor più palese: si parla di visite della moglie (non del marito, non della compagna o del compagno) in carcere, del dove mettere i bambini (le bambine sono senza nome) e sembra naturale che una moglie si presenti secondo una rigida procedura che conta persino i minuti delle telefonate, ma nessuno ha detto che un marito si potrebbe presentare per soddisfare la moglie carcerata.
Sicchè l'unica cosa che non è mai venuta fuori è che non si può andare avanti (pur facendo intanto quel che si può) senza dichiarare e prendere coscienza che alcune migliaia di anni di civiltà giuridica ci hanno fatto arrivare al carcere sempre più perfezionato e "accettabile": ma ciò non cancella la barbarie di non aver saputo inventare, per rimediare ai danni dei reati, se non la privazione della libertà individuale. Sotto questo profilo il carcere è come il capitalismo, non più riformabile. Bisogna pensare un'alternativa.



Sabato 22 Settembre,2012 Ore: 21:01
 
 
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